Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: Yuphie_96    01/06/2020    2 recensioni
~ Seguito di 'Il Portiere ha Fatto Goal', che a sua volta è il seguito di 'Non Senti la Mancanza?' ~
In questa storia vediamo le vicende della famiglia Wakabayashi/Ozora.
Tsubasa e Genzo riusciranno a stare dietro al frutto del loro amore o sarà più facile, per loro, giocare una partita di calcio?
Essere genitori non è semplice, ma non lo è neanche essere l'erede di due calciatori famosi!
Riusciranno, tutti e tre, a sopravvivere a quella partita piena di sorprese che è la vita?
Genere: Comico, Omegaverse, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Angolino della Robh: Buonaseraaaaaaaaaaaa! ~♥ 
Buon inizio settimana a tutti!~♥ Com'è iniziata la vostra? La mia davvero bene! *-* ... non tanto per il mio sederotto *ha mangiato il Mc*, ma dettagli! u.u'''
Parliamo della storia e lasciamo perdere la mia dieta và u.u'''.
Dunque! In questo capitolo abbiamo l'ultimo salto temporale per quanto riguarda Hime, da questo e per i restanti capitoli, la piccola Wakabayashi avrà ben diciotto anni (*piange commossa per la sua piccina diventata donna con Serè che le patta la testa*), e da adesso... eh, ci sarà da divertirsi, non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni per vedere come ci rimanete per quello che succede a fine capitolo xD.
Ma parliamo anche di quello che succede prima, purtroppo non ho ancora recuperato il manga quindi non so con esattezza perchè e come sia successo quello che ho scritto, soprattutto non ho capito se è quello che si vede anche nella serie Forever in uno degli ultimi episodi, in un commento un tizio diceva di sì... spero che sia come diceva lui ò.ò.
Nel caso abbiate pietà di me e vi regalo montaggi sexy di Genzo fatti dalle manine sante di Serè (?) ♥.
Vi auguro come sempre una buona lettura ~♥.


Ps: laurakovac (♥) voglio vedere se riesci a farti spoiler da sola anche stavolta xD.


In casa Ozora regnava il silenzio.
Non un rumore, non una parola esclamata ad alta voce, niente.
Non si sentiva volare nemmeno una mosca.
I vicini si chiesero se per caso Tsubasa e Hime non si fossero sentiti male e avessero bisogno d’aiuto, era strano che proprio quella sera ci fosse così silenzio.
Quella sera giocava l’Amburgo.
E tutti, ormai, sapevano che quando giocava la squadra tedesca, madre e figlia si lasciavano andare con il tifo, facendo un sacco di casino – per scusarsi, la mattina dopo andavano sempre porta per porta -, per il loro portiere.
Quella sera non fu così.
Quella sera l’omega e l’alpha guardarono gli ultimi minuti della partita nel silenzio più totale, gli occhi di entrambi, sgranati, osservarono l’azione che compì il loro portiere per riuscire a portare a casa la vittoria contro la squadra bavarese.
La partita finì, ma vinse il Bayern Monaco.
I due si lanciarono un’occhiata e poi scattarono via dal divano, Tsubasa corse in camera a prendere il cellulare – lo lasciava sempre lì quando vedeva una partita in tv, per non essere disturbato da nessuno -, appena lo ebbe in mano digitò il numero che sapeva a memoria ormai da anni, se lo portò all’orecchio e si mise in attesta, ritornando in sala dove trovò Hime inginocchiata davanti alla tv, che cambiava velocemente i canali per trovare quello che premeva di più a loro.
La ragazza si fermò quando vide un volto noto e il centrocampista si mise ad osservare con lei, rimanendo in piedi, il cellulare ancora in chiamata.
In tv stava venendo intervistato l’allenatore dell’Amburgo, ci furono domande di cui anche loro volevano sapere la risposta… ma l’uomo non ne diede.
Dopo di lui, toccò a Rudi Schneider.
Hime, allora, tornò a cambiare canale… ma niente.
Nessuna intervista con Genzo Wakabayashi per quello che era successo in partita.
Il portiere non rispondeva nemmeno al cellulare.
“Mamma…”
Mormorò l’alpha girandosi verso il calciatore, gli occhi verde smeraldo pieni di preoccupazione e paura per il padre.
Tsubasa cercò di sorriderle.
“Non è successo niente, tranquilla, conosco tuo padre, vorrà solamente stare un po’ da solo per pensare, vedrai che ci contatterà lui quando sarà pronto”
“Lo credi davvero?”
“Certamente, per chi mi hai preso?”
Le domandò, scompigliandole leggermente i lunghi capelli neri.
“…Mamma?”
“Sì?”
“Tu credi che abbia fatto bene?”
Il centrocampista fermò la mano sui capelli della figlia, glieli accarezzò con dolcezza mentre il sorriso sul volto tentennava.
“Purtroppo non conta quello che credo io, Hime”

