Era
amore a prima
vista, a ultima vista, a eterna vista
Vladimir
Nabokov,
Lolita
-Devi girarla sette volte in senso
orario ed una in senso
antiorario, altrimenti diventa troppo densa.
-Ma Sev, il libro dice di girare solo in senso orario!
-Ah, dice così?
Aveva alzato un sopracciglio in modo
teatrale, piegando le
labbra sottili in una smorfia sarcastica. Dall’altra parte
dei suoi occhi, l’essere
umano dotato dei più belli che avesse ed avrebbe visto in
tutta la vita rideva
di lui, con lui, non gli importava. Rideva grazie a
lui, ed era
abbastanza.
Aveva perso la sua proverbiale
lucidità nel momento in cui
lei gli aveva posato dolcemente le dita sul polso (Sev, ti
prego, aiutami,
sono troppo agitata per il Gufo di DADA) e gli era sfuggito
un singulto. Non
era certo la prima volta che lo toccava, erano praticamente cresciuti
insieme e
c’era ben poca formalità fra loro, ma in qualche
specialissimo modo quella
volta fu diverso.
Mentre mescolava il liquido violaceo
all’interno del
calderone della ragazza, infatti, Severus Piton, sedici anni, si era
trovato a
pensare che non gliene sarebbe importato nulla se non avesse mai
più potuto
assaggiare la cioccolata. Non gli sarebbe fregato granchè
se, a un certo punto,
la Terra avesse smesso di girare e fosse stato buio e freddo per tutta
l’eternità. Non si sarebbe disturbato a provare un
briciolo di dispiacere se la
sua casa fosse stata completamente inghiottita da un incendio e, a
dirla tutta,
non gli sarebbe cambiata la vita nemmeno se, da un secondo
all’altro, avesse
perso tutti i suoi poteri magici.
Se Lily avesse smesso di offrirgli la
vista dei suoi occhi
verdi, di parlargli, di affidare alle sue mani, seppur insicure e
tremanti, le
sue richieste di aiuto e conforto, che lui raccoglieva puntualmente e
meticolosamente
come granelli d’oro in vasi pieni di sabbia, se avesse smesso
di toccarlo e
cercarlo e sorridergli per qualsiasi motivo, allora sì che
la sua vita sarebbe
finita.
Uomo morto che cammina,
pensò. Istintivamente, come
quando ci si ricorda una parola che non si sente da anni. Lo diceva
sempre con
tono malizioso e trionfante suo padre quando leggeva sul giornale di un
politico che aveva deluso l’elettorato e stava per essere
sbattuto fuori dal
Parlamento o di un industriale in procinto di dichiarare fallimento e
chiudere l’azienda, o di un condannato a morte che sarebbe
andato alla sedia elettrica.
Questo sarebbe stato, se per qualche
assurdo ed ingiusto
motivo gli avessero impedito di lasciare il mondo nell’esatto
momento in cui
Lily Evans, sedici anni, avesse smesso di fare quel poco, quel nulla di
cui si
accontentava con abbondante gratitudine; se gli avesse impedito di
custodire
quel piccolo tesoro privato di attenzioni, affetto e fiducia che la
rendevano
la sua Lily: un condannato a morte che attraversa
un corridoio infinito
davanti ad una moltitudine di occhi compassionevoli e bocche serrate
per la
pietà, con il solito, sfacciato, stolto fuori luogo tra la
folla che non sa
tenere la bocca chiusa e si mette ad urlare: Dead man
walking! Dead man
walking! Come se l’ovvio non fosse abbastanza
vergognoso per chi lo porta
stampato sulla faccia.
-Evans, Piton, sono senza parole. Le
vostre pozioni non sono
solo le migliori della classe, sono assolutamente perfette. Sono sicuro
che
prenderete entrambi Eccezionale ai Gufo di pozioni, il prossimo
lunedì. Molto
bene, ragazzi, è ora di andare! Ci vediamo domani per
l’ultima lezione, in
bocca al lupo per l’esame di Difesa contro le arti oscure, in
particolare ai
miei ragazzi del LumaClub, che sicuramente lo supereranno con successo.
Non che
voi altri… No, ma cosa dico, sarete tutti bravissimi, me lo
sento!
