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Autore: beanazgul    13/05/2005    3 recensioni
di PlasticChevy traduzione di: beanazgul aka Adûnaphel Nota: Questa è la traduzione della storia originale in inglese “The Captain and the King”, scritta da PlasticChevy, un’autrice di fanfiction dotata di grande talento. E' ispirata al mondo del Signore degli Anelli, ma si tratta di un’ AU, cioè una versione alternativa del testo di Tolkien, i cui eventi prendono una strada diversa ad Amon Hen....se vi è sempre dispiaciuto vedere Boromir morire alla fine del primo libro/film, allora questa storia fa per voi! Se avrete la pazienza di avventurarvi in questa miriade di capitoli vi assicuro che non ve ne pentirete: vi lascerà senza fiato! PlasticChevy mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla e io ho cercato di fare del mio meglio per rendere giustizia alla sua bravura, anche se è un lavoro molto impegnativo perché la storia è molto complessa e mi rendo conto che una traduzione non è mai all’altezza dell’originale! Disclaimer: Il Signore degli Anelli e tutti i suoi personaggi sono proprietà di J.R.R. Tolkien e dei suoi eredi. Li sto utilizzando solo per divertimento, non per vendita o profitto.
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Aragorn, Boromir, Merry, Saruman
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il Capitano e il Re

Il Capitano e il Re

Capitolo 13: Dal dubbio e dalle tenebre

Faramir trascorse gran parte della mattinata a meditare sulle parole di Merry, così amare per lui, e lentamente cominciò a comprendere la loro verità. Il Mezzuomo aveva ragione. Non avrebbe trovato le risposte che cercava stando a guardare suo fratello da lontano e ascoltando i pettegolezzi dei servitori - o persino dei suoi stessi consanguinei. Doveva parlare di persona con Boromir, e scoprire che cosa gli era veramente accaduto durante tutti quei mesi che aveva trascorso lontano da Minas Tirith. Solo allora, forse, avrebbe imparato a conoscere di nuovo suo fratello.

Era doloroso, per Faramir, ammettere che non conosceva più Boromir. Il Mezzuomo, una conoscenza fatta casualmente lungo la strada, vedeva molto più chiaramente di lui nel cuore di suo fratello, e questo lo addolorava profondamente. Più pensava all’enormità della sua perdita, più profondo diventava il suo rimpianto per Boromir, il suo dolore, e il suo desiderio di ritrovarlo.

Fu quel desiderio, più che un senso di dovere o di giustizia, a condurlo finalmente fuori dalle Case a cercare Boromir. Con sua sorpresa, scoprì che suo fratello aveva lasciato quella zona e, rifiutandosi di prendere con sé una scorta, se ne era andato insieme al Mezzuomo. I due soldati di guardia al cancello gli dissero che il loro capitano aveva ordinato loro di restare lì, affermando che sarebbe soltanto andato alla Cittadella e non avrebbe avuto bisogno di scorta.

A quella notizia Faramir corrugò la fronte, preoccupato nel sapere Boromir in giro per la città senza la sua guardia personale, ma non poteva dare la colpa alle sentinelle per avere obbedito agli ordini, né insistere affinché pedinassero il loro Sovrintendente contro la sua volontà. In realtà, se Boromir era andato alla Cittadella, era abbastanza al sicuro. Con un misto di irritazione e di curiosità, Faramir si diresse verso il Settimo Circolo.

I soldati della Guardia della Torre, splendenti nelle loro livree nere e argento, lo salutarono quando oltrepassò il cancello. Faramir avanzò nel Cortile della Fontana e esitò. Era vuoto, ma dalle alte finestre decorate della sala del Consiglio in fondo alla corte, provenivano delle voci. Una apparteneva al lord Taleris, l’alto consigliere di suo padre. L’altra aveva il tono secco e formale di un soldato che si rivolge ai suoi superiori. Poi una terza voce, infinitamente familiare, li interruppe,

“Basta così! E’ fuggito. È chiaro.”

Faramir si diresse immediatamente alle grandi porte della Torre. Gli spessi muri di pietra attutivano le voci, e non sentì le parole seguenti del fratello, ma Boromir stava ancora parlando quando Faramir entrò nella sala del Consiglio.

“C’è un solo posto dove un soldato si può nascondere tanto a lungo. Se è riuscito a lasciare la città prima dell’alba, allora significa che se ne è andato insieme all’esercito.”

“Dobbiamo avvertire il Re”, insistette Taleris.

“Sì.” Boromir chinò la testa pensierosamente, mentre gli altri attendevano in silenzio la sua decisione.

Faramir si ritrasse nel corridoio, non volendo intromettersi negli affari del Sovrintendente senza essere stato invitato, e osservò i presenti con attenzione. La grande sala era buia e fredda, poiché nessuna torcia era stata accesa, e il sole del pomeriggio era ormai sceso oltre l’alta cima del Mindolluin, gettando in ombra le finestre. Boromir sedeva nel profondo incavo di una di quelle finestre, dominando la corte e la triste fontana che faceva scendere l’acqua dai rami dell’albero morto. Il Lord Taleris e i luogotenente della Guardia che aveva incontrato la notte precedente stavano in piedi accanto a Boromir, mentre il Mezzuomo sedeva in una delle sedie intagliate al tavolo del Consiglio, mangiando una mela e cercando di non apparire troppo interessato agli affari del suo signore. In quell’ambiente sembrava assurdamente piccolo, dondolando i piedi a una spanna dal pavimento, perso nella grandiosità della stanza e rimpicciolito dalla vicinanza con gli Uomini.

Faramir sorrise tra sé e sé nel vedere Merry, poi rivolse lo sguardo ai due uomini che attendevano la risposta del Sovrintedente. Taleris e il luogotenente si tenevano a debita distanza l’uno dall’altro, e non si scambiavano sguardi né parole, segno che il soldato e il nobile non si fidavano l’uno dell’altro. Il capo delle Guardie appoggiava Boromir incondizionatamente. Faramir aveva avuto modo di vedere di persona la sua lealtà. Il ché poteva significare soltanto che Taleris non era altrettanto sincero, e che non era stato abbastanza astuto da tenere per sé i suoi dubbi.

“Un messaggero a cavallo può raggiungere l’esercito prima che riparta domattina”, disse Boromir.

Taleris grugnì in segno di assenso, anche se non sembrava per nulla soddisfatto.

“A quest’ora avranno già oltrepassato Osgiliath e si staranno preparando per accamparsi. Preparerò un dispaccio per Aragorn, informandolo di una possibile cospirazione contro di lui tra le truppe del sud.”

“Sarei onorato di comporre la lettera, mio signore.”

“Lo farò io.”

Taleris si trattenne al tono brusco di Boromir, ma non osò protestare. Cambiando tattica, disse,

“Se i signori della città fossero stati avvertiti di questa minaccia, avremmo potuto consigliarci con il Re prima che partisse, forse anche ritardare la marcia fino a che il sicario non fosse stato catturato e punito.”

“Proprio per questo non ve l’ho detto”, sbottò Boromir. “Il compito del Re è andare a Mordor. Il mio è di restare a Minas Tirith. I nostri problemi non devono ritardarlo. Sono restio anche a distrarlo ora per dei semplici sospetti, quando sembra molto improbabile che il sicario sia una minaccia per lui.”

“Non possiamo saperlo!”

Faramir ritenne che fosse il momento opportuno per intervenire, prima che Taleris spingesse troppo oltre la capacità di sopportazione di Boromir. Facendosi avanti, incrociò lo sguardo dello hobbit e gli rivolse un cenno di saluto. Merry si alzò immediatamente in piedi, facendo il giro attorno al tavolo, e si avvicinò a lui con tutta la solenne cortesia di un abile scudiero. L’inchino del Mezzuomo era preciso ed esperto come tutto il resto del suo portamento, ma mentre si sollevò, un sorriso gli balenò sul viso.

Faramir non poté resistere al fascino di quella creatura, nonostante la sua impudenza, e gli sorrise di rimando. “Vedi, ho accolto il tuo suggerimento, mastro Perian,” lanciò uno sguardo penetrante verso Boromir e il petulante Taleris, “anche se avrei potuto scegliere un momento migliore”.

“Credo che il momento sia quello giusto. Devo annunciarti come farebbe un vero ciambellano?”

