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Autore: crazyfred    24/05/2020    4 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3 - Primo mese o "come dirlo agli altri"


 

 




Avevano passato la notte a parlare, allungati sul letto, abbracciati e, come spesso succedeva, avevano finito per accorgersi che stava arrivando il mattino quando ormai era già tardi per addormentarsi. Ma non si stancavano mai di parlarsi, di raccontarsi, di spiegarsi. C'era stato un momento in cui avevano perso questa abitudine; in particolare Francesco, dopo la scomparsa dell'amica Adriana, si era chiuso in sé stesso. A nulla erano valsi i tentativi di Emma di scuoterlo, le sue attenzioni, il suo essergli vicina sempre. Ma l'avevano superato, avevano capito che erano più alti di ogni ostacolo, più forti di ogni colpo ricevuto, bastava solo aprire i propri cuori.
Emma aveva aperto il suo cuore ancora una volta a lui, quella notte. Tra i due era sempre stata lei quella che riusciva ad esprimersi meglio con le parole e Francesco adorava stare ad ascoltarla. Si abbandonava in quegli occhi color cioccolato, così pieni di amore per la vita. Ed ora che in lei la vita si era raddoppiata, quell'amore veniva fuori ancora più dirompente. Francesco ne era quasi sopraffatto. La guardava, estasiato, l'ammirava, come fosse una scultura antica, le baciava, con la devozione che i fedeli riservano al santo.
"Come ti senti?" non smetteva di chiederle. Aveva voluto sapere di tutto e anche di più, in qualche caso Emma nemmeno sapeva rispondere alle domande che le rivolgeva. Voleva sapere di quante settimane fosse - anche se con il solito impaccio che lo contraddistingueva era solo riuscito a dire "Quando?" provocandole una sana risata di gusto; entrambi sapevano bene quando, "con te basta una sola volta" commentò lei, prendendolo in giro. Il nostro regalo di Natale, lo avevano ribattezzato. Non pago, Francesco continuò, curioso, ad indagare su come se ne fosse resa conto - "come vuoi che me ne sia resa conto?" - cosa aveva provato e soprattutto cosa riservasse loro il futuro. Lei gli aveva assicurato che il neurologo aveva dato il suo benestare per una gravidanza, ma Francesco aveva bisogno di farsi ripetere diecimila volte le cose. "Secondo lui non ci dovrebbero essere problemi a portare a termine la gravidanza" spiegò Emma, "ma comunque devo riguardarmi e stare sotto stretto controllo medico". Francesco non voleva sentirsi dire altro, sapere che qualcuno avrebbe vegliato sulla sua Emma. E non solo su di lei. Ora erano in due, in tre se aggiungeva sé stesso nel novero. Faticava ancora a credere che stava succedendo davvero. Era arrivato ad un punto nella sua vita in cui aveva pensato che essere diventato padre, con Marco, era stata una casualità, che era capitato, ma che qualcuno da qualche parte si era accorto dello sbaglio, che in realtà non fosse scritto nel suo destino. Ed andava bene così. No, non andava bene, perché non si può accettare di seppellire un figlio, ma doveva andare bene per forza, non è un qualcosa che si può cambiare. Ma con Emma era scattato qualcosa, un'emozione, una magia, che l'avevano fatto sperare di nuovo che ci fosse qualcosa di bello anche per lui su questa terra, che non fosse solo una landa di espiazione di chissà quali colpe. Ancora stentava a crederlo, ma già se li immaginava, quei mesi a venire. Ci era già passato, ma sentiva dentro un'emozione tutta nuova. Condividerla con la persona amata faceva tutta la differenza del mondo.
Aveva voluto bene a Livia ma, ora che amava, si rendeva conto che il suo era stato dovere, raziocinio, fare la cosa che tutti si aspettano. Era un giovane soldato, sempre via da casa, e aveva vissuto la sua vita di fidanzato prima e marito e padre poi a singhiozzo, prendendo solo il bello di quello che aveva: ferie, feste comandate; mai un broncio, un litigio, mai una quotidianità noiosa. Ora che amava si rendeva conto che, fino all'incontro con Emma, la sua vita era stata la più grande bugia che avesse detto a sé stesso. Con Emma, invece, mai una finzione e, quando non riusciva ad aprirsi, lei gli vedeva dentro come nessun altro era mai riuscito a fare prima.
Fronte a fronte, le accarezzava delicatamente la pancia. Già provava a figurarsi Emma con le forme arrotondate, la pancia che timidamente spunta fuori dalle magliette, i pantaloni che non si chiudono più. Immaginava i colpetti dei piedini giocherelloni alle sue carezze sulla pancia, i massaggi per addolcire i mal di schiena, gli impacchi freddi per il mal di testa. Non riusciva, a quelle immagini nella sua mente, a trattenere un sorriso.
