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Autore: The Happy Drug Salesman    24/08/2020    0 recensioni
Tutti conoscono il triste destino a cui Radiant Garden è andata incontro, ma nessuno ha mai raccontato com'era la vita prima della caduta del regno di Ansem il Saggio. Questa è la storia che non è stata mai raccontata, la storia di Aura e dei suoi amici, che tra drammi adolescenziali e problemi di poco conto, dovranno affrontare la tempesta che si abbatterà sulle loro vite apparentemente tranquille.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Isa, Lea, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep
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Wild Thoughts




È un lunedì mattina come tanti, come di consueto mi trovo in classe e tento di seguire con non poche difficoltà la lezione di letteratura della professoressa Iosy. Accanto a me, Lea dorme dall’inizio dell’ora con la testa appoggiata sulla sua kefiah, ma tra lui e la donna non so chi sia più addormentato oggi: la lettura procede a rilento e le parole della professoressa escono sempre più flebili dalla sua bocca, riducendosi a un mormorio appena udibile dai primi banchi.
Il tempo uggioso di questa mattina ha creato una sonnolenza tale da tenere sedata l’intera classe, solo qualcuno a qualche bancata di distanza si mantiene sveglio, distraendosi e chiacchierando sommessamente, ma anche le loro voci si perdono nel silenzio imbarazzante nel quale l’aula sta lentamente sprofondando.
Passo qualche minuto ad osservare la testa della donna ciondolare in equilibrio sul palmo della mano, mentre tenta di non cadere vittima del sonno e mi chiedo come faccia io ad essere ancora sveglia.
Fortunatamente la campanella suona, salvandoci dall’imminente cedimento di palpebre, tutti i presenti vengono scossi dal torpore che li ha permeati per tutta l’ora, uscendo dal loro stato vegetativo. Lo stridio prodotto dalle sedie che strisciano sul pavimento aiuta a svegliare la donna, che, accortasi dell’inizio della ricreazione, prende le sue cose e si dilegua lentamente fuori dall’aula, seguita da alcuni studenti.

Lea si stiracchia dando voce a un sonoro sbadiglio, la sua mano sfiora di qualche centimetro la mia faccia per poi finire nel suo zaino, alla ricerca di qualcosa. Appoggia sul banco quello che ha tutta l’aria di essere un grosso panino impacchettato nella carta stagnola, un post-it rimasto attaccato gli ricorda di “prendere la merenda, coglione.”
«Vieni fuori?» Mi dice, infilandosi la giacca a vento. Gli rispondo con un cenno di dissenso e lui esce dall’aula, afferrando il panino.
Per quanto i rapporti tra me e Lea siano migliorati dalla scorsa settimana, non credo di avere abbastanza confidenza e coraggio per passare la ricreazione con lui e Isa. Soprattutto con Isa. Nonostante abbia risolto tutte le faccende in sospeso con lui, non ho mai avuto modo di parlargli, e farlo senza un vero e proprio motivo sarebbe imbarazzante!

Dopo meno di un minuto l’aula è quasi vuota, poche persone sono rimaste sedute al proprio posto: tra queste c’è Sacha, immersa nella lettura di un libro; prendo la mia merenda e mi alzo, vorrei passare da Emmeline ma ricordo che stamattina ha avvertito di voler restare da sola con Refia. Così torno indietro, sconsolata, mi lascio cadere sulla sedia di legno e mangio la mia barretta ai cereali e frutti di bosco in silenzio.

«Uffa, ancora non ci siamo.»

Una voce proveniente dalle retrovie cattura la mia attenzione: quando alzo lo sguardo, Sacha è sempre lì, con la testa china sul suo libro e i capelli blu che gli ricadono davanti al viso, impedendomi di vedere la sua espressione.

«Non era questa la previsione che speravo!» Bofonchia la ragazza, passandosi una mano sulla nuca. Dopo queste parole mi alzo del tutto, mossa dalla curiosità prendo un po’ di coraggio e mi avvicino al suo banco, laddove, assieme al libro, sono sparse delle carte con delle figure particolari dipinte sopra.

«Ciao Sacha, va tutto bene?»

Con un rapido scatto la ragazza si sporge sul banco cercando di nascondere con le braccia ciò che stava facendo, poi alza il capo dalla sua lettura, paonazza in volto. «Oh… sei tu.» si ricompone, tirando un sospiro di sollievo. «Ciao Aura, va quasi tutto bene.» Rimango interdetta dal suo comportamento, ma cerco di far finta di niente per non spaventarla maggiormente.
«Stai imparando a giocare a carte?» chiedo, cercando di intraprendere un discorso con lei. Sacha mi rivolge un sorriso che non riesco a interpretare.
«No, sto – imparando a leggere i tarocchi.» Sembra un po’ titubante nel parlarne, infatti, si guarda attorno per poi tornare a me, abbassando il tono della voce. «Queste carte, se lette nel modo giusto, sono in grado di mostrare il futuro, ma sono ancora agli inizi e al momento l’unica cosa che riescono a mostrarmi sono le figure.» Sbuffa e prende in mano una carta, la guarda con aria delusa. «Faccio fatica ad associare le carte ai molteplici significati che possono avere se collegate ad altre…»

Ora che ricordo, in biblioteca Darcy ha accennato qualcosa riguardo un libro che permettesse a Sacha di imparare a leggere i tarocchi, ma non avrei mai pensato che delle semplici carte potessero servire a leggere il futuro!

