Quella
notte la ricarica di Tarn fu scossa da incubi infiniti e striscianti.
Oscillanti tra il grottesco e il tremendamente vero.
Nei
suoi sogni il leader della DJD si trovava ancora a varcare la soglia di
quell’ospedale maledetto, a scappare dai balordi che lo
avevano insidiato e non
per ultimo la trappola mortale all’interno di quel dannato
ascensore. Sentì nel
sonno il dolore lancinante che quella belva senz’anima gli
aveva provocato al
braccio destro, forse dovuto al post operazione per riattaccarglielo,
vedendo
ancora il suo sguardo allucinato moltiplicarsi in tanti segmenti da
riempire
tutta la cabina putrescente.
Facce
senza occhi dilaniate dai suoi colpi di cannone a fusione; viscere come
tentacoli uncinati che cercavano di coglierlo alla gola per strappargli
via la
scintilla dal petto; un caos strisciante e mortifero che gli percorse
tutti i
circuiti cerebrali non dandogli praticamente tregua neppure quando si
svegliò
di soprassalto.
Il
suo sguardo di fuoco si stagliò nel buio opprimente della
camera privata che
usava solitamente per dormire come gli occhi di un demone inferocito,
sentendo
l’intero corpo percorso ancora da tremori istintivi per
quello che il suo
processore neurale gli aveva fatto vedere durante quei sogni nefasti e
tutt’altro
che reali.
La
sua missione nella stazione medica Relay non era stata una passeggiata,
sia a
livello fisico che psicologico. E questo ultimo dettaglio era per lui
qualcosa
di oltremodo frustrante… perché significava che
una parte del suo “io” attuale
era ancora irrimediabilmente legata al passato.
Come
Damus aveva speso buona parte della propria giovinezza a vivere nella
paura di
essere scoperto come un outlier sconosciuto al consiglio del senato
– il cui
potere all’epoca poteva permettere solo di fermare macchine
non senzienti a
discapito di immenso stress psicofisico, in quanto non possedeva ancora
un
fisico adatto a padroneggiare un simile dono –ma come Tarn
credeva ormai di
aver lasciato alle spalle una paura
che si ostinava, nonostante tutto, a provare in modo istintivo.
A
fatica si alzò dalla proprio cuccetta, preda ancora
dell’effetto di medicine
pesanti ma necessarie, strisciando i piedi nel buio della propria
stanza fino a
raggiungere quello che era il suo bagno di servizio personale.
Necessitava di
darsi una occhiata allo specchio per sincerarsi in che condizioni
fosse, ma
forse non fu una delle idee più brillanti per quella sera.
Seppur
accese la luce dentro quell’ambiente piccolo ciò
che lo investì fu un colore
grigio e spento provenire dalle lampade sopra la sua testa, lasciando
che le
ombre avanzassero verso di lui come fiamme oscure. Perdendo tempo nel
mentre
che cercava di mantenersi in equilibrio con solo i suoi occhi rossi a
rappresentare l’unico cenno di colore in quel mondo monocrome.
Ma
fu solo nel raggiungere il tanto agognato specchio che qualcosa
andò
irrimediabilmente a puttane quando
osservò attentamente il proprio riflesso con occhi stanchi e
appannati. Ciò che
vedeva tra quelle fiamme nere e grigie non era più il suo
volto – contraddistinto
da una cicatrice non curata sul lato sinistro – che si
toccò ripetutamente con
la mano sinistra non credendo a ciò che vedeva…
ma quello di un lord Megatron redivivo
e sorpreso quando lui di osservare ciò che non era veramente.
Tarn
stava vacillando. Sia di corpo che
di
spirito, e con tutta probabilità c’entrava sia lo
stress accumulato da dopo
quella tediosa missione – in aggiunta al tradimento di
Megatron stesso – sia il
quantitativo di medicine che Nickel gli aveva iniettato per tenerlo
buono. Ed
ora il risultato di tutto quell’ammontare di disavventure si
stava
materializzando di fronte a lui separato solo dal lavandino incassato
nel muro
metallico.
Il
picco di assurdità si toccò quando quel Megatron
fittizio prese una propria
coscienza e cambiò la propria espressione facciale in una
più consona a quella
che Tarn meglio conosceva. Uno sguardo truce e torvo come quello di chi
si
apprestava a mietere la propria falce su chi aveva avuto
l’ardire di
disobbedirgli.
Il
leader della DJD aveva già visto altre volte quello sguardo
assassino sul volto
del suo ormai ex signore, e ogni volta che appariva per il povero
sciagurato
che aveva davanti significava avere una sua grande mano attorno al
collo che
iniziava a stringere forte. Proprio come stava accadendo a lui in quel
momento
preciso.
L’inquisitore
registrò appena lo scatto meccanico e totalmente alieno con
la quale Megatron
avanzò un suo braccio al di là dello specchio per
agguantare il collo del suo
sottoposto insoddisfacente, trovando che quella presa fosse
dannatamente vera e
dolorosa per essere solo una allucinazione.
Poi
la voce del suo signore gracchiò con suono metallico, come
se giungesse
dall’afterspark o dagli abissi dell’inferno,
iniziando a parlare nell’esatto
momento in cui il suo volto iniziò a sciogliersi mostrando
sempre di più
l’endoscheletro sottostante.
