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Autore: Biblioteca    23/06/2020    2 recensioni
I cinque amici (il Necchi, il Mascetti, il Perozzi, il Sassaroli e il Melandri) ne combinano una di troppo e finiscono prima arrestati e poi sotto interrogatorio.
Ma un misterioso avvocato di nome Antani cambierà le carte in tavola.
(Ambientato ai tempi del primo film)
Genere: Comico, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amici e altri amici'
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“L’avevo immaginato.” Pensò il Perozzi. Ma si guardò bene dal dirlo.
Il Maresciallo aveva le narici dilatate e gli occhi furiosi.
“Ebbene.” Disse l’avvocato Antani dopo alcuni minuti di pausa “descriva pure la burla da lei subita.”
“Non l’hanno fatta a me direttamente, ma alla buonanima di mio padre. Pover uomo, non si è mai dato pace. Un giorno i quattro bricconi ch’erano andati a un cimitero a portare dei fiori a un parente loro l’hanno visto mentre stava, come sempre, a far visita alla tomba della mamma e hanno deciso di fargli credere che tutti e quattro erano stati amanti di quest’ultima. E mio padre c’è cascato. Anche se non era vero, ovviamente. È un miracolo se ho ancora qualche ricordo della mamma perché voleva buttare via tutto.”
Seguì un lunghissimo silenzio.
Il Perozzi dovette riconoscere che raccontata la burla non risultava più tanto divertente. E dire che s’erano divertiti molto a giocare quel tiro a quel vecchio.
Il Perozzi osservò l’avvocato Antani e notò che aveva stretto i pugni.
Non capì il perché di quel gesto: era forse arrabbiato anche lui? O era solo preoccupato perché non aveva elementi per difenderli?
“Una burla estremamente crudele, non v’è dubbio.” Fece l’avvocato “E tuttavia, credo che se è vendetta che cercava, vendetta ha già avuto. I miei clienti, prima d’oggi, non erano mai finiti in galera. Direi che la paura se la son presa.”
“Forse sì. Ma torneranno alla prossima idea.”
“Non se lei intima loro di non ripresentarsi mai più, e se effettivamente ricapitasse, potrebbe stavolta arrestarli ufficialmente con tanto di processo e condanna.”
“Suona tanto come un accordo da stretta di mano più che un accordo di legge.” Protestò il Maresciallo.
“Se non sbaglio tra le burle combinate in questa zona ce n’è una in cui c’è stato ampio uso del clacson della loro macchina, giusto?” domandò l’avvocato Antani.
Il Perozzi sobbalzò. L’avvocato non aveva letto i fascicoli, come faceva a sapere della burla dei clacson?
Altro colpo di genio del Mascetti: aveva convinto, spacciandosi per un biologo, che per cacciare via i cinghiali dal proprio campo, un contadino avrebbe dovuto suonare da mezzanotte, fino alle sei del mattino, il clacson della sua macchina al centro della piazza del paese.
E ovviamente, per aumentare la credibilità della bugia, il Mascetti e gli altri avevano clacsonato insieme a lui. Per tutta la notte.
Qualcuno si era unito a loro, ma la maggior parte dei paesani avevano minacciato di distruggere le auto.
La cosa che aveva reso la burla veramente speciale era il fatto che durante la notte i cinghiali avevano fatto man bassa del campo lasciato incustodito.
Dopo ciò, gli amici avevano concordato di non presentarsi per un po’ al paese.
“Sì è vero. Disturbo della quiete pubblica.”
“Allora,” proseguì l’avvocato “che ne dice intanto di far pagare almeno per quella burla una bella multa da novecento mila lire?”
Il Perozzi sobbalzò.
Novecento mila lire non erano uno scherzo! Per lui erano quasi due stipendi se non di più! E il Mascetti come avrebbe fatto a pagare?
Il Maresciallo però, sentendo la cifra, spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
“Novecento a testa!”
“Novecento per tutti e cinque.”
“Novecento a testa!”  ribadì il Maresciallo.
“Novecento per tutti e cinque. Ognuno darà qualcosa.” Ribadì Antani.
Seguì un silenzio durante il quale i due si fissarono negli occhi.
