Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Azaliv87    29/07/2020    1 recensioni
E se Jon avesse la possibilità di riportare in vita una persona importante? E scoprisse di non essere ciò che era? E se anche Dany avesse questa possibilità? Questa è la domanda che mi sono posta, e da quest'idea mi è venuta in mente la storia che vi narrerò. Parto a raccontare le vicende dalla fine della sesta serie televisiva, grosso modo, quindi (avviso chi non ha visto questa stagione) potete trovare degli spoiler. Per il resto è tutta una mia invenzione. Dopo essermi immersa nel mondo di Martin ed essermi affezionata ai suoi personaggi con Tales of Wolf and Dragon, ho deciso di cimentarmi in questo What if e vedere fino a che punto può spingersi la mia fantasia.
Per chi avesse già letto l'altra mia ff, ritroverà conseguenze, personaggi e riferimenti alla prima storia.
Buona lettura e non vi preoccupate se ogni tanto rallento la pubblicazione, non sono mai bloccata, ma ho periodi in cui devo riordinare le idee e correggere ciò che ho già scritto prima di aggiornare!!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era trascorso ormai un mese, ma per Rhaegar era stato più che sufficiente. Non aveva intenzione di rimanere tra quegli spazi ancora a lungo. Le giornate si susseguivano in maniera anche abbastanza veloce, ma era le notti a creargli problemi. Se n’era reso conto già a Dorne, oramai gli bastava chiudere gli occhi per pochissimo tempo; un paio di ore, a volte tre. L’alba sembrava non arrivare mai. Mi stai davvero chiedendo cosa facciamo noi a Starfall la notte, Rhaegar? Te lo devo proprio dire? Le parole di Arthur gli avevano martellato nella testa per giorni, e sorridendo con l’amaro in bocca, aveva ceduto a quell’abitudine che nella sua vita precedente non avrebbe mai pensato sua. A Sunspear Arianne Martell lo aveva stuzzicato fino all’esaurimento, facendosi addirittura trovare nuda sul suo letto… Daenerys per questo era andata su tutte le furie. Gelosa e possessiva, lo reclamava tutto per sé. Era addirittura arrivata a proporglielo, ma lui educatamente aveva declinato l’offerta. Molte cose in lui erano cambiate, sentiva di aver perduto parti della sua anima, ma l’idea di un’unione tra consanguinei restava ancora qualcosa di sgradito ai suoi occhi.
Sua sorella non si era più preoccupata ulteriormente della sua vita privata, tuttavia negli ultimi tempi aveva forse cominciato a capire quale rimedio palliativo avrebbe mitigato i tormenti della sua anima. Aveva preso a mandargli ogni sera una serva diversa nelle sue stanze, quasi indagando, per soddisfare i suoi gusti. Lo aiutavano nelle abluzioni, gli portavano i pasti, gli abiti puliti e i rapporti di guerra. A volte le congedava subito, altre chiedeva loro di restare. E le notti insonni vennero sfruttate in altro modo. Ma ogni volta che questo accadeva, la mattina dietro, faceva recapitare loro profumati ringraziamenti con fiori e fazzoletti di seta. Tentativi che superficialmente gli davano un lieve appagamento, e gli fecero riscoprire in sé stesso un lato dissoluto che in precedenza aveva represso con tutte le sue forze. Ma lo aiutavano a rimuovere solo una leggera patina della scorza esterna della sua sofferenza, il residuo dentro restava.
Sua sorella e Aegon, erano stati un altro balsamo, quando nemmeno l’arpa più lo aiutava. Gli era capitato di bussare alla loro porta, sentendosene in colpa nell’attimo successivo, ma entrambi gli aprivano con una faccia assonnata, mugugnando a stento qualche parola e facendolo entrare senza alcun disturbo. Sua sorella era solita prenderlo per una mano e trascinarlo verso il letto, dove lo invitava a sedersi per poi accoccolarsi contro il suo petto e nel giro di pochi secondi riprendeva a perdersi nel mondo dei suoi sogni, mentre lui le canticchiava qualcosa o le accarezzava i capelli. Quando invece disturbava le agitate notti di Aegon, prima di bussare si premurava ad origliare la porta per non interrompere qualche incontro romantico; se non vi era alcun rumore sospetto allora batteva tre colpi, per avvisarlo che sarebbe entrato di lì a poco. Attendeva però sempre il suo consenso, prima di accedere nelle sue stanze. Lui lo accoglieva, con gli occhi stropicciati dal sonno, coi capelli spettinati e indossando unicamente un paio di braghe… o nemmeno quelle. Si metteva presentabile e gli permetteva di entrare. A volte gli faceva domande, altre prendeva solo un fiasco di vino e si sedeva con lui sul tappeto di fronte al camino. Restavano lì, anche per tutta la notte. Poi lui crollava, mentre Rhaegar restava a fissare le fiamme, e lo copriva con una coperta.
Quei momenti lo aiutavano a non sentirsi così solo, tuttavia non facevano altro che incrementare la sua malinconia. Daenerys e Aegon gli ricordavano troppo Elia e Arthur ed il loro modo di passare il tempo assieme.
Si era sforzato di passeggiare per i corridoi del Fortino di Maegor, più di una volta. In solitaria, vagava senza una meta ben precisa. C’erano zone del castello dove i suoi piedi lo conducevano più che altro per abitudine, ma non appena la sua mente si rendeva conto di dove lo avevano portato, bloccava ogni muscolo. Il suo stesso cuore mancava un colpo e restava immobile di fronte ad un corridoio o una via di accesso, senza provare mai ad avvicinarsi. Daenerys aveva fatto cambiare gli arredi di tutte gli alloggi della famiglia reale, inutilmente. Rhaegar continuava a preferire le stanze degli ospiti; le più lontane dai corridoi che un tempo erano stati tutta la sua vita: troppi ricordi, troppo dolore. Il suo cuore non poteva riattraversare quei momenti ed entrare negli ambienti dove Elia e i bambini erano stati massacrati spietatamente; come animali da macello. Elia non se lo meritava, così come quell’innocente bambino che aveva preso il posto di Aegon… e poi c’era la sua Rhaenys. Quello era il fantasma che più di tutti temeva.
Aveva provato ad attraversare quell’androne, ma si era fermato tutte le volte. Aveva appoggiato una mano sulla maniglia di quelle che un tempo erano state le stanze del principe ereditario, ma il pensiero lo spettro di sua figlia nascosta dietro a qualche arazzo della stanza, pronta a saltargli addosso giocosa, lo destabilizzava. La sua mente andava inevitabilmente a ricreare l’immagine atroce di quegli che dovevano essere stati gli ultimi istanti di vita della sua adorabile principessina… la bambina aveva cercato riparo sotto al suo letto, nella speranza che suo padre fosse lì a salvarla. Non era presente nessuno, tranne che lo Straniero. Ti stava tendendo le braccia, proprio come era già venuto a prendere me. Rabbrividiva… Quello era il suo fantasma personale che lo svegliava nelle ore più buie della notte. Mentre dormiva, la sentiva ridere e parlare al suo gattino… Mio piccolo draghetto, non sono stato in grado di proteggerti… Si svegliava di soprassalto, guardava ansioso sotto al letto, ma non trovava altro che un tappeto impolverato e un vaso da notte vuoto. Nessuna traccia del suo angioletto dai capelli neri… Come poteva essere lì? Si dava del folle e si ributtava sul letto prono, ignorando il conforto delle lenzuola e delle coperte, che erano cadute ai lati del letto. Si portava una mano sugli occhi, tenendola col palmo all’insù e restava lì per qualche momento, in attesa che i battiti del suo cuore tornassero regolari. Era ricoperto di sudore e sentiva la gola arsa. Probabilmente, come tante altre notti, aveva urlato nel sonno, aveva sempre la crudele inquietudine di aver svegliato Aegon… Attendeva allora quei sette secondi esatti che solitamente il ragazzo ci impiegava ad entrare trafelato dalla porta comunicante.