Una
tortura a cui Tarn non poté sottrarsi, sentendosi la scatola
vocale stretta da
quella ferrea presa e lo sguardo colmo di primordiale e silenziosa
paura.
“lei
è morta… hai fallito! Te
l’avevo promesso che sarei tornato a prenderti…
tutto ciò che hai fatto… la tua
miserabile vita… l’hai vissuta per
niente!”
Voleva
gridare ma non gli era concesso farlo. Voleva smettere di avere paura
ma stava
letteralmente andando in iperventilazione portando le ventole interne a
surriscaldarsi da tanta che era la loro attività. Non voleva
svenire, ma fu ciò
che fece quando la sua psiche non resse più a quelle
immagini che si fecero
sempre più frammentarie e disturbate. Rovinate come quelle
di un computer che
faticava a ricevere dati.
Si
riprese poco dopo, con le ginocchia affossate nel pavimento metallico
del
bagno, sentendo un gran fischio ronzargli nella scatola cranica e
avvertendo
ancora dolore fisico causato da… se stesso.
Le
mani che gli avevano cinto il collo fino a quel momento non
appartenevano a
Megatron, ma erano le sue medesime appendici che avevano cominciato a
stringersi attorno ai cavi della parte superiore del suo corpo preda di
allucinazioni
inesistenti. Ed ora che era inginocchiato davanti al suo specchio
poteva ben
vedere a che punto era il livello di presunta pazzia che stava toccando.
Con
un ringhio carico di rabbia repressa si alzò finalmente in
piedi, abbandonando
una espressione facciale sconvolta per una più simile al
Tarn che era ora, e
non al Damus che era stato un tempo. Lasciò che la rabbia
seguisse i suoi
lineamenti facciali nel mentre che insisteva nel suo riflesso ambrato
sullo
specchio del bagno – le luci erano tornate al consueto colore
giallo/arancione
una volta che quella brutta allucinazione era finita –
concludendo quella
visione tutt’altro che rilassante con un pugno
che infranse quella lucida superficie in tanti segmenti ognuno dei
quali
raffiguranti il volto deturpato dell’inquisitore. Tasselli di
un mosaico che si
sciolse a terra solo quando Tarn si decise a ritirare il proprio pugno
per
riportarlo lungo il fianco destro – constatando, tra
l’altro, che la
riparazione era andata a buon fine visto il perfetto funzionamento del
braccio –
e decretando che, promessa o meno, era arrivato il momento di
affrontare la
fonte di tutti i suoi problemi.
C’era
un silenzio surreale all’interno della Paceful Tyranny. Se
dall’esterno non
giungeva nessun suono di meteoriti che andavano a schiantarsi contro lo
scudo
dello scafo – lasciando che il vuoto siderale cullasse il
viaggio di una nave
diretta verso Messatine, una sosta obbligata per leccarsi le ferite e
fare
rifornimento – per i corridoi bui della nave decepticon era
unicamente
possibile udire due cose. Il ronzio delle poche lampade di servizio che
illuminavano la strada che Tarn stava percorrendo lentamente, e i lenti
passi dell’inquisitore
capo dal volto ora coperto dalla sua consueta maschera. I suoi occhi
vermigli
brillavano nel buio opprimente di quei corridoi deserti come quelli di
una
falena attirata dalla luce delle fiaccole circostanti, solo che la
fiaccola di
Tarn era piuttosto distante dai suoi appartamenti privati.
Sotto
la copertura di quell’artefatto metallico che portava spesso
in volto, raccolto
dal tavolino accanto alla sua cuccetta, era finalmente riuscito a
riacquisire la
compostezza e sicurezza che gli spettavano di diritto –
sentendosi nuovamente
padrone di se stesso e della rabbia che stava nutrendo in petto
– per quanto i
suoi propositi per quella notte fossero tutt’altro che nobili.
Nel
silenzio di una nave dormiente – comandata unicamente dal
pilota automatico
impostato – i suoi unici passi suonavano glaciali
così come i suoi intenti una
volta che raggiunse l’infermeria del suo incrociatore. Ed una
volta raggiunto
un luogo anche quello illuminato da ben poche lampade ambrate non
dovette
cercare a lungo prima di riuscire a trovare Natah nella zona delle
degenze.
La
ragazza era ancora sotto gli effetti dei sedativi, immersa in una
quiete
artificiale e illuminata unicamente da una tenue lampada posta sopra la
sua
testa. Ignara dell’ombra inquietante che calò su
di lei indugiando, nello
sguardo di fuoco, su quelle mani conserte al ventre e a ciò
che nascondevano.
Una
scelta questa dettata sia per tenerla buona – e dunque di
riposarsi meglio
prima di dover affrontare una dura realtà – sia
per questioni mediche per
tenere sotto controllo la situazione sua e dello sparkling che portava
in
corpo.