Lo sguardo luminoso di Faramir abbracciò la mela mezza mangiata e la sedia vuota. “É questo il tuo compito oggi?”

Merry scrollò le spalle. “Qualunque cosa di cui Boromir abbia bisogno. Fa’ presto, prima che sia troppo arrabbiato per ascoltare chiunque.”

Sorridendo, Faramir seguì il Mezzuomo lungo la fila di alte finestre. Al loro arrivo, Taleris interruppe le sue lamentele e tutti gli sguardo si rivolsero su di loro. Il sollievo apparve sul viso di Taleris quando riconobbe Faramir, ma il giovane lord lo sorpassò con niente di più che una fredda occhiata. Aveva un grande rispetto per le abilità e la sapienza di lord Taleris, ma il vecchio non gli era mai piaciuto, e non lo avrebbe incoraggiato a considerarlo come un alleato.

“Tuo fratello è qui, mio signore”, annunciò Merry, dimenticando la sua offerta di una presentazione formale.

Boromir rivolse il suo sguardo bendato al fratello, e si alzò prontamente in piedi. “Faramir? Pensavo che fossi ancora prigioniero dei guaritori.”

“Ho comprato la libertà con la promessa che sarei tornato.” I suoi occhi passarono in rassegna il luogotenente e il nobile, poi si posarono di nuovo sul fratello. “Non era questa la mia intenzione, ma sono lieto di essere arrivato ora e di avere sentito i tuoi timori per la sicurezza del Re. Ho delle notizie a questo riguardo.”

“Che notizie? Che cosa sai del sicario?”

Ora che era il momento, Faramir trovava difficile parlarne in presenza di altri. Erano fatti che toccavano la sua famiglia molto da vicino, e coinvolgevano un consanguineo. Dopo un istante di riflessione, decise che quel tradimento, se di tradimento si trattava, non poteva restare nascosto, e disse, “Non sul sicario, ma so qualcosa su chi potrebbe averlo istigato.”

Taleris si lasciò sfuggire un mormorio di sorpresa, e la mano del luogotenente si contrasse in modo inconscio sull’elsa della spada.

“È venuto da me qualcuno a noi vicino,” Faramir continuò, “E ha parlato di una… una cospirazione, perché non saprei in che altro modo chiamarla, per rimuovere il legittimo Sovrintendente e mettere me al suo posto.”

Stavolta la mano del luogotenente si strinse con decisione sull’elsa. “Il nome del traditore, Capitano!Dimmi il nome, così che possa mettergli le mani addosso!”

Boromir lo zittì con un gesto, e disse, “Chi è venuto da te?”

“Il principe Imrahil.”

Un silenzio incredulo seguì le sue parole, e Faramir poté percepire quasi fisicamente il disagio di Taleris. Solo Merry osò muoversi, scivolando tra gli alti uomini per mettersi a fianco di Boromir. Quando si fu avvicinato, la mano di Boromir si posò istintivamente sulla testa ricciuta dello hobbit.

Dopo un breve attimo in cui cercò ferocemente di riacquistare un’apparenza di calma, Boromir domandò, “E mentre il nostro consanguineo ti incoraggiava al tradimento, ha per caso parlato anche di omicidio?”

“No. Mi ha solo chiesto di usare la mia influenza su di te per convincere te e il lord Aragorn a farti rinunciare alla sovrintendenza.”

Boromir serrò le mascelle in modo quasi udibile, e Faramir immaginò la miriade di irate domande che si stavano formando nella sua mente, e tra tutte la più urgente: quale era stata la sua risposta. Ma la cautela e la disciplina ebbero la meglio sulla rabbia, e Boromir tenne a freno la lingua.

“L’hai chiamata una cospirazione”, azzardò Taleris. “Ha fatto altri nomi?”

Faramir esitò, cercando un compromesso tra la lealtà verso il fratello e il suo senso di giustizia. Non c’era modo di soddisfarli entrambi, ma Faramir sapeva quale era il suo dovere. Quando finalmente parlò, il suo tono era teso e riluttante. “Non metterò a rischio la vita di un altro uomo per dicerie e sospetti. Ho parlato con Imrahil e con lui soltanto.”

“Ma il principe ha menzionato i suoi sostenitori,” insistette Taleris.

“Avete già avuto la mia risposta, lord Taleris.”

Boromir parlò di nuovo. “Imrahil è andato con Aragorn a Mordor. E gli altri? Sono andati anche loro?”

“Io sono a conoscenza di uno solo, ed è andato anch’egli con il Re.”

“Il che ci riporta alla questione se rappresentino o meno una minaccia per Aragorn. Imrahil e i suoi alleati oserebbero fargli del male?”

“No.”

“Sembri molto sicuro.”

“Lo sono. Non sono certo che i sicari siano stati mandati da loro, ma sembra probabile, dato il momento e il tipo di menzogne che li spingevano. E se è così, i cospiratori faranno del loro meglio per proteggere il re. Vogliono solo toglierti la sovrintendenza, non minacciare il re. Aragorn è al sicuro.”

“Mio lord Sovrintendente, con tutto il dovuto rispetto, non sappiamo quali complotti o tradimenti possano minacciare il re, mentre è così fuori dalla portata del nostro aiuto!”, intervenne Taleris, col viso arrossato per la violenta emozione. “Dobbiamo mandargli ben più di un semplice messaggio. Io stesso raggiungerò l’esercito. Posso raggiungere Osgiliath tanto in fretta quanto qualunque altro messaggero, e fare un rapporto completo di quello che è accaduto al nostro signore!”

Boromir ignorò lo scoppio d’ira di Taleris. Fece un passo verso Faramir e tese una mano, dicendo semplicemente, “Voglio parlare in privato con mio fratello.”

Faramir si avvicinò obbediente alla mano aperta di Boromir, e trasalì, stupito, quando il fratello gli afferrò il braccio con forza. Boromir si incamminò e Faramir lo seguì, ma ben presto fu lui a guidarlo attraverso la grande stanza, verso la porta. Il nobile e il soldato li osservarono in un confuso silenzio, mentre lo hobbit riprendeva in silenzio il suo posto al tavolo.

Avevano quasi raggiunto la tranquillità dell’anticamera esterna, quando Taleris raccolse il suo coraggio e protestò, “Mio Signore!”

“Ho bisogno di un po’ d’aria fresca,” ribatté Boromir. Poi varcò la soglia, trovandosi nella fresca, silenziosa magnificenza dell’anticamera della fortezza.

“Andiamo fuori”, mormorò, con semplicità, e Faramir volse i passi verso la porta che dava sulla corte.

Mentre attraversavano l’anticamera e i loro passi echeggiavano nel soffitto a volta, Boromir cominciò a parlare in tono basso e urgente. “Taleris è un bastardo infido, e probabilmente è dentro fino al collo nella cospirazione di Imrahil, ma su una cosa ha ragione. Il mio Re… il mio amico, sta andando verso la guerra circondato da traditori e assassini, con l’Ombra davanti e il Nemico tutto attorno, e io non ho nient’altro che la tua parola ad assicurarmi che lui sia al sicuro. Solo l’amore e la fiducia che nutro per te, fratello, mi trattengono dal partire io stesso per avvertirlo.”

“L’altro è Halbarad.” Le parole uscirono dalla bocca di Faramir prima che si fosse reso conto di averle pronunciate.

Boromir si fermò improvvisamente e si voltò per fronteggiare il fratello, stringendogli il braccio con dita d’acciaio. “Halbarad? Il Ramingo?”

“Il secondo di Aragorn.”

Boromir non poté fare altro che restare a bocca aperta, senza parole.

“Ora capisci perché non ne ho parlato di fronte a Taleris e alla guardia. Non possiamo diffondere sospetti su uno così vicino al Re, senza averne la certezza assoluta. E mettere in dubbio Halbarad è come mettere in dubbio Aragorn stesso.”

“In un momento il cui tutta Gondor guarda a lui per la speranza. Certo. Questo deve saperlo solo Aragorn.”

“Capisci anche perché non temo per il re.”

Boromir annuì e si rivolse verso le porte. Faramir lo condusse, più prontamente questa volta.

“Halbarad non farebbe mai del male ad Aragorn, qualunque cosa voglia fare a me.”