«Wow! È incredibile! Lo fai per hobby?» chiedo, avvicinandomi di qualche passo a lei.
«Beh… circa.»

Sacha prende le carte lasciate sul banco, le unisce in un unico mazzo e inizia a mescolare. «In realtà mi servono per qualcosa di più… occulto.»
«Cioè?»
«Io e Darcy stiamo cercando di condurre delle indagini.» Il suo tono di voce ora è un sussurro flebile che rischia di perdersi tra il forte vociare degli studenti fuori dall’aula.
«Che tipo di indagini?» Il suo fare misterioso mi sta incuriosendo sempre più.
«Una presenza oscura aleggia in questa zona, Darcy riesce a percepire la sua energia ma non riusciamo a localizzarne la fonte. Ha bisogno del mio aiuto: se riuscissi a prevedere le sue azioni con i tarocchi, potremmo portare la minaccia allo scoperto e in questo modo, per Darcy sarà più facile agire con il Voodoo…»

S’interrompe immediatamente in un sussulto, portandosi una mano alla bocca.
Sono intrigata da questa strana rivelazione. Prendo una sedia da uno dei banchi e mi siedo di fronte a lei, perché non credo che le gambe riescano a reggere il peso di ciò che ho sentito. Nel mio cervello si formano una miriade di domande che vorrei porle…
«Che cos’è il Voodoo?» tra tutte, ho scelto proprio quella più fuori luogo. Sacha mi guarda ma i suoi occhi si muovono ad intermittenza da una parte all’altra dell’aula, quasi spaventata, al contrario di quanto avessi pensato, però, mi fa cenno di avvicinarmi ancora ed io obbedisco. «Te lo dico in buona fede e solo perché sei tu.» dice, schiarendosi la voce. «Il Voodoo è una disciplina che chiama l’aiuto degli spiriti maggiori per fare uso della magia.»
«Magia? E in che modo questo si collega ai tarocchi? E all’indagine?» chiedo, sempre più perplessa, dall’alto della mia enorme ignoranza riguardo al mondo dell’occulto.
«Solitamente le energie vengono incanalate in una bambola per portare il bene o il male nella vita di una persona, o semplicemente per controllarla. Per creare una bambola bisogna avere bene in mente le fattezze della persona su cui bisogna agire, per questo motivo Darcy ha bisogno del mio aiuto per scoprire il nostro obiettivo.»
Sacha ne parla come se tutto ciò fosse normale, mentre io sono leggermente sconvolta dalla mole di informazioni ricevute in questo breve lasso di tempo. Tutto questo è decisamente assurdo, allo stesso tempo ammetto di esserne affascinata, anche se questi argomenti sono completamente fuori dalla mia portata!

«E cosa potrebbe aiutarti a imparare a leggere meglio questi tarocchi?»
«Oltre allo studio, mettere in pratica quello che ho imparato sarebbe un buon modo per allenarmi, ma non ho ancora chiesto a nessuno di poter leggere il loro futuro. In classe, non so cosa potrebbero pensare di me se scoprissero che faccio una cosa simile.» La ragazza si rattrista e lascia il suo mazzo sul banco.
«Io non credo. Penso che a tutti piacerebbe conoscere il proprio futuro!»
«Solo se dico loro quello che vogliono sentirsi dire.»

Dopo qualche attimo, interrompo il silenzio creatosi tra noi. «Voglio aiutarti.»
«Cosa?»
«Se ti serve qualcuno a cui leggere il futuro per fare pratica, io voglio essere la prima!»
«Davvero? E non hai paura di quello che le carte potrebbero mostrarmi?»
«No.»
«Oh…!» Sacha riprende in mano le carte e ricomincia a mischiarle con una certa agitazione. «Fantastico, possiamo iniziare subito!»
Appoggia il mazzo sul banco. «Spezza il mazzo.»
Faccio ciò che mi dice e prende la metà scelta. «Userò solo gli arcani maggiori, quindi la mia previsione non sarà troppo precisa in quanto a tempistiche.» mi dice, ed io mi limito ad annuire, senza sapere bene che cosa voglia dire, mi fido delle sue parole.

«Scegli tre carte, Aura.»

Mi guardo attorno, a parte noi, in classe sono rimaste soltanto Valentina e Argentia e si tengono compagnia a vicenda parlando tra loro; lascio scorrere l’indice sul dorso della prima carta e le altre due escono di conseguenza, come mosse da una forza ignota. Sacha si appresta a girarle una alla volta e un sussulto esce dalle sue labbra. Data la mia ignoranza, non posso far altro che aspettare la sua lettura e fisso le figure nelle tre carte: una di queste mi balza all’occhio per via dell’illustrazione molto più cupa rispetto alle altre due, ed è proprio a quella carta che Sacha dedica maggior attenzione. Le sue mani scorrono rapide tra le pagine del libro, la sua guida, alla ricerca di qualcosa.

«Partiamo con ordine.» dice, indicando le prime due carte. «Un amore sboccerà, anche se contrastato da interferenze. Non saranno ben accette nella relazione ma potranno essere superate con intelligenza…»
Un amore che sboccia? Che abbia qualcosa a che fare con Isa? Se così fosse le interferenze sarebbero un chiaro riferimento a Lea! Se lo dicono le carte allora sarà vero, dovrà succedere prima o poi!

