Il Capitano e il Re
Capitolo
13: Dal dubbio e dalle tenebre
Faramir
trascorse gran parte della mattinata a meditare sulle parole di Merry, così
amare per lui, e lentamente cominciò a comprendere la loro verità. Il Mezzuomo
aveva ragione. Non avrebbe trovato le risposte che cercava stando a guardare
suo fratello da lontano e ascoltando i pettegolezzi dei servitori - o persino
dei suoi stessi consanguinei. Doveva parlare di persona con Boromir, e scoprire
che cosa gli era veramente accaduto durante tutti quei mesi che aveva trascorso
lontano da Minas Tirith. Solo allora, forse, avrebbe imparato a conoscere di
nuovo suo fratello.
Era
doloroso, per Faramir, ammettere che non conosceva più Boromir. Il Mezzuomo,
una conoscenza fatta casualmente lungo la strada, vedeva molto più chiaramente
di lui nel cuore di suo fratello, e questo lo addolorava profondamente. Più
pensava all’enormità della sua perdita, più profondo diventava il suo rimpianto
per Boromir, il suo dolore, e il suo desiderio di ritrovarlo.
Fu quel
desiderio, più che un senso di dovere o di giustizia, a condurlo finalmente
fuori dalle Case a cercare Boromir. Con sua sorpresa, scoprì che suo fratello
aveva lasciato quella zona e, rifiutandosi di prendere con sé una scorta, se ne
era andato insieme al Mezzuomo. I due soldati di guardia al cancello gli
dissero che il loro capitano aveva ordinato loro di restare lì, affermando che
sarebbe soltanto andato alla Cittadella e non avrebbe avuto bisogno di scorta.
A quella
notizia Faramir corrugò la fronte, preoccupato nel sapere Boromir in giro per
la città senza la sua guardia personale, ma non poteva dare la colpa alle
sentinelle per avere obbedito agli ordini, né insistere affinché pedinassero il
loro Sovrintendente contro la sua volontà. In realtà, se Boromir era andato
alla Cittadella, era abbastanza al sicuro. Con un misto di irritazione e di
curiosità, Faramir si diresse verso il Settimo Circolo.
I
soldati della Guardia della Torre, splendenti nelle loro livree nere e argento,
lo salutarono quando oltrepassò il cancello. Faramir avanzò nel Cortile della
Fontana e esitò. Era vuoto, ma dalle alte finestre decorate della sala del
Consiglio in fondo alla corte, provenivano delle voci. Una apparteneva al lord
Taleris, l’alto consigliere di suo padre. L’altra aveva il tono secco e formale
di un soldato che si rivolge ai suoi superiori. Poi una terza voce,
infinitamente familiare, li interruppe,
“Basta
così! E’ fuggito. È chiaro.”
Faramir
si diresse immediatamente alle grandi porte della Torre. Gli spessi muri di
pietra attutivano le voci, e non sentì le parole seguenti del fratello, ma
Boromir stava ancora parlando quando Faramir entrò nella sala del Consiglio.
“C’è un
solo posto dove un soldato si può nascondere tanto a lungo. Se è riuscito a
lasciare la città prima dell’alba, allora significa che se ne è andato insieme
all’esercito.”
“Dobbiamo
avvertire il Re”, insistette Taleris.
“Sì.”
Boromir chinò la testa pensierosamente, mentre gli altri attendevano in
silenzio la sua decisione.
Faramir
si ritrasse nel corridoio, non volendo intromettersi negli affari del
Sovrintendente senza essere stato invitato, e osservò i presenti con
attenzione. La grande sala era buia e fredda, poiché nessuna torcia era stata
accesa, e il sole del pomeriggio era ormai sceso oltre l’alta cima del
Mindolluin, gettando in ombra le finestre. Boromir sedeva nel profondo incavo
di una di quelle finestre, dominando la corte e la triste fontana che faceva
scendere l’acqua dai rami dell’albero morto. Il Lord Taleris e i luogotenente
della Guardia che aveva incontrato la notte precedente stavano in piedi accanto
a Boromir, mentre il Mezzuomo sedeva in una delle sedie intagliate al tavolo
del Consiglio, mangiando una mela e cercando di non apparire troppo interessato
agli affari del suo signore. In quell’ambiente sembrava assurdamente piccolo,
dondolando i piedi a una spanna dal pavimento, perso nella grandiosità della
stanza e rimpicciolito dalla vicinanza con gli Uomini.
Faramir
sorrise tra sé e sé nel vedere Merry, poi rivolse lo sguardo ai due uomini che
attendevano la risposta del Sovrintedente. Taleris e il luogotenente si
tenevano a debita distanza l’uno dall’altro, e non si scambiavano sguardi né
parole, segno che il soldato e il nobile non si fidavano l’uno dell’altro. Il
capo delle Guardie appoggiava Boromir incondizionatamente. Faramir aveva avuto
modo di vedere di persona la sua lealtà. Il ché poteva significare soltanto che
Taleris non era altrettanto sincero, e che non era stato abbastanza astuto da
tenere per sé i suoi dubbi.
“Un
messaggero a cavallo può raggiungere l’esercito prima che riparta domattina”,
disse Boromir.
Taleris
grugnì in segno di assenso, anche se non sembrava per nulla soddisfatto.
“A
quest’ora avranno già oltrepassato Osgiliath e si staranno preparando per
accamparsi. Preparerò un dispaccio per Aragorn, informandolo di una possibile
cospirazione contro di lui tra le truppe del sud.”
“Sarei
onorato di comporre la lettera, mio signore.”
“Lo farò
io.”
Taleris
si trattenne al tono brusco di Boromir, ma non osò protestare. Cambiando
tattica, disse,
“Se i
signori della città fossero stati avvertiti di questa minaccia, avremmo potuto
consigliarci con il Re prima che partisse, forse anche ritardare la marcia fino
a che il sicario non fosse stato catturato e punito.”
“Proprio
per questo non ve l’ho detto”, sbottò Boromir. “Il compito del Re è andare a
Mordor. Il mio è di restare a Minas Tirith. I nostri problemi non devono
ritardarlo. Sono restio anche a distrarlo ora per dei semplici sospetti, quando
sembra molto improbabile che il sicario sia una minaccia per lui.”
“Non
possiamo saperlo!”
Faramir
ritenne che fosse il momento opportuno per intervenire, prima che Taleris
spingesse troppo oltre la capacità di sopportazione di Boromir. Facendosi
avanti, incrociò lo sguardo dello hobbit e gli rivolse un cenno di saluto.
Merry si alzò immediatamente in piedi, facendo il giro attorno al tavolo, e si
avvicinò a lui con tutta la solenne cortesia di un abile scudiero. L’inchino
del Mezzuomo era preciso ed esperto come tutto il resto del suo portamento, ma
mentre si sollevò, un sorriso gli balenò sul viso.
Faramir
non poté resistere al fascino di quella creatura, nonostante la sua impudenza, e
gli sorrise di rimando. “Vedi, ho accolto il tuo suggerimento, mastro Perian,”
lanciò uno sguardo penetrante verso Boromir e il petulante Taleris, “anche se
avrei potuto scegliere un momento migliore”.
“Credo
che il momento sia quello giusto. Devo annunciarti come farebbe un vero
ciambellano?”
Lo
sguardo luminoso di Faramir abbracciò la mela mezza mangiata e la sedia vuota.
“É questo il tuo compito oggi?”
Merry
scrollò le spalle. “Qualunque cosa di cui Boromir abbia bisogno. Fa’ presto,
prima che sia troppo arrabbiato per ascoltare chiunque.”
Sorridendo,
Faramir seguì il Mezzuomo lungo la fila di alte finestre. Al loro arrivo,
Taleris interruppe le sue lamentele e tutti gli sguardo si rivolsero su di
loro. Il sollievo apparve sul viso di Taleris quando riconobbe Faramir, ma il
giovane lord lo sorpassò con niente di più che una fredda occhiata. Aveva un
grande rispetto per le abilità e la sapienza di lord Taleris, ma il vecchio non
gli era mai piaciuto, e non lo avrebbe incoraggiato a considerarlo come un
alleato.
“Tuo
fratello è qui, mio signore”, annunciò Merry, dimenticando la sua offerta di
una presentazione formale.
Boromir
rivolse il suo sguardo bendato al fratello, e si alzò prontamente in piedi.
“Faramir? Pensavo che fossi ancora prigioniero dei guaritori.”