Ma non accadde nulla, quella notte. Quella notte il suo pupillo era altrove…
Si era quindi alzato, aveva percorso gallerie che un tempo erano state spettatrici dei piaceri e dei terrori del suo passato. Ad ogni passo la fitta al petto sembrava lacerargli il cuore in maniera irreversibile. Aveva raggiunto il cortile esterno, neppure lui sapeva il motivo che lo aveva spinto a recarsi lì. Di fronte a lui l’immensa arcata in pietra calcarea che conduceva al Parco degli Dei. Era entrato raramente in quel luogo, quando ancora viveva tra le mura di quel castello, ma all’epoca non ne conosceva tutte le sue più recondite sfaccettature… era stata Lyanna ad illustrargliele. Quello era il culto del nord, non il suo… ma quella notte comprese che forse era l’unico luogo che lo avrebbe fatto sentire in qualche modo più in pace col mondo, e con sé stesso. Si addentrò seguendo un sentiero che si disperdeva remoto all’interno del bosco. Vagò per interi minuti annusando ogni nuovo odore, provando ad assimilare ciascuna immagine, affinché respingessero quelle tremende visioni del suo passato che tanto lo affliggevano. Gli olmi, gli ontani e i pioppi neri lo osservavano dalle loro postazioni, come guardie di quel giardino buio. Poi la vide: un enorme quercia si stagliava di fronte a sé. Non era un Albero Diga, a differenza di quelli presenti nel Nord, e dei Parchi degli Dei di altri castelli dei Sette Regni. Eppure anche questo immenso albero metteva soggezione e rispetto. Era ricoperto da numerosi viticci di una pianta rampicante che produceva bacche scure composte da numerose piccole drupe lisce e lucide. Lyanna, penso avresti apprezzato ugualmente questo luogo. Non era il tuo ordinario Parco degli Dei, ma hai amato anche quello di Starfall, trovandolo orinale e unico. Se fossimo venuti a vivere qui, ci avresti pure portato nostro figlio, per insegnargli anche ad apprezzare i tuoi dei. Avevi immaginato tantissime cose da fare con lui… Eri già pazza del tuo cucciolo di lupo. esattamente come lo ero io. Sorrise triste a quel dolce pensiero.
Fece ancora qualche passo e raggiunse l’albero dalla corteccia scura rivestita dal rampicante. Vi appoggiò una mano sulla ruvida scorza esterna, dove la pianta infestante aveva lasciato un piccolo spazio libero. Ricordava aver visto Lyanna fare un simile gesto ad Harrenhal. Sentì una goccia d’acqua scivolargli sul mento. Stava piangendo e non se n’era nemmeno accorto. Gli mancavano quei momenti, gli mancava la sua lady, gli mancavano i suoi figli, gli mancavano i suoi amici più cari… tutti loro: la sua famiglia. Appoggiò la fronte al tronco, la maschera gli impedì di ferirsi con le spine dei viticci, ma quelle che aveva nel cuore penetrarono molto più in profondità.
 
Col cuore in frantumi e l’anima devastata, si era accucciato ai piedi di quell’albero. Era rimasto per ore seduto a terra, tra le foglie e l’erba in decomposizione, la neve imbrattata dal fango e alcuni cespugli di iresine amaranto. Si era talmente concentrato su quel fogliame che risaliva dal terreno aspro e congelato, tanto da credere di essersi perso in un’altra dimensione. Il colore rosso cupo svettava nell’immacolato candore che lo circondava. Ricordava che quella stessa immagine l’aveva veduta a Harrenhal quando per la prima volta aveva veduto da vicino un albero diga…
Tenne il capo basso e gli occhi chiusi. Quando li riaprì, notò che il sole non era ancora sorto, ma una luce velata delineava appena i rami degli alberi che lo circondavano, quasi fossero artigli di spettri terrificanti. Alzò la testa e notò tra le fronde vari spicchi di cielo, ricoperti però da grosse nubi che oscuravano la luce del giorno. Una strana associazione mentale gli fece ricordare una frase che era solito udire. A Dorne è raro vedere nuvole nel cielo. Lo aveva constatato lui stesso quando vi si era recato. Lì il sole splendeva per gran parte dell’anno; era sempre bel tempo, e la vita scorreva felice e piena di gioia… Realtà che, quella città invece, non conosceva affatto. Si asciugò le guance con entrambe i palmi delle mani, forse era il caso di tornare alla Fortezza, Daenerys al risveglio poteva aver bisogno di lui e lui doveva darsi una ripulita. Sapeva bene dove l’avrebbe trovava. Gli aveva detto che in piena mattinata voleva consultare il suo piccolo concilio. Aurane Waters gli aveva detto che la regina voleva disporre delle navi d’assedio, pronte a raggiungere il Nord su due fronti, in caso le trattative pacifiche con re Snow fossero fallite miseramente…
Tuttavia quella mattina qualcosa gli diceva che sua sorella avrebbe fatto tardi. Avrebbe trovato le scuse più banali; “ho dormito male, avevo i capelli tutti annodati… Tyene ci ha impiegato ore prima di scioglierli.” “Ero indecisa su che abito mettere. Per non parlare dei gioielli… dovrò farmene confezionare altri.” Dany non era vanitosa, l’esilio le aveva insegnato cosa fosse l’umiltà e il possedere poco e niente, per cui alle orecchie di Rhaegar quelle erano banali scuse. Fingeva di non essere interessato alla cosa, sua sorella era libera di fare ciò che meglio credeva: era una donna determinata adulta e sapeva quello che voleva, assomigliava molto alla loro dolce madre in questo. Muna… Anche nell’inventare giustificazioni per tenere gli altri all’oscuro di piccoli e intimi segreti. “Potrei suggerirle la scusante delle lezioni del Cyvasse…” Scosse la testa al pensiero di non aver carpito la verità all’epoca. Per anni aveva ignorato un fatto talmente ovvio… eppure era tutto sotto al suo naso. Ma se aveva compreso una cosa, era che si impara sempre dal passato, e nel presente stava scrupolosamente attento ad ogni minimo dettaglio. Gli sguardi che sua sorella lanciava a Aegon erano trasparenti come l’acqua di una sorgente cristallina; i suoi occhi cercavano quelli del suo amante, il suo corpo agognava le sue carezze… Aveva visto quello stesso gioco di sguardi e sofferenza repressa sia in sua madre, che in sua moglie. Sperava non doverlo rivedere anche con sua sorella per questo motivo non provava in alcun modo a scoraggiare la cosa. Dopotutto non si poteva parlare d’incesto… Per quanto riguardava il suo punto di vista Dany poteva anche non nascondersi, ma i loro alleati non avrebbero apprezzato saperla intimamente legata a quello stesso ragazzo che aveva cercato di rubarle il trono. I Tyrell avrebbero provato repulsione nell’appoggiare una sovrana che si lasciava sedurre con così poca frivolezza da un quasi usurpatore, e tanto meno i Dorniani avrebbero continuato a sostenerla se avessero scoperto in che maniera seviziava un suo prigioniero… o magari non ne avrebbero fatto un dramma, dato il modo in cui avvenivano queste torture…
Ser Barristan al contrario, aveva preso a scoraggiare severamente questa loro relazione. Il lord comandante, sempre con estremo rispetto, le faceva spesso notare che lì non erano a Meeren e che avrebbe dovuto mostrare maggior attenzione alle faccende di cuore, se non voleva che venissero spiattellate per i sette venti, ma lei era solita ribadire di essere la regina e di avere l’appoggio di grandi casate che mai gli avrebbe voltato le spalle. Barristan non si fidava di Aegon, questo era risaputo, Rhaegar non aveva voluto metterlo al corrente dei suoi sospetti. A dire la verità non li aveva traditi nemmeno quando Dorne si era schierata nella sua causa, raggirando la loro fiducia. Il ragazzo si era solo ritrovato coinvolto suo malgrado nei piani di Doran Martell e delle sue lunghe mire verso la vendetta tanto desiderata contro i Lannister e tutti coloro che sono rimasti zitti e fermi a guardare, mentre sua sorella e i suoi figli venivano macellati come bestie. Ma aveva sbagliato i suoi calcoli, ignorando incautamente chi in realtà di celava dietro la maschera di Viserys. Gli era bastata una cauta intimidazione per tranquillizzarlo e farlo strisciare nuovamente nella sua tana. Ora non c’era più nulla da temere. I Martell li avrebbero sostenuti come un tempo. Non c’erano nemici da sud. Dorne non avrebbe mai potuto imbracciare armi contro Daenerys, e mai avrebbero permesso che venisse versata anche solo una goccia del suo prezioso sangue…
Individuò la bianca armatura di Ser Barristan rientrare a palazzo, affidando il cavallo ad un giovane stalliere. Era stato di pattuglia sulle mura quella notte, quale lord Comandante il suo ruolo gli imponeva di sorvegliare ogni caserma della guardia e ultimamente si era ripromesso di rifornir loro più uomini possibili per ripristinare un numero sufficientemente buono per proteggere ogni porta della città.
