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Autore: Kaiidth    03/08/2020    0 recensioni
Jim represse un sospiro rassegnato, non voleva irritarla, le punizioni in quell’istituto erano decisamente dure – lo aveva imparato a proprie spese, poco dopo il suo arrivo – e la signora Kuida era tra le peggiori.
Doveva resistere per almeno due anni, su Tarsus IV, dopodiché sarebbe stata riesaminata la propria condotta e sarebbe potuto tornare sulla Terra. Doveva solo essere buono, essere un Kirk.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nyota Uhura, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Disclaimer: Star Trek non mi appartiene, quanto scritto è tutto frutto della mia fantasia e tutti i contenuti sono creati per diletto senza alcun fine economico.
Note dell'autrice: 
perdonatemi per il ritardo e per il mancato aggiornamento della scorsa settimana, purtroppo il lavoro ha portato via gran parte del mio tempo e non ho potuto dedicarmi alla pubblicazione. Spero che la storia vi stia piacendo, vi consiglio di tenere sotto controllo le date stellari all'inizio di ogni paragrafo poiché da qui in poi non ci sarà un crescendo cronologico, piuttosto un insieme di pezzi di vita mescolati tra passato, presente e futuro. Fatemi sapere cosa ne pensate e buona lettura!

“Angels with silver wings
Shouldn't know suffering
I wish I could take the pain for you
If God has a master plan
That only He understands
I hope it's your eyes He's seeing through”
Precious – Depeche Mode
 

Il peccato

 
2255.5.22 calendario della Flotta Stellare, San Francisco, Accademia della Flotta Stellare
 
Spock digitò velocemente sulla tastiera le rimanenti stringhe di codice prima di avviare il test-retest che avrebbe studiato a fondo il programma durante la notte. Si aspettava che l’indice di affidabilità fosse del novantanove punto nove percento con uno scarto dello zero punto uno percento.
Avviò velocemente il programma e si alzò dalla sedia per dirigersi verso l’uscita del suo ufficio.
Era diventato Comandante Istruttore all’Accademia della Flotta Stellare da due punto quattro mesi e il primo compito che gli era stato affidato riguardava la progettazione del test finale che i cadetti del Dipartimento Comando avrebbero dovuto sostenere prima della loro promozione. Spock si era dedicato totalmente alla progettazione teorica del test, che aveva presentato agli Ammiragli e ai Direttori di dipartimento, e tutti avevano acconsentito alla sua proposta, intimandogli di renderla operativa entro l’inizio del successivo semestre accademico. Aveva ancora tre punto diciassette mesi dinanzi a sé ma si era deciso ad ultimarlo subito così da potersi concentrare su alcuni esperimenti che intendeva portare a termine collaborando con il laboratorio di Fisica.
Scese le scale infilandosi la giacca che sua madre gli aveva regalato in virtù del suo compleanno, nonostante fosse primavera inoltrata sulla Terra, la temperatura si aggirava ancora sui ventisei gradi e Spock, che era abituato ad un’atmosfera molto più calda, continuava a soffrire il freddo.
Mentre camminava ricordò il volto di sua madre quando gli aveva regalato la giacca che ora indossava, era stato il giorno del suo compleanno l’anno stesso in cui lui aveva rigettato l’ammissione all’Accademia delle Scienze Vulcaniane ed era partito per studiare all’Accademia della Flotta Stellare. Nonostante Spock non festeggiasse il suo compleanno – né alcuna altra ricorrenza – sua madre Amanda continuava ad insistere nel volerlo omaggiare regalandogli oggetti di valore.
Tuttavia, nonostante continuasse a ricordarle che per lui era illogico celebrare qualcosa come la nascita, non aveva mai contestato i modi di fare della donna, in quanto umana, inoltre lui stesso era per metà Terrestre. E forse proprio in virtù della sua metà umana, anche se trovava che alcune ricorrenze fossero illogiche, non poteva evitare di partecipare egli stesso– ogni anno – alla celebrazione di una ricorrenza.  
Mentre scendeva pensò che quel giorno era esattamente il giorno in cui avrebbe ripercorso con la mente gli eventi del suo passato che non riusciva ad ignorare. Entrò nel suo appartamento, che si trovava nell’ala Ovest dell’Accademia ed era riservato agli istruttori, si tolse la giacca e procedette verso la cucina. Quasi meccanicamente aprì il proprio frigo e la prima cosa che prese fu un barattolo di zuppa di Ploomek preconfezionata, successivamente si avviò verso una dispensa per estrarne un vasetto di pesche sciroppate.
Si lavò le mani e si sedette al tavolo della cucina.
Era illogico, si disse, mentre apriva il barattolo di zuppa.
In primo luogo la zuppa di Ploomek doveva essere cucinata e mangiata calda, inoltre quel cibo gli riportava alla mente un periodo della sua vita che aveva superato ormai da tempo e che non aveva senso continuare a ricordare. Continuare a pensare al passato non era di alcuna utilità per la sua vita presente e per il futuro, aveva imparato da esso – sicuramente – e ne aveva tratto insegnamenti ed esperienze che lo avevano formato nel suo percorso di crescita, dunque non c’era alcuna necessità di richiamarlo alla mente ogni anno, così come continuava a fare.
Ma per quanto insensato potesse essere il suo comportamento, quella ricorrenza era l’unico giorno in cui si permetteva di abbracciare il suo lato umano. Mangiava la zuppa di Ploomek fredda così come gli era stata fatta mangiare da un ragazzino Terrestre un giorno di molti anni prima.
J.
Spock continuò a mangiare ricordando il momento in cui il ragazzino gli aveva teso quei due barattoli come se fossero stati la cosa più preziosa al mondo, come se neppure le loro vite fossero state più preziose di quel cibo. Spock ripensò agli occhi azzurri del ragazzo e al suo sorriso amaro, ai suoi capelli ribelli e al suo sguardo determinato.
Aprì il barattolo di pesche, dopo aver terminato la zuppa, e lasciò andare le posate per mangiare usando le mani. Nonostante fosse Vulcaniano e le sue mani non dovessero toccare il cibo, non poteva evitare, in quel preciso giorno ogni anno, di mangiare quel frutto in quel modo. Lo faceva come aveva fatto anni prima quando aveva dato le spalle a J in una cucina abbandonata su Tarsus IV, come aveva fatto quando aveva per la prima volta tradito qualcuno che stava soffrendo. A distanza di anni, si disse, il sapore delle pesche non era migliorato e mangiarle gli provocava ancora una sensazione di disgusto per sé stesso.
J non aveva potuto mangiarle, ma lui sì.
Era illogico.
 