“Ho
comprato la libertà con la promessa che sarei tornato.” I suoi occhi passarono
in rassegna il luogotenente e il nobile, poi si posarono di nuovo sul fratello.
“Non era questa la mia intenzione, ma sono lieto di essere arrivato ora e di
avere sentito i tuoi timori per la sicurezza del Re. Ho delle notizie a questo
riguardo.”
“Che
notizie? Che cosa sai del sicario?”
Ora che
era il momento, Faramir trovava difficile parlarne in presenza di altri. Erano
fatti che toccavano la sua famiglia molto da vicino, e coinvolgevano un
consanguineo. Dopo un istante di riflessione, decise che quel tradimento, se di
tradimento si trattava, non poteva restare nascosto, e disse, “Non sul sicario,
ma so qualcosa su chi potrebbe averlo istigato.”
Taleris
si lasciò sfuggire un mormorio di sorpresa, e la mano del luogotenente si
contrasse in modo inconscio sull’elsa della spada.
“È
venuto da me qualcuno a noi vicino,” Faramir continuò, “E ha parlato di una…
una cospirazione, perché non saprei in che altro modo chiamarla, per rimuovere
il legittimo Sovrintendente e mettere me al suo posto.”
Stavolta
la mano del luogotenente si strinse con decisione sull’elsa. “Il nome del
traditore, Capitano!Dimmi il nome, così che possa mettergli le mani addosso!”
Boromir
lo zittì con un gesto, e disse, “Chi è venuto da te?”
“Il
principe Imrahil.”
Un
silenzio incredulo seguì le sue parole, e Faramir poté percepire quasi
fisicamente il disagio di Taleris. Solo Merry osò muoversi, scivolando tra gli
alti uomini per mettersi a fianco di Boromir. Quando si fu avvicinato, la mano
di Boromir si posò istintivamente sulla testa ricciuta dello hobbit.
Dopo un
breve attimo in cui cercò ferocemente di riacquistare un’apparenza di calma, Boromir
domandò, “E mentre il nostro consanguineo ti incoraggiava al tradimento, ha per
caso parlato anche di omicidio?”
“No. Mi
ha solo chiesto di usare la mia influenza su di te per convincere te e il lord
Aragorn a farti rinunciare alla sovrintendenza.”
Boromir
serrò le mascelle in modo quasi udibile, e Faramir immaginò la miriade di irate
domande che si stavano formando nella sua mente, e tra tutte la più urgente:
quale era stata la sua risposta. Ma la cautela e la disciplina ebbero la meglio
sulla rabbia, e Boromir tenne a freno la lingua.
“L’hai
chiamata una cospirazione”, azzardò Taleris. “Ha fatto altri nomi?”
Faramir
esitò, cercando un compromesso tra la lealtà verso il fratello e il suo senso
di giustizia. Non c’era modo di soddisfarli entrambi, ma Faramir sapeva quale
era il suo dovere. Quando finalmente parlò, il suo tono era teso e riluttante.
“Non metterò a rischio la vita di un altro uomo per dicerie e sospetti. Ho
parlato con Imrahil e con lui soltanto.”
“Ma il
principe ha menzionato i suoi sostenitori,” insistette Taleris.
“Avete
già avuto la mia risposta, lord Taleris.”
Boromir
parlò di nuovo. “Imrahil è andato con Aragorn a Mordor. E gli altri? Sono
andati anche loro?”
“Io sono
a conoscenza di uno solo, ed è andato anch’egli con il Re.”
“Il che
ci riporta alla questione se rappresentino o meno una minaccia per Aragorn.
Imrahil e i suoi alleati oserebbero fargli del male?”
“No.”
“Sembri
molto sicuro.”
“Lo
sono. Non sono certo che i sicari siano stati mandati da loro, ma sembra
probabile, dato il momento e il tipo di menzogne che li spingevano. E se è
così, i cospiratori faranno del loro meglio per proteggere il re. Vogliono solo
toglierti la sovrintendenza, non minacciare il re. Aragorn è al sicuro.”
“Mio
lord Sovrintendente, con tutto il dovuto rispetto, non sappiamo quali complotti
o tradimenti possano minacciare il re, mentre è così fuori dalla portata del
nostro aiuto!”, intervenne Taleris, col viso arrossato per la violenta
emozione. “Dobbiamo mandargli ben più di un semplice messaggio. Io stesso
raggiungerò l’esercito. Posso raggiungere Osgiliath tanto in fretta quanto
qualunque altro messaggero, e fare un rapporto completo di quello che è
accaduto al nostro signore!”
Boromir
ignorò lo scoppio d’ira di Taleris. Fece un passo verso Faramir e tese una
mano, dicendo semplicemente, “Voglio parlare in privato con mio fratello.”
Faramir
si avvicinò obbediente alla mano aperta di Boromir, e trasalì, stupito, quando
il fratello gli afferrò il braccio con forza. Boromir si incamminò e Faramir lo
seguì, ma ben presto fu lui a guidarlo attraverso la grande stanza, verso la
porta. Il nobile e il soldato li osservarono in un confuso silenzio, mentre lo
hobbit riprendeva in silenzio il suo posto al tavolo.
Avevano
quasi raggiunto la tranquillità dell’anticamera esterna, quando Taleris
raccolse il suo coraggio e protestò, “Mio Signore!”
“Ho
bisogno di un po’ d’aria fresca,” ribatté Boromir. Poi varcò la soglia,
trovandosi nella fresca, silenziosa magnificenza dell’anticamera della
fortezza.
“Andiamo
fuori”, mormorò, con semplicità, e Faramir volse i passi verso la porta che
dava sulla corte.
Mentre
attraversavano l’anticamera e i loro passi echeggiavano nel soffitto a volta, Boromir
cominciò a parlare in tono basso e urgente. “Taleris è un bastardo infido, e
probabilmente è dentro fino al collo nella cospirazione di Imrahil, ma su una
cosa ha ragione. Il mio Re… il mio amico, sta andando verso la guerra
circondato da traditori e assassini, con l’Ombra davanti e il Nemico tutto
attorno, e io non ho nient’altro che la tua parola ad assicurarmi che lui sia
al sicuro. Solo l’amore e la fiducia che nutro per te, fratello, mi trattengono
dal partire io stesso per avvertirlo.”
“L’altro
è Halbarad.” Le parole uscirono dalla bocca di Faramir prima che si fosse reso
conto di averle pronunciate.
Boromir
si fermò improvvisamente e si voltò per fronteggiare il fratello, stringendogli
il braccio con dita d’acciaio. “Halbarad? Il Ramingo?”
“Il
secondo di Aragorn.”
Boromir
non poté fare altro che restare a bocca aperta, senza parole.
“Ora
capisci perché non ne ho parlato di fronte a Taleris e alla guardia. Non
possiamo diffondere sospetti su uno così vicino al Re, senza averne la certezza
assoluta. E mettere in dubbio Halbarad è come mettere in dubbio Aragorn
stesso.”
“In un
momento il cui tutta Gondor guarda a lui per la speranza. Certo. Questo deve
saperlo solo Aragorn.”
“Capisci
anche perché non temo per il re.”
Boromir
annuì e si rivolse verso le porte. Faramir lo condusse, più prontamente questa
volta.
“Halbarad
non farebbe mai del male ad Aragorn, qualunque cosa voglia fare a me.”
Camminarono
in un silenzio pensieroso attraverso le grandi porte e nella corte. Faramir lo
condusse istintivamente verso la parte occidentale del circolo, dove la curva
delle mura esterne incontrava le pendici del Mindolluin, e dove erano le porte
della grande biblioteca di Minas Tirith. Lì nessuno li avrebbe disturbati. Le
sentinelle erano dalla parte opposta della corte, e gli uomini nella sala del
Consiglio non potevano sentirli.
L’edificio
conferiva al luogo uno speciale fascino per Faramir. Molte ore vi aveva
trascorso, appoggiato al parapetto di pietra, guardando a nord e a ovest, sognando
le cose al di là dell’orizzonte. Quando era stanco del peso che portava e della
vista della tormentata terra di Gondor, poteva volgere gli occhi verso
l’interno, e ammirare i freschi, bianchi muri della biblioteca che amava, le
porte intagliate al di sotto degli archi di roccia. Tutto questo gli dava
forza, e una pace che non trovava in nessun altro luogo nella città di suo
padre.