Camminarono in un silenzio pensieroso attraverso le grandi porte e nella corte. Faramir lo condusse istintivamente verso la parte occidentale del circolo, dove la curva delle mura esterne incontrava le pendici del Mindolluin, e dove erano le porte della grande biblioteca di Minas Tirith. Lì nessuno li avrebbe disturbati. Le sentinelle erano dalla parte opposta della corte, e gli uomini nella sala del Consiglio non potevano sentirli.

L’edificio conferiva al luogo uno speciale fascino per Faramir. Molte ore vi aveva trascorso, appoggiato al parapetto di pietra, guardando a nord e a ovest, sognando le cose al di là dell’orizzonte. Quando era stanco del peso che portava e della vista della tormentata terra di Gondor, poteva volgere gli occhi verso l’interno, e ammirare i freschi, bianchi muri della biblioteca che amava, le porte intagliate al di sotto degli archi di roccia. Tutto questo gli dava forza, e una pace che non trovava in nessun altro luogo nella città di suo padre.

Era la città di suo fratello, ora. La città di Boromir. Appoggiandosi al parapetto e osservando il fratello, Faramir si domandò di nuovo che significato avessero per lui i numerosi cambiamenti che erano avvenuti, non ultimo il ritorno di Boromir.

Ma l’uomo che occupava così prepotentemente i suoi pensieri, in quel momento era perso nelle sue meditazioni. Boromir era in piedi con le mani appoggiate al muro, lo sguardo rivolto all’esterno e il capo leggermente sollevato per poter sentire la brezza sul viso. A Faramir sembrò stanco e triste, come se il suo incarico di Sovrintendente non gli desse alcuna gioia. Anche in questo, suo fratello era cambiato.

“Dunque Imrahil è un traditore.” Non c’era rabbia alcuna nella voce di Boromir, solo dolore.

Faramir rispose con la stessa calma. “Se ti può essere di conforto, non ha mai parlato di tradimenti o di omicidi, né di usare la violenza per ottenere i suoi fini. Mi ha chiesto solo di persuaderti a farti da parte. È nostro parente, Boromir, e ci è vicino nell’affetto come lo è nel sangue. Non posso credere che voglia farti del male.”

“Eppure complotta con traditori e cerca di trascinare mio fratello nelle sue cospirazioni.”

Boromir rivolse lo sguardo bendato verso Faramir, e il giovane ebbe la spiacevole sensazione di poter vedere oltre il tessuto nero e leggere il conflitto sul suo volto. “Ci è riuscito?”

Faramir si era aspettato questa domanda, ma non riuscì a dire una parola, col viso tormentato di Boromir davanti a lui. Boromir lo considerò per un momento, poi si voltò con un sospiro.

“Mi dispiace, fratello. Per entrambi.”

“Non sono un traditore, né verso Gondor né verso il suo legittimo Sovrintendente”, ribatté Faramir.

“Né lo è Imrahil, secondo la tua opinione. Dimmi, Faramir, qual è stata la tua risposta?”

“Gli ho solo promesso che avrei aspettato, osservato, e preso in considerazione le sue parole.”

Boromir sembrò raccogliere le forze per affrontare il dolore che lo travolgeva. Le sue spalle si irrigidirono e sollevò la testa orgogliosamente, ma sul suo viso era dipinta la sconfitta. “Ti conosco abbastanza bene da capire il senso della tua risposta.”

“Davvero?”

“Non deciderai finché non sarai sicuro, e tu non puoi fidarti di me.” Esitò, poi proseguì, “Non ti sei mai fidato di me, non è vero?”

Faramir non poté fare altro che restare a guardarlo, ammutolito per il dolore, preso alla sprovvista dall’improvvisa franchezza del fratello.

“Non ti biasimo,” continuò Boromir. “Conosci anche troppo bene la mia debolezza, la mia follia, la mia colpa…Tu solo, in mezzo a tutti quelli che vorrebbero condannarmi, sai quanto in basso sono caduto. Tu solo hai il diritto di giudicare.”

“Io non voglio giudicare mio fratello.”

“Non hai scelta. Non è nella tua natura ignorare la verità, o evitare il fardello che devi portare. Imrahil lo sapeva quando è venuto da te e ha piantato i semi del dubbio nella tua mente. Ha scelto saggiamente il suo giudice.”

“Ha scelto me perché, come lui, voglio solo proteggere il nostro Re e il nostro popolo.”

“Forse io non lo voglio?”

“Sono certo che tu lo voglia, fratello, ma non sono certo che tu ne sia in grado.”

Boromir si voltò per fronteggiare il fratello, spostandosi in modo da avere tutta la sua attenzione su Faramir. “Il mio mandato è sul piatto di una bilancia, si direbbe. Mio fratello è di fronte a me, pronto a farla pendere da un lato o dall’altro, offrendomi la Sovrintendenza se io…. Se io cosa? Che cosa devo fare per avere ciò che mi spetta di diritto?”

“No, Boromir. Non sono qui per dettare condizioni! E non ho la Sovrintendenza nelle mie mani!”

“Faramir il prudente. Sempre modesto e umile. Non sprecare la tua umiltà con me, fratello, sappiamo entrambi il potere che detieni. Dimmi solo ciò che devo fare.”

Faramir studiò i suoi lineamenti contratti per un lungo momento, cercando inutilmente di leggervi i suoi pensieri. “Vuoi sapere cosa desidero veramente?”, disse infine.

“Sì.”

“Sapere cosa ti è accaduto durante il viaggio di ritorno.”

La bocca di Boromir si contrasse in una smorfia di dolore. “Una storia così piena di orrore ti aiuterebbe a dormire la notte? O forse cerchi di placare la tua coscienza per quando mi condannerai di fronte al mio Re?”

“Voglio solo mettere fine ai miei dubbi, far tacere i sussurri che mi tormentano.”

La smorfia divenne ancora più dolorosa, e Boromir disse, “Anche io. Ma non certo ricordando il mio disonore e la mia rovina.”

“Ho paura, fratello”, insistette Faramir, desiderando che Boromir lo ascoltasse e lo capisse. “Non riesco a dormire, non riesco a pensare, per la paura che cresce ogni giorno dentro di me.”

“Paura di cosa?”

“Di perderti, come ho perso mio padre, nell’oscurità e nella disperazione.”

“Dunque è questo che temi? Che io finisca come Denethor?”

“Sì. Imrahil fa un gran parlare del bene di Gondor, ma io non mi spingo così lontano. Io non ho paura per Gondor. Ho paura per me, per te, e per il crudele destino che ti attende, se insieme all’orgoglio di Denethor hai ereditato anche la sua debolezza.”

Boromir sembrò osservarlo con attenzione attraverso le bende, poi chinò la testa. “Non sei il solo. Io stesso a volte mi sono chiesto quanto di Denethor sia in me, e ho accarezzato l’idea di porre fine alle mie angosce come ha fatto lui.”

Il dubbio in Faramir si congelò in orrore a queste parole, ma non disse nulla, lasciando che Boromir continuasse.

“Quanto io sia figlio di mio padre tu lo sai meglio di chiunque altro, ma c’è una grande differenza tra noi. E un grande errore nel tuo ragionamento. Io ho già visitato l’oscurità, ho già provato la disperazione che ha distrutto la vita di mio padre. Ho dormito in esse, ne ho vissuto, le ho sognate. Ho pianto per il loro peso, e ho pregato perché la morte mi liberasse. Non c’è più nulla sull’oscurità o la disperazione che tu o chiunque altro possiate insegnarmi, Faramir, poiché esse sono le mie costanti compagne.”

“Come lo erano per Denethor”, disse Faramir.

“No. Rifletti. Io ho avuto la possibilità di morire - molte possibilità - eppure sono vivo. Forse vivrò nelle tenebre, ma sono vivo, e l’oscurità non ha più potere su di me. Non capisci? Io ho fatto la mia scelta, come nostro padre ha fatto la sua. Io ho scelto di tornare a casa.”

Faramir sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma non tentò di trattenerle. “Sì, sei a casa. Ma a che prezzo?”

“C’è forse un prezzo troppo alto per stare di nuovo sulle mura di Minas Tirith e sentire la musica delle sue trombe nel vento?”

“Questo è il fratello che conosco!”

“Io sono sempre tuo fratello, Faramir, nonostante le cicatrici che porto. Credevo che i tuoi occhi, i più acuti di tutta Gondor, potessero vedere oltre queste bende, vedere l’uomo che sono veramente.”