2255.5.22 calendario della Flotta Stellare, Riverside, Iowa
 
Jim sedeva sul letto nella sua camera, aveva le mani poggiate sul volto e respirava con calma. Era appena tornato da una sfiancante giornata di lavoro e si sentiva stanco come poche altre volte, quando si era svegliato, quella mattina, non aveva avuto bisogno di sapere che giorno fosse perché lo aveva avvertito dentro di sé. Per tutto il giorno non era riuscito a concentrarsi sul lavoro ed era tornato a casa distrutto sia fisicamente che psicologicamente. Ogni anno aspettava quel particolare anniversario per potersi sfogare, fare qualcosa che potesse cancellare dalla mente i ricordi del suo passato e del tempo che aveva trascorso sul Pianeta Tarsus IV. Anche quell’anno, come tutti gli altri anni, avrebbe guidato fino al bar più lontano dalla fattoria in cui viveva e avrebbe bevuto, avrebbe rimorchiato qualcuno – chiunque - con cui passare la notte e l’indomani sarebbe andata meglio.
Sapeva che il suo era un comportamento sbagliato e che continuare a rifiutare ciò che era accaduto poteva essere solo deleterio per il suo benessere psicofisico, ormai se lo ripeteva da anni, ma sapeva anche che nulla sarebbe cambiato e che avrebbe continuato a comportarsi in quel modo. Erano passati anni ma il dolore era ancora vivido dentro la sua mente e nel suo corpo.
Gli venne in mente il giorno del suo salvataggio sul pianeta, dopo essere stato salvato dalla squadra dell’allora Tenente Kenzo era stato condotto sulla nave stellare insieme agli altri sopravvissuti della colonia, ma lui era rimasto incosciente per tutto il tempo e si era risvegliato quando ormai era già sulla Terra.
Una volta sveglio aveva chiesto a chiunque di rintracciare gli altri sopravvissuti, aveva chiesto di Shin – di cui non sembrava esserci traccia – e di Kevin e gli altri ragazzi.
Tuttavia non gli era stato detto nulla su chi fosse sopravvissuto e chi no, forse per privacy, forse perché non avevano voluto turbare la sua psiche già fragile di suo, Jim aveva chiesto di fare ricerche più approfondite, aveva pregato l’Ammiraglio, che era andato a parlare con lui, di cercare quel Vulcaniano, ma la Flotta Stellare aveva messo a tacere in fretta la storia del massacro di Tarsus IV.
Aveva a lungo pensato di andare su Vulcano per cercare di persona il suo amico ma sua madre glielo aveva impedito e Jim aveva dovuto affrontare cinque lunghi anni di stress post traumatico.
Ricordò i momenti che aveva vissuto in quei primi cinque anni dopo il massacro, di quando si svegliava nel pieno della notte nella fattoria buia e, come guidato da una forza estranea, si dirigeva in cucina, apriva il frigo e iniziava a rimpinzarsi di tutto quello che poteva. Beveva il latte, mangiava il bacon, succhiava le uova direttamente dal guscio. Più volte aveva rischiato di morire a causa delle sue allergie, trangugiava il cibo senza nemmeno guardarlo, e se solo sua madre Winona non lo avesse tenuto costantemente sotto controllo allora sarebbe morto da un pezzo.
Era stato un percorso lungo e graduale, aveva visto terapeuti per parlare della sua esperienza sul Pianeta – tuttavia aveva tenuto per sé la notte in cui aveva ucciso il militare a sangue freddo - era stato seguito da un nutrizionista esperto, eppure solo dopo molto tempo aveva ricominciato a comportarsi normalmente, come un qualsiasi ragazzo della sua età.
Dopo il diploma aveva pensato di iscriversi all’Accademia della Flotta Stellare, aveva dei buoni voti – ottimi, in realtà – e non avrebbe avuto alcun problema ad essere accettato. Però alla fine non lo aveva fatto, li aveva odiati tutti per essere arrivati troppo tardi, per non aver impedito il massacro e per aver permesso la sofferenza di Shin e Kevin. Dopo nove lunghi anni ora, si disse, aveva trovato una sua stabilità, lavorava come meccanico in una piccola officina in città, e gli andava bene, non ambiva a niente di più. Ormai aveva ventidue anni ed era chiaro che la sua vita sarebbe stata a Riverside.
Dopo il massacro su Tarsus IV, Winona era tornata a casa prendendosi un congedo e aveva cacciato Frank dopo aver saputo tutto quello che accadeva in sua assenza. Tuttavia non era stato Jim a parlarne con sua madre, pensava che dopotutto Sam ancora la sentisse, ma lui non aveva più alcun contatto con suo fratello. Da qualche anno, però, Winona aveva ripreso a viaggiare tra le stelle e lui era rimasto completamente da solo in una fattoria troppo grande per un uomo solo.
Scosse il capo cercando di fare mente locale, non doveva perdersi troppo nei suoi pensieri o ne sarebbe rimasto intrappolato, si alzò per dirigersi a fare una doccia, quella sera sarebbe andato al bar e avrebbe bevuto, rimorchiato qualcuno e avrebbe dimenticato Tarsus IV e la promessa che non aveva mai mantenuto con Shin.
Ci ritroveremo. Non importa come, non importa dove, ci ritroveremo. Tornerò da te
 