"Come stai?" le ripeté per l'ennesima volta, mentre un raggio di sole del mattino si intrufolava tra le tende ed illuminava il volto di sua moglie.
"Sono felice" rispose Emma. Era tutto quello che Francesco voleva sentirsi dire. Aveva fatto così tanti sbagli che pensò di non riuscire più a recuperare con lei, di aver perso la sua fiducia irrimediabilmente, preferendo un altro a lui. Un delinquente forse, ma che, almeno di facciata, non aveva mai smesso di credere in lei.
Emma era davvero felice. La vita la stava premiando con la gioia più grande. Non era sta mai una brontolona, si era sempre ritenuta una persona fortunata. Nata nella famiglia giusta, frequentato le amicizie e le scuole giuste, aveva potuto fare gli studi che più preferiva e, anche se avesse fallito e avesse mai deciso di cambiare strada, nessuno avrebbe battuto ciglio. Eppure non si era mai concessa il lusso di riposare sugli allori, aveva deciso di conquistare il proprio posto nel mondo indipendentemente, senza aiuti, né agi. Le andava bene così, anche se significava costruirsi una nuova rete di affetti: si era resa conto, nel tempo, che non basta il pagamento di una retta scolastica o di un affitto per farsi chiamare mamma o papà. Ci vuole presenza, contatto. Cose che, dai suoi, aveva sempre avuto raramente. Questa libertà conquistata, nonostante le ristrettezze, la faceva sentire una persona incredibilmente privilegiata. Un'unica frenata: la diagnosi della sua malattia. Ma neanche lì si era lasciata abbattere, aveva saputo trovare il lato bello anche di quell'esperienza. Vale sempre la pena vivere, diceva. Ma la vita l'aveva fregata. Quando era il momento di restare da sola, ecco che le ha presentato Francesco. Si era innamorata, l'aveva desiderato, aveva cercato un figlio suo più di ogni altra cosa. Quanto più voleva vivere, tanto più il tempo stringeva. Quella vita, che dentro sentiva ribollire, fuori si accaniva sul suo corpo, quasi a dirle tu non scegli un bel niente. Ma i miracoli accadono, di tanto in tanto. Aveva lottato, si era aggrappata con le unghie e con i denti a quella lista e alla promessa fatta a Francesco di tornare da lui, e aveva vinto. Ora stava solo ritirando la ricompensa.
"E tu? Sei felice?" domandò lei; sapeva la risposta: gliel'aveva detta con le lacrime, che non riuscivano a nascondere la luce che i suoi occhi emettevano, con quei baci alla sua pancia ancora troppo piatta per poter parlare da sola, con le piccole attenzioni che lei amava e che facevano tutta la differenza del mondo.
Per un attimo si trovò a pensare a quello che era successo solo pochi mesi prima, a quel bambino che non avevano mai conosciuto e che lui, sulle prime, aveva rifiutato. Si era sentita ferita, tradita anche, dalla persona a cui credeva di star facendo il regalo più bello. Non riusciva a capire come per lui, che si portava addosso la cicatrice della perdita di un figlio, potesse parlare di interruzione di gravidanza a cuor leggero. Non le era importato di quanto la implorasse, di quanto le ripetesse che la amava e voleva solo il suo bene e la sua salute. Per lei quel rifiuto era sufficiente: non poteva essere davvero amore se la vedeva come un giocattolo rotto da aggiustare a tutti i costi, anche sacrificando la cosa più importante; la promessa di un figlio, dieci figli a cose risolte era solo uno schiaffo alla creatura che portava in grembo in quel momento e che lui non voleva. Solo a mente fredda, solo dopo che lei stessa era caduta in fallo, aveva capito che non sempre riusciamo a pensare, dire e fare la cosa giusta. Il tempo dona la prospettiva e la saggezza per capire quello che succede intorno; Emma aveva compreso le parole di Francesco, aveva accettato il suo mea culpa e, quello che più contava, si era ricordata di quegli occhi che per un attimo l'avevano guardata, quando gli aveva dato la piccola foto ricordo della prima ecografia. Gli stessi occhi se li era ritrovati davanti in quella lunga notte insonne dalla contentezza.
Presi dalle confessioni e dai progetti, Francesco aveva rimandato più di volta la sveglia del cellulare. Prima che se ne rendesse conto, una telefonata del suo vice, Valeria Ferrante, arrivò per fargli notare che era in ritardo, ma l'avvertì di non aspettarlo per la giornata.