Andarono nelle loro stanze, ma nessuno dei due riuscì a dormire.
Verso le tre di notte, la ragazza andò nella stanza della madre e parlò un po’ con lui.
Quando Hime tornò nella sua stanza, si attaccò immediatamente al pc, mentre Tsubasa faceva lo stesso con il cellulare.

Wakabayashi vide la stanza illuminarsi pian piano, segno che un nuovo giorno era iniziato e lui aveva appena passato la notte in bianco.
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi.
Aveva la testa piena di pensieri, pensieri su cui aveva rimuginato tutta la notte e a cui non era riuscito a dare un inizio e una fine, aveva un solo punto fermo da cui non si era mai smosso: lui non aveva sbagliato, ne era sicuro, aveva fatto la cosa giusta per la sua squadra.
Ed era finita in quel modo.
Sospirò nuovamente.
Adesso cosa doveva fare?
Il mister non gli avrebbe perdonato una cosa del genere.
Magari accendere il cellulare sarebbe stato un buon inizio, però… lo aveva spento non appena aveva lasciato lo stadio, ignorando Kaltz, i compagni, Schneider, i giornalisti, tutti quanti, non voleva parlare con nessuno, voleva stare solo con se stesso, ma quando vide tutte le chiamate perse da parte di Tsubasa, si sentì in colpa.
Il suo omega aveva sicuramente visto la partita insieme alla loro principessa, dovevano essersi preoccupati molto per lui, il pensiero della sua famiglia in pena riuscì a fargli mettere da parte tutti gli altri che ancora gli giravano in testa, doveva rassicurarli, senza perdere altro tempo chiamò Ozora, che gli rispose subito, dopo il secondo squillo.
“Genzo!”
La voce di Tsubasa riuscì ad alleggerirgli di poco il cuore.
“Ehi…”
“Stai bene?! Dove sei?!”
“Sono a casa e… no, non sto molto bene Tsu”
Mormorò, passandosi nuovamente la mano sugli occhi.
“Parlami”
Bisbigliò il centrocampista, dicendogli la stessa parola che gli aveva detto lui la sera dopo la finale dei mondiali, con gli stessi significati – ‘sono qui, sono vicino a te, sfogati con me, condividi il peso che senti, insieme possiamo risolvere tutto’ -.
“Ho fatto la cosa giusta… vero?”
Genzo era sicuro di averlo fatto, ma sentire Tsubasa confermarglielo gli alleggerì di nuovo il petto.
“Allora perché il mister mi ha urlato contro? Perché voleva accontentarsi di un semplice pareggio quando potevamo vincere?! Io non lo capisco!”
“Non glielo hai chiesto?”
“No… me ne sono andato subito dopo la fine della partita”
“Hai intenzione di chiederglielo?”
“Non credo, io non… non…”
“Ehi, respira”
Mormorò il centrocampista, con tono calmo.
“Non so se resterò all’Amburgo”
Confessò infine, l’alpha, portandosi il braccio libero sugli occhi.
“Sia che deciderai di restare, sia che deciderai di cambiare squadra, ti appoggerò sempre”
Gli disse Tsubasa, serio, facendolo sorridere leggermente.
“Tsu…”
“Dimmi”
“Ti vorrei qui, accanto a me”
Aveva bisogno di abbracciare il suo corpo caldo.
“Gen…”
“Lo so, lo so… stasera devi partire per la trasferta contro il Valencia di domani”
“Perdonami…”
Adesso che Wakabayashi sentiva il bisogno di avere Ozora vicino, il calcio si metteva nuovamente in mezzo, si erano incontrati da bambini, grazie al calcio, il calcio che era il sogno più grande di entrambi, ma era – paradossalmente – anche la cosa che li faceva stare lontani l’uno dall’altro.
Che strano scherzo del destino.
Prima che potesse tranquillizzare Tsubasa – non aveva fatto niente di male, semplicemente non poteva mancare a quella partita importante -, quello riprese a parlare.
“… ma non ti lascerò solo, tranquillo, ho già pronta la cavalleria!”
“La cavalleria?”
“Già, ormai dovrebbe essere arrivata”
Come predetto dall’omega, l’alpha sentì la porta di casa aprirsi.
Il portiere si tolse il braccio dagli occhi e si mise a sedere, confuso, tenendo sempre il cellulare all’orecchio.
Si vide arrivare contro un cuscino.
Se lo tolse dalla faccia, scioccato, ma fu presto sostituito da un altro.
E un altro.
E un altro ancora.
Quando finalmente i cuscini finirono – mannaggia a lui che ne aveva comprati tanti per il divano -, Genzo si ritrovò davanti la sua principessa, arrossata, con il fiatone e i capelli tutti scompigliati.
“Hi-“
“Se la prossima volta non accendi prima il cellulare, giuro sul tuo cavolo di cappellino, che ti prendo a calci da qui fino a Barcellona!”
Urlò la ragazza, gli occhi verdi smeraldo resi ancora più scuri dalle lacrime che finalmente iniziarono a scorrere libere sulle guance.
Si gettò addosso a lui, abbracciandolo stretto e nascondendo il viso nel suo collo.
“Non farci più preoccupare così papà, per favore!”
“Perdonami… perdonatemi”
Bisbigliò Wakabayashi.
Tsubasa chiuse la chiamata, promettendogli che li avrebbe raggiunti appena avrebbe potuto, e Genzo lasciò andare il telefono sul letto per poter ricambiare l’abbraccio della figlia.
La strinse forte, le accarezzò la schiena e inspirò forte il suo profumo.
Il calcio  non sarebbe mai riuscito a tenere lontana anche lei, la sua piccola principessa… per fortuna.