“Non sono le bende che mi turbano.”

“No? Ti ho sentito trasalire, quando ti ho preso il braccio.”

Faramir si costrinse a guardare il fratello dritto in viso, nel suo sguardo celato, vedendo il dolore che consumava così atrocemente il suo portamento fiero. “Non è stato per la repulsione o il disprezzo, ma per la sorpresa. Forse per la pietà. Mi servirà un po’ di tempo per abituarmi alla tua cecità.”

“Anche a me.”

L’amaro tentativo di umorismo di Boromir fece salire nuove lacrime in gola a Faramir. Desiderava disperatamente trovare una qualche connessione con il fratello, un modo per bandire l’immagine di quello straniero bendato e segnato da cicatrici, e sentire nel suo cuore che l’uomo che stava davanti a lui era davvero Boromir.

“Sono felice che tu abbia deciso di ritornare da me, fratello”, disse, con voce più calma di quanto si sarebbe aspettato. “Vedo come governi la città in assenza del suo Re, e il mio cuore si gonfia di orgoglio. Penso a tutto quello che hai sofferto per tornare a casa, e soffro con te. Quando mi parli con la voce di Boromir, mi rimproveri con i suoi modi bruschi, rifiuti i miei consigli con la sua arroganza, esulto di averti di nuovo al mio fianco. Ma poi te ne vai, ritorni ai tuoi strani vagabondaggi, ai tuoi inadeguati amici, alle tue meditazioni solitarie - e mio fratello scompare. E resta un uomo che non riconosco.”

Un leggero sorriso increspò le labbra di Boromir. “La mia arroganza ti rassicura? Questo è uno strano scherzo del destino. Ora mi rimproveri per il troppo poco orgoglio, per le compagnie che frequento e i luoghi dove vado, mentre in passato hai così spesso accumulato rimproveri su rimproveri sulla mia testa per un eccesso di quello stesso orgoglio. Tu, che hai cercato di cambiarmi tante volte, ora ti ritrai da me perché ho fatto esattamente quello. Cambiare.”

“Boromir…” La sua stessa voce lo tradiva, ma Faramir non poteva sopportare in silenzio lo sfogo del fratello. Boromir non stava urlando, né era adirato. Parlava con lo stesso tono quieto e pensieroso che aveva usato per tutta la loro conversazione, ma le sue parole parevano bruciare l’aria tra di loro.

“O sono troppo orgoglioso o non lo sono abbastanza, o troppo cauto o troppo vulnerabile. Mi chiedi di parlarti dei momenti più bui della mia vita, eppure quando mi rivolgo a te per chiederti aiuto, ti ritrai dal mio tocco.”

“Mi dispiace!”

“Ho detto che non ti biasimo per i tuoi dubbi, ed è vero. Capisco che hai bisogno di tempo per abituarti a me, e non ti farò pressioni. Ma se dobbiamo stare fianco a fianco come fratelli dovrai imparare ad accettare l’uomo che sono diventato.”

“È tutto quello che chiedo!” gridò Faramir. “Io voglio conoscerti di nuovo. Voglio guardarti e vedere Boromir, non un estraneo con gli occhi bendati!”

“Non posso far scomparire le bende, nemmeno per te.”

“Ma puoi lasciare che io conosca l’uomo che le porta, come una volta conoscevo mio fratello.”

“E come?”

“Parlami di Orthanc.”

Il viso di Boromir si contrasse. Non si mosse, ma sembrò volersi ritrarre dal fratello. “Perché ti interessa tanto saperlo?”

“Quei momenti oscuri - i più bui della tua vita, li hai chiamati - sono sospesi tra di noi. Gettano un’ombra su di te che mi è penoso vedere. Per tutta la vita abbiamo combattuto insieme, come fratelli, inseparabili e invincibili, ma quando tu hai combattuto la tua battaglia più grande, io non ero accanto a te. Ora l’ombra è su di te, e io sono solo.”

“Non sei solo. Sono sempre Boromir, anche se porto cicatrici di battaglie che non abbiamo condiviso.”

“So che lo sei. Ma io sono solo e ho paura, e voglio che siamo vicini come eravamo un tempo, e la fiducia che avevamo l’uno nell’altro che mi ha sostenuto in così tante prove. Rivoglio mio fratello.”

“Come posso restituirtelo?”

“Fidandoti di me.”

“Vuoi dire mostrandoti le mie ferite.”

“Fidati di me, Boromir. Non tradirò la tua fiducia.”

Un lungo silenzio seguì le sue parole. Infine, Boromir sollevò lo sguardo verso Faramir e domandò, bruscamente, “Nostro padre ti ha detto cosa ha visto nel palantìr?”

“Solo una piccola parte. Mi… mi ha detto della tua cattura, della tua prigionia. Della tua tortura per mano di Saruman.”

“La pietra non ha mentito. Aragorn e io siamo stati portati dagli orchi di Saruman nei sotterranei di Orthanc, dove siamo stati torturati per il suo divertimento, e per i suoi scopi traditori. Voleva l’Anello.” Boromir rise senza allegria, con il viso contratto per la tensione.

“Credeva che Aragorn glielo avrebbe dato.”

Improvvisamente Boromir si distolse dallo sguardo severo e compassionevole del fratello, e posò di nuovo le mani sul parapetto. Reclinò la testa all’indietro per sentire la brezza. La sua voce si abbassò a un mormorio amareggiato. “Ricordo poco di quei giorni, a parte l’orrore della voce di Saruman e l’agonia nelle sue mani. Ma quel sotterraneo è inciso per sempre nella mia memoria.

È un luogo terribile, Faramir. L’aria è bollente, e così densa che sembra strisciare sulla pelle. Ogni cosa è di pietra e ferro, e il caldo è soffocante. E le torce bruciavano sempre. Sempre.” Boromir si sostenne con le mani sul muro, le dita che scavavano nella roccia spietata, e chinò il capo. “Non le sopporto.”

“Le torce?”

“E i muri di pietra, e i suono di passi che si avvicinano… gli stivali degli orchi fanno un rumore particolare sui pavimenti di pietra. Saruman cammina silenziosamente, ma non si muove mai senza i suoi orchi, riesco ancora a sentirli mentre scendono lungo il corridoio…”

Faramir rabbrividì, come toccato da un improvviso gelo. Per un momento gli parve di udire il rumore di passi degli orchi in lontananza, e allora capì. “Ecco perché eviti la Torre”, disse, gettando a Boromir un’occhiata penetrante.

Boromir annuì. “Ho creduto che sarei morto in quel fetido abisso, circondato da pietra, e soffocato da fumo e menzogne. Desideravo solo un po’ d’aria fresca per andarmene in pace.”

“Saruman ti ha promesso la libertà, se gli avessi detto dove era l’Anello?”

A Boromir sfuggì un’altra risata priva di allegria. “Che cosa non mi ha promesso? Ma erano tutte menzogne… menzogne. Così belle e tremende che bruciano come veleno nelle mie vene, persino adesso. Prima l’Anello, poi Saruman, hanno versato quel veleno nel mio cuore, fino al punto che non ero più me stesso.”

“Ma non ti sei perduto, non hai ceduto a quelle menzogne. Come hai potuto resistere?”

“Aragorn. È stato Aragorn che mi ha dato la volontà di resistere. Non dico la forza, perché non c’era più alcuna forza in me, solo la certezza del mio dovere, e la determinazione a seguirlo. Avevo già tradito il mio re e la mia missione una volta. Non avrei potuto farlo di nuovo e continuare a vivere. E non potevo aumentare il tormento di Aragorn mostrandomi sconfitto.

Alla fine… alla fine, forse ho invocato il suo nome. Implorato la sua pietà. Non ne sono sicuro. Ma lui non poteva sentirmi, e non credo che mi avrebbe biasimato per la mia debolezza. Non ho tradito né lui né l’Anello, anche quando Saruman mi ha offerto di rendermi la vista in cambio del tradimento…”

“Che cosa?!” sibilò Faramir.

“Ha detto che avrebbe guarito le mie ferite e mi avrebbe ridato la vista se gli avessi detto dove era l’Anello.”

Un gemito sfuggì dalle labbra di Faramir. “Non c’è da stupirsi che una tale menzogna ti perseguiti! Bella e terribile, davvero! Aragorn conosce il sacrificio che hai fatto?”