"Comandante Neri!" esclamò Emma, stupefatta "vuol per caso far scatenare l'ennesima bufera di neve della stagione?"
Francesco si sarebbe fatto prendere in giro da Emma per tutta la vita: adorava quando gli dava del lei scherzosamente, ma ancora di più le facce buffe che faceva, perché non riusciva mai a rimanere davvero seria.
"Ci saranno pure dei vantaggi ad essere il comandante, signora Neri" rispose a tono "ogni tanto è giusto che anche io mi prenda qualche giorno di pausa … soprattutto quando c'è qualcosa da festeggiare." Francesco tirò le tende - nuove, Emma era stata categorica che accettava tutto della palafitta tranne quei vecchi sacchi di iuta logori che Francesco spacciava per tende - per tentare di far tornare quantomeno un po' di penombra nella stanza e prese il suo portatile.
"Ora però" aggiunse, mentre tornava a letto, sedendosi accanto a lei "riposa un po', ti ho tenuta sveglia tutta la notte e non va bene". "E tu?" chiese lei, assonnata, incapace di trattenere uno sbadiglio "anche tu non hai chiuso occhio". "E chi dorme?!" ammise, sorridendo, schioccandole un bacio tra i capelli "ho ancora troppa adrenalina addosso per riuscire a dormire…no, mando qualche email alle agenzie immobiliari. Non possiamo più stare qui".
Emma non aveva la forza di rispondergli, prima che Francesco accendesse il pc era già in dormiveglia. Sapeva benissimo anche lei che la palafitta non era un posto per bambini piccoli ed era la ragione precisa, oltre alla sua operazione, per cui non avevano potuto ancora fare richiesta per l'affido temporaneo di Leonardo. Ma non riusciva a lasciare quel posto e sapeva che, per quanto pieno d'entusiasmo, la stessa cosa valeva per suo marito. Ogni centimetro di quella casa sul lago parlava di loro, sarebbe stato difficile dirle addio.

"Ma porca miseria, porca…" gridò Vincenzo, appallottolando e gettando sulla scrivania la lettera che gli era arrivata dalla Questura di Bolzano. Era sicuro che, grazie all'isolamento acustico del suo ufficio, gli altri non sarebbero stati in grado di sentirlo eppure improvvisamente si sentì osservato da chiunque fosse nello stanzone comune che Polizia e Forestale condividevano ormai da 10 anni. Sì alzò e, andando verso la porta, scrutò attraverso le veneziane. In realtà erano tutti al proprio posto, immersi nelle proprie mansioni, eccezion fatta per Francesco che, quella mattina, aveva optato per un giorno di permesso. Era strano non vederlo seduto al suo posto, considerando che, eccezion fatta per i giorni in cui era rimasto vicino ad Emma in ospedale, difficilmente saltava un giorno di lavoro. Quella mattina, non vedendolo arrivare di buon ora, gli sguardi dei forestali e dei poliziotti erano unanimemente straniti e preoccupati. Allarme rientrato, tirarono tutti un sospiro di sollievo; era incredibile come, nonostante vivesse praticamente da eremita nella casa sul lago, tutti lo stimassero e lo tenessero in gran considerazione, anche tra la popolazione. "La forestale è più importante della polizia da queste parti" gli spiegò una volta un uomo "siamo allevatori, contadini, cacciatori … cosa ce ne facciamo noi della polizia?!".
Anche per questo motivo Vincenzo aveva faticato a ritagliarsi un proprio posto nella comunità, oltre che per ragioni geografiche e culturali - il tedesco faticava a farselo entrare in testa, figuriamoci quella specie di dialetto che era la vera lingua madre del posto - ma, proprio grazie a questa convivenza forzata tra le due realtà, alla fine ci era riuscito.
Si guardò attorno e ripensò al giorno del suo arrivo a San Candido, pensò a quanto era contrariato all'idea di doverci vivere e quanto gli sembrava una punizione divina il trasferimento in un'area così ostica per lui che veniva dal caldo e dal mare, ripensò a quando scoprì che avrebbe dovuto spartire - sebbene in una situazione temporanea - il luogo di lavoro con la forestale e che, per i primi mesi, aspettava con ansia il giorno in cui gli avrebbero comunicato il trasferimento. Tra sé e sé gli scappò un sorriso ma, senza quasi accorgersene, una lacrima gli aveva rigato il volto.
"Piange commissario?" "Huber mannaggia 'a morte, quante volte ti ho detto che devi bussare" riprese il suo vice, asciugando la guancia inumidita "e comunque no, sono solo allergico…"
"Commissario ma è Gennaio!" lo corresse Huber, perplesso. "Eh, appunto, sono allergico ai poliziotti impiccioni di Gennaio. Che vuoi?"