«Questa però…»

Sacha si sofferma sull’ultima carta, portandosi una mano tremante tra i capelli, ma io, ormai persa nei miei pensieri, mi crogiolo nel mio sogno d’amore con Isa, facendo fatica a prestare ulteriore attenzione alle parole di Sacha, che mi suonano come un lontano avvertimento.

«La Torre prende il significato di un cambiamento davvero improvviso, sconvolgente e che per questo porterà ad una vera e propria distruzione di quello che c'era prima per portare a qualcosa di totalmente differente! Oh…»

Si accorge tutt’a un tratto di aver alzato il tono della voce, Valentina la guarda leggermente preoccupata, Argentia invece ride sommessamente prima di riportare l’attenzione sulla loro conversazione.

«Mi dispiace Aura, non vorrei essere artefice del tuo futuro ora…»

Sono confusa, non sembra che sia andata così male. Per quanto quella storia del cambiamento improvviso possa sembrare inquietante, non riesco a pensare negativo.

«Sei sicura che tutto questo avverrà?» chiedo, guardando l’arcano degli Innamorati.
«Non lo so…» la ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo vistosamente. «Spero che le mie previsioni si avverino in quanto aspirante cartomante… Cioè – volevo dire… non pensare male di me, Aura! Non ti augurerei mai del male, ma…»

Il suono della campanella interrompe il flusso delle sue parole, che si sciolgono in un malcelato sospiro di sollievo.
«Non ti preoccupare, Sacha! Non mi pento di quello che ho fatto, ok?»

Il professor Mark entra in classe, seguito da alcuni studenti che stanno rientrando e la ragazza, presa alla sprovvista, si appresta a far sparire tutti i Tarocchi dal suo banco. Ancora con la testa tra le nuvole ritorno al mio posto.

«Prego, prendete posto al vostro banco.» esorta l’uomo, appoggiando la sua ventiquattrore sulla cattedra. Lea entra in aula tutto trafelato e corre al proprio posto, sfilandosi la giacca a vento in velocità. Si guarda attorno, per poi rivolgersi a me:

«Aura, dobbiamo parlare.»
«Dimmi.»
«Si tratta dei soldi… è incazzato.»

Lea continua a parlare. La sua voce sommessa si mischia a quella calda e autoritaria del professore, entrambe si perdono nel flusso dei miei pensieri, lo stesso che da un minuto a questa parte è un’inesauribile fonte di fantasie.

«Che cosa facciamo? Abbiamo bisogno di un piano, e in fretta, però continui a bocciare tutte le mie idee!»
«Tranquillo, lo troveremo un modo…»
«Sì, ma ci serve in fretta!»


Chissà come reagirebbe Maltin se presentassi Isa come il mio ragazzo, finalmente potrei avere la soddisfazione di dirgli “sì, ho invitato il mio ragazzo a casa. Papà lo saprà presto, non vedo l’ora di presentarglielo.” Non vedo l’ora che tutto questo accada, se è scritto nel mio futuro, prima o poi dovrà accadere! Sono solo preoccupata per gli ostacoli che potremmo incontrare, come Lea, che continua a intromettersi tra me e le mie possibilità di fare colpo su di lui, in effetti, sembra proprio che ci tenga a farmi fare brutta figura ogni volta che siamo assieme.
 

«Aura mi stai ascoltando?»
«Eh?»

«Si può sapere che ti prende oggi? Continui a rispondere a monosillabi. Io sono serio.» sussurra Lea a denti stretti e l’espressione corrucciata. Faccio spallucce, non ricordo più di cosa stavamo parlando, so solo che qualcuno è incazzato.
«È la scuola, ho troppi pensieri per la testa ultimamente.» Mento.
Lea non fa in tempo a rispondermi perché viene zittito dal professor Mark:
«Lea, smettila di distrarti per parlare con Aura e tu, Aura, smettila di far finta di seguire la lezione, si vede che stai pensando a tutt’altro.»
Il rosso sbuffa, girandosi verso la cattedra ed io non posso far altro che fingere di stare attenta. Niente potrà togliermi il sorrisino idiota che ho stampato in faccia, neanche un rimprovero da parte del professore di storia dell’arte.
 

Il suono della campanella mi riporta nuovamente con i piedi per terra. Come gli altri, preparo in fretta lo zaino per spostarmi nell’aula di economia domestica, il professore esce dall’aula e io dietro di lui, seguita dagli altri.
In atrio, alcuni ragazzi stanno rientrando nelle loro aule, tra cui Isa. Deglutisco nervosamente non appena i nostri sguardi s’incrociano, il ragazzo mi rivolge un breve saluto e le mie guance si fanno di fiamma, un sorriso si allarga sul mio viso e rispondo agitando la mano velocemente. Non posso fare a meno di seguirlo con la coda dell’occhio fino a quando non sparisce dietro alla porta.

Isa mi ha salutato. Non riesco ancora a crederci che l’abbia fatto lui, di sua spontanea volontà! Lentamente il destino sta scoprendo le sue carte e questo non è altro che un piccolo passo per il nostro futuro assieme!
Le mie mani tremano per la felicità, vorrei urlare ma qualcuno lo fa al posto mio.