Era la
città di suo fratello, ora. La città di Boromir. Appoggiandosi al parapetto e
osservando il fratello, Faramir si domandò di nuovo che significato avessero
per lui i numerosi cambiamenti che erano avvenuti, non ultimo il ritorno di
Boromir.
Ma
l’uomo che occupava così prepotentemente i suoi pensieri, in quel momento era
perso nelle sue meditazioni. Boromir era in piedi con le mani appoggiate al
muro, lo sguardo rivolto all’esterno e il capo leggermente sollevato per poter
sentire la brezza sul viso. A Faramir sembrò stanco e triste, come se il suo
incarico di Sovrintendente non gli desse alcuna gioia. Anche in questo, suo
fratello era cambiato.
“Dunque
Imrahil è un traditore.” Non c’era rabbia alcuna nella voce di Boromir, solo
dolore.
Faramir
rispose con la stessa calma. “Se ti può essere di conforto, non ha mai parlato
di tradimenti o di omicidi, né di usare la violenza per ottenere i suoi fini.
Mi ha chiesto solo di persuaderti a farti da parte. È nostro parente, Boromir,
e ci è vicino nell’affetto come lo è nel sangue. Non posso credere che voglia
farti del male.”
“Eppure
complotta con traditori e cerca di trascinare mio fratello nelle sue
cospirazioni.”
Boromir
rivolse lo sguardo bendato verso Faramir, e il giovane ebbe la spiacevole
sensazione di poter vedere oltre il tessuto nero e leggere il conflitto sul suo
volto. “Ci è riuscito?”
Faramir
si era aspettato questa domanda, ma non riuscì a dire una parola, col viso
tormentato di Boromir davanti a lui. Boromir lo considerò per un momento, poi
si voltò con un sospiro.
“Mi
dispiace, fratello. Per entrambi.”
“Non
sono un traditore, né verso Gondor né verso il suo legittimo Sovrintendente”,
ribatté Faramir.
“Né lo è
Imrahil, secondo la tua opinione. Dimmi, Faramir, qual è stata la tua
risposta?”
“Gli ho
solo promesso che avrei aspettato, osservato, e preso in considerazione le sue
parole.”
Boromir
sembrò raccogliere le forze per affrontare il dolore che lo travolgeva. Le sue
spalle si irrigidirono e sollevò la testa orgogliosamente, ma sul suo viso era
dipinta la sconfitta. “Ti conosco abbastanza bene da capire il senso della tua
risposta.”
“Davvero?”
“Non
deciderai finché non sarai sicuro, e tu non puoi fidarti di me.” Esitò, poi
proseguì, “Non ti sei mai fidato di me, non è vero?”
Faramir
non poté fare altro che restare a guardarlo, ammutolito per il dolore, preso
alla sprovvista dall’improvvisa franchezza del fratello.
“Non ti
biasimo,” continuò Boromir. “Conosci anche troppo bene la mia debolezza, la mia
follia, la mia colpa…Tu solo, in mezzo a tutti quelli che vorrebbero
condannarmi, sai quanto in basso sono caduto. Tu solo hai il diritto di
giudicare.”
“Io non
voglio giudicare mio fratello.”
“Non hai
scelta. Non è nella tua natura ignorare la verità, o evitare il fardello che
devi portare. Imrahil lo sapeva quando è venuto da te e ha piantato i semi del
dubbio nella tua mente. Ha scelto saggiamente il suo giudice.”
“Ha
scelto me perché, come lui, voglio solo proteggere il nostro Re e il nostro
popolo.”
“Forse
io non lo voglio?”
“Sono certo
che tu lo voglia, fratello, ma non sono certo che tu ne sia in grado.”
Boromir
si voltò per fronteggiare il fratello, spostandosi in modo da avere tutta la
sua attenzione su Faramir. “Il mio mandato è sul piatto di una bilancia, si
direbbe. Mio fratello è di fronte a me, pronto a farla pendere da un lato o
dall’altro, offrendomi la Sovrintendenza se io…. Se io cosa? Che cosa devo fare
per avere ciò che mi spetta di diritto?”
“No,
Boromir. Non sono qui per dettare condizioni! E non ho la Sovrintendenza nelle
mie mani!”
“Faramir
il prudente. Sempre modesto e umile. Non sprecare la tua umiltà con me,
fratello, sappiamo entrambi il potere che detieni. Dimmi solo ciò che devo
fare.”
Faramir
studiò i suoi lineamenti contratti per un lungo momento, cercando inutilmente
di leggervi i suoi pensieri. “Vuoi sapere cosa desidero veramente?”, disse
infine.
“Sì.”
“Sapere
cosa ti è accaduto durante il viaggio di ritorno.”
La bocca
di Boromir si contrasse in una smorfia di dolore. “Una storia così piena di
orrore ti aiuterebbe a dormire la notte? O forse cerchi di placare la tua
coscienza per quando mi condannerai di fronte al mio Re?”
“Voglio
solo mettere fine ai miei dubbi, far tacere i sussurri che mi tormentano.”
La
smorfia divenne ancora più dolorosa, e Boromir disse, “Anche io. Ma non certo
ricordando il mio disonore e la mia rovina.”
“Ho
paura, fratello”, insistette Faramir, desiderando che Boromir lo ascoltasse e
lo capisse. “Non riesco a dormire, non riesco a pensare, per la paura che
cresce ogni giorno dentro di me.”
“Paura
di cosa?”
“Di
perderti, come ho perso mio padre, nell’oscurità e nella disperazione.”
“Dunque
è questo che temi? Che io finisca come Denethor?”
“Sì.
Imrahil fa un gran parlare del bene di Gondor, ma io non mi spingo così
lontano. Io non ho paura per Gondor. Ho paura per me, per te, e per il crudele
destino che ti attende, se insieme all’orgoglio di Denethor hai ereditato anche
la sua debolezza.”
Boromir
sembrò osservarlo con attenzione attraverso le bende, poi chinò la testa. “Non
sei il solo. Io stesso a volte mi sono chiesto quanto di Denethor sia in me, e
ho accarezzato l’idea di porre fine alle mie angosce come ha fatto lui.”
Il
dubbio in Faramir si congelò in orrore a queste parole, ma non disse nulla,
lasciando che Boromir continuasse.
“Quanto
io sia figlio di mio padre tu lo sai meglio di chiunque altro, ma c’è una
grande differenza tra noi. E un grande errore nel tuo ragionamento. Io ho già
visitato l’oscurità, ho già provato la disperazione che ha distrutto la vita di
mio padre. Ho dormito in esse, ne ho vissuto, le ho sognate. Ho pianto
per il loro peso, e ho pregato perché la morte mi liberasse. Non c’è più nulla
sull’oscurità o la disperazione che tu o chiunque altro possiate insegnarmi,
Faramir, poiché esse sono le mie costanti compagne.”
“Come lo
erano per Denethor”, disse Faramir.
“No.
Rifletti. Io ho avuto la possibilità di morire - molte possibilità - eppure
sono vivo. Forse vivrò nelle tenebre, ma sono vivo, e l’oscurità non ha più
potere su di me. Non capisci? Io ho fatto la mia scelta, come nostro padre ha
fatto la sua. Io ho scelto di tornare a casa.”
Faramir
sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma non tentò di trattenerle. “Sì, sei a
casa. Ma a che prezzo?”
“C’è
forse un prezzo troppo alto per stare di nuovo sulle mura di Minas Tirith e
sentire la musica delle sue trombe nel vento?”
“Questo
è il fratello che conosco!”
“Io sono
sempre tuo fratello, Faramir, nonostante le cicatrici che porto. Credevo che i
tuoi occhi, i più acuti di tutta Gondor, potessero vedere oltre queste bende,
vedere l’uomo che sono veramente.”
“Non
sono le bende che mi turbano.”
“No? Ti
ho sentito trasalire, quando ti ho preso il braccio.”
Faramir
si costrinse a guardare il fratello dritto in viso, nel suo sguardo celato,
vedendo il dolore che consumava così atrocemente il suo portamento fiero. “Non
è stato per la repulsione o il disprezzo, ma per la sorpresa. Forse per la
pietà. Mi servirà un po’ di tempo per abituarmi alla tua cecità.”
“Anche a
me.”
L’amaro
tentativo di umorismo di Boromir fece salire nuove lacrime in gola a Faramir.
Desiderava disperatamente trovare una qualche connessione con il fratello, un
modo per bandire l’immagine di quello straniero bendato e segnato da cicatrici,
e sentire nel suo cuore che l’uomo che stava davanti a lui era davvero Boromir.