"So-sono arrivaaati i riiisultati della scientifica, pensavo vo-volesse vederli." "E voglio vederli, ma voglio pure che bussi prima di entrare". Il poliziotto posò il fascicolo che aveva appena stampato sulla scrivania del commissario, squadrandolo attentamente. Era un suo superiore, ma negli anni ne avevano passate così tante che erano diventati migliori amici. Se interrogato, non si faceva problemi a dire che era geloso marcio del legame tra Vincenzo e Francesco, ma lui orgogliosamente si fregiava del titolo di padrino della piccola Mela, e quello nessun Francesco Neri glielo poteva togliere.  "Co-coommissario, sa come si dice?" esordì; "Huber, non lo voglio sapere", troncò in fretta il commissario; di solito accettava passivamente i suoi ormai leggendari huberismi, ma quel giorno non era in vena. "E-e io glieelo dico loo stesso: s-solo i veri aamici ti dicono quando il viso è-è sporco" "E questo che significa?" "Significa che lo v-vedo che c'è qualcosa chee non va … e lei che è mio aamico potrebbe paarlarmi liberamente" e così lasciò l'ufficio, facendo rimanere il commissario con un palmo di naso.  Vincenzo era ben conscio che avrebbe dovuto dare la notizia, prima o poi, ma sapeva anche che sarebbe stata un duro colpo per tutti. Aveva bisogno di trovare le parole più adatte per indorare la pillola.

"Dici che dovremmo dirglielo?" domandò Emma a Francesco, mentre con l'auto raggiungevano la caserma. Di norma sarebbero andati a piedi, approfittando anche della superficie ghiacciata del lago in inverno, ma da quando gli aveva dato la notizia, suo marito era quasi sul punto di scarrozzarla in giro in braccio per tutto il tempo. Meglio fare l'intero giro del bosco con l'auto che rischiare di scivolare sul ghiaccio. "Teniamocelo ancora un po' per noi…è così bello" commentò, stringendole la mano. Emma reciprocò la stretta, serena, tuttavia faceva ancora fatica a riconoscere suo marito dietro quell'uomo costantemente di buon umore con cui condivideva la palafitta da una settimana. Glielo concedeva, era veramente bello poter condividere con lui, e solo con lui, quell'evento così speciale. Era il loro piccolissimo segreto, lontano dagli occhi indiscreti e le bocche impiccione degli amici che, seppur amorevoli, avrebbero di sicuro provato a mettere bocca su ogni cosa.
"Non sono sicura che tu sia così capace di mantenere il segreto" obiettò. "Perché pensi questo? Sono perfettamente in grado di tenere la bocca cucita" "Su questo non ho dubbi" precisò Emma "è la tua…prossemica ... che mi preoccupa". "E con questo cosa vorresti insinuare?" indagò Francesco, fintamente offeso, pur mantenendo lo sguardo sulla strada. "Che ti si legge in faccia che c'è qualche bella novità!" "Questa è un'accusa infondata, vostro onore" scherzò l'uomo "sono giorni che vado a lavoro e nessuno si è accorto di niente." "Sìii, ma solo perché non sono mai venuta trovarti" spiegò Emma. Se da un lato Francesco era stato sempre molto attento e premuroso con lei, non era mai stato quel genere di persona che si lascia andare a dimostrazioni d'affetto in pubblico. Persino baciarla davanti a tutti su richiesta dei convenuti, come vuole la tradizione, il giorno del matrimonio, al momento del brindisi, gli era quasi costata fatica. Aveva sempre detto che certe cose gli piaceva tenersele per sé. La giovane aveva notato, invece, che negli ultimi giorni, questi problemi erano incredibilmente venuti meno. Accompagnandola dalla ginecologa, in fila alla cassa del supermercato, nel mezzo della piazza del paese, Francesco non faceva più tanti complimenti. E poi c'era quello sguardo … un occhio attento come quello di Vincenzo, quelli ancora più pettegoli di Valeria ed Huber non ci avrebbero messo tanto a fare 2+2.
Arrivati a destinazione, saliti in foresteria, trovarono Valeria ai fornelli, Isabella impegnata ad insegnare a Mela che i cubotti che proprio lei e Francesco le avevano regalato per Natale non erano matrioske ma servivano a costruire delle piramidi - ma alla bambina, questo non interessava - ed Huber e Vincenzo intenti a stabilire, come al loro solito bisticciando come due bambini, se fosse più buona la mozzarella di bufala o il formaggio di malga.