 
 
2249.1.22 calendario della Flotta Stellare, Shi’Khar, Vulcano
 
“Spock! Spock! Devi svegliarti, torna indietro! Sei su Vulcano, sei a casa!”
Spock sentì una voce che lo chiamava con disperazione ma non si voltò a vedere chi fosse, non era la voce di J e dunque non era rilevante. Continuò a correre tra gli alberi mentre costeggiava il ruscello, non sapeva dove fosse l’altro ma doveva fermarlo e riportarlo indietro con sé. Era stato folle a lasciarlo indietro, era inutile tentare di depistare chiunque li stesse cercando, sarebbero dovuti scappare insieme e se li avessero raggiunti allora avrebbero ucciso così come avevano fatto con il militare che lo aveva aggredito nei boschi.
Doveva correre, doveva muoversi, non c’era tempo e J poteva essere in pericolo, potevano averlo trovato e aggredito o, peggio, ucciso.
Ringhiò tutta la sua rabbia al pensiero che qualcuno potesse toccarlo, sfiorarlo, ucciderlo. J era suo amico, J era suo compagno e lo avrebbe protetto al costo della vita.
Cosa stai facendo, Spock? Stai provando emozioni?
“Spock! Fermati! Sarek, prendilo!”
Sentì altre voci ma continuò a correre, il bosco era buio e lui non vedeva neppure dove stava andando, sapeva solo che doveva seguire il torrente, doveva trovare J e farlo prima che fosse troppo tardi. In quel buio era difficile vedere ma sapeva che nel momento in cui J fosse stato vicino lui sarebbe stato in grado di percepire la sua presenza. Non aveva bisogno di vederlo.
Quando fu avvolto da due mani possenti iniziò a scalciare e a dimenarsi, non poteva lasciare che lo prendessero, doveva… doveva…
“J! Lasciatemi! Lasciatemi! Devo trovare J” urlò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Urlò e si dimenò, forse pianse ma si rese conto che non gli importava più.
“Spock! Svegliati, sei instabile, devi rinforzare gli scudi mentali e ritornare a pensare lucidamente
Spock ansimava dalla folle corsa, dal dolore, dalla paura.
“Spock, sono Sarek, tuo padre. Ora entrerò nella tua mente e tu ritornerai alla realtà”
No.
No.
“No” sussurrò.
Non poteva permetterlo, non poteva restare fermo lì. Doveva trovare J o lo avrebbero ucciso. Sentì le mani spostarsi sul suo volto, intorno a sé non vedeva nessuno c’era solo il buio della notte e gli alberi del bosco.
“Lo uccideranno” ansimò.
Lo uccideranno.
 