Il
lato sinistro della branda occupata dalla donna era impegnato da vari
macchinari che servivano per monitorare la sua attuale condizione
fisica e quella
del figlio non ancora nato – un’altra prova di come
la pignoleria di Nickel
fosse seconda solo a quella del suo signore – mentre il lato
destro era
unicamente impegnato dall’anziana levatrice di Shockwave
intenta a dormire su
una sedia metallica. A quanto pare l’anziana femme non aveva
voluto abbandonare
il capezzale della loro nuova ospite forse anche a causa di quella
gestazione
che nessuno si aspettava, rimanendole accanto per assisterla in caso di
necessità.
Un
nobile pensiero da parte sua, in netto contrasto all’attuale
pensiero di Tarn
che, con sguardo praticamente allucinato, nel silenzio opprimente di
quella
stanza – interrotto solo dai lievi “bip”
delle strumentazioni mediche – allungò
con tutta calma una mano verso il collo della sua ignara vittima una
volta che
fu abbastanza vicino per farlo.
Ciò
significò essere praticamente a pochi centimetri da una
anziana donna
apparentemente affossata in una ricarica senza sogni, e forse fu questo
l’errore principale nel far fallire fin dal principio un
piano folle e
autolesionista. Natah aveva sulle sue spalle un mare di colpe che la
sola lista
personale del leader degli inquisitori decepticons non sarebbe bastata
per
elencarle tutte – non per ultimo averle mostrato che sotto
quella maschera si
celava un comune mortale anziché un leader temuto e
rispettato – e poco gli
importava ormai se gli ordini che gli erano stati dettati parlavano di
ben
altro. Ma nel mentre che indugiava a stringere ulteriormente le proprie
dita
artigliate attorno a quel collo delicato non si aspettò di
sentire il rumore di
una sicura che scattava e la ben più inquietante presenza di
una canna contro
il suo costato sinistro.
La
vecchia si era svegliata, oppure aveva fatto finta fin dal principio di
riposare, non curandosi affatto che quello a cui aveva puntato la canna
del
proprio blaster – nascosto in precedenza chissà
dove – era nientemeno che il
leader della Decepticon Justice Division. E se con la mano destra
continuava a
tenere sotto tiro un inquisitore dallo sguardo di fuoco, con
l’altra teneva ben
stretta tra le dita quello che sembrava essere un sintetizzatore vocale
portatile. Un oggetto di norma usato da chi aveva seri danni alla
scatola
vocale – così come erano soliti fare i tabagisti
incalliti dalle corde vocali
ormai corrose dai fumi tossici – e che lesta usò
contro i cavi della propria
gola producendo una voce metallica e gracchiante pantomima di qualsiasi
essere
vivente generato dal creato.
“Tzk…
immaginavo che l’avresti fatto. Voi uomini siete un libro
aperto quando si
tratta di emozioni, a discapito di quel che volete far credere a
tutti”
C’era
una nota di ironia in quella vocina gracchiante e anonima, frutto di un
processore vocale che sintetizzava i gorgoglii insensati di una anziana
femme
ormai impossibilitata a parlare, qualcosa che decisamente
l’inquisitore non
poteva sopportare di sentire o tollerare.
“Vecchia…
attenta a chi punti quell’affare” fece gelido lui,
continuando a guardarla di
sottecchi e tenendo ben salda la sua presa su una donna ignara
“evita di intrometterti
in faccende che non ti riguardano!”
Lo
disse quasi ringhiando – pur mantenendo la voce bassa come se
avesse timore di
svegliare Natah – ma ciò che ottenne fu solo la
canna della pistola premuta con
più decisione contro la sua armatura. Come se si trattasse
di un ultimo
avvertimento.
“non
credo che Megatron volesse questo dalla sua compagna… men
che meno da te”
“Megatron
ci ha traditi per lei! Per una autobot!” la voce di Tarn si
fece per un momento
incerta, distrutta da un sentimento che non riusciva a nascondere come
voleva,
deciso a non voler dar ragione a quella vecchia impudente
“con che coraggio ora
vuole che faccia da cane da guardia anche alla sua donna?!”
“perché
si tratta di un suo ordine, ecco perché. E prima ancora che
tu me lo chieda
rispondo: se Megatron ha deciso di sciogliere i decepticon
avrà avuto le sue buone
ragioni… due di queste
sono proprio accanto a te; l’altra è
l’esistenza
della tua divisione di boia legalizzati… E io non discuto
certo i suoi ordini”
Calò
un silenzio carico di tensione all’interno della stanza
semibuia, e ciò
successe ancor prima che l’anziana ciclope avesse concluso la
sua tediosa
ramanzina, lasciando l’imponente mech solo con i propri
infausti pensieri.
Per
Tarn era difficile dare ragione a quella dannata megera, tanto criptica
quanto
sincera nel porgergli una verità scomoda in modo schietto e
diretto, eppure non
poteva fare a meno di rimuginare su quelle parole per stemperare la
foschia di
terrore che ammorbava i suoi pensieri.
Che
cos’era ormai diventato l’esercito decepticons se
non un ammasso di criminali di
ogni genere a cui lui e il suo gruppo dava la caccia a tempo pieno?