“Sì. Ha fatto anche lui la stessa scelta, prima che toccasse a me. È un re, Faramir, un vero re, e non poteva fare altro. Avresti preferito che avesse tradito il suo popolo per me?”

Faramir scosse la testa, ammirato. “No.”

“Non fingerò che sia stato facile. A volte, credo che la speranza sia la tortura più raffinata. Anche quando è una menzogna.” Boromir sollevò di nuovo il capo, lasciando che il sole gli illuminasse il viso. A Faramir sembrò che stesse piangendo, ma sulle sue guance non vi erano lacrime. “Il ricordo non mi abbandonerà mai, anche se corressi per tutta la Terra di Mezzo per fuggirlo. Il morso della pietra grezza nella mia carne, il fetore delle torce, le atroci carezze della voce dello stregone, e le visioni… le visioni delle bianche mura che si innalzavano di fronte a me, scintillanti nella luce, invitandomi a casa.” Deglutì convulsamente, e sussurrò, “E’ un’agonia che porterò con me per il resto dei miei giorni.”

“Sei sicuro che fosse una menzogna?” azzardò Faramir.

“Gandalf ne è sicuro.”

“E tu ti fidi del suo giudizio?” Boromir annuì, senza parole. “Allora lo farò anch’io, anche se mi addolora stare qui senza poter fare nulla.”

“Non c’è niente da fare. Non posso fare altro che imparare ad accettarlo come meglio posso, Faramir. Se mi ami, anche tu farai lo stesso.”

“Ci proverò.”

Qualcosa di simile a un sorriso apparve sulle labbra di Boromir, poi scomparve rapidamente come era venuto. Faramir intuì che Boromir aveva esaurito la sua riserva di forze e di coraggio riguardo quell’argomento, e capì che era il momento di passare a discorsi meno dolorosi. Cambiando bruscamente argomento, Faramir disse,

“Mithrandir mi ha raccontato della distruzione di Isengard, ma non di come sei stato tratto in salvo. Come hai fatto a fuggire dai sotterranei?”

Stavolta sul viso di Boromir apparve un sorriso genuino. “Meglio che tu lo chieda a Merry. Adora raccontarlo, specialmente la parte di Uglùk.”

“Uglùk?”

Boromir scosse la testa in diniego. “Uglùk dovrà attendere. Della nostra fuga non ricordo nulla se non una voce - quella di Merry, credo - che mi diceva che Aragorn era in salvo. Il resto è oscurità… cosa di cui sono grato.”

Boromir tacque, e Faramir non insistette. Sapeva che suo fratello aveva appena accennato agli orrori del suo viaggio, ma Faramir era soddisfatto. In quello sguardo sugli abissi infuocati di Isengard, per quanto orribile, aveva anche intravisto di nuovo suo fratello. Più che intravisto. Aveva ritrovato Boromir che lo aspettava al di là delle ombre e delle mura che si era eretto attorno. Aveva ottenuto ciò che voleva, e non avrebbe messo alla prova oltre la pazienza del fratello.

D’impulso, Faramir allungò la mano per stringere il braccio di Boromir. Questi si voltò verso di lui, con un’espressione interrogativa in viso, e Faramir sorrise.

“Grazie, fratello.”

“Per che cosa?” chiese Boromir.

“Per essere tornato a casa.”

“Mi avevi già ringraziato per questo.”

“Ma questa volta so che resterai.”

Boromir sorrise. Posò la mano su quella di Faramir e la strinse con forza. Aprì la bocca per parlare, poi sembrò cambiare idea, come colto da un nuovo pensiero. Con espressione interrogativa disse, “Intendevo chiedertelo, ma me ne sono dimenticato, in mezzo a tutto quello che è successo. Conosci la storia di Gilthaethil?”

“Gilthaethil?” chiese Faramir, sospettoso. “Perché?”

“Si tratta di qualche leggenda elfica, non è vero? Piena di azioni valorose e malinconia?”

“Gilthaethil era una principessa degli elfi della Seconda Era.” Faramir ritrasse la mano da quella di Boromir e si piantò i pugni sui fianchi, squadrando sospettosamente il fratello. “Perché lo vuoi sapere?”

“Cercavo di ricordare se avevo mai sentito quella storia, ma sai che le confondo tutte.” Sorrise in modo irriverente. “Le principesse degli elfi si somigliano tutte.”

Faramir emise un suono di disapprovazione, e Boromir rise tra sé.

“Accontentami, fratello. Siedi con me, una sera, quando la guerra non ci opprimerà così da vicino, e raccontami la storia di Gilthaethil.”

“Te la posso raccontare ora, se vuoi.”

“No. Per le storie elfiche ci vogliono stelle elfiche in cielo. E ora non è il momento per indulgere a queste cose.”

“Sotto le stelle, dunque. Ma ti prego dimmi, Boromir, perché questo improvviso interesse in ciò che hai sempre definito ‘antica spazzatura’?”

“Ho incontrato alcune delle tue leggende che vagano sotto il cielo della Terra di Mezzo, e ho imparato alcune cose su di loro. E ora so che sono tanto al di sopra del mio disprezzo quanto lo sono le stelle in cielo.”

“E perché proprio Gilthaethil?”

“Ah, è per Gil.”

Faramir inarcò le sopracciglia, sorpreso. “Gil? Vuoi dire la sguattera?”

“Sì. Il suo vero nome è Gilthaethil.”

Sul viso di Faramir si alternarono disapprovazione e curiosità, facendogli assumere un’espressione accigliata che lo rendeva straordinariamente simile al fratello. “Hai forse qualche vana speranza che sia una sorta di elfo vagabondo? O la discendente perduta di una nobile famiglia?”

Boromir rise. “No, voglio semplicemente sapere la leggenda.”

Faramir lo osservò per un momento, poi domandò, “Cosa hai intenzione di fare con lei?”

Fare con lei?” la sorpresa di Boromir si tramutò in ironia sardonica. “Ma ovviamente renderla la Regina di Gondor. Dopo che avrò usurpato il trono di Aragorn avrò bisogno di una consorte per governare il mio regno.”

“Non sei divertente.”

“Non ti preoccupare, fratello. Non intendo fare nulla con Gilthaethil. Lei mi piace. Ecco tutto.”

“Perché ti piace? Che cosa può avere una serva priva di famiglia e di cultura, per piacerti?”

Boromir meditò la sua risposta con attenzione, pensando attentamente. Infine rispose. “È onesta, sincera e pratica, senza secondi fini. E senza un briciolo di commiserazione.”

Faramir accettò la spiegazione in perplesso silenzio. Non poteva approvare il crescente affetto di Boromir per una come Gil, ma quel giorno aveva capito che non doveva giudicare suo fratello dal suo comportamento esteriore. Forse era solo un effetto del suo attuale stato di esclusione dai suoi pari, della sua lotta per riconquistare il suo posto tra loro. Forse, una volta che Boromir si fosse insediato come Sovrintendente, Gil sarebbe ricaduta nell’oblio. O forse la loro amicizia era più profonda di quanto potesse razionalmente spiegare, e Faramir doveva semplicemente rassegnarsi. Qualunque fosse la verità, avrebbe aspettato e osservato. Non aveva la forza di affrontare un altro argomento così delicato, in quel giorno così denso di rivelazioni.

Boromir sembrò udire i suoi pensieri. Distese la mano verso di lui, e quando Faramir la afferrò, disse, “Ritorna alla Torre e dai lord che aspettano. Agisci come meglio credi. Io non me la sento ancora di ritornare al chiuso.”

“Boromir, io…”

“Va tutto bene, fratello. Abbiamo già detto abbastanza per oggi.”

“Quando Aragorn ritornerà…”

“Tu dovrai scegliere da che parte stare. Fino ad allora, fai come hai promesso. Aspetta, osserva, e giudica. Non ti chiedo altro.”

Faramir gli strinse la mano e si avviò.

“Mandami Merry”, disse Boromir.

Faramir annuì, poi gli sovvenne che quel gesto era inutile con il fratello. “Lo farò.” Poi se ne andò silenziosamente.