 
 
2257.8.6 calendario della Flotta Stellare, San Francisco, Accademia della Flotta Stellare
 
“Comandante, Signore, abbiamo terminato la stesura del paper sulla variazione linguistica andoriana in merito al Mito di Thirishar ed effettuato le comparazioni linguistiche con le scritture Aenar”
Spock annuì verso la donna che gli si parava di fronte lanciandogli uno sguardo fiero e compiaciuto. Lavorava con lei da alcuni mesi ed era affascinato dalle sue capacità intellettive e la sua predisposizione per la xenolinguistica. “Molto bene, cadetto Uhura” rispose mentre prendeva il PADD che lei gli stava tendendo “Revisionerò il Paper e lo invierò alla Commissione Xenolinguistica per la pubblicazione. Suppongo che sia interessata a parlarne agli studenti del primo anno del corso”
Gli occhi della donna si illuminarono di gioia mentre le sue labbra si stendevano in un leggero sorriso soddisfatto “Ne sarei onorata, Signore”.
Spock annuì di nuovo prima di voltarsi per uscire dal laboratorio di xenolinguistica e tornare nel suo ufficio dove avrebbe dovuto esaminare i test d’ammissione dei nuovi cadetti, poco prima di uscire, però, il cadetto si schiarì la voce e lo fermò richiamando la sua attenzione.
“Signore”
Spock si voltò a guardarla e notò che ora il suo sguardo era cambiato, aveva abbandonato la soddisfazione di prima e sembrava teso e ansioso.
“C’è altro che desidera aggiungere?” la intimò lui. Spock aveva notato la tendenza dei Terresti a non andare dritti al punto quando avevano bisogno di qualcosa, la trovava irritante, poiché su Vulcano gli usi erano totalmente opposti. Ma un vecchio detto Terrestre recitava “Quando sei a Roma, fai come i romani” e lui aveva imparato anche ad assecondare la nobile arte del chiacchiericcio e dei convenevoli.
“Signore, volevo chiederle… avrebbe piacere a cenare con me questa sera?”
Il cadetto Uhura aveva parlato velocemente e con un tono nervoso tuttavia, notò il Vulcaniano, la donna non aveva abbassato lo sguardo – come molti Terrestri erano soliti fare dopo aver fatto o detto qualcosa che provocava loro disagio. Uhura lo guardava sì, con ansia, ma anche con determinazione.
Spock conosceva la determinazione, l’aveva vista molte volte dipinta sul volto di un ragazzino Terrestre che era stato su Tarsus IV con lui.
La donna che aveva davanti era molto diversa, però, da quel ragazzo, aveva la pelle scura dal colore dell’ebano e i capelli ancora più scuri, i suoi occhi erano profondi e in quegli occhi non c’era paura ma solo una profonda determinazione e, quando rivolti verso di lui, avevano un velo di ammirazione.
Era una donna piacevole, constatò lui, sia fisicamente che mentalmente. Il suo intelletto era affascinante così come le sue idee nel campo della xenolinguistica.
Lei si mosse leggermente facendo un passo verso di lui “Se pensa che la mia richiesta sia inopportuna, Signore…”
“Accetto la sua compagnia a cena, questa sera, cadetto Uhura” la interruppe.
Lei sembrò valutare per un attimo le sue parole prima che il suo viso si distendesse e un sorriso sereno si facesse largo incorniciando i suoi occhi scuri.
Spock si voltò e uscì dal laboratorio ripensando al fatto che aveva appena acconsentito ad un approccio di natura romantica da parte della donna. Non era, tuttavia, infastidito dalla propria risposta all’avance poiché conosceva l’altra da tre anni ed aveva imparato ad apprezzare le sue abilità in diversi ambiti, non solo linguistici. In passato era stata preziosa nell’analisi delle registrazioni circa il serial killer conosciuto come Il Dottore, era inoltre piacevole da guardare e dunque era per lui una scelta logica acconsentire a conoscerla in ambito personale oltre che professionale.
Dopo il suo ritorno dal Pianeta Tarsus IV la sua mente aveva rigettato ogni legame e dunque anche il suo legame combinato con T’Pring era stato spezzato involontariamente, i suoi genitori avevano deciso di non ricostruirlo e Sarek stesso aveva trovato logico che fosse lui stesso a scegliere, quando sarebbe guarito, il proprio legame.
Uhura era una scelta logica e, si disse internamente – provando solo una leggera vergogna nel pensarlo – era anche una scelta che gli piaceva.
 