"Huber, solo, stasera?" domandò Francesco, aiutando Emma a togliere la giacca; non era impedita né malata, gli ricordò bisbigliando, ma Francesco non volle sapere ragione: "è un gesto romantico di un marito affettuoso … se vuoi togliermi anche questo …", protestò lui. Huber spiegò che i figli piccoli erano tutti a letto con l'influenza e la moglie non se l'era sentita di lasciarli soli con la maggiore.
"Cosa festeggiamo?" chiese Vincenzo, notando il vassoio di paste e lo spumante che Emma aveva posato sul piano dell'isola in cucina appena arrivata. Emma guardò il marito in cagnesco, perché gli aveva detto che non era il caso di portare nulla, temendo che la cosa avrebbe generato domande e fatto saltare la loro copertura. "Nulla" si affrettarono a chiarire, all'unisono. "Ci è sembrato giusto non venire a mani vuote visto che Valeria si da sempre tanto da fare con i suoi manicaretti ed è meglio se Emma non l'aiuta se vogliamo mangiare". Francesco non fece a tempo a terminare la frase, che una gomitata gli arrivò, ben assestata, su un fianco. Secondo Emma le battute sulle sue capacità ai fornelli erano ormai dette e ridette e non facevano più ridere nessuno, tanto meno lei che ormai si destreggiava con discreti risultati. Di sicuro non avvelenava più nessuno - merito delle lezioni di suo marito, ma non voleva dargli il merito di questo traguardo raggiunto. "Certo … se qualcuno non si ostinasse ad avere una cucina da campeggio in casa … io potrei applicarmi di più" lo rimproverò. Andava bene vivere in maniera spartana, era sempre stata dell'avviso che non le servisse molto per vivere bene, finché erano insieme le bastava veramente il minimo indispensabile, ma qualche comodità in più a volte le avrebbe fatto veramente piacere. "Ancora per poco, Giorgi, ancora per poco" le sussurrò nell'orecchio. Complice il tono della voce e il lieve soffio dietro la nuca, Emma ebbe un leggero brivido lungo la schiena. Era una risposta involontaria che le succedeva regolarmente, ma Emma diede la colpa agli ormoni ballerini.
Ripresasi, ponderò la frase del marito. Già, presto si sarebbero trasferiti. Nonostante le innumerevoli proposte che l'agente immobiliare gli aveva fornito, alla fine Emma aveva quasi risolto per quella che era stata la prima scelta di Francesco, qualche mese prima: acquistare il vecchio maso di Zoe, la fidanzata di Martino Bechis, il più giovane tra i forestali in forza alla caserma di San Candido, e ristrutturarlo. Francesco era un po' scettico, ma Emma puntava sulla certezza che lui non le avrebbe rifiutato nulla; dal canto suo, sperava che i lavori di ristrutturazione le avrebbero fatto guadagnare ancora del tempo da trascorrere nella casa sul lago. Il parto era previsto per metà Settembre, l'ideale per trascorrere ancora qualche pomeriggio sulla terrazza a bearsi dei raggi del sole cullando il suo piccolo appena nato.
La spensieratezza di una compagnia ormai consolidata era stata garanzia di successo per la rituale cena del 'turno infrasettimanale', così come scherzosamente l'aveva ribattezzata Vincenzo. La scusa iniziale era stata una partita di calcio, ma alla fine, complice il disinteresse di Francesco e Huber per la disciplina, gli uomini finivano sempre a bere un bicchierino di acquavite e a parlare di lavoro. Le donne, dal canto loro, si spupazzavano la piccola di casa nel tentativo - il più delle volte vano - di fiaccarla in vista della notte, mentre Isabella approfittava del post cena in libertà per fare due passi con Klaus in centro, o almeno quella era la versione ufficiale. Tornata a casa dopo l'operazione Emma aveva frequentato la foresteria della Forestale in maniera regolare durante tutta la convalescenza: Francesco, infatti, per tenerla d'occhio, la portava quasi letteralmente con sé a lavoro. Nelle lunghe ore di permanenza nel grande appartamento sopra la caserma, Emma si era occupata di Mela e, nelle pause pranzo, aveva scoperto l'amicizia di Valeria. Della giovane forestale condivideva l'intraprendenza e l'energia e, sotto quella corazza, riconosceva quella punta di malinconia che le brutte esperienze lasciano in fondo agli occhi e che lei aveva conosciuto in Francesco. Si erano trovate fin da subito e Francesco era strafelice che la sua compagna potesse avere un'amica sincera con cui confidarsi e confrontarsi. Lui era il suo migliore amico, come lei era la sua migliore amica, quello era innegabile, ma così come lui aveva Vincenzo, era giusto che Emma avesse qualcuno per staccare la spina. Valeria, dal canto suo, era grata di poter avere qualcuno al suo fianco che fosse come una sorella, quella sorella che aveva perso e le aveva lasciato in pegno - lei, così giovane - una ragazzina adolescente in piena tempesta ormonale. Emma, guardando Valeria così attenta e affettuosa sia nei confronti della piccola Mela, sia nei confronti di Vincenzo, non si spiegava come i due non avessero una relazione. Era evidente che il sentimento tra i due ci fosse e fosse reciproco ma, per qualche strana ragione, entrambe avevano il freno a mano del cuore ben tirato. Lei ne sapeva qualcosa di freni a mano.