Quando era
stata l’ultima volta che la lista si era dimezzata
anziché prolungata? Una vita
fa a pensarci bene… e con il tempo, forse disgustato dal suo
stesso creato,
persino l’ormai defunto Megatron doveva aver preso coscienza
della lordura di
cui si era circondato nei secoli decidendo di tagliare i ponti e
uscirsene in
grande stile con le mani il più possibile pulite. Lui
sarebbe stato ricordato
come un redento alla fine della storia, nonostante le sue mani fossero
sporche
dell’energon dei loro simili e del sangue di altre specie
viventi che avevano
avuto l’ardire di sfidare la sua autorità, mentre
per Tarn il futuro restava
incerto all’ombra di un signore che aveva iniziato a odiare
nell’esatto modo in
cui un figlio odia il proprio padre fedifrago. Un tradimento che un
vero fedele
viveva come una ferita che continuava a sanguinare copiosamente,
immerso in un
vortice di emozioni contraddittorie di chi vedeva nella speranza una
fossa
piena di disperazione.
E
anche se avesse comunque deciso di uccidere chi gli aveva portato via
il
proprio signore, che garanzie c’erano che tutto sarebbe
tornato come prima?
Forse non avrebbe fatto altro che peggiorare ulteriormente la sua
condizione
psicofisica, portandolo definitivamente nella parte del torto.
Un
gemito inconscio si palesò sulle labbra di una femme ancora
sedata, segno che
il suo corpo stava registrando quella presa forte e potenzialmente
assassina,
decretando come la fine di quel breve momento di silenzio interrotto
unicamente
dalle strumentazioni mediche ancora attive. La presa di Tarn si fece
quindi più
leggera, quasi come una carezza, prima di sciogliersi del tutto
riportando
quella mano a stendersi lungo il suo fianco destro. Al gesto anche la
vecchia
lo seguì a ruota, prendendo senza rammarico la sua saggia
decisione di
abbassare l’arma facendola sparire all’interno del
proprio braccio.
“nonna…
che cosa devo fare?”
Più
che una domanda rivolta all’anziana decepticon era un quesito
rivolto più a se
stesso e alla sua volubile figura – perché mai se
fosse stato sano di mente
avrebbe chiesto consiglio ad una megera come quella – ma la
donna, che pur
aveva intuito la cosa, preferì rispondergli con
un’altra domanda.
“prima
che io possa darti consiglio, tu come ti senti?”
Se
in passato qualcuno gli avesse fatto il terzo grado a quel modo
– e quel
qualcuno non era lord Megatron – molto probabilmente
l’inquisitore della DJD
avrebbe assottigliato così tanto la propria voce da uccidere
con un solo
sospiro pronunciato. Ma la situazione attuale lo metteva in una
situazione di
fragilità tale che neppure lui riusciva a nascondere la cosa
come avrebbe
voluto, limitandosi ad assecondare la vecchia megera.
“mi
sento come… non lo so, forse come se fossi ai piedi di uno
strapiombo e dietro
di me mancasse completamente la strada che mi riporti indietro. Odio
questa
donna perché mi ha portato via ciò in cui
credevo, ma allo stesso tempo vedo in
suo figlio una speranza che pensavo di non possedere
più…”
In
poche parole il leader degli esecutori decepticons era riuscito a
descrivere
bene lo stato d’animo in cui era sprofondato in quegli ultimi
giorni – credendo
forse di poter gestire quel vuoto emotivo che lo stava divorando
dall’interno,
finendo invece con l’essere divorato giorno per giorno fino a
raggiungere il
picco di esasperazione quella sera – ma l’anziana
femme non parve
particolarmente colpita da quel suo gesto di apertura nei suoi
confronti,
volendo rincarare la dose con voce gracchiante e meccanica.
“parli
proprio come un innamorato che ha ricevuto il due di picche da un amore
non
corrisposto…”
“ho
cambiato idea sulla ragazza, ma sono ancora in tempo per sfogare su di
te la
mia frustrazione!”
“…ma
vorrei farti notare che Megatron era innamorato di questa ragazza, non
di te.
Il tuo unico grande amore è e resterà il credo a
cui ti sei aggrappato in un
particolare momento della tua vita… hai già
punito questa giovane portandole
via il suo uomo, ora rivendica
ciò
che deve essere tuo di diritto”
Tarn
sapeva bene a cosa l’anziana levatrice di Shockwave si
riferiva, ma onestamente
fino a quella sera non aveva preso seriamente in considerazione
qualcosa che
veniva accuratamente descritto persino Towards Peace per mano dello
stesso
Megatron. E se lo aveva fatto si era presto dato mentalmente dello
stupido. Tutto
questo semplicemente per un motivo: non ne aveva la stoffa.
Quando
due signori della guerra decepticons finivano con
l’affrontare un contenzioso
in duello era noto che il vincitore potesse appropriarsi di tutti i
beni dello
sconfitto reclamandoli come il giusto compenso per un duello
all’ultimo sangue.
Il diritto di rivendicazione non guardava in faccia a consorti o eredi,
anche
loro parte del bottino, in quanto il vincitore poteva chiedere tutto o
una
parte – nel caso non fosse stato così avido
– dei possedimenti e averi
appartenuti un tempo al decepticon sconfitto.
Ma
Tarn…? Poteva davvero permettersi una cosa del genere?