 
 
2250.11.1 calendario della Flotta Stellare, Riverside, Iowa
 
“Jim, per favore abbassa il coltello. Ti prego”
Jim guardò sua madre Winona, dentro di sé sapeva chi gli stava davanti e gli parlava con calma, ma non riusciva a fare quello che gli veniva chiesto. Non poteva.
Vedeva il militare piegato sul corpo di Shin, con il suo peso lo tratteneva al suolo e con il coltello gli stava incidendo dei solchi sul palmo della mano. Nella sua mente si susseguivano le urla dell’amico, sentirle era devastante e vederlo soffrire in quel modo lo distruggeva.
“Lascialo andare” sibilò adirato.
Sua madre represse un sussulto “Io… io non ho preso nessuno Jim. Siamo solo noi qui, ti prego, ti prego ritorna in te”
Jim respirò ancora più velocemente sbuffando aria dal naso come un toro inferocito, era sull’orlo di un baratro e a breve avrebbe ucciso di nuovo, avrebbe affondato la lama nel collo dell’uomo e avrebbe protetto Shin. Anche a costo della sua vita, lui sentiva di doverlo proteggere anche a costo di morire.
“Devi. Lasciarlo. Andare.” Urlò adirato prima di gettarsi verso la figura brandendo il coltello in alto, pronto a colpire, pronto ad affondare la lama, pronto ad uccidere.
“JIM! Basta!” urlò la donna.
Poco prima di abbassare la lama si fermò, sentì la propria mente vacillare e la stanza intorno a lui iniziò a volteggiare furiosamente. Non era su Tarsus IV, era nella cucina della fattoria e quella che aveva davanti era sua madre in lacrime che lo fissava con gli occhi azzurri pieni di spavento.
Si riscosse e gettò il coltello mentre la stanza continuava a roteare intorno a lui, o forse era lui a girare come impazzito. Non lo seppe perché dopo solo pochi secondi i suoi occhi non videro più nulla e lui svenne battendo la testa contro il tavolo della cucina.
 
 
 
2256.7.25 calendario della Flotta Stellare, San Francisco, Accademia della Flotta Stellare
 
Jim si chiese che diavolo ci fosse di sbagliato in lui per continuare ad attrarre su di sé tutte le sventure possibili. Si era allenato per sei mesi al fine di affrontare il test in Tattica di comando avanzata ed era riuscito ad essere selezionato come leader del Team Delta per poter guidare la missione. Teoricamente la missione doveva essere solamente un’esercitazione controllata in un ambiente supervisionato ma si era rivelata tutt’altro.
Trattenne un’imprecazione per non farsi vedere preoccupato da Braxim, il suo compagno di squadra, l’unico Xanno dell’Accademia. Era un buon compagno che eseguiva tutti i suoi ordini ma mancava di creatività nelle situazioni più inaspettate, Jim però sapeva come affrontare le situazioni disperate, lo aveva già provato una volta sulla propria pelle.
“Kirk devi sbrigarti ad uscire da lì, altrimenti vi ritroverete in trappola” disse una voce attraverso l’auricolare che Jim indossava.
“Grazie, uh, Kelly è quello che sto provando a fare” rispose lui mentre cercava una leva per aprire il tombino sotto i loro piedi. Era una situazione così simile a quella che aveva già vissuto da essere quasi comica.
James Tiberius Kirk: l’uomo che attirava tragedie. E che fuggiva nelle fogne.
“Kelly non è il mio nome, sii serio ora”
Jim sorrise e si avviò verso il palazzo di cristallo alla sua destra, le porte erano affiancate da file – ad entrambi i lati – di bandiere su cui erano stampati i vessilli dei Pianeti della Federazione, si attaccò ad un’asta e fece forza per schiodarla dal muro.
“Forza Brax, aiutami!” urlò al compagno di squadra.
L’alieno gli fu subito accanto e iniziò a tirare con forza verso il basso e dopo pochi secondi l’asta cedette.
“Sai Uhura, dovrai dirmi il tuo nome prima o poi, dovrò pur chiamarti in qualche modo quando saremo fidanzati” indicò a Braxim il tombino.
“Non capiterà mai, Kirk, nemmeno nei tuoi sogni” rise lei, sprezzante.
Iniziarono a fare forza per sollevare il pesante cerchio di metallo e, quando questo fu spostato, avanzarono velocemente verso le fogne.
“Nei miei sogni bagnati non sei solo la mia fidanzata” rise lui e si lanciò nel buio senza attendere la risposta di lei.
 