Considerò che per lui quell’uomo gli era sempre apparso come un devoto servitore della sua famiglia, ma per quanto fedele, il suo integerrimo portamento non gli aveva mai ispirato troppa fiducia. Sul suo onore e sulla sua abilità di spada, nulla da ridire, anzi, ma non era uno che si fosse mai esposto troppo. Era una lealtà fredda, senza veri sentimenti, diametralmente opposta a quella invece che il principe Lewyn Martell gli aveva sempre offerto. Tuttavia per Daenerys quell’uomo aveva rappresentato l’unico collegamento con Westeros rimanente, dopo che Viserys era morto e che Ser Jorah Mormont era stato accusato di tradimento e cacciato dalla sua guardia. Inconsciamente sua sorella aveva trovato in lui una figura quasi paterna, richiedendogli consigli a volte anche non inerenti al ruolo di guardia reale. Con ogni probabilità Ser Barristan rivedeva in lei una forma più giovane della regina Rhaella. Per qualche assurda ragione però gli venne da pensare anche ad Ashara Dayne. Arthur aveva notato all’epoca gli sguardi che quell’uomo le lanciava, ma non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti né di dichiarare i suoi sentimenti se davvero li aveva mai provati. Che quindi dietro ci fosse una ragione o un’altra quell’uomo aveva preso a cuore la vita di sua sorella in maniera quasi paterna, prendendosi in alcune occasioni la responsabilità del padre che lei non aveva mai potuto conoscere, ma di cui indubbiamente aveva bisogno. A differenza sua, invece, Rhaegar era stato più fortunato. Quel che non aveva avuto da Aerys aveva poi ritrovato in altri. Un inatteso surrogato paterno era arrivato quando non era più un bambino, ma neppure un uomo… Gli era stato accanto nei momenti dove la luce del sole non filtrava dalle tende. Lo aveva aiutato a crescere, lo aveva stimolato ed incentivato a migliorarsi, e con estrema pazienza si era ritagliato un posto nella sua quotidianità. Mai però aveva cercato di sforzarlo contro la sua volontà, era piuttosto riservato e sapeva come prendere il suo difficile carattere solitario e diffidente. Un leggero raggio di sole che faceva breccia tra gli spessi tendoni di velluto scuro. Passava appena sulle fenditure, dolcemente, senza privare a primeggiare, una delicatezza modesta che però era presente, e stava a lui decidere se precludere la sua venuta, o se aprirgli la strada e far entrare quella luce abbagliante. Lewyn Martell era stato un esempio da seguire e da ammirare… E in quei momenti avrebbe tanto voluto che fosse lì con loro, a consigliarli, coi suoi modi morbidi ed eleganti. A puntare quegli occhi nocciola rassicuranti sia su di lui che sulla sua dolce sorella… l’avrebbe amata con tutto sé stesso, esattamente come l’amava lui. Sorrise gradevolmente a quell’idea. Lewyn avrebbe, come sempre aveva fatto d’altronde, trovato la maniera adatta per fare di necessità, virtù. Lo stesso era avvenuto sia con muna, che con Viserys. E col suo spirito dorniano, avrebbe sicuramente trovato un modo per rendere l’utile al dilettevole… Era un maestro in questo, sperò di aver acquisito i giusti insegnamenti per poter essere la spalla di cui Daenerys aveva bisogno.
 
Avvertì una fastidiosa fitta al petto. Da quanto era tornato ad King’s Landing, quella sgradevole sensazione sembrava tormentarlo in ogni momento. C’erano giorni in cui sentiva ancora il martello infrangere le placche di metallo e le ossa dello sterno scricchiolare e frantumarsi, il sangue traboccare e imbrattarlo, mentre i battiti del suo cuore rallentavano fino a quasi scomparire ed il suo fiato divenire un anelito debolissimo… Chiuse gli occhi e si premette una mano al petto. Anche in quel momento gli mancava il respiro, ma non per un problema respiratorio o cardiaco, i suoi patimenti erano nell’animo, non nel corpo. Rammentava di aver penato simili affanni anche in passato; quando era ancora un fanciulletto e soffriva di frequenti attacchi di panico soprattutto la notte, quando le tenebre prendevano possesso di tutto ciò che lo circondava e gli incubi diventavano visioni talmente vivide e angoscianti da svegliarlo in terrorizzato. Il gigante di ghiaccio mi sta inseguendo! Sua madre era solita entrare nelle sue stanze, tenerlo tra le braccia e cullarlo, cantandogli di racconti di fate ed elfi che danzavano nei boschi. Alcune volte si ispirava a favole conosciute, altre inventava al momento inserendo anche personaggi che successivamente comprese essere stati ispirati a molti dei loro famigliari deceduti. Rhaegar aveva poche memorie di quei vecchi momenti, eppure rammentava la sicurezza che trasmettevano le sue parole, la sua voce calma e dolce e le sue mani delicate.
Gli mancava tutto quello, una lacrima amara gli scese al pensiero che sua madre non era più con loro. Muna se n’era andata, e anche la donna che aveva amato. Nessuno più lo avrebbe potuto rincuorare. Lyanna…
Una strana brezza mosse le foglie dell’albero sopra la sua testa. Rhaegar si stava alzando proprio in quel preciso istante e porse la sua attenzione verso le fronde scure. Suonavano una melodia che solo lui poteva udire. Un canto, una canzone antica in una lingua dimenticata. Era così somigliante alla sua risata. Lyanna
Un secondo fruscio del fogliame lo fece trasalire. Non era il vento, qualcosa sembrava muoversi davvero all’interno di quei rami. Rimase a fissare incuriosito quella sagoma ombrosa muoversi da una ramificazione all’altra. Saltava, si arrampicava e sgusciava via per poi riapparire su un altro ramo. Poi improvvisamente scivolò al suolo, con un salto ben calcolato e un tonfo ovattato. Era accerchiato di numerose foglie che scendevano come in una pioggia torrenziale. A prima vista non gli riuscì facile capire che animale fosse. Era un batuffolo spelacchiato di pelo nero che in alcuni punti sfumava di grigio antracite. Aveva le orecchie tutte masticate e numerose cicatrici sul muso, la coda storta, sicuramente rotta in più punti, le zampe sottili, agili e lunghe, il ventre magro… Ne devi aver passate tante in qualche maniera si sentì affine a quella creatura, stava per curvare le labbra in un tenero sorriso, accucciandosi per richiamare la sua attenzione allungando una mano verso di lui per accarezzarlo, ma fu lo sguardo che gli lanciò, a dargli quella consapevolezza che i suoi occhi ad di primo acchito non riconobbero. Ed una seconda fitta al petto lo fece cadere in ginocchio il suo cuore non riuscì a tollerare.