Mentre Emma tentava, per l'ennesima volta, di tirare fuori l'argomento Vincenzo con Valeria, il commissario richiamò l'attenzione della comitiva. "Ragazzi … devo, devo fare un annuncio" esordì, serio, completamente trasformato rispetto al compagno gioviale che li aveva intrattenuti durante la serata. Si piazzò al centro della stanza, di fronte al divano dove Valeria ed Emma erano sedute e i due amici li raggiunsero. Nel frattempo, anche Isabella era tornata a casa. "E' morto qualcuno?" chiese, interdetta dai musi lunghi e dal silenzio che l'accolsero.
"Ehm, nei giorni scorsi ho cercato un modo per darvi questa notizia, non è facile nemmeno per me, credetemi, e quando vi ho invitati in realtà non era mia intenzione farlo, ma vedervi qui mi ha fatto pensare che devo condividere il peso di questa cosa con qualcuno, perché come mi ha detto qualcuno gli amici si dicono se hanno la faccia sporca"
"Non è proprio così, coommissario…" "eh Huber quante storie pe nu proverbie"
"Insomma che c'è Vincenzo?" domandò Francesco, seduto sul bracciolo della poltrona e poggiando una mano sulla spalla della moglie, ancora concentrato sul preambolo dell'amico.
"Senza troppi giri di parole … dobbiamo lasciare la caserma, la Polizia deve lasciare la caserma….il nuovo commissariato è pronto, o quasi"
"Come?" "Cosa?" furono le reazioni in coro di tutti i presenti. Un borbottio indefinito iniziò a sovrastare Vincenzo, che non sapeva da dove cominciare per dare spiegazioni.
Negli anni l'edificio che ospitava il vecchio commissariato era andato incontro ad ogni sorta di peripezia: dal rifacimento del tetto, alle tubature, dal riscaldamento fino all'isolamento termico. Infine, si era deciso di costruire una struttura nuova di zecca, al ridosso del centro. Passa oggi che passa domani, le sorti del commissariato erano diventate una delle più classiche storie di lungaggini burocratiche italiane, nonostante fossero in Alto Adige, e la Polizia aveva finito per rimanere ospite della Forestale nella caserma sul lago per ben 10 anni. Alla fine questa coabitazione stava bene a tutti ed erano diventati la grande famiglia che ora era riunita a discutere del futuro addio.
"Mi ha scritto l'Ufficio Tecnico-Logistico della Questura. I lavori sono terminati. A breve dovrebbero dare l'agibilità e allora organizzeremo il trasferimento. Per fine primavera dovremmo essere del tutto operativi nel nuovo edificio. Ah naturalmente …" aggiunse "questo significa che io e Mela lasceremo la foresteria...è ora di trovare una casa tutta nostra…un appartamento in centro andrà benissimo".
A seguito della separazione con Eva, i due avevano convenuto di mettere in vendita il vecchio B&B che avevano convertito in residenza privata, destinata alla loro famiglia. Con Eva sempre di passaggio e Vincenzo che faceva quasi residenza nel suo ufficio, lo chalet era diventato troppo grande e complicato da gestire per un uomo solo con una bambina piccola. Francesco gli aveva offerto ospitalità nella foresteria a tempo indeterminato, sapendo anche quanto fosse benefica per l'amico e la piccolina la presenza di Valeria - come anche quella di Emma - nella vita quotidiana.
"Eh no commissario!" protestò Huber e la rabbia faceva fluire le sue parole speditamente "non mi può fare questo!"
"Che ti sto facendo, Huber?"
"Sta distruggendo tutto … la nostra compagnia! Lascia che finisca tutto così …?"
"Ma così come Huber? Noi siamo la polizia, loro sono la forestale" spiegò, indicando prima sé stesso, poi Francesco "siamo due cose distinte, mettitelo bene in testa una buona volta".