“Qui è Jim Kirk che parla al Team Delta attraverso il canale di comunicazione interno. Le nostre comunicazioni verso l’esterno sono disturbate a causa dell’attuale collocazione mia e del cadetto Braxim. Abbiamo rilevato una moltitudine di esemplari di piante aliene che prolificano nei canali di scolo del quartiere Haight-Ashbury, l’ordine è di non avvicinarsi per nessun motivo agli esemplari alieni rilevati, non studiateli e non collezionate campioni. Potrebbero contenere spore velenose e uccidervi. Kirk, chiudo”
Chiuse il comunicatore sperando che il messaggio registrato arrivasse all’intero team e che nessuno dei cadetti decidesse di avvicinarsi alle piante che li circondavano.
“Andiamo, Brax, dobbiamo uscire di qui e ritrovare gli altri”
Lo Xanno lo fissò accigliato “Kirk, potrebbero essere fatali per l’intera città se non crescono solamente qui. Dovremmo collezionarle e portarne un campione ai laboratori”
Jim ci pensò su prima di scuotere il capo “Hai ragione ma non possiamo prenderle senza nessuna protezione, se fossero velenose ci ucciderebbero all’istante. Ho motivo di credere che queste piante non siano nate qui di loro spontanea volontà e che il Dottore abbia qualcos’altro in mente” iniziò a camminare verso est dove il condotto si incrociava con quello proveniente dal quartiere di Chinatown, con un po’ di fortuna sarebbero risaliti in una zona neutrale dove non erano stati posizionati ordigni esplosivi.
La squadra d’emergenza dell’Accademia stava arrivando e loro dovevano ricongiungersi con il resto del team prima di poter uscire dalla zona protetta che era stata eretta per il test.
“Ma se uccidessero anche tutti gli altri?”
“Se non usciremo vivi da qui non potremo informare nessuno!” si agitò Jim “E allora chi avvertirà l’Alto Comando di quello che sta accadendo qui sotto?”
Aveva alzato la voce e ora Braxim lo fissava poco convinto ma Jim sapeva che cosa stava dicendo, era sicuro di sé, e aveva davvero tutta l’intenzione di impedire qualsiasi attentato stesse progettando il Dottore, ma prima doveva avvertire l’Alto Comando.
Lo Xanno annuì leggermente e iniziò a seguirlo.
Jim camminò in silenzio cercando di trattenere una risata amara, era nelle fogne circondato da piante potenzialmente mortali, era tutto troppo simile per non essere palesemente una presa in giro.
 
“Bones! Attento!” urlò Jim mentre sparava alla sfera metallica che si dirigeva a tutta velocità verso McCoy.
“Che diavolo era quella cosa?”
“Naniti, ti pungono alla testa e ti uccidono istantaneamente ma conservano i tuoi organi così che il dottore possa raccoglierli, sono frutto delle piante che crescono nei canali di scolo” rispose lui guardandosi velocemente intorno.
“Cos… ma è orribile, Jim! Che diavolo ci fa quel pazzo con gli organi che raccoglie?”
Jim non rispose, non sapeva neanche lui che risposta dare a quella domanda, sapeva solo che il Dottore era da qualche parte nell’edificio e loro dovevano trovarlo.
“Ce ne saranno altri, teniamo gli occhi aperti!”
McCoy grugnì tutto il suo disappunto “Dannazione, Jim sono un dottore non un militare”.
I due iniziarono a salire le scale ma un brusio attirò la loro attenzione e poco prima di voltare verso la rampa successiva videro un insieme di Naniti arrivare a tutta velocità verso di loro. Jim sgranò gli occhi e senza pensarci si voltò verso l’amico e lo atterrò per proteggerlo con il suo corpo, l’impatto li fece ruzzolare giù dalle scale.
Ma perché finisco sempre sull’orlo della morte?
 
 
 
2258.6.30 calendario della Flotta Stellare, San Francisco, Accademia della Flotta Stellare
 