Sapeva amministrare
perfettamente il suo gruppo di esecutori e a farsi rispettare da loro,
ma
guidare un intero esercito…? Non credeva affatto di
possedere un simile carisma
da poter controllare intere legioni di soldati sotto la sua scure, men
che meno
la conoscenza necessaria per amministrare tutti i possedimenti
materiali
appartenuti un tempo al suo estinto leader. Conosceva a menadito il
codice
decepticon, ma proprio per questo non era amato dal suo stesso popolo
reietto,
e lo stesso ragionamento aveva più o men avuto modo di farlo
anche in presenza
di Slipstream ore prima. Su quella dannata stazione medica.
Sapeva
fin troppo bene che il suo nome era sulla bocca di tutti e non con fare
lusinghiero,
in molti lo temevano per il suo potere a dir poco letale più
che ammirarlo per
il lavoro che svolgeva, pertanto se si fosse messo al comando di un
intero
popolo avrebbe sicuramente scatenato malumori così accesi da
poter scatenare
una possibile ribellione interna. E questa era l’ultima cosa
di cui aveva
bisogno in effetti… ma era pur vero che era lui che aveva
sconfitto Megatron in
combattimento, e forse questo particolare non era sfuggito agli altri
soldati
decepticons dispersi nella galassia.
In
quella settimana o più dalla morte dell’ex leader
di un intero esercito nessuno
aveva detto o fatto alcunché. Forse alcuni avevano seguito
alla lettera
l’invito dell’ex gladiatore a sciogliere i ranghi
decepticon; forse altri erano
troppo lontani per aver ricevuto la notizia della sua morte; oppure in
molti
attendevano ancora il proclamo di vittoria di un inquisitore che
tardava sempre
più ad arrivare.
“io…
ci ho pensato, è vero, ma non penso di essere la persona
più adatta”
“mica
devi essere per forza il leader perpetuo… puoi sempre
cercarti un degno
successore, sai benissimo che il codice lo permette”
Verissimo
anche questo, peccato che il legittimo erede di quel succoso regno
doveva
ancora nascere, e Tarn non era interessato a sobbarcarsi un compito
tanto
importante quanto non adatto a lui. Ma tuttavia… una vocina
malsana dentro di
lui gli stava dicendo che glielo doveva quel favore a Megatron.
Per
quanto assurdo fosse, e per quanto astio ancora portasse per il suo
defunto
signore per ciò che aveva fatto, se non era per lui a
quest’ora Tarn era
sicuramente un perfetto signor nessuno denigrato da tutti e con
l’autostima che
rasentava il livello di uno zerbino sporco di scorie radioattive. Gli
doveva a
malincuore molto, tutto, ed
occuparsi
dei suoi beni – inclusa quella femme dormiente –
era un gesto dovuto che
necessitava tuttavia di un briciolo di astuzia in più che
andasse oltre la sua
natura volubile e contraddittoria.
La
lista della DJD racchiudeva tutto il marcio esistente nelle file
decepticons,
gente che mai si sarebbe dovuta occupare di guidare un esercito di
uomini e il
suo popolo, ma forse scartando quei nomi alla fine qualcosa di buono
restava… e
il primo nome che gli veniva in mente era quello di un vecchio rivale
di
Megatron per il controllo totale dell’esercito decepticons.
Forse l’unico ad
avere abbastanza onore da aver accettato quella sconfitta senza troppi
rammarichi.
Deathsaurus
era un nome antico che continuava a incutere timore in molti soldati
che
avevano avuto a che fare con lui, echeggiando nel cervello di Tarn
quasi come
un campanello di allarme, ma ormai da tempo si era ritirato
nell’ombra dopo
aver perso dolorosamente contro un leader ben più
carismatico. Aveva perso solo
quello, in quanto l’ex minatore aveva pensato solo a
rivendicare il suo diritto
a ferirgli l’orgoglio, ma dove ora soggiornasse rimaneva un
mistero. E
ciononostante, aveva accettato quella sconfitta non rinnegando mai il
codice
decepticon a cui aveva aderito… contrariamente a quanto
avevano fatto certi
suoi uomini, attirandosi gli occhi malevoli dei perfidi inquisitori.
Si
mormorava si fosse ritirato a vita privata su una qualche colonia
lontana
fondata da egli stesso, ma tali informazioni non erano in possesso al
leader
della DJD.
Ma
forse Shockwave poteva sapere che fine avesse fatto il signore dei
predacons –
una sotto-razza di transformers dalle caratteristiche ferali
– e quasi
sicuramente quello scienziato lunatico non avrebbe avuto problemi ad
aprirsi
come un fiore in primavera a Tarn. Non con il suo nome in bella vista
nella
loro lista di teste da tagliare per perpetuata eresia.
Forse
si trattava di una mossa rischiosa, perché Deathsaurus
pareva essere l’ultima
spiaggia per una impresa alquanto disperata –
l’incognita di non volergli dare
udienza in quanto capo di un manipolo di macellai o di fare da semplice
padrino
al figlio del suo rivale rimaneva alta, senza contare il naturale astio
che
provava per chi aveva torturato i suoi uomini – ma
attualmente era l’unica che
veniva in mente allo stanco mech che urgeva di elaborare il prima
possibile un
piano degno di nota che non fosse una qualche macchinazione volubile
dettata
dal suo processore stanco e in sovraccarico.
“allora,
hai deciso cosa fare lord inquisitore?”