"Possiamo fare qualche scherzetto alla nuova sede" propose il poliziotto dai capelli rossi "mio cugino Sepp è uno schützen, sono esperti con la dinamite quelli lì"
"Ti taglio le mani e ti sbatto in galera" lo minacciò Vincenzo "quello che hai appena detto si chiama terrorismo e per quieto vivere farò finta di non avere sentito. Sei un poliziotto Huber, no na criature… cresci e accetta le decisioni dei superiori"
"E la bambina?" domandò Valeria, ponendosi di fronte a Vincenzo.
Valeria, allarmata, stringeva ancora la piccola Mela tra le braccia, mentre giocava con il suo orsacchiotto musicale. Non era la sua mamma, lo sapeva bene, se lo ripeteva ogni santo giorno, non poteva reclamare alcun diritto su di lei, ma il solo pensiero di non vederla gironzolare per l'appartamento con il suo girello tutti i giorni le metteva in cuore un forte senso di vuoto. L'aveva conosciuta che aveva solo 4 giorni, Vincenzo l'aveva portata a casa da solo e lei, assolutamente per caso e quasi contro voglia, aveva finito col fare da balia a padre e figlia. I giorni, le settimane, i mesi passavano e poteva sempre meno fare a meno di loro.
"La iscriverò al nido…è abbastanza grandicella e le farà bene stare insieme ad altri bambini".
"Ma tutto il giorno con delle persone estranee, in un ambiente non familiare … e poi la sera la chiudi dentro quattro mura, senza la sua passeggiata al lago…"
"Valeria non ti ci mettere pure tu…così non mi aiuti per niente"    
"Ma sì zia" intervenne Isabella, con la faciloneria e la positività dei suoi 16 anni "in fondo che sarà mai. State tutti facendo un dramma per nulla … va a stare in centro a San Candido, mica torna a Napoli".
"Isabella perché parli di cose che non capisci?" la rimproverò la zia. No, la ragazza in realtà capiva benissimo che la zia aveva una cotta per il commissario - e viceversa - ma non riuscivano a mettersi d'accordo una buona volta e far decollare una relazione. Le cose sarebbero state più facili per tutti.
Ed invece quel momento sembrò l'ideale per tirare fuori sassolini dalle scarpe e recriminazioni, rinfacciarsi favori e ipocrisie di vario genere.
"Dopo tutto quello che ho fatto per voi…"
"Ma chi ti ha cercato niente?"
"La Pooolizia seenza la forestale è come una mucca senza stalla, io da qui noon mi muovo"
"E arruolati una buona volta e non mi ti far sentire più!!!"    
Emma e Francesco erano esterrefatti. Da che la serata doveva essere un dribblare i sospetti sul lieto evento, si era trasformata nel peggiore dei teatrini di commedia popolare, dove tutti parlano l'uno sopra l'altro, finendo per alzare il volume e dirsi cose di cui tra 10 minuti, smaltita la rabbia, si sarebbero di sicuro pentiti. Francesco capiva le reazioni spropositate; era a San Candido da relativamente poco, ma aveva percepito fin da subito l'atmosfera che si respirava: erano tutti uniti, come un clan, una famiglia che, pur non passando insieme del tempo al di fuori del lavoro, riusciva a condividere tutto quello che succedeva, il bello e il cattivo. Lui, così restio alla convivialità, aveva fatto fatica a stare al passo di un gruppo tanto consolidato, ma loro, pur con tutti i suoi difetti, lo avevano accettato nella banda e fatto sentire benvenuto. Adesso lui, figlio unico e ormai senza genitori, li considerava appieno la sua famiglia. Sapere che quest'unione si sarebbe spezzata faceva male ma, come in tutte le cose, bisogna trovare il lato positivo e andare avanti. Glielo aveva insegnato Emma. In un certo senso, per loro, era come se fosse arrivato il momento di diventare grandi.
Emma dal canto suo sentiva di stare per scoppiare. Non era solo per via degli schiamazzi ad alto volume che ancora non riusciva a tollerare e le rimbombavano nella testa, ma da almeno un paio di settimane era ostaggio di violenti sbalzi d'umore, dettaglio che l'aveva già tradita con Francesco: un momento era tranquilla, serena, determinata, quello dopo era sull'orlo di una crisi di nervi e le lacrime scendevano senza che ci fosse necessariamente una ragione. Era così che si sentiva in quel momento: impotente, fragile e terribilmente triste; non sopportava di vedere gli amici litigare e la rattristava sapere che, presto, tutte le loro vite sarebbero in qualche modo cambiate. Il vecchio maso in riva al lago non sarebbe stato più il loro centro di gravità, dove riunirsi, confrontarsi, darsi annunci, fare feste. Dalle scale che conducevano alla foresteria la domenica mattina non si sarebbe più sparso l'odore del ragù alla napoletana, né i gridolini di Mela all'ora del bagnetto. Certo, la vita andava avanti e ci sarebbero stati nuovi modi per stare insieme, nuovi riti e nuove amicizie, ma lasciare andare qualcosa di così bello la rendeva comunque malinconica.    