-Balerion… – sussurrò quasi senza volerlo. Il gatto piegò la testa di lato, come se quel suono gli avesse portato alla memoria vecchi ricordi di un remoto passato. Le iridi gialle circondavano le pupille rese due sfere liquide. Si avvicinò a lui titubante, con le zampe che affondavano appena sulla neve, le foglie secche e il fango. Rhaegar rimase immobile, ogni muscolo sembrava non avere più la facoltà di movimento. Era paralizzato. Neppure i suoi polmoni parvero intenti a compiere il loro compito. Trattenne il respiro, col terrore che se si fosse mosso, avrebbe potuto allontanare per sempre quel lieve attaccamento al passato. A lei… al suo draghetto… alla sua riñītsos/piccola bimba. Calde e grosse lacrime ripresero a scorrere sulle sue guance, unimidendo ancora l’interno della maschera. Balerion dopo aver annusato cautamente un suo stivale destro e presosi un po’ di più audacia si avvicinò anche alla sua gamba sinistra annusando il bordo del pantalone. Finalmente sembrò avere preso la sua decisione, e cominciò a strusciarsi contro di lui miagolando. Rhaegar non aveva però l’ardore di sollevare la mano per accarezzarlo, ma fu quel gatto a prendersi la libertà di far passare il muso sotto il suo palmo, prendendosi probabilmente la prima carezza umana dopo chissà quanti anni. Lo lasciò fare. Lo vide ruffianarsi sulla sua gamba, strofinando dapprima solo il muso, strusciandosi poi con tutta la schiena, con un leggero balzo elevato verso l’alto. Restò solo sulle zampe posteriori per poi riatterrare. Gli sfiorò con la punta del naso le dita della mano, e Rhaegar sentì il formicolio provocato dai suoi baffi. Mosse appena le falangi, quasi ridestato da un qualche misterioso incantesimo, ricordando la medesima sensazione di quei giorni in cui sua figlia giocava con lui. Non trovò il coraggio per distaccarsi da quel ricordo. La sofferenza era tanta, tuttavia quel contatto, in qualche modo era come se stesse riportando in vita Rhaenys. Chiuse gli occhi cercando di rievocare nella mente ogni tratto del suo visino, dei suoi sorrisi solari, dei suoi dispetti irruenti, delle sue manine calde…
Poi, com’era arrivato, Balerion se ne andò, lasciando un’impronta leggera del suo passaggio sul suolo, ma nel suo animo si ricreò una voragine insanabile. Riaprì gli occhi e vide solo i piccoli avvallamenti sulla neve dei suoi polpastrelli. Una spaventosa disperazione lo colse impreparato. Per un attimo, un solo attimo aveva quasi pensato di essere tornato indietro nel tempo, di avere ancora tutti loro lì accanto a sé; ma la realtà era bruciante e avversa. Era solo. Irrimediabilmente solo, come mai era stato in tutta la sua vita. Uno stato di abbandono peggiore di quando, da adolescente, soffriva in silenzio chiuso nelle proprie stanze… in quel intervallo di tempo almeno sapeva che erano presenti sua madre, Jon Darry o Lewyn Martell a dargli un dolce conforto al di là di un muro o di una porta… si sentiva più solo di quando, poche ore dopo il matrimonio al tempio di Baelor aveva patito quell’amara delusione, ritrovandosi ad odiare la donna che suo padre gli aveva imposto di sposare; a maledire il suo migliore amico per avergli sempre celato dei segreti, e a detestare anche se stesso per non aver compreso la verità prima. Ma neanche in quel periodo era davvero solo, perché un’anima pia era giunta da lui e lo aveva accolto tra le sue braccia confortanti, curando le sue ferite, aiutandolo a tornare il romantico sognatore che era un tempo…
Si sentiva più solo perfino di quando, finito il torneo di Harrenhal, la sua strada si era separata da quella di Lyanna. Anche in quel frangente aveva avuto l’intera sua famiglia a sostenerlo e a sanare le cicatrici del cuore, seppur la sua anima fosse irrimediabilmente spezzata.
Ma ora non c’era nessuno, nessuno di loro. Nessuno in grado di comprenderlo. Nessuno in grado di capire cosa stava passando perché era l’unico ad essere tornato indietro, mentre il passato continuava a scorticare le pareti del suo animo come una bestia in gabbia.
Con quella tragica realtà nel cuore, corse via da lì, come un infante che cerca consolazione tra le braccia della madre. Corse senza voltarsi addietro. Le lacrime gli scendevano inesorabili sulle guance e solo quando raggiunse il piano degli alloggi della Torre delle Spade Bianche si fermò incredulo di aver preso quella strada. Non sapeva nemmeno lui il perché si era diretto lì. Appoggiò la fronte ai mattoni del muro, e poco dopo tirò un pugno contro di essi. Un rumore sordo, un dolore profondo che non avvertiva dall’esterno della mano, piuttosto dentro di sé. Una volta era consueto per lui recarsi in quel luogo, in cerca del suo migliore amico, quando questo stranamente non si era già messo al suo fianco. Bussava piano alla sua porta, col timore di poterlo disturbare, se fosse stato in dolce compagnia, ben sapendo che i confratelli non potevano portare nessuno nelle loro stanze. Mentre una parte di lui subiva quella spiacevole sensazione di gelosia e possessività scaturita dalla nostalgia della separazione… il terrore di perdere un amico, di perdere un fratello, di perdere parte di sé stesso. Il suo abbandono, gli pesava nel cuore sempre, se restavano a distanza per troppo tempo, ecco perché aveva preso ad invitarlo a dormire nelle sue stanze private, concedendogli la sua chaise long. Ma non c’era più nessuno ora lì ad accoglierlo con un caloroso abbraccio e una pacca sulla spalla. Sei un idiota. Ora come allora… Cazzo, Rhaegar datti una svegliata! disapprovò sé stesso e la sua stupidità Chi pensavi di trovare? Arthur, forse? Magari Oswell o Jon? Oppure Lewyn? Li hai visti morire di fronte ai tuoi occhi e quelli che non erano con te, hanno avuto la loro medesima sorte alla Torre della Gioia per causa tua. Tu ce li hai messi lì. E ora sono sepolti sotto terra. Sono tutti maledettamente morti. Hanno dato la loro preziosa vita per la tua assurda causa, e per la tua stolta inadeguatezza. “Fottiti Rhaeg, il sentimentalismo non si addice ad un vero drago dal cazzo duro.” Arthur mi prenderebbe a schiaffi se mi vedesse così.
Altre lacrime gli erano scese. La sua anima stava esplodendo di sofferenza. Ogni fibra del suo essere sembrava tremare di rabbia e di disperazione. Fuoco. Sangue. Il suo corpo reclamava nuovamente la morte. Fissò l’anello che aveva al mignolo. Strinse il pugno con forza e se lo portò alla bocca, prima di lasciarsi andare completamente ad un urlo gutturale di sfogo, amarezza e sconforto.