«Aura attenta!»

All’improvviso il pavimento sprofonda sotto i miei piedi e inizio a volare giù per le scale, qualcun altro urla il mio nome ma non riesco a fermarmi per evitare l’impatto con chi si trova davanti a me e di conseguenza tirare giù anche un’altra persona, come una valanga che travolge tutto quello che incontra sul suo cammino.
Mi alzo in fretta dalla schiena del malcapitato finito sotto di me, che per mia fortuna ha attutito la caduta, per poi accorgermi con orrore che si tratta dell’ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento: Damien. Accanto a lui Elseid si rialza, dolorante. Con il cuore in gola cerco di scappare verso i bagni ma vengo presa da uno dei due, oppongo resistenza ma non posso nulla contro la forza bruta del moro, che mi trascina con troppa facilità verso il sottoscala, a un passo dall’aula di economia domestica. Damien si presenta davanti a me con un taglio sanguinante sul sopracciglio sinistro. Il mio sussulto viene interrotto dalle sue parole.
«Farò finta di averti sentito chiedere scusa, giusto per non aggravare la tua situazione.» Ringhia, mantenendo a stento la calma. «Sarebbe davvero un peccato ritrovarsi a discutere di questo “incidente” nell’ufficio del preside, infatti mi piacerebbe risolvere la situazione in un altro modo»
Mi appiattisco alla parete, dalla mia bocca non esce alcun suono, il battito del cuore rimbomba forte nelle mie orecchie. Damien diminuisce le distanze tra noi e l’altro stringe la presa sul mio braccio, tenendomi ferma al muro. Il rivolo di sangue scende dalla ferita, sfiorando l’angolo laterale dell’occhio, ma lui rimane impassibile, il suo sguardo glaciale è fisso su di me. Ogni muscolo del mio corpo è paralizzato.
«Vorrei ricordarti che i fondi non si raccolgono da soli. Non pensate che mi accontenti dei miseri spiccioli che avete guadagnato la scorsa settimana, nessuno vi ha dato il diritto di dormire sugli allori, né di farmi passare per deficiente davanti agli altri capiclasse.
Portatemi il doppio dei soldi entro la fine di questa settimana, oppure faccio fare a te e a quell’altro la fine di Baxter. Ripetilo anche al tuo nuovo amichetto dai capelli rossi, a cui forse non è ancora chiaro il concetto che con me non si scherza, quindi datevi una mossa, razza di perditempo, altrimenti…»

Damien non fa in tempo a finire la frase che Elseid lo trascina via da me, i due fuggono verso i bagni e qualche secondo dopo Refia mi raggiunge, totalmente ignara di ciò che è appena successo…

«Aura ti sei fatta male?» chiede preoccupata «Hai fatto un volo assurdo giù per le scale!»
«Non troppo.» dico, non appena mi tornano le parole, toccando il braccio sul quale Elseid ha usato la sua presa d’acciaio. Trattengo a stento le lacrime, la gola mi brucia. Vorrei scappare al bagno e lasciarmi andare ma ho il terrore di poterli rivedere in un posto dove nessuno possa fermarli. Con le gambe tremanti mi affretto ad entrare in classe, prima che i due facciano ritorno.
 

L’aula di economia domestica è un’enorme stanza perennemente illuminata da una lunga serie di luci al neon che pendono dal soffitto, perché le finestre, troppo piccole e alte, non lasciano intravedere un raggio di luce nemmeno nelle giornate più soleggiate. Dodici banconi da lavoro da due posti ciascuno sono sparsi per tutta l’area, i posti fissi del professor Brains non valgono per quest’aula, quindi chiunque può mettersi dove vuole. Nonostante ciò, ognuno rimane sempre al proprio posto da anni ed io mi ritrovo seduta accanto a Refia.

«Prego, prego, prendete posto! Oggi ci dedicheremo allo studio di un buon utilizzo degli impianti domestici!»

Sono sconvolta, ma non posso permettermi di piangere e sfogarmi, non qui. Non ora. Le mani tremano e una lacrima scende tradendo la calma che reggo a stento. La caccio via con un gesto meccanico, mentre prendo le mie cose per fingere interesse in una lezione teorica che non riuscirò a seguire.  