“Sono
felice che tu abbia deciso di ritornare da me, fratello”, disse, con voce più
calma di quanto si sarebbe aspettato. “Vedo come governi la città in assenza
del suo Re, e il mio cuore si gonfia di orgoglio. Penso a tutto quello che hai
sofferto per tornare a casa, e soffro con te. Quando mi parli con la voce di
Boromir, mi rimproveri con i suoi modi bruschi, rifiuti i miei consigli con la
sua arroganza, esulto di averti di nuovo al mio fianco. Ma poi te ne vai,
ritorni ai tuoi strani vagabondaggi, ai tuoi inadeguati amici, alle tue
meditazioni solitarie - e mio fratello scompare. E resta un uomo che non
riconosco.”
Un
leggero sorriso increspò le labbra di Boromir. “La mia arroganza ti rassicura?
Questo è uno strano scherzo del destino. Ora mi rimproveri per il troppo poco
orgoglio, per le compagnie che frequento e i luoghi dove vado, mentre in
passato hai così spesso accumulato rimproveri su rimproveri sulla mia testa per
un eccesso di quello stesso orgoglio. Tu, che hai cercato di cambiarmi tante
volte, ora ti ritrai da me perché ho fatto esattamente quello. Cambiare.”
“Boromir…”
La sua stessa voce lo tradiva, ma Faramir non poteva sopportare in silenzio lo
sfogo del fratello. Boromir non stava urlando, né era adirato. Parlava con lo
stesso tono quieto e pensieroso che aveva usato per tutta la loro
conversazione, ma le sue parole parevano bruciare l’aria tra di loro.
“O sono
troppo orgoglioso o non lo sono abbastanza, o troppo cauto o troppo
vulnerabile. Mi chiedi di parlarti dei momenti più bui della mia vita, eppure
quando mi rivolgo a te per chiederti aiuto, ti ritrai dal mio tocco.”
“Mi
dispiace!”
“Ho
detto che non ti biasimo per i tuoi dubbi, ed è vero. Capisco che hai bisogno
di tempo per abituarti a me, e non ti farò pressioni. Ma se dobbiamo stare
fianco a fianco come fratelli dovrai imparare ad accettare l’uomo che sono
diventato.”
“È tutto
quello che chiedo!” gridò Faramir. “Io voglio conoscerti di nuovo. Voglio
guardarti e vedere Boromir, non un estraneo con gli occhi bendati!”
“Non
posso far scomparire le bende, nemmeno per te.”
“Ma puoi
lasciare che io conosca l’uomo che le porta, come una volta conoscevo mio
fratello.”
“E
come?”
“Parlami
di Orthanc.”
Il viso
di Boromir si contrasse. Non si mosse, ma sembrò volersi ritrarre dal fratello.
“Perché ti interessa tanto saperlo?”
“Quei
momenti oscuri - i più bui della tua vita, li hai chiamati - sono sospesi tra
di noi. Gettano un’ombra su di te che mi è penoso vedere. Per tutta la vita
abbiamo combattuto insieme, come fratelli, inseparabili e invincibili, ma
quando tu hai combattuto la tua battaglia più grande, io non ero accanto a te.
Ora l’ombra è su di te, e io sono solo.”
“Non sei
solo. Sono sempre Boromir, anche se porto cicatrici di battaglie che non
abbiamo condiviso.”
“So che
lo sei. Ma io sono solo e ho paura, e voglio che siamo vicini come eravamo un
tempo, e la fiducia che avevamo l’uno nell’altro che mi ha sostenuto in così
tante prove. Rivoglio mio fratello.”
“Come
posso restituirtelo?”
“Fidandoti
di me.”
“Vuoi
dire mostrandoti le mie ferite.”
“Fidati
di me, Boromir. Non tradirò la tua fiducia.”
Un lungo
silenzio seguì le sue parole. Infine, Boromir sollevò lo sguardo verso Faramir
e domandò, bruscamente, “Nostro padre ti ha detto cosa ha visto nel palantìr?”
“Solo
una piccola parte. Mi… mi ha detto della tua cattura, della tua prigionia.
Della tua tortura per mano di Saruman.”
“La
pietra non ha mentito. Aragorn e io siamo stati portati dagli orchi di Saruman
nei sotterranei di Orthanc, dove siamo stati torturati per il suo divertimento,
e per i suoi scopi traditori. Voleva l’Anello.” Boromir rise senza allegria,
con il viso contratto per la tensione.
“Credeva
che Aragorn glielo avrebbe dato.”
Improvvisamente
Boromir si distolse dallo sguardo severo e compassionevole del fratello, e posò
di nuovo le mani sul parapetto. Reclinò la testa all’indietro per sentire la
brezza. La sua voce si abbassò a un mormorio amareggiato. “Ricordo poco di quei
giorni, a parte l’orrore della voce di Saruman e l’agonia nelle sue mani. Ma
quel sotterraneo è inciso per sempre nella mia memoria.
È un
luogo terribile, Faramir. L’aria è bollente, e così densa che sembra strisciare
sulla pelle. Ogni cosa è di pietra e ferro, e il caldo è soffocante. E le torce
bruciavano sempre. Sempre.” Boromir si sostenne con le mani sul muro, le dita
che scavavano nella roccia spietata, e chinò il capo. “Non le sopporto.”
“Le
torce?”
“E i
muri di pietra, e i suono di passi che si avvicinano… gli stivali degli orchi
fanno un rumore particolare sui pavimenti di pietra. Saruman cammina
silenziosamente, ma non si muove mai senza i suoi orchi, riesco ancora a
sentirli mentre scendono lungo il corridoio…”
Faramir
rabbrividì, come toccato da un improvviso gelo. Per un momento gli parve di
udire il rumore di passi degli orchi in lontananza, e allora capì. “Ecco perché
eviti la Torre”, disse, gettando a Boromir un’occhiata penetrante.
Boromir
annuì. “Ho creduto che sarei morto in quel fetido abisso, circondato da pietra,
e soffocato da fumo e menzogne. Desideravo solo un po’ d’aria fresca per
andarmene in pace.”
“Saruman
ti ha promesso la libertà, se gli avessi detto dove era l’Anello?”
A
Boromir sfuggì un’altra risata priva di allegria. “Che cosa non mi ha promesso?
Ma erano tutte menzogne… menzogne. Così belle e tremende che bruciano come
veleno nelle mie vene, persino adesso. Prima l’Anello, poi Saruman, hanno
versato quel veleno nel mio cuore, fino al punto che non ero più me stesso.”
“Ma non
ti sei perduto, non hai ceduto a quelle menzogne. Come hai potuto resistere?”
“Aragorn.
È stato Aragorn che mi ha dato la volontà di resistere. Non dico la forza,
perché non c’era più alcuna forza in me, solo la certezza del mio dovere, e la
determinazione a seguirlo. Avevo già tradito il mio re e la mia missione una
volta. Non avrei potuto farlo di nuovo e continuare a vivere. E non potevo
aumentare il tormento di Aragorn mostrandomi sconfitto.
Alla
fine… alla fine, forse ho invocato il suo nome. Implorato la sua pietà. Non ne
sono sicuro. Ma lui non poteva sentirmi, e non credo che mi avrebbe biasimato
per la mia debolezza. Non ho tradito né lui né l’Anello, anche quando Saruman
mi ha offerto di rendermi la vista in cambio del tradimento…”
“Che
cosa?!” sibilò Faramir.
“Ha
detto che avrebbe guarito le mie ferite e mi avrebbe ridato la vista se gli
avessi detto dove era l’Anello.”
Un
gemito sfuggì dalle labbra di Faramir. “Non c’è da stupirsi che una tale
menzogna ti perseguiti! Bella e terribile, davvero! Aragorn conosce il
sacrificio che hai fatto?”
“Sì. Ha
fatto anche lui la stessa scelta, prima che toccasse a me. È un re, Faramir, un
vero re, e non poteva fare altro. Avresti preferito che avesse tradito il suo
popolo per me?”
Faramir
scosse la testa, ammirato. “No.”