 
 
 
 
Ser Barristan Selmy stava uscendo dalla Sala Rotonda proprio in quel momento quando lo vide. Aveva indetto quella mattina presto una riunione con alcuni cavalieri che si erano candidati per entrare a far parte della nuova Guardia della Regina. Erano solo in prova. Quell’appuntamento di prima mattina doveva determinare la puntualità e quanta attenzione avrebbero messo nel suo annuncio. Gli sarebbe servito come base per la sua ultima valutazione… ancora non lo convincevano, ma doveva darsi una mossa a scegliere qualcuno di valido. Non sarebbero mai stati come i membri della guardia di Aerys II… di quello non aveva ombra di dubbio. A quei tempi erano la più forte e la più fedele squadra di cavalieri mai vista nella storia. Ma rivangare il passato era solo cosa da vecchi. Doveva formare una nuova guardia, Daenerys contava su di lui. In quel giorno aveva fatto convocare sei cavalieri promettenti, provenienti da casate di tutto rispetto. Valorosi guerrieri che erano appartenuti fino a pochi anni fa all’esercito fedele ai Baratheon, ai Lannister o ai Tyrell. Tra di loro c’era chi aveva appoggiato Renly, chi era poi passato a combattere per Stannis, chi si era tenuto in disparte nascosto nel proprio castello, chi aveva combattuto al fianco di Tywin Lannister contro le casate dei Tully o il contrario. Tutti loro si erano inginocchiati a quelli che un tempo erano stati definiti ribelli, lui stesso si era visto costretto ad inginocchiarsi all’usurpatore. Avrebbe dovuto scegliere la Barriera o la morte, ma i Sette aveva scelto diversamente e ora forse ne cominciava a capire la ragione.
A volte sentiva di non essere mai stato all’altezza del titolo di Lord Comandante. Provava dentro di sé una sana inadeguatezza nel ripensare che Gerold Hightower aveva investito quel titolo con maggior solerzia e probabilmente il Principe Lewyn Martell avrebbe saputo ricoprire quel ruolo ocn la stessa devozione… ma qualcosa gli diceva che avrebbe preferito prendere anche lui altre strade. Al contrario quando pensava a Ser Gerold, non lo vedeva con altre vesti se non l’armatura bianca della guardia reale. Era stato un Lord Comandante migliore di lui, di questo non aveva dubbi. Conviveva con la speranza costante di valere almeno la metà di ciò che era stato il suo mentore. Aveva scritto lui le ultime gesta eroiche sul Libro Bianco dei tutti i suoi confratelli morti durante la ribellione. Quando era toccata la pagina del Toro Bianco aveva versato una lacrima. Paragonate alle sue sembravano niente eppure per assurdo c’erano più pagine dedicate a sé stesso che non al vecchio Lord Comandante. Lui alla fine ha protetto con la vita il suo re. Restava in lui la cocente   e gravosa coscienza di non aver protetto il proprio re… mai. E ne aveva serviti molti. Pochi erano i cavalieri che potevano vantare di essere sopravvissuti al proprio re, ma di questo non c’era affatto da bearsene, di certo lui non si sentiva euforico quando ripensava a queste cose. Non era riuscito a sottrarre alla morte l’Ultimo Drago, permettendo invece a Robert di ottenere la corona che spettava a Rhaegar.  Era sua di diritto a quel tempo, aveva preso finalmente coscienza della sua vera natura. Le fiamme del drago avrebbero bruciato solo per motivare la sua determinazione ed il sangue sarebbe continuato a scorrere solo nelle vene dei suoi discendenti, non bollendo sopra i roghi nella Sala del Trono. Rhaegar sarebbe stato un buon re, Rhaegar era già il re per molti…
 Come se il Padre avesse udito i suoi pensieri, si accorse del principe fermo a metà corridoio. La schiena addossata alla parete, la nuca interamente premuta contro i mattoni ed il volto rivolto verso l’alto come in segno di preghiera. Un cristallo di luce gli vide scendere sulla mandibola. Stava piangendo. Era palesemente stravolto. Non gli occorreva vederlo in volto. Ricordava ancora molto bene la sua discrezione e riservatezza, il modo in cui nascondeva i sentimenti alle persone… tutto quello adesso non era affatto cambiato, ma Barristan sapeva ora leggerlo.
Il Lord Comandante congedò velocemente le nuove reclute e ordinò a Scarafaggio Verde di scortarli fino al cortile per l’allenamento con la spada. L’immacolato fece come gli era stato ordinato e lasciò la torre senza dire una parola seguito a ruota dai sei cavalieri.
Rhaegar si spostò, accostando una spalla al muro, nel vano e assurdo tentativo di passare inosservato, ma era praticamente impossibile non notarlo non solo per il mantello scuro che indossava ma anche per via della sua imponente altezza. Barristan attese di udire il rumore dei cardini della porta, e il dissolversi dei passi dei sette uomini.
Rimase a fissarlo da lontano per alcuni istanti, quella maschera era imperscrutabile e fredda, in modo illogico non sembrava cambiare poi dall’impressione che sempre gli aveva visto.
-Conosco la ragione per la quale siete venuto fino a qui, principe Rhaegar. Perdonate la mia insolenza, mi addolora dovervelo dire ma questa volta non troverete quello che cercate negli alloggi della guardia reale… – tenne aperta la porta della sala rotonda – Ma se volete seguirmi oltre questa porta… - gli fece cenno col capo di seguirlo.
Rhaegar lo guardò con diffida, non tanto perché non si fidasse, più che altro perché non credeva alle sue parole. Barristan però non attese che capisse le sue intenzioni e lo precedette. Attendendolo poi dentro. Raggiunse il tavolo di marmo bianco al centro della grande sala di forma tonda. Spostò una delle sedie di legno di albero diga con l’alto schienale intagliato e lavorato raffigurante una corona e vi si sedette. Con una mano tirò a sé il Libro dei fratelli e cominciò a sfogliarlo dalle prime pagine. Quando il principe Rhaegar fece capolino alla porta Barristan aveva tra le mani le pagine riguardanti Ser Criston Cole, un cavaliere che servì nel regno di Viserys I. Barristan prese allora una grossa quantità di pagine sulle dita per raggiungere i tempi più recenti. Scartò la pagina dedicata a Ser Duncan l’Alto, lui aveva avuto il piacere di conoscerlo almeno, per Rhaegar era solo uno dei tanti nomi citati tra le vittime di Summerhall. Proseguì di un’altra mezza dozzina di pagine, nel frattempo il principe gli arrivò alle spalle col suo solito incedere silenzioso e lento. Quando infine Barristan trovò ciò che cercava, spinse il libro in modo che fosse di fronte alla vista di Rhaegar. Sentì il principe trattenere il fiato.
-Non credo di esserne capace… - affermò con voce strozzata dal dolore. Tremava, lo vedeva chiaramente da come teneva lo schienale della sedia che aveva di fronte. Non occorreva chiedere, Barristan sapeva già a cosa si stava riferendo. Il fatto di essere tornato, ma di aver lasciato indietro tutto il resto era arduo da sopportare. Era difficile anche per lui che aveva continuato a servire un re usurpatore, costretto a cancellare dalla mente ciò che sapeva quei corridoi avevano vissuto.