Seguo con lo sguardo Damien ed Elseid non appena entrano in aula, senza nemmeno scusarsi con la professoressa per il ritardo. I capelli mossi del castano sono stati abbassati per nascondere la ferita, dietro di me Nika bisbiglia qualcosa che non ho interesse di ascoltare.
Stringo i pugni. Non ho mai provato odio per una persona ma Damien è dannatamente bravo a far uscire il lato peggiore di me. È una delle cose peggiori che sia potuta capitare nella mia vita. Vorrei che sparisse, non gli auguro la morte solo perché credo di essere migliore di lui sul lato umano, ma se solo avessi la possibilità di vendicarmi di tutti i suoi soprusi senza finire nei guai non esiterei a farlo! Sono stanca di essere trattata in questo modo da lui e dai suoi scagnozzi: nel corso di questi anni non hanno fatto altro che tormentarmi ma oggi hanno oltrepassato il limite. Non meritano le mie lacrime, non meritano il mio terrore.  
La lezione continua, ma non ho ascoltato una sola parola della professoressa nel corso dell’ora. Non ho fatto altro che pensare all’accaduto: avrei potuto gridare aiuto, tirare un calcio nelle palle a Damien e a quel troglodita di Elseid e correre dagli altri, con la mente lucida avrei potuto fare qualsiasi cosa. E poi, il fatto di dover guadagnare il doppio dei soldi in una sola settimana mi manda in crisi e l’ idea di dover dire tutto a Lea non migliora di certo il mio umore. Non so come potrebbe prenderla.
“Portatemi il doppio dei soldi entro una settimana, altrimenti…” fin dove potrebbe arrivare la cattiveria di Damien?
Inspiro profondamente. Tutti questi pensieri negativi mi stanno facendo mancare l’aria. Mi guardo attorno, alla ricerca di qualche fonte di distrazione che mi possa aiutare a trattenere un’altra imminente crisi di pianto. Mi accorgo di non essere l’unica a non seguire la lezione: dietro di noi Nika e Feris stanno conversando dall’inizio dell’ora di shopping e ragazzi, Sacha, un paio di metri più in la, continua a studiare i Tarocchi con l’aiuto di Darcy e gli stessi Damien ed Elseid si stanno facendo gli affari loro nella bancata in fondo all’aula.

 
Non mi resta che rimuginare per un’altra ora sull’accaduto, alla ricerca di un’idea che possa fruttarci il doppio dei munny: dovremmo vendere qualcosa che non si può trovare in giro con troppa facilità, qualcosa per cui tutti andrebbero a spendere soldi, anche i più tirchi.
 

Alla fine delle lezioni esco dall’aula alla ricerca di Lea, che, fuggito troppo in fretta, si è disperso tra la folla di studenti ammassati tra l’atrio e le scale dell’ingresso. Uscendo dall’edificio, lo vedo parlare con Isa nei pressi del gazebo. Mi irrigidisco mentre una sferzata d’aria fredda mi scompiglia i capelli. Normalmente non avrei il coraggio di andare da lui in presenza di Isa, ma in questo momento ho un urgente bisogno di parlargli, così faccio un gran respiro e mi avvicino ai due con passo incerto, facendomi spazio tra i presenti.

«Ciao ragazzi.» mormoro. La mia finta sicurezza viene tradita dal tremolio della mia voce. Isa e Lea si girano e rispondono, quasi all’unisono. «Ciao Aura.»
Isa mi guarda negli occhi, serio, ed io, imbarazzata, sposto il mio sguardo sul rosso.
«Lea, posso parlarti un attimo?»
Lea fa spallucce, poi si rivolge al suo amico.
«Torno subito, aspettami eh!»

Ci spostiamo nel luogo più tranquillo e appartato del giardino, ma lo sguardo di Isa ci segue fin lì e non lo distoglie fino a quando Lea non si gira per ricambiare le sue occhiate interrogative.

«Cosa c’è?»
«Si tratta della raccolta fondi…» mi trema la voce, ma devo dirgli la verità.
«Ah finalmente, cazzo! È da tutta la lezione del prof Mark che cerco di parlarti ma tu non hai battuto ciglio! »
«Mi dispiace, è che…»
«No, non dirmelo: scommetto che Damien ti ha rotto le palle come ha fatto con me, a ricreazione.»
«Mi è accaduto di peggio: sono caduta dalle scale, gli sono finita addosso e probabilmente sbattendo a terra si ferito al sopracciglio. Si è trattenuto a stento dall’urlarmi in faccia, ma il suo modo di porsi mi ha spaventato, non scherzo! Mi ha intimato di portare il doppio dei soldi entro questa settimana, altrimenti faremo la fine di Baxter, o peggio…» Abbasso lo sguardo.
«Merda!» Lea tira un pugno all’albero più vicino e una smorfia di dolore si dipinge sul suo volto. «Porca troia Aura, ora siamo nei casini! Come facciamo a fare più di cinquemila munny entro una settimana?!»
«Mi dispiace…» Mormoro, stringendomi nelle spalle.
Lea si passa freneticamente le mani sul volto, lasciandosi andare a un sonoro sbuffo.
«Rubiamo la ricetta del gelato al sale marino, come hai detto tu.» Mi appresto a dire, senza nemmeno pensarci due volte. È un’idea davvero azzardata, ma è l’unica che ci permetterebbe di guadagnare una cifra simile nel minor tempo possibile, dopotutto il gelato al sale marino ha venduto tantissimo quest’estate, non vedo perché non dovrebbe vendere ancora. L’unico problema è recuperare la ricetta originale.»
«Che cosa?!» Sbotta lui.
«Mi hai dato tu l’idea, una settimana fa. Non l’hai memorizzato?» gli faccio il verso.
Lea rimane sorpreso per qualche secondo, per poi rivolgermi un gran sorriso. «L’ho memorizzato! Sì, cazzo!» ma il suo entusiasmo viene frenato, qualche secondo dopo «E tutte le tue pare mentali riguardo il non rubare nel posto di lavoro?» chiede, alzando un sopracciglio.
«Che si fottano.» Mento a me stessa. Ormai non c’è più tempo per pensare alle conseguenze, devo agire e basta.
«Giusto. Brava.»
«Troviamoci questa sera all’orario di chiusura, davanti al bar accanto al chiosco dei gelati. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo…»
«Questa sera? Ehm, veramente…» Lea si gratta il capo, tenendo lo sguardo basso. «Stasera non posso.»
«Come non puoi?!» esclamo. La mia espressione accorata colpisce il rosso, sembra tentennare nel voler rispondere. I suoi occhi acquamarina puntano qualcosa al di sopra della mia testa, poi si abbassano su di me. «È che ho preso un impegno e non posso proprio tirarmi indietro... mi dispiace.»
«Domani?» chiedo, congiungendo le mani. Lea aggrotta la fronte, poi mi sorride. «Domani è perfetto.»