Il Perozzi si domandò se veramente vedeva gli occhi dell’avvocato sotto quelle lenti.
“Novecento per tutti e cinque e la solenne promessa che mai più verranno qui a farsi burle degli abitanti. Altrimenti galera.”
Forse dopotutto un po’ di spirito toscano a quello stronzo di Maresciallo era rimasto.
“Va bene.” Disse Antani.
I due si strinsero la mano.
“Appuntato, riporti il signore in cella.”
“Non ha diritto a trattenerli!”
“Avvocato, lo lasci andare a parlare con gli amici e vediamo se intanto hanno i soldi.”
Il Perozzi fu così riportato in cella dove trovò i quattro amici ancora tesi e sconsolati. Quando lo videro arrivare lo osservarono con uno sguardo sorpreso: come mai ci aveva messo così tanto lui?
Appena l’appuntato li lasciò soli, lo circondarono.
“Allora?”
“Che ti hanno fatto?”
“Perché c’hai messo tanto?”
“Che t’hanno detto?”
Il Perozzi, che non aveva minimamente perso la calma si sedette e in dieci minuti raccontò tutto: le minacce, l’arrivo di questo misterioso “Antani”, le sue incredibili supercazzole e infine l’accordo strappato al Maresciallo.
“Mi sa tanto di sostanziosa mazzetta camuffata da multa.” Fece il Sassaroli a racconto conlcuso mentre tirava fuori il libretto degli assegni (non girava mai senza). “Ma se ci darà la libertà, questo e altro.”
“Oh, appena ho la mia parte la porto eh!” esclamò subito il Mascetti.
“Io l’ho il pagamento domani, faccio un bonifico lunedì dopo aver portato Birillo a spasso.” Disse il Melandri.
“Ma quanti sono a testa?” domandò il Necchi.
“Ah non so, ma ora voglio solo esser fuori da qui. Mi sento stanco.” Fece il Perozzi “Se siete d’accordo, tornerei a Firenze e rispetterei il patto.”
“Ma che vuoi darla vinta a quello stronzo!?” chiese il Necchi.
“Per oggi e per un bel po, sì.” Disse con fermezza il Perozzi.
E poiché lo spavento era stato forte per tutti, tutti furono abbastanza d’accordo.
A volte anche gli zingari hanno bisogno di confini.
 
Pagata la multa, dovettero firmare un foglio tutti e cinque.
Mentre scrivevano i loro nomi, sentirono una rumorata di sgommata sull’asfalto.
“L’avvocato Antani mi ha detto di portarvi i suoi saluti.” Disse il Maresciallo.
Pausa.
“Se n’è andato?” domandò il Perozzi.
“Sì. Quella sgommata era la sua. Se avete finito, andate a prendere la macchina e sparite. A mai più rivederci.”
Nessuno dei cinque ebbe la forza di replicare.
Uscirono, presero l’auto e partirono.
“Ma Perozzi” il Mascetti fu il primo a rompere il silenzio “sei sicuro che si è trattato di supercazzole vere e non di semplice linguaggio burocratico?”
“L’era un maestro vero! Te lo dico io! L’azzeccagarbugli della supercazzola in persona!”
“Ah beh, chissà chi era allora. Mannaggia a non averci potuto parlare! Chissà perché l’è scappato via così!”
“Già… sarebbe stato bello conoscerlo e parlarci…. Ma forse, questi sono i buon samaritani veri: ti danno una mano e poi spariscono.”
“Una mano che costa novecento mila lire.” Borbottò il Sassaroli.
“Meglio quelli che il bar.” Disse il Necchi.
“Magari un giorno l’arritroviamo, è uno che sicuramente fa burle in giro, lo becchiamo!” fece il Melandri.
“Forse. Chissà… Io penso più al miracolo…” disse il Perozzi.
Attraversando la provincia nella notte, gli amici non si parlarono più.
La tensione e quel salvataggio miracoloso avevano trasformato quella semplice zingarata in un’avventura quasi onirica.
Spaventosa e straordinaria allo stesso tempo.
La gioia dell’uscita di prigione era unita all’amarezza dell’accordo (ingiusto) e dall’impossibilità di sapere chi fosse il loro salvatore.