Spock si impose di mantenere la calma mentre fissava il cadetto che – a soli due punto sei metri da lui – sembrava volesse sfidarlo con un insieme di affermazioni del tutto illogiche e fuori argomento.
“Le sue argomentazioni escludono la possibilità di uno scenario senza via d’uscita” rispose con calma come se stesse parlando ad un bambino Terrestre.
Il cadetto Kirk sorrise sprezzante “Non credo negli scenari senza via d’uscita”
Spock inarcò un sopracciglio, era perplesso dall’attitudine dell’altro, e sentiva di esserne anche vagamente infastidito; ricordava il cadetto in questione, lo aveva valutato durante il test di Tattica di comando avanzata il giorno in cui il Dottore aveva deciso di uscire allo scoperto attivando i Naniti per assimilare gli organi degli abitanti di San Francisco. Aveva valutato positivamente l’attitudine del cadetto Kirk e ora non comprendeva la sua completa mancanza di logica e ragione di fronte ad una situazione così semplice.
“Allora lei non solo ha violato le regole ma ha anche fallito nel comprendere la lezione principale”
“Per favore, mi illumini di nuovo” sorrise l’altro
Spock si disse che il cadetto stava chiaramente cercando di suscitare un’emozione in lui, irritazione o rabbia, ma non ci sarebbe riuscito.
“Lei tra tutti dovrebbe sapere, Cadetto Kirk. Un Capitano non può ingannare la morte”
Gli occhi azzurri di Kirk furono attraversati per un attimo da uno sguardo di stupore e dolore, Spock lo notò anche se fu un momento così breve da fargli dubitare che quello sguardo fosse mai esistito.
“Io tra tutti” il cadetto scostò i suoi occhi blu e guardò in basso di fronte a sé.
“Suo Padre, il Tenente George Kirk, assunse il comando della sua nave prima di essere ucciso in battaglia, non è forse così?”
Il cadetto sorrise amaramente e il suo volto ora rappresentava un insieme di emozioni mescolate tra loro che Spock non riusciva a leggere. Pensava che, dopo sei anni trascorsi sulla Terra avesse imparato a conoscere le emozioni umane e a saperle leggere, ma quel cadetto era sfuggente e imprevedibile.
Per un attimo, un solo attimo, l’uomo che aveva davanti gli ricordò un ragazzino Terrestre dai grandi occhi azzurri con il volto carico di emozioni contrastanti che gli stringeva le mani e gli prometteva che sarebbe tornato.
Ma quello non era J, si disse, prima di continuare a parlare.
 
 
 
2263.4.19 calendario della Flotta Stellare, Base stellare Yorktown
 
Jim guardò il portello d’areazione di fronte a sé mentre veniva trascinato via dalla corrente d’aria. Sapeva che non ci sarebbe stato molto da fare e ben presto sarebbe finito nello spazio profondo, in pochi nanosecondi il suo intero corpo si sarebbe ghiacciato e lui avrebbe smesso di vivere, prima di disintegrarsi tra le stelle.
Considerò che quello era un bel modo di morire, molto meglio della sua reale morte nella camera radioattiva del nucleo sull’Enterprise. Effettivamente aveva sempre vissuto una vita sul limite tra la vita e la morte, aveva cercato di fare del suo meglio e di proteggere quante più persone possibili. Anche questa volta ce l’aveva fatta perché Kral era morto e lui aveva salvato Yorktown.
Sentì la voce di Bones propagarsi nell’auricolare ma non prestò molta attenzione alle sue parole, voleva morire felice e senza pensare al dolore che si stava lasciando dietro. Neppure tre giorni prima aveva presentato la sua candidatura per la posizione di Ammiraglio sulla Base Stellare che aveva appena salvato, eppure sapeva che il suo posto non era a terra ma tra le stelle. Era stato solo nell’infinità dello spazio che lui aveva trovato un po’ di pace. Nonostante avesse sofferto a lungo, nonostante i pericoli che avevano corso e nonostante fosse stato più e più volte sull’orlo della morte, sapeva che solo sull’Enterprise aveva trovato un po’ di sicurezza e un posto da chiamare casa. Era stato un Capitano e aveva fatto del suo meglio per proteggere il suo equipaggio, forse avrebbe potuto fare di più ma aveva dato tutto sé stesso alle quattrocento vite che servivano sotto il suo comando.
C’è qualcosa che non faresti per la tua famiglia?, gli aveva chiesto Khan pochi anni prima.
La sua risposta era no.
Vide il portello dell’aria avvicinarsi sempre di più e si preparò ad essere scaraventato fuori, chiuse gli occhi e attese la fine. Una fine che, tuttavia, non avvenne perché le mani di Spock si chiusero intorno al suo braccio destro e lui, guardando il Vulcaniano, vi si aggrappò con tutte le sue forze. Si guardarono intensamente prima che Jim fosse scaraventato all’interno dell’ape aliena al sicuro.
Respirando velocemente guardò il suo primo ufficiale con un sorriso sollevato e malinconico “Che cosa farei senza di lei, Spock?”
Ma forse, forse avrebbe dovuto chiamarlo Shin.
 