 «Hey Aura, ecco dov’eri finita!»
Emmeline fa capolino assieme a Refia e fulmina Lea con lo sguardo.
«Uh, io me ne stavo giusto per andare! A domani, Aura!» borbotta il rosso, incespicando in un ciottolo.
«A domani.»

Le due guardano il rosso fuggire dall’ennesima occhiataccia della mia migliore amica e io le raggiungo in fretta.

Ci incamminiamo fuori dall’edificio, sotto un cielo plumbeo che minaccia pioggia da un momento all’altro. Le foglie secche vengono trascinate via da una folata di vento e frusciano sull’asfalto prima di essere calpestate dalle nostre scarpe, al nostro passaggio. In lontananza riesco a intravedere la figura di Darcy incamminarsi verso casa, e come in un’epifania mi tornano in mente le parole di Sacha: ha chiaramente detto che Darcy usa il Voodoo per portare il bene, il male o controllare la vita di una persona.
Magari, se riuscissi a chiedere in prestito la sua bambola sarebbe più facile neutralizzare Damien e ogni suo tipo di minaccia, potremmo tenerlo in pugno! In questo modo, potremmo vendicarci anche per l’espulsione di Baxter.

«So come vendicarmi di Damien.»
Le mie labbra danno voce al pensiero, in un flebile sussulto.
«Eh?» Refia ed Emmeline mi guardano perplesse.
«So come vendicarmi di Damien, per quello che ha fatto a Baxter, e per quello che…» mi interrompo, ricordando il “piccolo segreto” tra me e Refia.
In questo momento credo di avere tutta la sua attenzione, infatti la rossa mi fissa, impaziente di sapere di più, al contrario, Emmeline sembra ancora più confusa dalla mia dichiarazione improvvisa. Di solito non parlo mai di Damien con lei...
«E come?»
«Sai cos’è il Voodoo?»
«No.»
«È una disciplina che richiama degli spiriti per usare la magia, le energie vengono incanalate su una bambola per portare il bene o il male nella vita di una persona, o meglio ancora, controllarla! Capisci?»
«E quindi?» borbotta Refia, perplessa.
«Darcy lo pratica. Hai idea di cosa potremmo combinare con una bambola Voodoo tra le mani?»
«Oh cavolo! Lo terremmo per le palle!»
«Esatto!» Esclamo io, cercando di moderare il volume della voce. Non vorrei mai che qualcuno origliasse la nostra conversazione.
«Magia? Voodoo? Ma che razza di gente avete in classe?» Esordisce Emmeline «E poi siete sicure che possa funzionare sul serio? E se magari una di voi due si facesse male nel mentre perché quel Darcy potrebbe sbagliare nel fare i suoi magheggi?»
«Oh ma dai, amore, a me sembra una figata! E poi Darcy mi ha sempre dato l’impressione di sapere il fatto suo. Anzi, non vedo l’ora di dirlo a Luneth!»

L’ansia mi blocca la bocca dello stomaco e mi ricorda che non è ancora il momento di cantare vittoria. Per il momento devo trovare un modo per entrare in possesso della ricetta del gelato al sale marino e Darcy non sembra certo un tipo facile da persuadere.
«Potreste chiederlo voi a Darcy? Io… devo pensare alla raccolta fondi, questa è la mia ultima settimana di lavoro, devo darmi da fare.» Deglutisco, ripensando alle minacce di Damien.
«Certo, non ti preoccupare! Tu pensa alla raccolta fondi, anche perché per te lavorare con Lea significa fare il doppio dello sforzo, conoscendoti.»
«Lea è l’ultimo dei miei problemi, in questo momento.»
«Davvero?»
«Beh, sì. Cerchiamo di andare d’accordo per fare un buon lavoro, però è stato un bravo aiutante cuoco e un ottimo venditore, lo ammetto.»
«Ah! Quante cose mi sono persa la scorsa settimana, per colpa di quella piccola discussione…» dice Refia, leggermente in imbarazzo. La mia migliore amica le tira un’occhiataccia che parla da sé.
«Eh già.»
Per fortuna Emmeline e Refia si sono riappacificate, altrimenti avrei avuto un altro problema a cui pensare.
«Ecco perché prima stavano parlando senza urlarsi insulti addosso! Si sono avvicinati!» Esclama poi Refia, scaturendo uno sbuffo da parte dell’altra.
«Già, tanto che la scorsa settimana me lo sono ritrovato fuori casa di Aura.»
«Ma dai!» squittisce la rossa.
«Spero non capiti più. Quel tizio mi sta altamente sulle palle.» Borbotta Emmeline incrociando le braccia al petto.