“io…
credo di si, ma ci vorrà della
diplomazia…”
“per
quella non ti devi preoccupare, i miei nipoti ne possiedono a
sufficienza”
In
tutta onestà non capì esattamente a cosa si
riferisse quella vecchia megera –
se avesse anche lei raggiunto la stessa conclusione
dell’esecutore decepticon e
dunque gli stava palesemente consigliando di chiedere aiuto al suo
folle nipote
– ma ciò che sapeva era che quella notte non
sarebbe riuscito a chiudere
occhio. E non a causa degli incubi che ancora gli scuotevano la
scintilla
tenendolo nella loro ragnatela di insicurezza che tanto odiava.
[…]
Il
senatore Attilus aveva molto per essere amareggiato da se stesso.
Non
per ultimo, la totale scomparsa da Caminos della sua unica figlia
femmina.
Natah era stata fino a quel momento il fulcro di tutta la sua vita, di
tutte le
sue speranze, e con una nota di rammarico non poteva fare a meno di
pensare che
l’epilogo di tutta quella storia non l’avesse
scritta lui di suo pugno. Perché
anche se sua figlia alla fine aveva agito di testa sua, erano state le
sue
azioni da genitore irresponsabile a condurla verso un capolinea
indesiderato.
Da
quando era venuta a mancare sua madre non aveva fatto altro che
impartirle
regole su regole fin dalla sua più tenera età
– così come si è comunque soliti
fare nell’ambiente nobiliare, in modo da tirare su rampolli
istruiti ad arte e
con la proverbiale scopa su per il culo – ma ciò
che aveva raccolto era stato
solo astio da una bambina che desiderava solo potersi divertire come i
figli
dei loro servitori. Costretta ogni volta a guardarli dalle grandi
finestre di
camera sua nel mentre che quelle discole protoforme giocavano nel parco
di
casa, sognando di potersi sporcare anche lei l’armatura di
fango anziché
ricevere bacchettate sulla mani dal proprio precettore.
Sospirando
stancamente l’imponente meh dall’armatura bianca e
blu, i cui raffinati
dettagli erano di color argento, si alzò dal proprio trono
metallico per
recarsi in quello che era il piano bar presente nel suo studio privato.
Aprendo
uno sportello da sotto il ripiano in pietra dura volle concedersi un
sorso di
energon extra forte più potente che aveva in riserva,
riempiendosi il bicchiere
di vetro fino all’orlo e bevendo avidamente nonostante
avvertì la gola
bruciargli per quell’azzardo dettato dalla disperazione.
Da
anni era diventato lo zimbello della nobiltà caminoana a
causa della sua
insistenza nel voler mettere pace ad una guerra che neppure apparteneva
al suo
popolo, una guerra civile tra autobots e decepticons che stava
letteralmente
macellando la loro casa di origine, ma sembrava che ai suoi simili poco
importava del futuro dei loro stessi figli che rischiavano di essere
coinvolti
a loro volta in un genocidio senza fine.
Fin
da quando era appena stato nominato senatore Attilus sapeva che era
solo
questione di tempo prima che una delle due fazioni rivali andasse a
bussare
alle porte del loro pianeta in cerca di supporto bellico o –
molto
probabilmente nei caso dei decepticons – cercare di
conquistarlo e renderlo una
loro colonia sottomessa… possibile che i suoi compaesani per
tutti quei secoli
non ci avessero minimamente pensato?! Desideravano vedere loro e i loro
stessi
figli in catene?!
A
quel pensiero un moto di rabbia lo travolse con una ondata repentina e
impulsiva, montata ad arte dall’altra gradazione alcolica del
suo drink,
portandolo a deformare il volto dai tratti nobili e severi in una
espressione
furiosa così come i suoi gesti successivi. Con un ringhio
frustrato lanciò il
bicchiere contro la parete più vicina, colpendo una mensola
con dei datapad
impilati uno accanto all’altro, portandolo a frantumarsi in
un centinaio di
schegge che andarono a sparpagliarsi un po’ ovunque.
Era
colpa sua.
Solo colpa sua… e ora non aveva più modo di
rimediare al danno.
Aveva
tenuto Natah incatenata in casa per anni, per colmare un senso di
iper-protezione sorto alla morte della moglie, sommersa da talmente
tante
regole e ordini che alla fine aveva rischiato di trovarsi per casa una
furia
isterica che spaccava ogni giocattolo che le veniva dato od ogni piatto
di cibo
che le veniva offerto. Quello fu il periodo in cui decise di lasciarle
i suoi
meritati spazi, di non assillarla oltre con regole che non avrebbero
fatto altro
che rovinare definitivamente il rapporto di parentela, permettendole di
accedere alla biblioteca di palazzo ogni qual volta lo desiderava non
appena i
precettori avevano notato in lei un forte fascino per la letteratura.
Ed
era stata proprio la letteratura a far si che lord Megatron iniziasse a
nutrire
interesse per la sua Natah, complice anche la lettura di Towards Peace
che sua
figlia trovava tanto interessante quanto criticabile, rammaricandosi di
non
essere intervenuto per tempo anziché lasciarli parlare ogni
qual volta il
signore dei decepticons giungeva nella loro dimora per le impossibili
trattative di pace.