 
 
2259.10.17 calendario della Flotta Stellare, USS Enterprise NC – 1701
 
“Signore, è meglio che venga qui. Meglio sbrigarsi”
La voce del Comandante Scott tremò all’interno della plancia che fino a pochi secondi prima aveva esultato per il mancato impatto sulla Terra.
Spock si guardò velocemente intorno e notò che il sorriso di tutti si stava spegnendo e che lo guardavano scioccati, come se sapessero.
Senza pensare a ciò che faceva si ritrovò ad alzarsi dalla Poltrona di comando e a precipitarsi fuori dalla plancia verso il turboascensore, vide distrattamente che Nyota lo fissava con un’espressione confusa e triste e che era indecisa se seguirlo o meno. Le porte del turboascensore si chiusero prima che lei potesse decidere e Spock si sentì sollevato che lei non lo avesse seguito, lì in quello spazio angusto che camminava lento verso il Ponte O lui si sentiva come un animale in gabbia pronto a sbranare chiunque si fosse trovato dall’altra parte quando le porte si fossero aperte. Era un comportamento insensato ma non voleva pensare alla logica, non in quel momento, non aveva alcun interesse a mantenere i suoi sentimenti sotto il suo severo controllo mentale.
Non ora che aveva capito e che finalmente sapeva.
Le porte si aprirono e lui iniziò a correre verso la camera di controllo del nucleo, doveva fare in fretta, prima che fosse troppo tardi.
Meglio sbrigarsi, aveva detto Scott e lui stava cercando di farlo, di fare del suo meglio perché non poteva perderlo di nuovo.
 
“Come sta la nostra nave?” il volto di Jim era una maschera di dolore e sofferenza, i suoi grandi occhi blu erano iniettati di rosso e Spock provò un dolore fisico a vedere quel colore limpido svanire dietro la patina di sangue scarlatto.
Le sue cellule si stavano disintegrando e con il passare dei secondi si scioglievano sotto il peso delle radiazioni. Spock si ritrovò a reprimere un sussulto ma non riusciva a fermare il suo corpo che tremava a quella vista, era troppo, troppo.
“Fuori pericolo. Ha salvato l’equipaggio”
Non riconosceva più la sua voce, non aveva più il controllo del suo corpo. Spock tremava e qualcosa dentro di lui lottava per uscire ma lui non sapeva cosa.
J, J!
“Ha usato ciò che voleva contro di lui. È stata una bella mossa” le labbra di Jim si muovevano a fatica ma il Terrestre continuava a resistere e a sorridere.
“È ciò che lei avrebbe fatto”
“E questo… questo è ciò che lei avrebbe fatto. Era l’unica soluzione logica” sussurrò Jim prima di prendere un respiro profondo e tossire.
Spock si trattenne dal battere i pugni contro il vetro, voleva distruggerlo e liberare il suo Capitano da quella tomba radioattiva.
“Ho paura, Spock. Mi aiuti a non averne. Come fa a scegliere di non provare emozioni?”
Spock sentì le lacrime liberarsi dai suoi occhi e scendere lente sulle guance, provava un vuoto dentro che lo stava divorando ed era peggiore di qualunque cosa avesse mai provato prima d’allora. Né la fame, né la paura, né la sua stessa morte. Quello che stava vedendo e vivendo era devastante e lo stava uccidendo lentamente.
“Non lo so. Ora non ci sto riuscendo” sussurrò con la voce spezzata dal pianto.
Jim gli sorrise debolmente e Spock si ritrovò a sperare che l’altro riuscisse a capire e a vedere quello che stava provando, perché se non lo avesse fatto allora non aveva senso, non aveva senso provare delle emozioni così intense da fare male. Era inutile.
“Voglio che tu sappia perché non ti ho lasciato morire. Perché sono tornato indietro per te”
Spock iniziò a respirare velocemente, le sue mani contro il vetro tremavano.
Avrebbe potuto dirlo in quel momento, far sapere a Jim, no J, che alla fine aveva mantenuto la sua promessa di tornare indietro. Far sapere a quello che era stato un ragazzino su Tarsus IV, un cadetto ribelle dell’Accademia e il Capitano dell’Enterprise che, in realtà, era tornato indietro molte volte per salvarlo, lo aveva fatto su Tarsus IV, lo aveva fatto nella battaglia contro Nero, lo aveva fatto nel vulcano su Nibiru, lo aveva fatto ora mettendo in gioco la sua stessa vita.
Avrebbe potuto dire quella semplice verità e liberare entrambi da un peso che si portavano dietro da troppo tempo. Ma non riusciva a dirlo, sentiva che non era giusto rivelarlo in quel modo. Non era ora.
“Perché tu sei mio amico” disse, invece.
Jim si mosse leggermente, il volto concentrato nel raccogliere le poche energie rimaste, portò una mano a toccare il vetro che li separava. Spock lo fissò prima di poggiare il suo palmo dall’altra parte del vetro, la mano aperta nel ta’al, il saluto Vulcaniano.
Jim osservò qualcosa con curiosità mentre il suo corpo veniva scosso dai brividi della morte che lo stava portando via da loro, via da lui.
Spock non si rese conto di aver poggiato la sua mano rovinata, contro il vetro, le cicatrici che dal palmo si dipanavano verso i polpastrelli erano l’ultima cosa che Jim Kirk aveva visto prima di morire.
 

continua...

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