-Dentro di voi c’è ancora molta forza e coraggio, mio principe. – cercò di rassicurarlo, azzardando un accennato sorriso e allungando una mano sulle sue. Lo sentì irrigidirsi all’istante, ebbe il terrore che si scansasse da un momento all’altro, ma si accorse che stava quasi cercando di tenere a freno a quel rigetto naturale. Il bisogno di ritrovare sé stesso lo costringeva ad accettare quel compromesso. Barristan capiva cosa gli costava quella sottomissione, per cui non si fidò nemmeno per un momento di insistere oltre, né ebbe l’ardire di aumentare la stretta – Spero troviate questa lettura sufficientemente appagante per quanto so sia impossibile sanare le ferite che portate dentro. Questa sala è solo per i cavalieri della guardia reale. Restate il tempo che vi serve. Nessuno vi disturberà. – fece per alzarsi e lasciarlo alla sua triste lettura. I caratteri elaborati ad inizio pagina citavano il nome di Ser Arthur Dayne. Con tristezza Barristan sapeva che quella sarebbe stata una magra consolazione, ma era tutto ciò che il principe avrebbe trovato della Spada dell’Alba in quel luogo.
-Restate, Ser. –
-Credevo voleste restar solo. –
-Lo credevo anch’io. Ora non è più così. – la voce che gli uscì era molto simile ad un richiamo d’affetto. Ma Barristan sapeva quanto era giusto spingersi. Non avrebbe stretto tra le braccia un principe della famiglia reale. Non era un dorniano, spesso aveva veduto Arthur ed il principe Lewyn stringerlo in un abbraccio e addirittura toccargli i capelli. La sua fissazione per i capelli… Con amarezza ripensò a quella triste storia.
 
Ricordava ancora quel pomeriggio molto lontano, Rhaegar doveva avere sì e no sei o sette anni. Aveva chiesto di vedere sua madre, doveva mostrarle ciò che aveva appena preparato per lei. Era stato affidato a lui quel giorno e Barristan era orgoglioso di poter trascorrere un’intera giornata con quel prodigio di bimbo. Parlava già come un adulto; era sveglio, sagace e brillante. Non c’era un libro alla biblioteca reale che non avesse letto. Anche quella mattina si era recato lì alla ricerca di un tomo antico che era certo di aver sfogliato nemmeno un mese prima. Diceva che vi era un’accurata spiegazione di un concetto poetico quasi dimenticato e voleva confrontarlo con una sua recente composizione. Aveva scritto da poco una poesia in antico valyriano e voleva leggergliela a sua madre, lei sapeva apprezzare quel genere di cose, nella speranza che lo aiutasse a renderla in note musicali.
Si erano incamminati quindi per i corridoi del castello, mentre la voce del principe faceva il resoconto fiero di come quegli androni pittoreschi fossero stati studiati appositamente da Maegor I detto il Crudele, per atterrire quegli ospiti che ancora non si erano impressionati dalla sua enorme figura. Una volta svoltato a destra invece prese a narrargli di Jaehaerys I e della sua buona consorte che contrariamente fecero abbellire le pareti con pietre preziose e figure meno intimidatorie, sostituendo quadri e aggiungendo molto più oro alle rifiniture. Barristan ascoltava paziente, stupendosi che un bambino di tale età potesse mai conoscere già così tanti aneddoti di storia e architettura assieme. Forse la diceria faceta sui libri e le candele ingurgitate dalla regina Rhaella era dunque vera? Aveva riflettuto scherzosamente, non pensando che ben presto ogni sorriso si sarebbe presto spento.
Avevano raggiunto le loro maestà nella sala adiacente a quella dei ricevimenti. Nel giro di un’ora avrebbero avuto ospiti illustri a pranzo ed indossavano già gli abiti migliori.
-Non avrai intenzione di deludermi ancora, sorella? – il re stava criticando la moglie. Barristan era certo di aver udito anche altre parole ben poco ortodosse uscire dalla bocca del re, poco prima che la porta venisse loro aperta.
-Sono cose naturali, Aerys. Guarda che la delusione è anche mia. – obbiettò Rhaella Targaryen provando a dargli le spalle, ma lui non glielo permise.
-Non provare a fingere con me, Rhaella. – la prese maldestramente ad un braccio e la fece voltare – Cos’è venuto a dirti Lord Velarion prima nelle tue stanze? –
-Era venuto per parlare con Vanya, non certo con me. –
-Non mentirmi, a meno che tu non voglia vedere risvegliarsi il drago. –
-Le tue minacce non mi intimidiscono, marito. – questa volta la regina lo stava affrontando guardandolo negli occhi.
-Allora minaccerò il tuo amante. –
-A differenza tua, io sono fedele al mio giuramento che feci quel giorno al tempio di Baelor. – questa volta fu Aerys a indietreggiare e a distogliere per un attimo lo sguardo da lei – Quella che potrebbe usare questa minaccia dovrei essere io, e avrei pure l’imbarazzo della scelta. –
-Sono sicuro che loro non avrebbero problemi a generare dei figli sani e vivi. – provò a mostrarsi potente attaccandola nella sua debolezza.
-Illegittimi, quanti ne desideri. – gli rispose a tono.
Barristan rammentava solamente di due aborti dalla nascita di Rhaegar, uno proprio l’anno precedente, e dopotutto un erede già ce lo avevano… ma comprendeva la necessità di incrementare il numero per dare una sicura successione al trono, nonché magari anche una sorella per Rhaegar che un giorno avrebbe sposato. Dopotutto Aerys e Rhaella erano così giovani, sarebbe presto arrivato un altro figlio. Barristan ne era certo.
-Trova un modo per concepire un figlio come si deve! Steffon ha già avuto due figli sani e robusti e la tua amica Joanna ha sfornato in un colpo solo due gemelli biondissimi a Tywin. Gli unici ad essere ancora indietro siamo noi, fermi ad uno… malaticcio e noioso per giunta. – affermò con sdegno, Barristan non seppe dire se quelle parole le disse di proposito oppure se non si fosse accorto che anche Rhaegar era presente in quella sala.
-Non è una gara Aerys. Possibile che tu prenda sul personale una cosa che dipende dalla natura? –
-La verità è che sei una donna inutile! E io non so che farmene di una moglie che non è nemmeno più in grado di dare un erede al proprio marito. – aveva preso a urlare.
-Nostra madre sarebbe rattristata nel sentirti parlare così. –
-Nostra madre era una sciocca sentimentalista. Nostro padre un mentecatto senza spina dorsale. E il peggiore di tutti era nonno Aegon. Lui che non faceva altro che dartela sempre vinta e… – Rhaella si accorse del bambino proprio alle spalle del marito e si affrettò a raggiungerlo, fingendo che quel discorso non la riguardasse.
-Dona Zaldritsos, Skorkydoso glaesā? / Dolce draghetto, come stai? – lo aveva accolto teneramente, mostrandogli un dolce sorriso. Quello era l’epiteto con cui amava chiamarlo. La rapidità con cui quella donna riuscita a mutare il suo umore era impressionante. Riusciva a nascondere i suoi sentimenti saggiamente. Barristan però scorse nascoste tra le ciglia alcune lacrime di risentimento, costretta a trattenere dall’arrivo del figlio.
-Syrī glaesan, kirimvose Muna. – abbassò il capo mostrandosi rispettoso e dolce verso di lei – Guardate, l’ho composta per voi. – il principe mostrò alla madre la pergamena su cui aveva scritto la poesia e prese a recitarla col candore della sua vocina bianca – Gēlenkon, Hūrenka glaeson, Dōnon ynot. / Come l’argento, la vita nella luna, è dolce per me. -
-È meravigliosa, Rhaegar. Sei stato bravissimo. – stava per chinarsi su di lui per dargli un bacio sulla fronte, quando Aerys era apparso loro accanto, prendendo il figlio dalle mani della moglie e guardando innervosito il suo breve componimento.