“Non
fingerò che sia stato facile. A volte, credo che la speranza sia la tortura più
raffinata. Anche quando è una menzogna.” Boromir sollevò di nuovo il capo,
lasciando che il sole gli illuminasse il viso. A Faramir sembrò che stesse
piangendo, ma sulle sue guance non vi erano lacrime. “Il ricordo non mi
abbandonerà mai, anche se corressi per tutta la Terra di Mezzo per fuggirlo. Il
morso della pietra grezza nella mia carne, il fetore delle torce, le atroci
carezze della voce dello stregone, e le visioni… le visioni delle bianche mura
che si innalzavano di fronte a me, scintillanti nella luce, invitandomi a
casa.” Deglutì convulsamente, e sussurrò, “E’ un’agonia che porterò con me per
il resto dei miei giorni.”
“Sei
sicuro che fosse una menzogna?” azzardò Faramir.
“Gandalf
ne è sicuro.”
“E tu ti
fidi del suo giudizio?” Boromir annuì, senza parole. “Allora lo farò anch’io,
anche se mi addolora stare qui senza poter fare nulla.”
“Non c’è
niente da fare. Non posso fare altro che imparare ad accettarlo come meglio
posso, Faramir. Se mi ami, anche tu farai lo stesso.”
“Ci
proverò.”
Qualcosa
di simile a un sorriso apparve sulle labbra di Boromir, poi scomparve rapidamente
come era venuto. Faramir intuì che Boromir aveva esaurito la sua riserva di
forze e di coraggio riguardo quell’argomento, e capì che era il momento di
passare a discorsi meno dolorosi. Cambiando bruscamente argomento, Faramir
disse,
“Mithrandir
mi ha raccontato della distruzione di Isengard, ma non di come sei stato tratto
in salvo. Come hai fatto a fuggire dai sotterranei?”
Stavolta
sul viso di Boromir apparve un sorriso genuino. “Meglio che tu lo chieda a
Merry. Adora raccontarlo, specialmente la parte di Uglùk.”
“Uglùk?”
Boromir
scosse la testa in diniego. “Uglùk dovrà attendere. Della nostra fuga non
ricordo nulla se non una voce - quella di Merry, credo - che mi diceva che
Aragorn era in salvo. Il resto è oscurità… cosa di cui sono grato.”
Boromir
tacque, e Faramir non insistette. Sapeva che suo fratello aveva appena
accennato agli orrori del suo viaggio, ma Faramir era soddisfatto. In quello
sguardo sugli abissi infuocati di Isengard, per quanto orribile, aveva anche
intravisto di nuovo suo fratello. Più che intravisto. Aveva ritrovato Boromir
che lo aspettava al di là delle ombre e delle mura che si era eretto attorno.
Aveva ottenuto ciò che voleva, e non avrebbe messo alla prova oltre la pazienza
del fratello.
D’impulso,
Faramir allungò la mano per stringere il braccio di Boromir. Questi si voltò
verso di lui, con un’espressione interrogativa in viso, e Faramir sorrise.
“Grazie,
fratello.”
“Per che
cosa?” chiese Boromir.
“Per
essere tornato a casa.”
“Mi
avevi già ringraziato per questo.”
“Ma
questa volta so che resterai.”
Boromir
sorrise. Posò la mano su quella di Faramir e la strinse con forza. Aprì la
bocca per parlare, poi sembrò cambiare idea, come colto da un nuovo pensiero.
Con espressione interrogativa disse, “Intendevo chiedertelo, ma me ne sono
dimenticato, in mezzo a tutto quello che è successo. Conosci la storia di
Gilthaethil?”
“Gilthaethil?”
chiese Faramir, sospettoso. “Perché?”
“Si
tratta di qualche leggenda elfica, non è vero? Piena di azioni valorose e
malinconia?”
“Gilthaethil
era una principessa degli elfi della Seconda Era.” Faramir ritrasse la mano da
quella di Boromir e si piantò i pugni sui fianchi, squadrando sospettosamente
il fratello. “Perché lo vuoi sapere?”
“Cercavo
di ricordare se avevo mai sentito quella storia, ma sai che le confondo tutte.”
Sorrise in modo irriverente. “Le principesse degli elfi si somigliano tutte.”
Faramir
emise un suono di disapprovazione, e Boromir rise tra sé.
“Accontentami,
fratello. Siedi con me, una sera, quando la guerra non ci opprimerà così da
vicino, e raccontami la storia di Gilthaethil.”
“Te la
posso raccontare ora, se vuoi.”
“No. Per
le storie elfiche ci vogliono stelle elfiche in cielo. E ora non è il momento
per indulgere a queste cose.”
“Sotto
le stelle, dunque. Ma ti prego dimmi, Boromir, perché questo improvviso
interesse in ciò che hai sempre definito ‘antica spazzatura’?”
“Ho
incontrato alcune delle tue leggende che vagano sotto il cielo della Terra di
Mezzo, e ho imparato alcune cose su di loro. E ora so che sono tanto al di
sopra del mio disprezzo quanto lo sono le stelle in cielo.”
“E
perché proprio Gilthaethil?”
“Ah, è
per Gil.”
Faramir
inarcò le sopracciglia, sorpreso. “Gil? Vuoi dire la sguattera?”
“Sì. Il
suo vero nome è Gilthaethil.”
Sul viso
di Faramir si alternarono disapprovazione e curiosità, facendogli assumere
un’espressione accigliata che lo rendeva straordinariamente simile al fratello.
“Hai forse qualche vana speranza che sia una sorta di elfo vagabondo? O la
discendente perduta di una nobile famiglia?”
Boromir
rise. “No, voglio semplicemente sapere la leggenda.”
Faramir
lo osservò per un momento, poi domandò, “Cosa hai intenzione di fare con lei?”
“Fare
con lei?” la sorpresa di Boromir si tramutò in ironia sardonica. “Ma ovviamente
renderla la Regina di Gondor. Dopo che avrò usurpato il trono di Aragorn avrò
bisogno di una consorte per governare il mio regno.”
“Non sei
divertente.”
“Non ti
preoccupare, fratello. Non intendo fare nulla con Gilthaethil. Lei mi
piace. Ecco tutto.”
“Perché
ti piace? Che cosa può avere una serva priva di famiglia e di cultura, per
piacerti?”
Boromir
meditò la sua risposta con attenzione, pensando attentamente. Infine rispose.
“È onesta, sincera e pratica, senza secondi fini. E senza un briciolo di
commiserazione.”
Faramir
accettò la spiegazione in perplesso silenzio. Non poteva approvare il crescente
affetto di Boromir per una come Gil, ma quel giorno aveva capito che non doveva
giudicare suo fratello dal suo comportamento esteriore. Forse era solo un
effetto del suo attuale stato di esclusione dai suoi pari, della sua lotta per
riconquistare il suo posto tra loro. Forse, una volta che Boromir si fosse
insediato come Sovrintendente, Gil sarebbe ricaduta nell’oblio. O forse la loro
amicizia era più profonda di quanto potesse razionalmente spiegare, e Faramir
doveva semplicemente rassegnarsi. Qualunque fosse la verità, avrebbe aspettato
e osservato. Non aveva la forza di affrontare un altro argomento così delicato,
in quel giorno così denso di rivelazioni.
Boromir
sembrò udire i suoi pensieri. Distese la mano verso di lui, e quando Faramir la
afferrò, disse, “Ritorna alla Torre e dai lord che aspettano. Agisci come
meglio credi. Io non me la sento ancora di ritornare al chiuso.”
“Boromir,
io…”
“Va
tutto bene, fratello. Abbiamo già detto abbastanza per oggi.”
“Quando
Aragorn ritornerà…”
“Tu
dovrai scegliere da che parte stare. Fino ad allora, fai come hai promesso.
Aspetta, osserva, e giudica. Non ti chiedo altro.”
Faramir
gli strinse la mano e si avviò.
“Mandami
Merry”, disse Boromir.
Faramir
annuì, poi gli sovvenne che quel gesto era inutile con il fratello. “Lo farò.”
Poi se ne andò silenziosamente.
*** ***
***
Elenard
guardò il cavaliere spronare il cavallo coperto di schiuma attraverso
l’accampamento. Il rumore di zoccoli e i richiami delle sentinelle lo avevano
svegliato da un sonno inquieto, e ora osservava la notte con occhi spalancati
pieni d’angoscia. L’alba non aveva ancora toccato il cielo, e alla luce morente
dei falò da campo, Elenard non riusciva a distinguere il simbolo sulla divisa
del cavaliere, ma non aveva alcun dubbio sulla sua provenienza. Il grande e
veloce cavallo, e il contenitore di cuoio cilindrico con i suoi sigilli
pendente dalla sua schiena, lo identificavano chiaramente come un messaggero di
Gondor.