Il
sospetto nel tempo era nato nella scintilla del senatore –
impossibile che non
sorgesse vedendo i loro sguardi e le loro parole ridursi sempre
più ad un
sussurro ogni qual volta avevano modo di incontrarsi – e
stupidamente aveva
desistito pensando che quello strano interesse che il signore della
guerra
provava per sua figlia poteva essere un incentivo alla conclusione di
una lotta
ormai lunga e sfiancante. Ma quando aveva capito che le cose potevano
farsi
pericolose – era pur sempre di Megatron che si parlava,
l’ultimo uomo a cui un
padre normale avrebbe lasciato la propria figlia – Attilus
aveva convinto la
sua bambina ad accettare il simbolico arruolamento nelle file autobot.
Un
modo forse tardivo di cercare di proteggere la sua primogenita,
sfruttando il
suo già spiccato interesse per la fazione autobot nato dalla
lettura delle loro
cronache, ma insufficiente per spegnere una scintilla che non si
estinse
nonostante gli ovvi attriti iniziali di un decepticon
tutt’altro che contento
della scelta fatta. Una situazione potenzialmente esplosiva, palpabile
e
sfrigolante come l’antimateria, in quanto lord Megatron non
parve digerire
l’ingerenza di Atilius nella vita della sua attuale compagna.
Perché era logico
pensare che nessuno, quando si parlava di Megatron, sarebbe stato in
grado di
proteggere dal suo sguardo l’oggetto – o la persona
– del suo smodato
interesse. Che fossero stati gli autobots o gli ancor più
incapaci senatori con
cui aveva a che fare ogni qual volta che si recava su Caminos anche per
questioni
non legate più a trattative di pace, l’ex
gladiatore avrebbe continuato a fare
quello che gli riusciva meglio da una vita. incontrando il benestare di
una
ragazza ormai incapace di seguire la voce della ragione –
rappresentata da un
padre insistente ed incapace di accettare una simile relazione
– ma solo quella
del cuore.
Quello
era stato il passo finale, l’ultima disperata spiaggia, prima
che sua figlia
non sopportasse più le sue assillanti attenzioni e decidesse
di fare di testa
sua andando ad abitare in centro città. Lontano dal palazzo
in cui era
cresciuta e dal benessere di una vita agiata, preferendone una modesta
ma…
libera.
Una
decisione che la rese effettivamente indipendente dall’ala
paterna – le voci
che gli erano arrivate durante quel lungo periodo lontano da lui la
volevano
che avesse preso impiego nella biblioteca pubblica come archivista.
Lei, una
nobile – ma anche più vulnerabile alle influenze
di un decepticon che non si
vergognava affatto di continuare a frequentare una ragazza che doveva
essere
ufficialmente sua nemica.
Alla
fin fine però non aveva ottenuto la tanto agognata tregua
che desiderava da una
vita? Megatron non era forse ufficialmente capitolato sciogliendo il
suo
esercito e convertendosi di fatto alla causa opposta?!
Si
poteva dire che era anche grazie a Natah se finalmente la guerra si era
ufficialmente conclusa, nonostante fosse valso sacrificarla
sull’altare delle
buone intenzioni, eppure un simile lieto fine suonava come una beffa
alle
orecchie del senatore. Era stato tutto troppo idilliaco e veloce per
sperare
che finisse effettivamente con un lieto fine, e la notizia della morte
dell’ex
gladiatore di Kaon per mano dei suoi stessi esecutori sanguinari non
venne
accolta di buon grado da praticamente nessuno… men che meno
dallo stesso
Attilus.
Se
la DJD era arrivata a punire il loro ex leader – apostata per
amore di una
donna – allora potevano benissimo arrivare a colpire sua
figlia nei peggiori
dei modi, e questo lo portò a rabbrividire a tal punto da
sentire le pulsazioni
della sua scintilla farsi più fievoli per un attimo. Si
portò una mano alle
tempie sospirando sconfortato, e nella sua disperazione poteva solo
contare nella
previdenza di sua figlia che tanto stupida non era.
La
sua prima preoccupazione in tutta quella brutta storia fu di
rintracciare sua
figlia il prima possibile, sincerarsi delle sue condizioni e darle il
prima
possibile protezione in caso quei mostri avessero voluto prendersela
anche con
lei… la relazione era sempre stata tenuta segreta dai due
amanti clandestini,
neppure Attilus ne aveva parlato con qualcuno, ma quando si parlava di
quei
macellai psicopatici – la vera vergogna dell’ormai
ex lord Megatron – non si
poteva mai sapere fin dove potevano arrivare le fonti delle loro
informazioni.
Ma
ciò che aveva trovato una volta fatta irruzione nel suo
appartamento fu solo un
desolante silenzio e un unico appunto lasciato sul tavolo della sala
principale. Quel singolo pezzettino di carta era destinato a lui,
scritto di
fretta dalla sua Natah, recante poche righe tutte quante dritte alla
sua
scintilla.