-E questo sarebbe il passatempo di un principe Targaryen? – guardò il figlio con sdegno, arroganza e presunzione, nel volto un’aria inspiegabilmente arcigna. L’espressione di Rhaegar da allegra si tramutò in funesta.
-Ti avevo detto di smetterla con queste idiozie. – gli sbraitò contro guardandolo dall’alto in basso – Sei solo un incapace! Esattamente come tua madre! – accartocciò la pergamena e usando anche l’altra mano la strappò di netto in due, prima di avvicinarla ad una candela.
-No, Kepa… - cercò di dire, ma Aerys gli tirò un ceffone.
-Non mi chiamare a quel modo. Ora non sono più tuo padre, ma il re. Devi comprendere la differenza. –
-Scusatemi Darys. – rispose il principino tenendo il capo chino. Le palpebre erano semichiuse, ma gli occhi erano puntati unicamente sulla disfatta del suo lavoro. La pergamena ci mise meno di un secondo a prendere fuoco ed il re rimase a osservarla ammirato ardersi completamente, prima di lasciarla cadere a terra.
-Cosa me ne faccio di un discendente abulico come te? Ho bisogno di un erede vigoroso, non di una mammoletta sempre china sui libri a scrivere e parlare per rime. Cosa sei figlio di un re o di un bardo dorniano? – gli aveva inveito contro inferocito senza motivo, afferrandolo duramente per i capelli e strattonandolo malamente.
-Ahi… darys… mi fate male! – il bambino sorpreso e spaventato aveva urlato di dolore. Barristan non aveva mai visto sua grazia comportarsi in maniera così incontrollata e alienata. Aveva indugiato interdetto, insicuro e ammutolito, non sapendo come agire: i suoi doveri lo volevano a proteggere quelle persone che aveva di fronte da attacchi esterni… ma quando il pericolo era tra di loro, qual era il suo dovere? Non puoi contestare la parola del tuo sovrano, non puoi giudicare le sue azioni…
La regina era impallidita per quel gesto avventato, ma a differenza sua, aveva trovato il coraggio per difendere ciò che aveva di più caro; probabilmente l’istinto materno aveva prevalso, o forse già allora aveva compreso quale dei due era l’uomo che andava salvato.
Si era intromessa per fermarlo, decisa e risoluta, aveva messo una mano sul braccio del marito, guardandolo con irritata supplica.
-Fratello, no! – gli aveva detto con voce risoluta – Lascialo! – ma il re aveva alzato quello stesso braccio, per allontanarla.
-Smettila di intrometterti, quando gli impartisco un insegnamento! – l’aveva spostata, senza alcuna intenzione di fermare la corsa del suo arto – Se si è ridotto in questo stato, è solo per colpa tua! Tua e della tua patetica passione con la musica. – infierì ancora più collerico. La colpì al volto con un pesante manrovescio, facendola volgere il capo scompostamente. A Barristan si gelò il sangue nelle vene, quando la vide perdere l’equilibrio e rovinare a terra. Immobile, zitto e al suo posto, come il suo giuramento imponeva, fissò quella scena fingendo che non stesse davvero accadendo. Non poteva intervenire, non poteva bilanciare… non poteva impedire che tutto ciò avvenisse.
-Tu e quella tua dannata fissazione per le frivolezze! Non è una principessina da coccolare come lo eri tu per nostro nonno! Deve crescere come un uomo! Come un principe! Sono il re, pretendo che sia così! – continuò urlando e sputando saliva acida dalla bocca. Muoveva il braccio per enfatizzare la sua rabbia, quello stesso braccio la cui mano continuava a tenere i capelli del figlio. La testa del principino veniva percossa da strattoni continui. Rhaegar aveva allungato le braccine, nel vano tentativo di afferrare le dita di suo padre e allentarle, ma l’uomo continuava a stringerle sempre più tra i suoi capelli.
-Lascia andare nostro figlio, Aerys! – la donna, ferita ad un labbro e con la guancia gonfia e pulsante, si rimise a fatica in piedi. La sua acconciatura aveva perso consistenza nella caduta e da un lato qualche ciocca fuoriusciva scomposta e libera.
-Nostro figlio… è quello che spero che sia. Non mi avrai mentito su quel tuo spasimante pusillanime che avevi fino a qualche anno fa? –
-Non l’ho più rivisto dopo che nostro padre lo fece esiliare dalla corte reale. Non sfogare su Rhaegar la tua frustrazione. –
-Allora la devo sfogare su di te? –
-Sì. – questa volta la regina lo contrastò con la schiena dritta e il portamento fiero e coraggioso. Se aveva paura non lo dava a vedere.
-Come mi hai chiamato prima… Aerys, per caso? – la voce del re era sarcasmo velenoso. Lo vide afferrarle con l’altra mano il mento, stringendoglielo con le dita come fossero artigli – Mi devi rispetto, moglie, più rispetto di quanto me ne hai dato fino ad ora! Sono il tuo re, mettitelo bene in testa! – usò maggiore forza, tirando in alto il braccio che teneva i capelli del figlio che urlò ancora più forte. Barristan scorse alcuni fili argentati che si afflosciavano tra le dita del re. Si sono strappati nella foga del gesto… Nello stesso istante dalle labbra distorte della regina, delimitate dall’altra mano, uscì un gemito e qualche goccia di sangue zampillò per la forte pressione andando a ricadere verso il basso. La tristezza prese dominio del suo cuore, quando il cavaliere si accorse che sugli argentei capelli di Rhaegar quelle gocce rosse brillavano vivide come rubini accostati alla seta più pregiata. Il sangue di una madre, sul capo di un figlio, dovrebbe esserci solo nel momento in cui lei lo sta mettendo al mondo… non anche dopo. Per un attimo pensò che assomigliavano al famoso detto: è un monito per gli sciocchi credere che l’inverno sia finito solo perché qualche petalo di rosa è caduto tra la neve. Era un modo di dire, che aveva sentito in una taverna da un mercante di lana proveniente da nord. Non seppe capire perché gli tornò in mente in quel momento, eppure nella sua fantasia quelle gocce di sangue apparivano come i petali di rose rosse appassite.
Rhaella Targaryen era irrigidita e furente, come se mai qualcuno potesse metterla in ginocchio. Nel suo sguardo una fervida determinazione. Aerys non sembrò per niente intimorito, al contrario semmai, pareva unicamente infastidito e seccato di quella situazione.
-Andatevi a dare una ripulita! Non voglio che mi mettiate in imbarazzo di fronte agli ospiti di questa sera. – la lasciò andare, allontanandola maldestramente, ma la regina questa volta non cadde a terra. Barristan lo vide poi lanciare il bambino dalla parte opposta, con tutta l’intenzione di tenerli separati. Dalle sue dita caddero quei sottili fili d’argento che aveva strappato dalla cute del figlio. Se ne liberò con due battiti di mano, non s’era minimamente preoccupato di avergli arrecato danno. Rhaegar preso alla sprovvista, protese le braccia per attenuare la caduta, rimase a carponi, la schiena sussultava, le mani gli tremavano. Doveva provare ancora molto dolore al capo.