«Ah, a proposito del Voodoo…» dico poi, ricordandomi di un piccolo particolare «Potreste evitare di dirgli che l’avete saputo da me?»
«Perché? Non vuoi partecipare alla disfatta del dittatore?»
«No! È solo che… voi non ditelo.»
«Ok...?» Refia mi guarda perplessa, ma ormai non c’è tempo di spiegarle che Sacha mi ha parlato del Voodoo in confidenza e in buona fede e che di sicuro potrebbe prendersela con me se venisse a scoprire che sono stata io a spifferarlo in giro. «Allora ci penseremo io e Luneth a tormentarlo!»

Prima di lasciare andare Refia per la sua strada, Emmeline la saluta con un lungo bacio, poi imbocchiamo la strada di casa.

«Tralasciando gli spiriti grandi e il Voodoo, com’è andata oggi a scuola?» mi chiede poi, chiudendosi la giacca a vento fino al collo.
«Bene.»
Non racconterò nulla ad Emmeline riguardo quello che è successo durante il cambio dell’ora, non l’ho mai fatto nel corso di questi tre anni e non inizierò a farlo oggi. Ho preferito lasciarla fuori dai miei problemi all’interno della classe, non me lo sarei mai perdonata se qualcuno fosse andato a infastidirla solo per avermi difeso, quello che è stato fatto a Refia, Luneth e agli altri mi è bastato per farmi venire i sensi di colpa fino al giorno della mia morte. Refia mi ha promesso di non farne mai parola con lei e vorrei fidarmi della parola data. È il nostro piccolo segreto.

«E a te?»

«È stata una giornata noiosa, ma tutto sommato è andata bene, inoltre ho avuto tempo per stare con Refia, e fintanto che Argentia non si avvicina a lei, è la giornata va sempre in positivo.»

Annuisco distrattamente e abbozzo un sorriso. Il mio unico pensiero adesso è trovare un modo per entrare nel laboratorio della gelateria senza scassinare la serratura.

E credo di aver appena trovato la soluzione adatta.


«Ti andrebbe di parlarne meglio davanti a un caffè al bar, oggi pomeriggio?»
«Certo, perché no!»
 
 
 

«In questo momento Refia dovrebbe essere a casa a studiare per la verifica di recupero, da sola. Spero riesca a recuperare quel votaccio…»

Commenta Emmeline, mescolando il caffè con il cucchiaino. L’acciaio che sbatte sulla ceramica rintocca come un campanello e occupa i silenzi che continuano a presentarsi tra una risposta e l’altra. Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a mantenere attiva la conversazione.

«Lo spero anch’io, anche se non è mai andata bene in scienze. Quindi, con o senza Argentia avrebbe comunque difficoltà a studiare.»
«Ovviamente, ma se non altro se è da sola non può avere nessuna fonte di distrazione.»
Guardo la mia migliore amica appoggiare la tazzina vuota sul piattino, per poi guardare al di fuori della veranda la gente che cammina per strada, poi si volta verso di me.
«Non sei più gelosa di Refia?» chiedo, prendendo un sorso di the al gelsomino fumante.
«Sarei falsa se dicessi di no, ma se Refia non mi da motivo per esserlo, non lo sono. Al momento, no. »

Il silenzio si intromette di nuovo tra noi e questa volta Emmeline non può fare a meno di farmi notare l’ovvio.

«Aura, cos’hai oggi? Mi sembri distratta. Più del solito.»
Ho davvero troppe cose per la testa, mi sento come se dovessi esplodere da un momento all’altro. Mi sforzo di non mentire di nuovo e un sorriso si allarga sulle mie labbra non appena ricordo della previsione di Sacha. L’unica nota positiva in questa giornata di merda.
«È che non riesco a smettere di pensare a una cosa.»
«Che cosa?»
«Oggi Sacha ha letto il mio futuro con i tarocchi! Ha predetto che troverò l’amore, anche se ci saranno delle interferenze! Poi ha detto anche che avverrà un cambiamento drastico nella mia vita... non so se inteso in modo positivo o negativo.» borbotto quasi tra me e me l’ultima frase. La mia migliore amica aggrotta la fronte ed alza un sopracciglio. «Seriamente Aura? Prima il Voodoo, poi i Tarocchi. Ripeto: che razza di gente avete in classe? E tu ci credi davvero?»
«Beh sì, perché no? Secondo me dovresti provare!» Esclamo. Sarebbe bello poter aiutare Sacha a migliorare le sue previsioni facendole una buona pubblicità a dei potenziali volontari, ma Emmeline non sembra molto fiduciosa.
«Assolutamente no.» Risponde secca.
«Hai paura?»
«Sì. Non si scherza con queste cose! È pericoloso. È meglio che il futuro rimanga un mistero: pensa se ti venisse predetto qualcosa di terribile e dovessi vivere ogni giorno della tua vita con il timore che prima o poi dovrà avvenire. No grazie. Non fa per me. E penso lo stesso del Voodoo. Sul serio, se dovesse capitarvi qualcosa di male solo perché quel tale ha fatto i conti con lo spirito sbagliato non so cosa potrei fare…»

In un certo senso, Sacha aveva ragione a pensare che molta gente non sarebbe stata d’accordo a farsi leggere il proprio futuro. E ora capisco perché.
Mi stringo nelle spalle, continuo a pensare che nonostante ciò non ci sia nulla di male nel farlo.