Arrivarono a Firenze alle prime luci dell’alba.
Il Perozzi riaccompagnò ciascun amico a casa sua, tranne il Sassaroli che lasciò alla stazione. Sapevano tutti che dopo quell’avventura sarebbe passato del tempo prima di rimettersi a fare zingarate. Ma di sicuro, almeno con Melandri e Mascietti, ci si sarebbe rivisti al bar del Necchi già in settimana.
Alle sei, finalmente, anche il Perozzi arrivò a casa.
Sapeva già che Luciano era da lui, ma si stupì di trovarlo al bagno a lavarsi.
“Ah! Lucianino! Sveglia presto!”
“Che sveglia, se sono stato sveglio tutta la notte ad aspettarti Babbo!! Ma dove eri finito?!” urlò suo figlio.
Il Perozzi sospirò.
“Sapessi Lucianino, è una lunga storia…”
“Beh non la voglio ascoltare! Mi metto a dormire che domani c’ho da lavorare, io! Buonanotte!”
“Se non la vuole ascoltare perché chiede?” pensò il Perozzi.
Suo figlio uscì dal bagno e il Perozzi vide chiaramente che aveva delle occhiaie enormi e scure.
Ansò in camera sbattendosi dietro la porta.
Il Perozzi sospirò di nuovo e andò anche lui in bagno. Era conciato male. Ormai le notti brave lo facevano somigliare a un morto quando arrivava il mattino.
Si sciacquò il viso cercando di non pensare al fatto che stava invecchiando.
Si asciugò, andò in cucina a preparare il caffè.
“Che strano, Lucianino non ha vuotato la moca.”
Mentre buttava la polvere del filtro, notò qualcosa nella pattumiera.
All’inizio non ci fece troppo caso, poi guardò meglio: sembrava un grosso gatto nero morto.
Allungò la mano e toccando sentì chiaramente che si trattava di peli, ma erano sintetici.
Tirò così fuori la massa e….
“Oh…. Mio…. Dio….”
E vide che si trattava di una grossa barba nera finta, di quelle che si usavano a carnevale o a teatro, appallottolata attorno a un grosso paio di occhiali orribili, con le lenti a fondo di bottiglia leggermente scure, dove probabilmente era stato attaccato un tempo un naso finto strappato di netto.
Il Perozzi fece una prova: indossò gli occhiali e resse con le mani la barba sulla sua faccia.
E poiché portava ancora il cappello vide chiaramente nello specchio apparire l’avvocato Antani, solo più vecchio.
 
Tutto tornava, tutto quanto:  la conoscenza della burla del clacson (l’aveva raccontata a Luciano che l’aveva subito accusato di essere “un imbecille”), quella strana reazione al racconto della burla del vedovo, le occhiaie, l’andarsene via in gran corsa senza salutare…
In piedi, davanti alla stanza del suo figliolo, il Perozzi si rendeva conto che l’unica cosa che non sapeva era come aveva fatto Luciano a sapere dove trovarli e in quali guai fossero.
E si rendeva conto, con molta amarezza, che non lo avrebbe mai saputo.
No.
Anche perché se avesse voluto fargli sapere qualcosa, di sicuro non avrebbe buttato via gli strumenti della burla.
E non sarebbe stato tanto scostante con lui.
Di sicuro, si era dimostrato all’altezza di suo padre e in modo del tutto inaspettato.
Ma la cosa doveva rimanere un segreto.
Non dirlo a nessuno, nemmeno agli amici. Il Perozzi ne era sicuro. Né avrebbe mai rivelato a suo figlio di averlo scoperto.
Quel misterioso azzeccagarbugli della supercazzola, di cognome Antani e di nome sconosciuto, sarebbe rimasto una leggenda.
Il Perozzi entrò nella camera di Luciano. Dormiva. Evidentemente era crollato.
Si avvicinò al letto. Si chinò e gli diede un bacio sulla fronte. Proprio come gli era capitato di fare quando era più piccolo.
“Buonanotte Lucianino.” Sussurrò il Perozzi. E uscì dalla stanza sorridendo.
 
FINE
  
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