Un
messaggero che inseguiva l’esercito nella notte fino quasi a sfiancare il suo
cavallo, per portare un dispaccio al lord Elessar. Per la mente sovraeccitata
di Elenard, potava significare soltanto una cosa. Hirluin lo aveva tradito. Non
era riuscito a scappare, in fin dei conti.
Continuò
a guardare la figura finché non si perse nell’oscurità, poi si coricò di nuovo
sul suo giaciglio e fissò lo sguardo al cielo sopra di lui. Cercava di cogliere
qualche rumore proveniente dall’accampamento - voci concitate, rumori di passi,
qualunque cosa che potesse annunciare l’arrivo degli uomini grigiovestiti dai
visi severi e dagli occhi spietati.
Non
pensò nemmeno alla possibilità di fuggire. Il Sovrintendente Ombra potava
chiamarlo traditore, ma lui non era né un codardo né un disertore. Quando i
Raminghi sarebbero venuti a prenderlo, lo avrebbero trovato insieme ai suoi
compagni d’arme, pronto per la guerra, come si addiceva a un soldato di
Morthond.
Aragorn
camminava avanti e indietro per la tenda incessantemente, con gli occhi
abbassati e le mani unite dietro la schiena. Sentiva che gli altri lo stavano
guardando, in attesa, e la loro preoccupazione che si abbatteva su di lui come
una marea. Imrahil e Éomer, i suoi più valorosi generali. Legolas e Gimli, i
suoi compagni più leali. E Halbarad, la sua fedele ombra grigia. Erano tutti
venuti per apprendere le notizie da Minas Tirith e offrire al loro signore i
loro aiuto e il loro consiglio.
Aragorn
continuò a camminare, mentre Legolas leggeva il dispaccio, tenendo la pergamena
in modo che anche Gimli potesse vederla. Il nano sbuffò per la rabbia, mentre leggeva
le righe vergate con cura, e la sua mano si strinse sul manico dell’ascia.
Imrahil
gli lanciò un’occhiata preoccupata. “Che notizie, mio signore?”
Fermandosi,
Aragorn si rivolse al principe con occhi rannuvolati. “Boromir mi avverte di
una possibile minaccia alla mia vita.”
Solo
Legolas e Gimli, che avevano letto la lettera, non mostrarono alcuna reazione.
Imrahil e Éomer lanciarono un’esclamazione di protesta, mentre Halbarad si
accigliò vistosamente e si avvicinò all’apertura della tenda. Aprì i lembi
dell’ingresso e guardò fuori, come per assicurarsi che all’esterno non vi
fossero sicari in agguato.
“Due
uomini hanno tentato di assassinare il Sovrintendente ieri notte. Sembra che
uno di loro sia riuscito a fuggire e ora sia in marcia insieme a noi.”
Imrahil
impallidì, e il suo viso era teso alla luce della candela. “Il Sovrintendente?
Chi oserebbe alzare la mano contro il Sovrintendente di Gondor?”
Le
labbra di Aragorn si serrarono con rabbia. “Soldati di Morthond.”
Il
Principe imprecò a bassa voce. “E Boromir? Come sta?”
Fu
Legolas a rispondere. “Scrive che sta bene, e che non è stato ferito
gravemente.” Un sorriso apparve per un istante negli occhi dell’elfo, mentre
aggiungeva, “Merry è corso in suo aiuto, e uno degli aggressori è stato
catturato.”
Gimli
prese la pergamena dalle mani di Legolas per studiarla più da vicino. “Secondo
il suo rapporto, il farabutto parla delle stesse sciocchezze che abbiamo
sentito nell’accampamento prima di partire. Superstizioni e paure, trasformate
in bugie traditrici!”
“Sì”,
disse Aragorn, “avrei dovuto prestare più attenzione a quei sussurri notturni.”
Éomer si
fece rapidamente avanti, con il viso carico di rabbia e preoccupazione. “Mio signore,
cosa dobbiamo fare? Non possiamo portare con noi alla battaglia il traditore, e
non possiamo lasciare solo Boromir…”
“Possiamo,
e dobbiamo. Boromir mi ha messo in guardia, affinché nessun tranello mi colga
impreparato, ma non chiede né desidera che io ritorni indietro. Pensaci, Éomer.
Tutto questo,” indicò la pergamena tra le mani di Gimli, “non servirà a nulla,
se Sauron ci sconfigge. Dobbiamo marciare contro di lui e scacciarlo dai
Cancelli Neri, anche se soltanto un pugno di guerrieri coraggiosi verrà con
noi.”
“Non è
un tradimento diffuso”, asserì Halbarad. “I Dùnedain ne avrebbero sentito
parlare tra i soldati.”
“Io ne
ho sentito parlare abbastanza,” disse Legolas, con tranquillità solo apparente.
“Cospirazione
contro il re? E non me ne hai parlato?”
“Ne ho
parlato al re.”
“I
discorsi dei soldati erano contro Boromir, non contro di me,” disse Aragorn.
“Lo ritenevo in grado di affrontare qualunque problema sarebbe sorto, e
chiaramente è quello che ha fatto. Mi garantisce che la città è sicura, il
popolo non è a conoscenza della minaccia che incombe sul suo Sovrintendente, e
la situazione non è preoccupante.”
“Ma cosa
ne sarà di te?” gridò Éomer. “Il sicario ora è nascosto in mezzo al tuo
esercito!”
Aragorn
riflettè per un momento, poi scosse le spalle. “È improbabile che tenti
qualcosa contro di me. E se lo fa, noi saremo pronti.”
“Se gli
uomini di Morthond proteggono quel traditore, allora io dico che la Duinhir
deve trovarlo! Lasciamo che sia lui a pensare ai suoi uomini…”
“Pace,
Éomer.” Aragorn si rivolse a Imrahil e disse, “Tu conosci bene Duinhir, vero?”
“Sì, mio
signore. Pensi che ci sia Duinhir dietro questo vile atto? Non posso crederlo.”
“Non lo
so, ma sono d’accordo con Éomer. Il signore di Morthond dovrà rispondere di
molte cose. Conducetelo da me quando ci accamperemo stasera, e saprò la verità.
E ora, miei signori, dobbiamo prepararci a marciare. Andate alle vostre tende.
Imrahil
e Éomer se ne andarono, ma Halbarad restò indietro.
“Con il
tuo permesso, Aragorn, manderò i miei Raminghi tra i soldati per raccogliere
informazioni. Possono passare inosservati e silenziosi, e gli uomini in loro
presenza diranno cose che non rivelerebbero mai davanti ai loro ufficiali.”
Aragorn
annuì.
“E
raddoppierò la tua scorta durante la marcia.”
“Come
vuoi, Halbarad. Pensaci tu.”
Il
Ramingo uscì dalla tenda, lasciando soli Aragorn, Gimli e Legolas. Nessuno si
mosse o parlò fino a quando le voci delle sentinelle furono svanite nel
silenzio e i passi di Halbarad si furono allontanati nell’accampamento. Poi
Legolas si mosse. Prendendo la pergamena dalle mani Gimli, la arrotolò con cura
e la ripose nel cilindro di cuoio.
“Non hai
intenzione di dire loro il resto?” domandò.
“No.”
“Mi
rifiuto di credere che chiunque dei presenti stanotte possa agire contro di
te.”
Gimli
ringhiò, “Coloro che ti sono più vicini, ha detto Boromir. E chi, a
parte noi, è più vicino al re di quei tre uomini?”
Aragorn
ricominciò a camminare. “Vorrei che Boromir fosse stato più esplicito.”
“E
rischiare che il dispaccio venisse letto da tutti i presenti nella tenda?”
Legolas alzò le sopracciglia meravigliato. “È troppo esperto per farlo. Ti ha
detto tutto quello che poteva, sono pronto a garantirlo, e come lui stesso dice,
non ha prove del tradimento, solo voci e sospetti. Non puoi condannare un uomo
per questo.”
“No.
Capisco il motivo della sua cautela, eppure avrei voluto sapere di più. Vorrei
avere solo un nome - solo un traditore - su cui mettere le mani!” Protese le
mani come per afferrare qualcosa, e ringhiò, “Giuro che qualcuno pagherà per
questo!”
Legolas
lanciò un gelido sorriso a Gimli e mormorò, “Il nostro re ha bisogno di una
spada in mano e di una battaglia da combattere.”
“Sì”,
disse il nano, “ne troveremo una, molto presto.”