*** *** ***

Elenard guardò il cavaliere spronare il cavallo coperto di schiuma attraverso l’accampamento. Il rumore di zoccoli e i richiami delle sentinelle lo avevano svegliato da un sonno inquieto, e ora osservava la notte con occhi spalancati pieni d’angoscia. L’alba non aveva ancora toccato il cielo, e alla luce morente dei falò da campo, Elenard non riusciva a distinguere il simbolo sulla divisa del cavaliere, ma non aveva alcun dubbio sulla sua provenienza. Il grande e veloce cavallo, e il contenitore di cuoio cilindrico con i suoi sigilli pendente dalla sua schiena, lo identificavano chiaramente come un messaggero di Gondor.

Un messaggero che inseguiva l’esercito nella notte fino quasi a sfiancare il suo cavallo, per portare un dispaccio al lord Elessar. Per la mente sovraeccitata di Elenard, potava significare soltanto una cosa. Hirluin lo aveva tradito. Non era riuscito a scappare, in fin dei conti.

Continuò a guardare la figura finché non si perse nell’oscurità, poi si coricò di nuovo sul suo giaciglio e fissò lo sguardo al cielo sopra di lui. Cercava di cogliere qualche rumore proveniente dall’accampamento - voci concitate, rumori di passi, qualunque cosa che potesse annunciare l’arrivo degli uomini grigiovestiti dai visi severi e dagli occhi spietati.

Non pensò nemmeno alla possibilità di fuggire. Il Sovrintendente Ombra potava chiamarlo traditore, ma lui non era né un codardo né un disertore. Quando i Raminghi sarebbero venuti a prenderlo, lo avrebbero trovato insieme ai suoi compagni d’arme, pronto per la guerra, come si addiceva a un soldato di Morthond.

Aragorn camminava avanti e indietro per la tenda incessantemente, con gli occhi abbassati e le mani unite dietro la schiena. Sentiva che gli altri lo stavano guardando, in attesa, e la loro preoccupazione che si abbatteva su di lui come una marea. Imrahil e Éomer, i suoi più valorosi generali. Legolas e Gimli, i suoi compagni più leali. E Halbarad, la sua fedele ombra grigia. Erano tutti venuti per apprendere le notizie da Minas Tirith e offrire al loro signore i loro aiuto e il loro consiglio.

Aragorn continuò a camminare, mentre Legolas leggeva il dispaccio, tenendo la pergamena in modo che anche Gimli potesse vederla. Il nano sbuffò per la rabbia, mentre leggeva le righe vergate con cura, e la sua mano si strinse sul manico dell’ascia.

Imrahil gli lanciò un’occhiata preoccupata. “Che notizie, mio signore?”

Fermandosi, Aragorn si rivolse al principe con occhi rannuvolati. “Boromir mi avverte di una possibile minaccia alla mia vita.”

Solo Legolas e Gimli, che avevano letto la lettera, non mostrarono alcuna reazione. Imrahil e Éomer lanciarono un’esclamazione di protesta, mentre Halbarad si accigliò vistosamente e si avvicinò all’apertura della tenda. Aprì i lembi dell’ingresso e guardò fuori, come per assicurarsi che all’esterno non vi fossero sicari in agguato.

“Due uomini hanno tentato di assassinare il Sovrintendente ieri notte. Sembra che uno di loro sia riuscito a fuggire e ora sia in marcia insieme a noi.”

Imrahil impallidì, e il suo viso era teso alla luce della candela. “Il Sovrintendente? Chi oserebbe alzare la mano contro il Sovrintendente di Gondor?”

Le labbra di Aragorn si serrarono con rabbia. “Soldati di Morthond.”

Il Principe imprecò a bassa voce. “E Boromir? Come sta?”

Fu Legolas a rispondere. “Scrive che sta bene, e che non è stato ferito gravemente.” Un sorriso apparve per un istante negli occhi dell’elfo, mentre aggiungeva, “Merry è corso in suo aiuto, e uno degli aggressori è stato catturato.”

Gimli prese la pergamena dalle mani di Legolas per studiarla più da vicino. “Secondo il suo rapporto, il farabutto parla delle stesse sciocchezze che abbiamo sentito nell’accampamento prima di partire. Superstizioni e paure, trasformate in bugie traditrici!”

“Sì”, disse Aragorn, “avrei dovuto prestare più attenzione a quei sussurri notturni.”

Éomer si fece rapidamente avanti, con il viso carico di rabbia e preoccupazione. “Mio signore, cosa dobbiamo fare? Non possiamo portare con noi alla battaglia il traditore, e non possiamo lasciare solo Boromir…”

“Possiamo, e dobbiamo. Boromir mi ha messo in guardia, affinché nessun tranello mi colga impreparato, ma non chiede né desidera che io ritorni indietro. Pensaci, Éomer. Tutto questo,” indicò la pergamena tra le mani di Gimli, “non servirà a nulla, se Sauron ci sconfigge. Dobbiamo marciare contro di lui e scacciarlo dai Cancelli Neri, anche se soltanto un pugno di guerrieri coraggiosi verrà con noi.”

“Non è un tradimento diffuso”, asserì Halbarad. “I Dùnedain ne avrebbero sentito parlare tra i soldati.”

“Io ne ho sentito parlare abbastanza,” disse Legolas, con tranquillità solo apparente.

“Cospirazione contro il re? E non me ne hai parlato?”

“Ne ho parlato al re.”

“I discorsi dei soldati erano contro Boromir, non contro di me,” disse Aragorn. “Lo ritenevo in grado di affrontare qualunque problema sarebbe sorto, e chiaramente è quello che ha fatto. Mi garantisce che la città è sicura, il popolo non è a conoscenza della minaccia che incombe sul suo Sovrintendente, e la situazione non è preoccupante.”

“Ma cosa ne sarà di te?” gridò Éomer. “Il sicario ora è nascosto in mezzo al tuo esercito!”

Aragorn riflettè per un momento, poi scosse le spalle. “È improbabile che tenti qualcosa contro di me. E se lo fa, noi saremo pronti.”

“Se gli uomini di Morthond proteggono quel traditore, allora io dico che la Duinhir deve trovarlo! Lasciamo che sia lui a pensare ai suoi uomini…”

“Pace, Éomer.” Aragorn si rivolse a Imrahil e disse, “Tu conosci bene Duinhir, vero?”

“Sì, mio signore. Pensi che ci sia Duinhir dietro questo vile atto? Non posso crederlo.”

“Non lo so, ma sono d’accordo con Éomer. Il signore di Morthond dovrà rispondere di molte cose. Conducetelo da me quando ci accamperemo stasera, e saprò la verità. E ora, miei signori, dobbiamo prepararci a marciare. Andate alle vostre tende.

Imrahil e Éomer se ne andarono, ma Halbarad restò indietro.

“Con il tuo permesso, Aragorn, manderò i miei Raminghi tra i soldati per raccogliere informazioni. Possono passare inosservati e silenziosi, e gli uomini in loro presenza diranno cose che non rivelerebbero mai davanti ai loro ufficiali.”

Aragorn annuì.

“E raddoppierò la tua scorta durante la marcia.”

“Come vuoi, Halbarad. Pensaci tu.”

Il Ramingo uscì dalla tenda, lasciando soli Aragorn, Gimli e Legolas. Nessuno si mosse o parlò fino a quando le voci delle sentinelle furono svanite nel silenzio e i passi di Halbarad si furono allontanati nell’accampamento. Poi Legolas si mosse. Prendendo la pergamena dalle mani Gimli, la arrotolò con cura e la ripose nel cilindro di cuoio.

“Non hai intenzione di dire loro il resto?” domandò.

“No.”

“Mi rifiuto di credere che chiunque dei presenti stanotte possa agire contro di te.”

Gimli ringhiò, “Coloro che ti sono più vicini, ha detto Boromir. E chi, a parte noi, è più vicino al re di quei tre uomini?”

Aragorn ricominciò a camminare. “Vorrei che Boromir fosse stato più esplicito.”

“E rischiare che il dispaccio venisse letto da tutti i presenti nella tenda?” Legolas alzò le sopracciglia meravigliato. “È troppo esperto per farlo. Ti ha detto tutto quello che poteva, sono pronto a garantirlo, e come lui stesso dice, non ha prove del tradimento, solo voci e sospetti. Non puoi condannare un uomo per questo.”

“No. Capisco il motivo della sua cautela, eppure avrei voluto sapere di più. Vorrei avere solo un nome - solo un traditore - su cui mettere le mani!” Protese le mani come per afferrare qualcosa, e ringhiò, “Giuro che qualcuno pagherà per questo!”