“Allora… cos’è successo, esattamente, ieri sera?”
Domandò Hime, stringendo tra le mani la sua tazza di thè caldo.
Cullata dalle braccia rassicuranti del padre, la ragazza – la mattina – aveva finito con l’addormentarsi e recuperare così la nottataccia passata in bianco in preda alla preoccupazione, Genzo l’aveva lasciata dormire ed era andato a pensare nell’altra stanza, finendo per essere travolto da quei pensieri che non gli lasciavano tregua – aveva quasi rischiato di bruciare il pranzo, per fortuna Hime si era svegliata a causa del trambusto e aveva preso il suo posto ai fornelli -.
Avevano pranzato in rigoroso silenzio, ma adesso era arrivato il momento di parlare, almeno così la pensava l’alpha più piccola.
“Niente che possa o che debba riguardarti”
Gli disse Genzo, duro anche se non era sua vera intenzione esserlo.
Non poteva coinvolgerla in quella storia, non lei che non c’entrava niente in tutto quello.
“Se riguarda te allora riguarda anche me!”
Protestò la ragazza, facendo sospirare il padre.
“Hime, ti ringrazio per volermi aiutare ma-“
“Prova a dire che sono ancora una bambina e recupero i cuscini del divano”
Lo minacciò la figlia, assottigliando lo sguardo verde.
“Non era quella la mia intenzione”
Sorrise, nonostante tutto, il portiere e la guardò con dolcezza.
“Anche se per me e tua madre rimarrai sempre una bambina”
“Ho diciotto anni!”
“Da solo un mese”
Specificò il padre, ghignando nel vederla gonfiare le guance offesa.
“… Sono seria però… se riguarda te allora riguarda anche me”
Mormorò Hime, seria, dopo qualche istante di silenzio.
“Non sono la mamma e capisco che vorresti parlare con lui delle questione con le vostre squadre ma… non potete tenermi fuori da queste questioni per sempre papà, se una cosa ti preoccupa puoi parlarmene, sono abbastanza grande ormai”
“Hime…”
“Provaci, almeno questa volta… me lo devi dopo la nottataccia che mi hai fatto passare!”
“Passiamo ai ricatti, adesso?”
Chiese, ironicamente, Genzo ma la figlia rimase seria e lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri.
La sua principessa non avrebbe mollato la presa, non quella volta e lui non aveva abbastanza forza mentale per tentare di continuare a sviare l’argomento.
“Ci sono state delle incomprensioni…”
Mormorò.
“Gravi abbastanza da non poterle risolvere?”
Domandò la ragazza, rafforzando la presa sulla tazza che ancora aveva tra le mani.
“Potrebbe essere”
“Stai pensando di lasciare l’Amburgo?”
Genzo annuì solamente.
La Wakabayashi più piccola abbassò lo sguardo sul contenuto ambrato della sua tazza.
“Io… credo che tu debba fare quello che ti fa sentire meglio”
Gli disse con tono calmo ma serio, quello che spesso Tsubasa usava con lei.
“Se stare nell’Amburgo non ti fa più sentire bene, se davvero quelle incomprensioni sono così gravi da non poter essere risolte allora lascia la squadra… so che non è un discorso così semplice e so anche che sei profondamente legato a questa squadra perché è sempre stata la tua, fin da quando eri più piccolo, ma andando avanti correresti solo il rischio di rovinare i bei ricordi che hai e, soprattutto, inizieresti ad odiare il calcio a cui saresti costretto a giocare e tu questo non lo vuoi, ieri sera ne hai dato prova… il mio pensiero non è così importante, alla fine la decisione è solo tua, ma credo fortemente che in un’altra squadra staresti meglio... io e mamma vogliamo solo questo, che tu stia bene”
Nel dirlo, Hime rialzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi.
Il portiere lasciò che il suo verde chiaro si fondesse con il verde smeraldo della figlia per alcuni minuti, poi spezzò quel contatto e iniziò a bere il suo thè ormai freddo.
Non parlò per tutto il resto della giornata.