Aragorn
abbassò le mani. La rabbia nei suoi occhi svanì nella sua solita grave
pensierosità.
“Finché
non troveremo il nostro nemico, dovremo essere cauti. Solo noi tre conosciamo i
sospetti di Boromir, e così deve rimanere.”
“E se
Imrahil o Halbarad stanno complottando contro il Sovrintendente?”
Aragorn
sorrise a Gimli. “Noto che non hai incluso Éomer nella lista.”
Gimli
rise. “Éomer non farebbe mai del male a Boromir. Anzi, io credo che quando
troveremo il traditore, sarà difficile impedire al Re del Mark di farlo a
pezzi!”
Il
sorriso del Ramingo si allargò. “Forse glielo lascerò fare. Andiamo, è tempo di
svegliare lo hobbit e di preparaci per la marcia.”
“Non hai
risposto alla domanda di Gimli,” osservò Legolas.
“Che
cosa dovrei dire? In questo momento ho bisogno di tutti i miei alleati, almeno
finché hanno coraggio abbastanza per impugnare le armi contro il Nemico. Quando
avremo finito di combattere, allora il veleno uscirà allo scoperto, e i
traditore sarà rivelato. Allora, se sarò ancora vivo per respirare la dolce
aria della Terra di Mezzo, punirò coloro che hanno osato fare del male al mio
amico.”
Il suono
delle trombe fece sobbalzare Elenard sul suo giaciglio, costringendolo ad
alzarsi in piedi. L’alba rischiarava il cielo, e tutto attorno a lui,
l’accampamento si svegliava. Obbedendo ai familiari richiami dei corni si
affrettò a smontare il campo e a raccogliere la sua attrezzatura, ma per tutto
il tempo i suoi occhi esaminarono i soldati attorno a lui.
Non
c’era nulla di allarmante - nessuna guardia in nero e argento, nessun Ramingo
con la spada sguainata. I suoi ufficiali si muovevano come al solito tra gli
uomini, spronandoli ad affrettarsi e gridando ordini al di sopra del frastuono.
Elenard vide un solo estraneo in mezzo a loro. Una figura solitaria che passava
tra i falò da campo, apparentemente intenta al suo lavoro eppure senza fretta.
Si avvicinò al falò di Elenard, e l’arciere poté osservarlo bene. Per un
terribile momento pensò che l’uomo lo avesse riconosciuto, ma i suoi occhi
passarono indifferenti sul suo viso, e continuò il suo cammino senza fermarsi.
Elenard
si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, mentre si voltava e riprendeva la
sua attività. Nonostante tutto sembrava che il destino gli sorridesse ancora.
Non era stato scoperto. Non sarebbe finito nei sotterranei di Minas Tirith.
Avrebbe avuto la possibilità di morire da soldato.
Mettendosi
lo zaino sulle spalle e prendendo le armi, Elenard prese il suo posto nella
lunga fila di soldati. Le trombe suonarono un richiamo familiare, e, con la
testa alta e un sorriso sulle labbra, Elenard cominciò a marciare.
*** ***
***
“Sei
pensieroso, mio signore, e più silenzioso del solito.”
La voce
ridestò Faramir dalla sua fantasticheria, e voltandosi, vide la donna seduta
accanto a lui. Era illuminata da un raggio di sole che trasformava i suoi
capelli in oro liquido, e donava un tocco di colore alle sue gote pallide.
Sullo sfondo del verde del giardino, scintillava come una lama lucente,
bellissima e terribile. Ogni volta che Faramir guardava la dama Éowyn, era
sempre colpito dalla sua bellezza e dalla sua tristezza.
“Perdonami,
mia signora.” Sollevò la mano di lei e la portò alle labbra. “In tua compagnia
dovrei essere sempre lieto.”
“Che
cosa ti turba?” chiese lei.
Il
dolore che la sua voce aveva momentaneamente bandito cadde su di lui
nuovamente, mentre rispondeva, “Mio fratello.”
Éowyn lo
osservò con gravità, senza mostrare nel suo sguardo né comprensione né
rimprovero. “Hai condiviso con me una parte dei tuoi dubbi, abbastanza perché
io sappia che temi sia per lui che per il vostro popolo.”
“Sì, ma
ora non stavo pensando a Gondor.” Distolse lo sguardo dalla sua gelida
bellezza, incapace di sopportarla con un cuore così pieno di angoscia. “Solo a
Boromir. Il suo destino mi addolora.”
Un
pesante silenzio seguì le sue parole, rotto da Éowyn, che disse, con voce ferma
e tranquilla, “Non è mio compito dirti il tuo dovere verso tuo fratello e il
tuo paese, mio signore, ma devo parlare.”
“Istruiscimi
come credi, dama. Ascolterò volentieri quello che mi dirai.”
“È molto
semplice. Il lord Boromir è un uomo d’onore. Non mi sentirai mai parlare male
di lui o mettere in dubbio la sua capacità di governare Gondor al posto del
Re.”
Faramir
la osservò con meraviglia, commosso dalle sue parole e dalla luce nei suoi
occhi, che non le aveva mai visto prima di allora. “Parli in questo modo di mio
fratello anche se lo conosci appena?”
“Non
conosco i suoi pensieri, ma so di che fibra è fatto. È tutto onore, dovere,
grandezza di spirito. L’ho visto guarire da ferite che quasi gli sono costate
la vita, per seguire il suo re fino alla minaccia di Mordor. Ho cavalcato nella
tempesta al suo fianco, insieme all’ holbytla, e l’ho visto rinunciare
al conforto della compagnia di Merry piuttosto che fare rompere al piccolo il
suo giuramento al Re Thèoden. Nessuno di loro voleva quella separazione, che
significava un grave pericolo per entrambi, ma l’onore e il dovere lo
richiedevano. L’ holbytla, inesperto dei nostri usi, avrebbe messo da
parte il suo giuramento per amore del suo signore, ma Boromir non ne ha voluto
sapere. Per merito di Boromir, Merry ha combattuto al mio fianco sui campi di
Pelennor, e insieme abbiamo sconfitto il Re degli Spettri.”
“Boromir
ha rinunciato alla battaglia, lasciando una fanciulla e un mezzuomo a
combattere da soli? Non è cosa da mio fratello.”
“Ha
rinunciato alla sua possibilità di ottenere la gloria sul campo di battaglia,
per portare la sua spada e la sua saggezza a casa, a Mundberg, dove ce ne era
più bisogno. Io non sono come lui. Non potevo abbandonare la battaglia, eppure
so che ciò che ha fatto è giusto e saggio, e del tutto onorevole. E lo ammiro
tantissimo per questo.”
Faramir
restò seduto in silenzio, soppesando le sue parole. Éowyn non si intromise nei
suoi pensieri.
Infine,
Faramir sollevò il capo e la guardò. “Ti ringrazio per la tua franchezza, mia
signora. Mi hai dato molto a cui pensare.”
“Se vuoi
saperne di più sul Lord Boromir, su quello che ha nel cuore, parla con l’holbytla.
Hanno viaggiato insieme per tutta la strada da Imladris, e il loro affetto è
incrollabile.”
“L’ho
già fatto. Merry è altrettanto eloquente nel difendere mio fratello come tu lo
sei nell’elogiarlo.”
Di nuovo
Faramir si perse nei suoi pensieri. Ripensò a tutto quello che gli era stato
detto dal giorno in cui Boromir era tornato, e notò che nessuno che avesse
viaggiato con Boromir, nella Compagnia o dopo, aveva mai detto male di lui. Non
il fedele hobbit, né l’elfo, né il nano, né Éowyn, né Aragorn stesso. Aragorn
era passato attraverso le fiamme e la sofferenza di Orthanc accanto a Boromir,
e ora gli riconosceva ciò che gli spettava per diritto di nascita senza alcuna
esitazione.
“Aragorn
lo ha scelto”, riflettè Faramir.
“Sì, e
chi potrà contraddire il Re?”
“Io ero
pronto a farlo. Ma ora…”
Esitò, e
Éowyn insistette, gentilmente, “Ora, mio signore?”
“Ora
conosco parte di ciò che gli è accaduto, e comincio a comprendere. Comincio a
vedere attraverso i suoi occhi, almeno in parte.”
Éowyn
quasi sorrise, o almeno era la cosa più simile a un sorriso che Faramir le
avesse mai visto in viso. “Una strana scelta di parole, mio signore.”