Legolas lanciò un gelido sorriso a Gimli e mormorò, “Il nostro re ha bisogno di una spada in mano e di una battaglia da combattere.”

“Sì”, disse il nano, “ne troveremo una, molto presto.”

Aragorn abbassò le mani. La rabbia nei suoi occhi svanì nella sua solita grave pensierosità.

“Finché non troveremo il nostro nemico, dovremo essere cauti. Solo noi tre conosciamo i sospetti di Boromir, e così deve rimanere.”

“E se Imrahil o Halbarad stanno complottando contro il Sovrintendente?”

Aragorn sorrise a Gimli. “Noto che non hai incluso Éomer nella lista.”

Gimli rise. “Éomer non farebbe mai del male a Boromir. Anzi, io credo che quando troveremo il traditore, sarà difficile impedire al Re del Mark di farlo a pezzi!”

Il sorriso del Ramingo si allargò. “Forse glielo lascerò fare. Andiamo, è tempo di svegliare lo hobbit e di preparaci per la marcia.”

“Non hai risposto alla domanda di Gimli,” osservò Legolas.

“Che cosa dovrei dire? In questo momento ho bisogno di tutti i miei alleati, almeno finché hanno coraggio abbastanza per impugnare le armi contro il Nemico. Quando avremo finito di combattere, allora il veleno uscirà allo scoperto, e i traditore sarà rivelato. Allora, se sarò ancora vivo per respirare la dolce aria della Terra di Mezzo, punirò coloro che hanno osato fare del male al mio amico.”

Il suono delle trombe fece sobbalzare Elenard sul suo giaciglio, costringendolo ad alzarsi in piedi. L’alba rischiarava il cielo, e tutto attorno a lui, l’accampamento si svegliava. Obbedendo ai familiari richiami dei corni si affrettò a smontare il campo e a raccogliere la sua attrezzatura, ma per tutto il tempo i suoi occhi esaminarono i soldati attorno a lui.

Non c’era nulla di allarmante - nessuna guardia in nero e argento, nessun Ramingo con la spada sguainata. I suoi ufficiali si muovevano come al solito tra gli uomini, spronandoli ad affrettarsi e gridando ordini al di sopra del frastuono. Elenard vide un solo estraneo in mezzo a loro. Una figura solitaria che passava tra i falò da campo, apparentemente intenta al suo lavoro eppure senza fretta. Si avvicinò al falò di Elenard, e l’arciere poté osservarlo bene. Per un terribile momento pensò che l’uomo lo avesse riconosciuto, ma i suoi occhi passarono indifferenti sul suo viso, e continuò il suo cammino senza fermarsi.

Elenard si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, mentre si voltava e riprendeva la sua attività. Nonostante tutto sembrava che il destino gli sorridesse ancora. Non era stato scoperto. Non sarebbe finito nei sotterranei di Minas Tirith. Avrebbe avuto la possibilità di morire da soldato.

Mettendosi lo zaino sulle spalle e prendendo le armi, Elenard prese il suo posto nella lunga fila di soldati. Le trombe suonarono un richiamo familiare, e, con la testa alta e un sorriso sulle labbra, Elenard cominciò a marciare.

*** *** ***

“Sei pensieroso, mio signore, e più silenzioso del solito.”

La voce ridestò Faramir dalla sua fantasticheria, e voltandosi, vide la donna seduta accanto a lui. Era illuminata da un raggio di sole che trasformava i suoi capelli in oro liquido, e donava un tocco di colore alle sue gote pallide. Sullo sfondo del verde del giardino, scintillava come una lama lucente, bellissima e terribile. Ogni volta che Faramir guardava la dama Éowyn, era sempre colpito dalla sua bellezza e dalla sua tristezza.

“Perdonami, mia signora.” Sollevò la mano di lei e la portò alle labbra. “In tua compagnia dovrei essere sempre lieto.”

“Che cosa ti turba?” chiese lei.

Il dolore che la sua voce aveva momentaneamente bandito cadde su di lui nuovamente, mentre rispondeva, “Mio fratello.”

Éowyn lo osservò con gravità, senza mostrare nel suo sguardo né comprensione né rimprovero. “Hai condiviso con me una parte dei tuoi dubbi, abbastanza perché io sappia che temi sia per lui che per il vostro popolo.”

“Sì, ma ora non stavo pensando a Gondor.” Distolse lo sguardo dalla sua gelida bellezza, incapace di sopportarla con un cuore così pieno di angoscia. “Solo a Boromir. Il suo destino mi addolora.”

Un pesante silenzio seguì le sue parole, rotto da Éowyn, che disse, con voce ferma e tranquilla, “Non è mio compito dirti il tuo dovere verso tuo fratello e il tuo paese, mio signore, ma devo parlare.”

“Istruiscimi come credi, dama. Ascolterò volentieri quello che mi dirai.”

“È molto semplice. Il lord Boromir è un uomo d’onore. Non mi sentirai mai parlare male di lui o mettere in dubbio la sua capacità di governare Gondor al posto del Re.”

Faramir la osservò con meraviglia, commosso dalle sue parole e dalla luce nei suoi occhi, che non le aveva mai visto prima di allora. “Parli in questo modo di mio fratello anche se lo conosci appena?”

“Non conosco i suoi pensieri, ma so di che fibra è fatto. È tutto onore, dovere, grandezza di spirito. L’ho visto guarire da ferite che quasi gli sono costate la vita, per seguire il suo re fino alla minaccia di Mordor. Ho cavalcato nella tempesta al suo fianco, insieme all’ holbytla, e l’ho visto rinunciare al conforto della compagnia di Merry piuttosto che fare rompere al piccolo il suo giuramento al Re Thèoden. Nessuno di loro voleva quella separazione, che significava un grave pericolo per entrambi, ma l’onore e il dovere lo richiedevano. L’ holbytla, inesperto dei nostri usi, avrebbe messo da parte il suo giuramento per amore del suo signore, ma Boromir non ne ha voluto sapere. Per merito di Boromir, Merry ha combattuto al mio fianco sui campi di Pelennor, e insieme abbiamo sconfitto il Re degli Spettri.”

“Boromir ha rinunciato alla battaglia, lasciando una fanciulla e un mezzuomo a combattere da soli? Non è cosa da mio fratello.”

“Ha rinunciato alla sua possibilità di ottenere la gloria sul campo di battaglia, per portare la sua spada e la sua saggezza a casa, a Mundberg, dove ce ne era più bisogno. Io non sono come lui. Non potevo abbandonare la battaglia, eppure so che ciò che ha fatto è giusto e saggio, e del tutto onorevole. E lo ammiro tantissimo per questo.”

Faramir restò seduto in silenzio, soppesando le sue parole. Éowyn non si intromise nei suoi pensieri.

Infine, Faramir sollevò il capo e la guardò. “Ti ringrazio per la tua franchezza, mia signora. Mi hai dato molto a cui pensare.”

“Se vuoi saperne di più sul Lord Boromir, su quello che ha nel cuore, parla con l’holbytla. Hanno viaggiato insieme per tutta la strada da Imladris, e il loro affetto è incrollabile.”

“L’ho già fatto. Merry è altrettanto eloquente nel difendere mio fratello come tu lo sei nell’elogiarlo.”

Di nuovo Faramir si perse nei suoi pensieri. Ripensò a tutto quello che gli era stato detto dal giorno in cui Boromir era tornato, e notò che nessuno che avesse viaggiato con Boromir, nella Compagnia o dopo, aveva mai detto male di lui. Non il fedele hobbit, né l’elfo, né il nano, né Éowyn, né Aragorn stesso. Aragorn era passato attraverso le fiamme e la sofferenza di Orthanc accanto a Boromir, e ora gli riconosceva ciò che gli spettava per diritto di nascita senza alcuna esitazione.

“Aragorn lo ha scelto”, riflettè Faramir.

“Sì, e chi potrà contraddire il Re?”

“Io ero pronto a farlo. Ma ora…”

Esitò, e Éowyn insistette, gentilmente, “Ora, mio signore?”

“Ora conosco parte di ciò che gli è accaduto, e comincio a comprendere. Comincio a vedere attraverso i suoi occhi, almeno in parte.”