Pulì la sua postazione
attardandosi volontariamente perché
non sapeva se lei volesse fare la strada con lui o con le sue compagne
di
classe. James Potter gli fece una boccaccia sorpassandolo. Remus Lupin
lo seguì
dando all’amico una severa pacca sulla nuca ed indicando la
spilla da Prefetto
appuntata sul suo gilet, a mò di tacito rimprovero, poi
improvvisò un mezzo
sorriso di scuse nella sua direzione.
Ora era lei che si attardava sulla
soglia.
-Andiamo?
-Certo
La raggiunse.
Lo prese per mano, facendolo
arrossire.
-Secondo me ci chiedono i lupi
mannari. Secondo te?
Non gli importava. Lei lo aveva
aspettato. E quella non sarebbe
certo stata l’ultima volta che lo teneva per mano. Se ci
fosse stato un premio
per le sue soffrenze, o se solo fosse stato sfacciatamente fortunato
non ci
sarebbe mai stata, un’ultima volta. Andava tutto bene.
*
-Vedi, Ginny, fare pozioni, voglio
dire, farle bene, non è
solo seguire le regole come ci hanno insegnato fin’ora.
E’ istinto, è fantasia,
è prendersi dei rischi!
Da quando Harry Potter, sedici anni,
aveva trovato il libro
del Principe Mezzosangue non faceva che vantarsi delle sue ritrovate
abilità di
pozionista. Aveva deciso che non glielo avrebbe sequestrato
finchè non avesse
combinato qualche grosso guaio. In fin dei conti, coi tempi che
correvano, era
bene che imparasse qualcosa.
Buttò
un’occhiata verso Draco Malfoy, che gli rimandò
uno
sguardo truce. Se solo quel ragazzo avesse saputo che c’erano
due
persone col biglietto di sola andata per l’inferno, in quel
corridoio.
Si avvicinò con andatura
rilassata alla coppietta tubante,
evidentemente i maschi Potter avevano un debole per le rosse.
-Bene, bene, Potter. Vedo
che girare per i corridoi con
indosso la divisa da Quidditch e pavoneggiarsi come dei tacchini in
amore è un
vizio di famiglia. Effettivamente è un bene che qualcuno
porti avanti la nobile
eredità di James Potter, il piccolo mago dall’ego
gigantesco.
-Le dà fastidio che i miei
voti siano misteriosamente
migliorati da quando non c’è più lei ad
insegnare, signore?
-Il corso di pozioni non è
più affar mio, se il professor
Lumacorno è scelleratamente convinto che tu sia in grado di
prendere un Mago
nella sua materia, beh… Staremo a vedere?
-Mi auguro che sarà ancora
qui per vederlo, quando accadrà,
signore.
-Cosa stai insinuando, piccolo
insolente?
-Oh niente, niente, solo che, beh, se
la memoria non mi
inganna, i professori di DADA non durano mai più di un anno,
qui ad Hogwarts.
-Allora dovresti cercare di tenere le
tue celebri natiche
lontano dalla mia classe, signor Potter. Se la memoria non inganna me,
ogni singolo
professore di DADA ha provato ad ucciderti, da quando sei qui.
Rivolse uno sguardo pensieroso verso
la sua aula e poi tornò
a fissarlo minacciosamente, in silenzio, pensando al duro compito che
Silente
gli aveva affidato ad inizio anno; il compito che, probabilmente, aveva
posto
una data di scadenza sul suo soggiorno ad Hogwarts. Pensò
che aveva già
iniziato la sua sfilata verso la sedia elettrica e che lo stolto aveva
già
urlato l’ovvio. Pensò che Lily non gli aveva
più preso la mano da quel giorno.
E pensò che non metteva in bocca un pezzo di cioccolata da
prima che i peli avessero finito di crescergli sul petto, e che era
tenebra e freddo e buio dal giorno
in cui Lily Evans se ne era andata, ma che il mondo aveva continuato a
girare.
Maldestramente, faticosamente, dolorosamente ed in maniera scoordinata
ma in
qualche modo, stanco e disperato, quel mondo girava ancora e girava
attorno
agli occhi che stava cercando di incenerire con lo sguardo.
Lo sorprese mettendogli una mano
sulla spalla, concedendosi
di indugiare ancora un pochino nelle foreste che aveva sperato di
esplorare,
nei prati in cui aveva sognato di camminare scalzo, nei laghi in cui
aveva bramato di nuotare un po’ di più, solo un
pochino di
più. Il ragazzo trasalì.
-Professore? Si sente male?
-Dimmi un numero, Potter.
-Non lo so…
Hem… 25?
-25 punti in meno a Grifondoro.