“Ma
adatta. La sua visione del mondo non è piacevole, né priva di dolore, e non
posso dire che mi sia congeniale.”
“C’è
forse qualcuno di noi che può guardare al mondo senza dolore, in questa ora?”
Faramir
scosse la testa, e, senza rendersene conto, lasciò correre il suo sguardo verso
Est.
Quando
il Re ritornerà, tutto sarà guarito”, mormorò Éowyn, riflettendo la sua
speranza inespressa.
Faramir
la guardò e sentì la sua bellezza che lo trafiggeva. “C’è una cosa che mi ha
detto Merry,” mormorò, “Ha detto che Aragorn mi ha salvato dall’ Ombra. È stata
la voce del re che mi ha riportato indietro, ma sei stata tu, dama, a guarire
il mio cuore.”
Èowyn
chinò il capo per sottrarsi al suo sguardo. “Anche io sono stata riportata
indietro dalla sua voce, ma non ho ancora trovato la guarigione.”
“Verrà
col tempo. E con la speranza, io credo.” Restò in silenzio di nuovo,
pensieroso, poi mormorò, “Non si può affrettare la guarigione. Ci vuole tempo.”
Un
improvviso, brillante sorriso gli illuminò il viso, e Faramir afferrò la mano
di Éowyn, portandola alle sue labbra in gesto di saluto. “Ti ringrazio, dama!
Mi hai istruito meglio di quanto tu non immagini!”
Éowyn
non ritirò la sua mano. “Mi basterebbe avere rasserenato il tuo cuore, mio
signore.”
“Lo hai
fatto.” Le baciò di nuovo la mano e sorrise ai suoi occhi solenni. “Anche in
questa ora così oscura, mi hai dato speranza.”
*** ***
***
Il
settimo giorno di attesa albeggiò, freddo e uggioso. Tutti gli occhi della
città erano rivolti a est, verso i pericoli a cui andavano i suoi signori, i
suoi capitani e i suoi valorosi soldati, e tutti i cuori erano grevi.
Alcuni
osservavano l’Ombra con l’aria di conosce molte cose, calcolando le leghe che
separavano la Torre di Guardia dal nemico, e gridavano, “Ormai avranno
raggiunto il Cancello Nero! Certo oggi giungeranno notizie!” Altri, misurando
la distanza, scuotevano la testa, e dicevano, “No, non possono essere arrivati
così presto. C’è ancora tempo. Non tutto è perduto.”
Il sole
salì lentamente nel cielo. Una sensazione di attesa e di timore crebbe nel
popolo di Minas Tirith, e sebbene la gente si ripetesse che quello era un
giorno proprio come tutti gli altri, la paura cominciò a pesare su di loro,
fino a quando tutte le attività della città si interruppero. La gente rimase in
piedi in mezzo alle strade o sulle mura, guardando verso est, sforzandosi di
cogliere un qualche bagliore di elmi o lance, anche se sapevano che ormai
l’esercito era troppo lontano perché potessero vederlo. L’ora del loro destino
gravava pesantemente su di loro.
Nel
momento in cui il sole raggiunse lo zenit, il vento cessò all’improvviso, e
l’aria stessa sembrò restare sospesa, pronta a qualche evento. Un teso silenzio
carico di aspettativa cadde su tutta la terra. Tutti gli occhi erano rivolti
alle Montagne dell’Ombra in lontananza, e tutte le voci tacquero.
In
quella timorosa immobilità si udì un rombo basso e minaccioso. Una enorme massa
di fumo nero si innalzò nel cielo, espandendosi fino a nascondere il sole,
perforata a tratti da fulmini e lingue di fuoco. Ogni cuore a Gondor tremò,
ogni respiro cessò, e fu come se la città rabbrividisse sul suo alto seggio. Le
mura tremarono. La torre fu scossa. Poi, con un sospiro, Minas Tirith riprese a
vivere.
In tutta
la città, uomini e donne levarono lo sguardo al cielo increduli. Perché dalle
terribili tenebre cominciò a soffiare un vento freddo, e portata dal vento
giunse una figura alata, dal cuore dell’Ombra. Era una grande Aquila, e le sue
ali erano grandi e possenti quanto le montagne che l’avevano vista crescere.
Mentre volava in circolo sopra la città, gridò con voce chiara,
Cantate
ora, gente della Torre di Anor,
perché
il Regno di Sauron è finito per sempre,
e la
Torre Oscura è crollata.
Cantate
e gioite, gente della torre di Guardia,
perché
non fu vana l’attesa,
e il
Cancello Nero è spezzato,
e il
vostro Re l’ha varcato,
ed
egli è vittorioso.
Cantate
e godete, voi tutti Figli dell’Ovest,
perché
il vostro Re tornerà,
e
abiterà con voi per sempre,
tutti
i giorni della vostra vita.
E
l’Albero appassito rifiorirà,
ed
egli nei luoghi alti lo pianterà,
e la
Città sarà benedetta.
Cantate
quindi, o gente!*
Elenard
udì la voce dell’Aquila mentre volava verso Ovest sul campo di battaglia. Era
in piedi in mezzo ai caduti, con la spada macchiata di sangue che pendeva
inerte al suo fianco, e osservava il messaggero della vittoria. Si sentì
pervadere da una gioia selvaggia, e sollevò la sua arma, scuotendola e gridando
la sua esultanza. Ma in quello stesso momento fu colto da un improvviso, gelido
terrore. Aveva scommesso tutto sulla certezza che sarebbe morto onorevolmente,
combattendo il Nemico, e facendo ammenda per il male che aveva commesso, per
quanto neccessario. Ma l’esercito dell’Ovest aveva vinto, il Re sarebbe
ritornato a Minas Tirith dal suo Sovrintendente Ombra, e Elenard avrebbe dovuto
marciare con lui. Verso un altro genere di morte. Cadendo in ginocchio sul
campo, Elenard chinò il campo e pianse per la vergogna.
Hirluin
udì la voce dalla sua buia cella sotto la Torre di Guardia. Si precipitò verso
la porta sbarrata, ascoltando la musica distante, e sorrise attraverso un velo
di lacrime. Non faceva alcuna differenza per lui che il Re Gemma Elfica avesse
sconfitto il Nemico. Era condannato in ogni caso. Ma ripensando alle fresche
foreste e a dolci pascoli del suo paese, e ai suoi figli che correvano liberi
sotto il cielo sereno, al sicuro dalla schiavitù e dalla minaccia di Mordor,
pianse per la gioia.
Faramir
udì la voce mentre era insieme a Éowyn sulle mura della città. Il suo cuore si
gonfiò di una felicità troppo profonda per essere espressa a parole. Lacrime
bagnarono le sue guance. I suoi occhi scintillarono come la luce di Nimloth
alla prima alba del mondo. E accanto a lui stava la Bianca Dama di Rohan, con
la mano nella sua, i suoi chiari capelli mescolati ai suoi nel vento. Mentre
l’Aquila passò sopra di loro, gettando la sua ombra sui loro visi, Faramir si
voltò verso Éowyn, e, in piena vista della città in festa, la baciò sulla fronte.
Merry
udì la voce e si avvicinò a Boromir. Erano nella Corte della Fontana, dove
erano rimasti in attesa tutta la mattina, e ascoltavano in silenzio il canto di
vittoria. Quando l’Aquila ebbe finito, Merry sospirò e rivolse gli occhi velati
di lacrime all’amico. Boromir non si mosse né parlò, ma Merry vide che tremava
per la violenza dell’emozione.
Lo
hobbit mise la sua piccola mano in quella dell’uomo, e rivolse nuovamente lo
sguardo a est, verso la torbida oscurità che segnava la fine del potere di
Sauron.
“Ce l’ha
fatta,” disse Merry. “Ha distrutto l’Anello.”
“Frodo…”
“La
missione non è fallita.”
Con una
rapidità che sorprese lo hobbit, Boromir si inginocchiò accanto a lui e lo
strinse in un fiero abbraccio. Merry si strinse a lui, con le lacrime che
cominciavano a scorrergli sul viso, e all’improvviso fu enormemente felice che,
tra tutte le creature della Terra di Mezzo, ci fosse proprio quell’uomo con
lui, al momento della vittoria.
“L’Anello
è stato distrutto”, mormorò Boromir.
Merry
rise, pieno di gioia. “E il Re ritorna a casa!”
Continua…
* Da Il
ritorno del Re, capitolo Il Sovrintendente e il Re.
[if !supportEmptyParas] [endif]