“Padre,
non cercarmi. Mi farò viva
io non appena possibile. Ti prego di perdonarmi… ma non
posso rischiare”
La
delicata calligrafia di sua figlia continuava a scorrere sotto i suoi
sensori
ottici azzurri ogni qual volta li faceva cadere su quel foglietto
spiegazzato,
e nessun alcoolico al mondo avrebbe potuto in qualche modo allievare
quella
colpa che riusciva solo a dare a se stesso. Per quanto non fosse
totalmente
vero, dato che la giovane femme aveva sempre agito in autonomia nel
volersi
avvicinare a Megatron, non poteva fare a meno di considerarsi un idiota
continuando a rileggere quelle poche righe sentendo gli occhi
bruciargli
terribilmente.
Ritornando
verso il proprio trono, e rimettendo in uno scomparto del petto la
lettera che
sua figlia gli aveva lasciato, Attilus Atilius constatò per
l’ennesima volta
come il fato aveva voluto giocargli un epilogo beffardo alla sua
smisurata
ambizione.
Aveva
preteso troppo, perdendo tutto. E
come l’eroe di una tragedia teatrale ciò che gli
rimaneva da fare era di
struggersi nel proprio rammarico, seduto ad un trono senza
più sudditi,
contemplando il ritorno di una figlia che probabilmente non ci sarebbe
mai
stato.
[…]
Come
aveva ben pronosticato quella sera non avrebbe chiuso occhio, ma
quantomeno
avrebbe affrontato quella notte insonne in un modo che avrebbe
ammazzato ogni
sua voglia di chiudere occhio nei prossimi giorni.
Una
volta che Tarn ebbe finito di discutere con la vecchia megera, loro
ospite
ancora per molto suo malgrado, decise di ritirarsi nei propri
appartamenti e di
dar vita al consiglio che gli aveva dato. Non aveva preparato
chissà quale
discorso da tramettere alle linee decepticon che conosceva –
ossia proprio tutte
– ma sapeva che avrebbe speso bene il suo tempo alla console
di controllo della
sua scrivania. Perché sarebbe stato ben chiaro per tutti
quelli che si
sarebbero sintonizzati.
Si
sedette alla propria postazione personale contemplando i pannelli dai
colori
vivaci, un silenzio meditabondo che durò circa un minuto,
prima di cominciare a
digitare tutte le coordinate che conosceva e che arrivassero fino alle
viscere
più recondite della galassia. Tutti dovevano ascoltare la
sua voce, anche i
canali di comunicazione di decepticons ormai off-line da tempo, e tutti
dovevano tremare di fronte a quello che il loro nuovo leader
aveva da dire.
“a
tutti i decepticons in ascolto: qui è il lord inquisitore
Tarn, della
Decepticon Justice Division, che vi parla. Ascoltate bene la mia voce,
e
ascoltate ancor meglio ciò che ho da dirvi… Come
ben saprete Megatron, vostro
ex leader divenuto apostata, è morto per mano nostra. O per
meglio dire: per
mano mia”
Si
fermò un attimo, come in contemplazione delle proprie
parole, sapendo che
doveva ben regolare le proprie emozioni e la propria voce.
Assottigliandola quel
tanto da incutere il timore e il rispetto che si meritava.
“per
tale motivo rivendico tutti i
possedimenti, gli averi, e gli uomini appartenuti un tempo a Megatron
come miei di diritto…
Così come da legge
scritta di suo pugno e ancora perfettamente valida in quanto legata al
credo di
noi tutti. Continuate quindi a serrare i ranghi, a seguire le regole e
ad
omaggiare il vostro nuovo leader. Perché ricordate: le
vostre vite ora mi
appartengono”
Chiuse
di scatto la registrazione settandola ad una ripetizione di tre minuti
a
messaggio terminato, sentendosi comunque a disagio per ciò
che aveva appena
detto. Con quelle parole avrebbe fatto tremare di terrore il
più pusillanime
dei suoi uomini e intimorito il più coraggioso tra le file
del suo nuovo
esercito, ben sapendo in realtà che con quel monte di
responsabilità in più
poteva significare solo una cosa…
“e
ora vorranno la mia, di vita…”
Era
molto probabile che i malumori sarebbero serpeggiati in modo alquanto
veloce
tra le file dei suoi nuovi uomini, e ancor più tediosa
sarebbe stata la
faccenda dei signori della guerra che avrebbero avuto da ridire sulla
sua presa
di posizione, ma se mollava ora tanto valeva che non avesse alzato un
dito
neppure contro lord Megatron.
Non
per ultimo Deathsaurus, per quanto il suo canale di comunicazione gli
rimaneva
perfettamente sconosciuto, auspicando comunque che la notizia gli
arrivasse. Aveva
in effetti bisogno di attirare il più possibile
l’attenzione, e tenere comunque
unito un popolo che rischiava di estinguersi.
Aveva
in pugno il mondo intero appartenuto ad uno dei mech più
potenti in assoluto – non
per ultimo la sua stessa donna – e se voleva giocarsi bene
tutte le carte che
aveva scoperto doveva per forza di cose
“elemosinare” l’auto di qualcuno un
po’
più competente di lui. E Shockwave avrebbe fatto sicuramente
al suo caso.
Aggiorno
con un mare di ritardo, ma purtroppo tra problemi di insonnia e dolori
vari
faccio un po’ fatica a mettermi a scrivere. Spero possiate
scusarmi se magari
questo capitolo non è perfetto.