-M… mu… muna… - sussurrò terrorizzato, ma non sembrava un’invocazione per il timore provato, piuttosto un impellente desiderio di saperla illesa – State bene, muna? Il vostro labbro sanguina. – lei reagì a quella sua preoccupazione come una madre apprensiva e corse da lui, fingendo di non vedere lo sguardo minaccioso di suo marito. Gli mise dolcemente le mani sulle spalle e lo invitò a rialzarsi. Il bambino tremava, ma era apparentemente incolume. Altre gocce di sangue caddero dalla bocca della donna, quando si abbassò sulle ginocchia per osservarlo meglio in volto. Barristan si accorse che sulla fronte del giovane principe c’erano delle piccole goccioline rosse che scendevano fin sulle guance, per il resto erano asciutte, così come i suoi occhi. In tutto quel tempo, nell’orrore che aveva appena vissuto, non aveva versato una sola lacrima.
-Sparite dalla mia vista, prima che mi si risvegli nuovamente il drago. – il re si voltò furioso, il mantello sulle sue spalle schioccò al frettoloso movimento e mosse le braccia per cacciarli via.
Rhaella Targaryen prese per una mano il figlio e si avvicinarono al cavaliere. Bastò un semplice cenno col capo, per convincerlo a seguirli. Quando furono fuori, incontrarono Ser Gwayne, non aveva assistito alla scena, ma poteva aver sentito la discussione da dietro la porta. Barristan lo guardò, ma nei suoi occhi non traspariva alcuna emozione. Superarono di qualche passe il suo confratello giurato e solo dopo la regina si fermò, si voltò verso di lui e a voce bassa disse.
-Mi auguro, Ser Selmy, che abbiate riguardo a non far trapelare mai di quanto è avvenuto. – nei suoi occhi un chiaro ammonimento.
-Come ben sapete il giuramento stesso me lo vieta, vostra grazia. – aveva risposto lui, mantenendo lo stesso tono.
-Bene. – affermò poi la donna seria, dirigendo lo sguardo verso il suo confratello e lo interpellò – Ser Gaunt, fate chiamare lady Velaryon: che mi sostituisca al ricevimento che si terrà fra poco nella sala ricevimenti. – ordinò – E provvedete a mandare al più presto dei servi nelle mie stanze con un catino di acqua calda, dei panni di lino, uova, farina di ceci, aceto e cenere. – se anche fosse stato sorpreso di udire quelle richieste particolari o di vedere del sangue sui volti della regina o del principino, il suo confratello non lo diede a vedere e, ligio al suo dovere, prese congedo con un veloce inchino e un altrettanto rapida occhiata nei suoi riguardi.
-Come ordinate, mia regina. – rispose solo.
Nessuno di loro avrebbe mai posto domande, ma i servi erano di una pasta differente. Quando poi furono nel solarium della regina, e questi entrarono, rimasero un po’ spiazzati per la scena che si mostrava di fronte ai loro occhi.
-Vostra maestà, perdonate la sfacciataggine, ma che a cosa vi serve tutto questo? –
-Ho intenzione di far tornare al primitivo stato di nitidezza la chioma d’angelo del principe, mio figlio, per quanto mi sarà possibile… ma non lo ripulirò mai completamente dello sudiciume che lo ha ricoperto quest’oggi – rispose risoluta, una lieve ruga si era formata tra le sue sopracciglia perfette. Il volto di Rhaegar sbucava da una grande vasca da bagno in marmo. Aveva versato una prima brocca d’acqua per inumidirgli il capo. Numerosi rigagnoli rossi imbrattavano i capelli argentei e la pelle chiara della fronte, superando anche le sopracciglia chiare e scendendogli sugli occhi.
-Mia regina, dovrebbero essere le serve stesse a provvedere alle abluzioni di vostro figlio. – propose Barristan, allontanando la serva invadente.
-Nessuna serva non potrà essermi d’aiuto oggi, Ser Barristan. A meno che voi non ne conosciate una che sappia amare mio figlio più della sua stessa madre. – il suo tono era gentile, ma fermo. Per quanto il re la stesse abituando in quegli ultimi giorni a ricevere solo onte e umiliazioni, lei era particolarmente calma e riflessiva, come se avesse cominciato a creare uno scherno alla sua anima. Le sarebbe servito per il futuro, perché quelli erano solo gli inizi di un’agognante situazione che per anni l’avrebbe vista vittima di esperienze che nessun uomo avrebbe mai saputo raccontare.
 
Non seppe perché in quel momento aveva rievocato quel ricordo, ma rammentava che da quel giorno Rhaegar era divenuto sempre più taciturno. Non permise più a nessuno di toccargli la testa o i capelli, se non a sua madre. Gli bastarono pochi mesi per imparare e provvedere lui stesso alla pulizia completa del proprio corpo, senza mai più chiedere aiuto a servi nemmeno per le abluzioni complete. Barristan era certo che anche la particolare emofobia di cui fu soggetto negli anni a seguire divenne per lui qualcosa di ossessivo diniego. Avrebbe tollerato sempre meno la vista del sangue, soprattutto se e quando proveniva dalle ferite inferte ad una donna. Qualcosa dentro gli rievocava immediatamente quella sgradevole sensazione che lo aveva visto protagonista indiretto di quella pessima giornata. Il mondo era divenuto rosso, quando i suoi occhi si erano ricoperti del sangue di sua madre. E mai più avrebbe permesso che questo riaccadesse, ma per quanto ferme fossero le sue volontà, restava pur sempre un principe. Ed un principe, esattamente come tutti gli altri sudditi, doveva sottostare alle imposizioni del suo re.
-Perché…? Perché c’è sempre così tanto dolore attorno a me? –
-Perché è nel sangue e nel dolore che gli uomini nascono, mio principe. – gli rispose sperando di apparire saggio e non negativo – Se lo desiderate, vi posso accompagnare tra le vie delle città. Ricordate? Come facevamo un tempo… – sussurrò queste ultime parole quasi fosse un segreto tra loro – Ci camuffiamo e ci sparpagliamo tra la folla. Troveremo pure un mercante di strumenti musicali da cui comprare una piccola arpa informale, così potrete suonare nuovamente al popolo, e donare il ricavato ai poveri. –
-Mia sorella si aspetta che vada a trovarla prima di pranzo. – affermò tetro con una voce che sembrava provenire da un luogo lontano.
-Sono certo che torneremo in tempo. – il tono che usò fu quello di un padre, cosa che nella sua vita mai era stato, ma che in quel momento era ciò che sentiva di poter offrire al suo principe: l’affetto che nessun altro più poteva dargli – E se posso permettermi, dubito che questa mattina sarà presentabile non prima di mezzodì. – argomentò con una singolare stizza nella voce.
-Aegon non ti piace. – non era una domanda. Barristan non gli rispose, ma rimase a guardarlo. Uno sguardo che voleva dire molte parole – Ci possiamo fidare di lui, di questo ti posso assicurare. Non è ancora pronto per incontrare la sua vera famiglia. Ho la facoltà di decidere per il suo bene, probabilmente è una forma di mio egoismo che mi fa parlare, ma è una promessa che voglio mantenere. – Barristan si era domandato di cosa stesse parlando, però capì dallo sguardo che il principe gli lanciò che non avrebbe detto altro – E ciò che lui e mia sorella fanno nel privato non ci riguarda. Non è amore ciò che li unisce, di questo se ne sono accorti anche loro. Ma se è ciò che in questo momento necessitano, chi siamo noi per dividerli? –
-Avete ragione… come sempre. – accordò diligente, rialzandosi in piedi – Sarà meglio che prima asciughiamo questa maschera, se non volete che rimanga umida per tutta la giornata. Il cuoio bagnato è un fastidioso compagno se lo si indossa a stretto contatto sulla pelle. –
Sebbene avesse molti impegni ancora da sbrigare, non si pentì mai di aver dedicato quelle successive ore al principe Rhaegar, ma dentro di sé la redenzione ai suoi passati insuccessi nei suoi confronti, non svanì mai.
 
   
 
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