"Sono incinta!" sentì sé stessa dire, come se le sue corde vocali avessero dichiarato indipendenza dal suo sistema nervoso e avessero agito di propria iniziativa. Ma l'unica persona che sembrò prestarle attenzione fu Francesco, anche perché era l'unico che, come lei, non era entrato nel merito della discussione sul trasferimento della Polizia in una nuova stazione. Il marito le si inginocchiò di fronte.
"Sei sicura?" Lei annuì, voleva solo che la smettessero di farsi del male inutilmente.
"Sono incinta!" ripeté, a voce più alta. I litiganti si azzittirono, di colpo, voltandosi verso la fonte di quella notizia.    
"Cosa hai detto?" chiese Valeria, sbigottita. Spesso, mentre insieme si occupavano di Mela, Emma aveva esternato la voglia di avere un bambino tutto suo, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe successo così presto.    
"Aspetto un bambino" annunciò, aprendosi in un sorriso. "Aspettiamo … un bambino" precisò suo marito, orgoglioso, prendendole la mano e baciandone il dorso. Valeria, stupita, portò le mani sulla bocca, ma dagli occhi spalancati si poteva intuire la felicità per la sorpresa che aveva ricevuto.
Corse ad abbracciare i suoi amici, in preda alla commozione; Francesco, preso in contropiede, disperatamente tentava di ricordarle di andarci piano con Emma.
"Quando avevate intenzione di dircelo, stupidi?!" domandò, la voce chiaramente rotta, una volta liberati gli amici dalla sua stretta, ridendo e asciugando le lacrime che erano scese per l'emozione.
"Volevamo aspettare ancora un po', è ancora presto" spiegò Emma "ma voi avete iniziato a litigare e io volevo solo che la smetteste. Era una così bella serata, non poteva finire male"
"Colpa mia" ammise Vincenzo, andando ad abbracciare l'amico. Lo strinse forte, lasciando un paio di pacche energiche sulla sua schiena. Era veramente felice per loro due, conosceva le loro pene, le loro difficoltà e quanto bene avrebbe portato un bambino nelle loro vite. "Hai preso il brutto", sussurrò a Francesco, memore di quello che gli aveva detto in una delle tante serate in cui Vincenzo si presentava in palafitta con due birre e si raccontavano i propri guai tra un sorso e l'altro "ora goditi il bello".
"Ero sicuro che avremmo dovuto aspettare poco per questa bella notizia" proseguì "ma voi avete fatto a'mbresse a'mbresse. Auguri, bella mamma". Vincenzo abbracciò Emma come fosse sua sorella, donna sì ma sempre bambina ai suoi occhi, da proteggere a tutti i costi. Emma ricambiò il suo abbraccio, riconoscente di quanto, nel tempo, Vincenzo era stato vicino a lei e al suo uomo: quando tra di loro volavano cattive parole e sguardi ostili, quando i silenzi erano più assordanti di una litigata e la distanza faceva venire loro le vertigini, quando la speranza era diventata una fiammella sul punto di spegnersi e quando la felicità stentava a farli rimanere con i piedi per terra.
I malumori cessarono, Huber non riuscì a contenere le lacrime e Isabella, prendendo Mela dalle braccia della zia, iniziò a ballare con la piccola per festeggiare l'arrivo di questa specie di cuginetto. Nessuno più pensò alla fine di quella comitiva sgangherata, perché - e in questo Isabella si era dimostrata molto più matura degli adulti con cui viveva - la casa è nelle persone che ami, non nelle mura in cui vivi.  


 


Angolo dell'autrice
 
Salve lettrici/lettori! Non so come chiamarvi perché a parte un paio non ho il piacere di conoscere nessuna/o di voi. Mi piacerebbe che vi faceste sentire, anche un "ciao!", un "lascia perdere" o un "brava" sarebbero graditi, senza grandi discorsi o analisi. Per è veramente importante sapere che c'è qualcuno che non entra nella pagina per caso/sbaglio e cambia storia.
Ad ogni modo aspetterò paziente il primo commento, nella speranza che qualcuno si decida a rompere il ghiaccio a questo giro.
I nostri eroi come vedete sono ad un punto di svolta nelle loro vite, qualcosa, per motivi diversi sta per cambiare per ognuno di loro.
Chissà come andrà a finire, lo scopriremo solo andando avanti con i prossimi capitoli!
A presto,


Federica
   
 
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