Da quando la sua principessa faceva discorsi così seri?
Da quando era diventata grande?
Erano queste le domande che Genzo non smetteva di farsi da quasi tutto il giorno - avevano addirittura preso il posto dei pensieri che l’avevano fatto impazzire la notte precedente -, e più la guardava, più continuava a chiederselo.
Era ancora la sua bambina, come gli aveva detto, era ancora quella piccola che aveva fatto incerta i primi passi verso di lui chiamandolo campione… eppure era diversa.
Era cambiata, Hime, era diventata un’adulta, se ne era reso conto solo dopo il suo discorso, gli aveva parlato da adulta ad adulto, dandogli la sua opinione ma lasciando a lui la decisione finale.
E lui, la decisione, l’aveva presa proprio grazie alle sue parole.
Pensò con un sorriso, osservandola mentre dormiva tranquilla nella sua stanza, abbracciata a un Mambo che ancora resisteva nonostante fosse ormai vecchiotto – si vantava tanto di essere grande, ma ancora si rifiutava di staccarsi dal suo peluche -.
Si staccò dallo stipite della porta, le si avvicinò e le accarezzò delicatamente i capelli, lasciandole un leggero bacio sulla fronte, le promise sottovoce che non avrebbe fatto preoccupare mai più né lei né Tsubasa e dopo si allontanò, lasciò la sua stanza e chiuse la porta dietro di sé.
Prese il cellulare solo dopo essersi seduto sul divano e scorse velocemente la rubrica, trovato il nome che cercava, avviò la chiamata.
“Si può sapere perché diavolo mi chiami a quest’ora di notte?”
Borbottò la voce che gli rispose.
Effettivamente era l’una del mattino, constatò Genzo guardando l’orologio, ma non poteva aspettare un minuto di più, non dopo il discorso della sua principessa e averci riflettuto bene, quindi rispose a quella domanda, con un’altra domanda.
“E’ ancora valida l’offerta per il Bayern Monaco, Schneider?”