Éowyn quasi sorrise, o almeno era la cosa più simile a un sorriso che Faramir le avesse mai visto in viso. “Una strana scelta di parole, mio signore.”

“Ma adatta. La sua visione del mondo non è piacevole, né priva di dolore, e non posso dire che mi sia congeniale.”

“C’è forse qualcuno di noi che può guardare al mondo senza dolore, in questa ora?”

Faramir scosse la testa, e, senza rendersene conto, lasciò correre il suo sguardo verso Est.

Quando il Re ritornerà, tutto sarà guarito”, mormorò Éowyn, riflettendo la sua speranza inespressa.

Faramir la guardò e sentì la sua bellezza che lo trafiggeva. “C’è una cosa che mi ha detto Merry,” mormorò, “Ha detto che Aragorn mi ha salvato dall’ Ombra. È stata la voce del re che mi ha riportato indietro, ma sei stata tu, dama, a guarire il mio cuore.”

Èowyn chinò il capo per sottrarsi al suo sguardo. “Anche io sono stata riportata indietro dalla sua voce, ma non ho ancora trovato la guarigione.”

“Verrà col tempo. E con la speranza, io credo.” Restò in silenzio di nuovo, pensieroso, poi mormorò, “Non si può affrettare la guarigione. Ci vuole tempo.”

Un improvviso, brillante sorriso gli illuminò il viso, e Faramir afferrò la mano di Éowyn, portandola alle sue labbra in gesto di saluto. “Ti ringrazio, dama! Mi hai istruito meglio di quanto tu non immagini!”

Éowyn non ritirò la sua mano. “Mi basterebbe avere rasserenato il tuo cuore, mio signore.”

“Lo hai fatto.” Le baciò di nuovo la mano e sorrise ai suoi occhi solenni. “Anche in questa ora così oscura, mi hai dato speranza.”

*** *** ***

Il settimo giorno di attesa albeggiò, freddo e uggioso. Tutti gli occhi della città erano rivolti a est, verso i pericoli a cui andavano i suoi signori, i suoi capitani e i suoi valorosi soldati, e tutti i cuori erano grevi.

Alcuni osservavano l’Ombra con l’aria di conosce molte cose, calcolando le leghe che separavano la Torre di Guardia dal nemico, e gridavano, “Ormai avranno raggiunto il Cancello Nero! Certo oggi giungeranno notizie!” Altri, misurando la distanza, scuotevano la testa, e dicevano, “No, non possono essere arrivati così presto. C’è ancora tempo. Non tutto è perduto.”

Il sole salì lentamente nel cielo. Una sensazione di attesa e di timore crebbe nel popolo di Minas Tirith, e sebbene la gente si ripetesse che quello era un giorno proprio come tutti gli altri, la paura cominciò a pesare su di loro, fino a quando tutte le attività della città si interruppero. La gente rimase in piedi in mezzo alle strade o sulle mura, guardando verso est, sforzandosi di cogliere un qualche bagliore di elmi o lance, anche se sapevano che ormai l’esercito era troppo lontano perché potessero vederlo. L’ora del loro destino gravava pesantemente su di loro.

Nel momento in cui il sole raggiunse lo zenit, il vento cessò all’improvviso, e l’aria stessa sembrò restare sospesa, pronta a qualche evento. Un teso silenzio carico di aspettativa cadde su tutta la terra. Tutti gli occhi erano rivolti alle Montagne dell’Ombra in lontananza, e tutte le voci tacquero.

In quella timorosa immobilità si udì un rombo basso e minaccioso. Una enorme massa di fumo nero si innalzò nel cielo, espandendosi fino a nascondere il sole, perforata a tratti da fulmini e lingue di fuoco. Ogni cuore a Gondor tremò, ogni respiro cessò, e fu come se la città rabbrividisse sul suo alto seggio. Le mura tremarono. La torre fu scossa. Poi, con un sospiro, Minas Tirith riprese a vivere.

In tutta la città, uomini e donne levarono lo sguardo al cielo increduli. Perché dalle terribili tenebre cominciò a soffiare un vento freddo, e portata dal vento giunse una figura alata, dal cuore dell’Ombra. Era una grande Aquila, e le sue ali erano grandi e possenti quanto le montagne che l’avevano vista crescere. Mentre volava in circolo sopra la città, gridò con voce chiara,

Cantate ora, gente della Torre di Anor,

perché il Regno di Sauron è finito per sempre,

e la Torre Oscura è crollata.

Cantate e gioite, gente della torre di Guardia,

perché non fu vana l’attesa,

e il Cancello Nero è spezzato,

e il vostro Re l’ha varcato,

ed egli è vittorioso.

Cantate e godete, voi tutti Figli dell’Ovest,

perché il vostro Re tornerà,

e abiterà con voi per sempre,

tutti i giorni della vostra vita.

E l’Albero appassito rifiorirà,

ed egli nei luoghi alti lo pianterà,

e la Città sarà benedetta.

Cantate quindi, o gente!*

Elenard udì la voce dell’Aquila mentre volava verso Ovest sul campo di battaglia. Era in piedi in mezzo ai caduti, con la spada macchiata di sangue che pendeva inerte al suo fianco, e osservava il messaggero della vittoria. Si sentì pervadere da una gioia selvaggia, e sollevò la sua arma, scuotendola e gridando la sua esultanza. Ma in quello stesso momento fu colto da un improvviso, gelido terrore. Aveva scommesso tutto sulla certezza che sarebbe morto onorevolmente, combattendo il Nemico, e facendo ammenda per il male che aveva commesso, per quanto neccessario. Ma l’esercito dell’Ovest aveva vinto, il Re sarebbe ritornato a Minas Tirith dal suo Sovrintendente Ombra, e Elenard avrebbe dovuto marciare con lui. Verso un altro genere di morte. Cadendo in ginocchio sul campo, Elenard chinò il campo e pianse per la vergogna.

Hirluin udì la voce dalla sua buia cella sotto la Torre di Guardia. Si precipitò verso la porta sbarrata, ascoltando la musica distante, e sorrise attraverso un velo di lacrime. Non faceva alcuna differenza per lui che il Re Gemma Elfica avesse sconfitto il Nemico. Era condannato in ogni caso. Ma ripensando alle fresche foreste e a dolci pascoli del suo paese, e ai suoi figli che correvano liberi sotto il cielo sereno, al sicuro dalla schiavitù e dalla minaccia di Mordor, pianse per la gioia.

Faramir udì la voce mentre era insieme a Éowyn sulle mura della città. Il suo cuore si gonfiò di una felicità troppo profonda per essere espressa a parole. Lacrime bagnarono le sue guance. I suoi occhi scintillarono come la luce di Nimloth alla prima alba del mondo. E accanto a lui stava la Bianca Dama di Rohan, con la mano nella sua, i suoi chiari capelli mescolati ai suoi nel vento. Mentre l’Aquila passò sopra di loro, gettando la sua ombra sui loro visi, Faramir si voltò verso Éowyn, e, in piena vista della città in festa, la baciò sulla fronte.

Merry udì la voce e si avvicinò a Boromir. Erano nella Corte della Fontana, dove erano rimasti in attesa tutta la mattina, e ascoltavano in silenzio il canto di vittoria. Quando l’Aquila ebbe finito, Merry sospirò e rivolse gli occhi velati di lacrime all’amico. Boromir non si mosse né parlò, ma Merry vide che tremava per la violenza dell’emozione.

Lo hobbit mise la sua piccola mano in quella dell’uomo, e rivolse nuovamente lo sguardo a est, verso la torbida oscurità che segnava la fine del potere di Sauron.

“Ce l’ha fatta,” disse Merry. “Ha distrutto l’Anello.”

“Frodo…”

“La missione non è fallita.”

Con una rapidità che sorprese lo hobbit, Boromir si inginocchiò accanto a lui e lo strinse in un fiero abbraccio. Merry si strinse a lui, con le lacrime che cominciavano a scorrergli sul viso, e all’improvviso fu enormemente felice che, tra tutte le creature della Terra di Mezzo, ci fosse proprio quell’uomo con lui, al momento della vittoria.

“L’Anello è stato distrutto”, mormorò Boromir.

Merry rise, pieno di gioia. “E il Re ritorna a casa!”

Continua…

* Da Il ritorno del Re, capitolo Il Sovrintendente e il Re.

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