 
“Vedo che siamo ancora in altro mare, qui dentro”
Ghignò Karl, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto, dando una veloce occhiata all’appartamento pieno di scatoloni.
“Sei venuto qui solo per far notare l’ovvio?”
Borbottò Genzo, facendo sbucare la testa da dietro una pila di questi.
“Anche, ma soprattutto per vedere se ti eri trasferito veramente”
“Credevi che ti stessi prendendo in giro, per caso?”
“Beh sai, dopo tutti gli anni che ho passato a cercare di convincerti, tu ti sei svegliato così all’improvviso, pensare che mi stessi prendendo in giro è stato il minimo”
“E invece, guarda un po’, ero serio”
Gli rinfacciò il portiere, prendendo uno scatolone dall’ingresso per poterlo portare in quella che sarebbe diventata la sala.
Ci erano voluti due mesi ma Wakabayashi si era finalmente trasferito a Monaco, e a partire dalla nuova stagione, avrebbe giocato fianco a fianco con il Kaiser proprio come quando erano adolescenti.
Con Genzo in porta e lui in attacco, il Monaco non avrebbe avuto più rivali, di questo Karl ne era sicuro.
“Hai intenzione di fare ancora la bella statuina o mi aiuti?”
Lo richiamò il giapponese, facendolo ghignare nuovamente.
“Chiedi aiuto a me e non alla tua dolce metà? Credevo che sarebbe venuto lui ad aiutarti”
“Tsubasa è impegnato con gli ultimi allenamenti, lo sai benissimo, appena avrà finito verrà”
“Allenamenti che, suppongo, starà facendo con un certo brasiliano di nostra conoscenza”
Insinuò il biondo, prendendo uno scatolone e seguendo l’amico che si girò a guardarlo davvero molto male.
“Piantala!”
Urlò quello, facendolo ridere, come si divertiva a prenderlo in giro sfruttando la sua gelosia verso il centrocampista e l’asso del Barcellona.
“Quando troverai anche tu la tua persona speciale, la finirai di prendermi in giro così e capirai la mia gelosia!”
“Non lo metto in dubbio, per questo non mi sono ancora legato”
E non lo farò mai, aggiunse nella sua testa, il tedesco.
Il legame era per qualcuno più romantico, che voleva mettere su famiglia, come Genzo e Tsubasa, non per qualcuno come lui, che si riteneva soddisfatto delle sue avventure – che fossero esse di una sola notte o qualcosa di più – e che stava bene anche da solo.
“Ma come, mi fai la ramanzina e cosa trovo qui? Delle valigie di una donna?”
Domandò Schneider, malizioso, poggiando lo scatolone vicino ad esse.
“E il tanto decantato legame?”
“Idiota, quelle sono le valigie di-“
“Sono tornata!”
Urlò una voce femminile, interrompendoli.
Pochi secondi dopo entrò nel loro campo visivo una ragazza con dei sacchetti in mano.
“Hime!”
Sorrise Genzo, ricambiato dalla figlia.
“Lei è Hime, te la ricordi Schneider? Quelle valigie sono sue, ha finito la scuola e ha deciso di trasferirsi da me, crede che il suo vecchio non riesca a cavarsela da solo in una nuova città”
“Non è che lo credo, lo so per certo, e mamma è dalla mia parte”
“Come poteva essere altrimenti”
La ragazza gli mostrò la lingua per qualche istante e dopo corse in cucina a sistemare la piccola spesa che aveva fatto.
“Più diventa grande e più mostra il lato impertinente di Tsubasa… mi stai ascoltando Schneider? Schneider?... Karl?”
Richiamò Genzo, ma il biondo era perso nei suoi pensieri.
No, non era vero.
Quella non poteva essere Hime Wakabayashi.
Davvero… no.
La Hime Wakabayashi che si ricordava lui era una mocciosa urlante e appiccicata a Ozora.
Invece quella… quella era una bambolina… una bambolina dai lunghi e lucenti capelli neri, gli occhi color verde smeraldo intenso, la bocca resa rossa dal leggero lucidalabbra che indossava e il corpo… aveva davvero osservato il petto e le gambe della figlia del suo migliore amico con un certo interesse?!
Che diavolo gli prendeva tutto d’un tratto?!
Pensò scrollando la testa.
“Ehi, tutto bene?”
Gli chiese il portiere, poggiandogli una mano sulla spalla, preoccupato.
Non sarebbe stato così preoccupato se avesse saputo gli apprezzamenti che aveva fatto su Hime… ma non sarebbe stato certo il Kaiser a rivelargli di averli fatti.
“S-Sì, ho avuto solo un giramento”
Mormorò come spiegazione.
“Vuoi sederti qualche minuto? Vieni, in cucina ci sono già le sedie, così bevi anche un bicchiere d’acqua”
Karl si lasciò trascinare dall’amico e quando giunsero in prossimità del locale, un buonissimo odore gli arrivò al naso.
Doveva essere l’odore di Hime.
Frutti di bosco, pensò leccandosi leggermente le labbra.
Non li aveva mai trovati così irresistibili come in quel momento.

 

*
So che non è così semplice il discorso come invece lo fa Hime, ma, appunto perchè non so effettivamente che succede nel manga nella famosa partita Bayern - Amburgo, ho deciso di tenermi su toni vaghi e farla concentrare su come si sentisse Genzo, prendetela con le pinze nel caso ^^'''.


   
 
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