«Tra l’altro hai detto che ti è stato predetto un cambiamento radicale, potrebbe essere qualcosa di orribile, per quel poco che ne sai!»
«Oppure qualcosa di molto bello!» replico io, bevendo un altro sorso di the. Dopodiché appoggio la tazza e mi alzo dal tavolo, Emmeline mi segue con lo sguardo. «Vado un attimo in bagno.» La rassicuro, per poi allontanarmi da lei.

Quando la sua attenzione si sposta altrove, mi avvicino al bancone dove Rolud è intento a riempire dei boccali di birra. Il mio evidente stato di agitazione allarma l’uomo, che si avvicina subito a me. «Hai bisogno d’aiuto? Ormai dovresti sapere dov’è il bagno.» sdrammatizza rivolgendomi un sorriso.
«No è tutto ok, è solo che…»
Mi allontano da orecchie indiscrete e con un cenno del capo invito Rolud a seguirmi all’angolo del bancone. «Ho bisogno di un grosso favore.»
«Sembra che tu sia in una missione top secret, Aura! Dimmi pure.»
«Effettivamente lo sono…» replico «Quindi… volevo chiederti se…»
Riduco la mia voce a un sussurro appena percettibile nella confusione del bar, le mie parole vengono dettate dall’ansia. «Domani sera potresti prestarmi le chiavi del tuo locale?»
Rolud rimane di sasso e il suo sorriso si spegne, lasciando il posto all’inevitabile perplessità riguardo la mia insolita richiesta.
«Scusa, potrei chiedere a cosa ti servono? Non posso chiudere il locale se hai le mie chiavi.»
«Mi serve che tu tenga il locale aperto dopo l’orario di chiusura.»
«Perché?»
La morsa dell’ansia stringe sempre di più sul mio stomaco. Non so come dirglielo, ma non avrebbe senso mentire su ciò che dovrei fare… in fin dei conti non voglio distruggere il suo locale, ho solo bisogno di un modo per entrare al chiosco senza forzare la serratura.
«Devo assolutamente entrare nel laboratorio della gelateria domani sera e l’unico modo che ho, ora che non lavoro più li, è passare dalla tua cucina. Ti prego Rol, fidati di me. Ora non posso dirti di più ma ti prometto che ti spiegherò tutto un altro giorno!»
Rolud ci pensa un attimo, l’espressione accigliata e la mano tra i capelli biondo platino.
«Per favore, sei la mia unica speranza!» Inevitabilmente finisco per pregarlo, senza il suo aiuto il mio piano andrebbe a rotoli assieme alla mia futura vita scolastica, così come quella di Lea.
L’uomo mi guarda sconsolato, si lascia andare a un sospiro.
«La fai sembrare come se fosse una questione di vita o di morte! Diamine, va bene! Mi fido, ma solo se mi prometti che non combinerai guai. Non vorrei finire nei pasticci a causa tua.»
«Grazie, grazie! Sarà come se non ci fossi mai entrata. Lo giuro.»
«D’accordo, allora ascolta attentamente: non posso permettermi di lasciare aperto il locale, né di prestarti le chiavi. Lascerò le chiavi nel vaso accanto all’ingresso, in questo modo potrai aprire tu stessa la porta e, dopo aver svolto la tua missione segreta, le rimetterai nello stesso posto in cui le hai trovate. Va bene?»
«Certo che va bene! Grazie mille Rol! Ti devo un favore grande come una casa.»
«Me lo ricorderò quando mi tornerà utile.» Dice, rivolgendomi il suo solito sorriso sghembo.

Quando torno al nostro tavolo in veranda, Emmeline ha già indossato la sua giacca a vento e sembra pronta per uscire.
«Dove stai andando?» chiedo.
«Ci conviene tornare a casa prima che inizi a piovere. Ho già pagato il conto.»

Concluso l’accordo con Rolud, non mi resta che attendere fino a domani sera.
 
 

La sera è già calata da un pezzo su Radiant Garden ed io mi sento particolarmente agitata per quel che accadrà da qui a poco, forse perché è da tutto il giorno che ci penso e il rimuginarci sopra non ha aiutato a sentirmi meglio: è la prima volta che faccio qualcosa di illegale, ma non potrà essere considerato scasso a tutti gli effetti se entriamo con le chiavi...
Guardo con apprensione l’orologio dalla mia sveglia-uovo: sono le dieci e dieci e il mio appuntamento con Lea è tra meno di venti minuti. Devo muovermi e in fretta.
A giudicare dal chiacchiericcio incessante e dagli urletti perfettamente udibili nonostante la porta chiusa della camera, mio padre è ancora in soggiorno assieme a Maltin e non so per quanto ancora resteranno lì prima di andare a letto. Devo trovare un modo per uscire di casa senza farmi notare e senza destare troppi sospetti, anche se, dubito che mio padre possa mai pensare male di me, in fondo non gli ho mai dato modo di farlo: al contrario di Maltin, sono sempre stata abbastanza tranquilla, le volte in cui sono stata ripresa riguardano quasi sempre il non aver rispettato gli orari e le volte in cui mi sono addormentata in classe o per aver dimenticato i compiti. Non penserebbe mai che stia andando a rubare la ricetta del gelato al sale marino nel mio vecchio posto di lavoro solo perché uno stronzo infame ha minacciato di cacciarmi dalla scuola nel caso in cui non riuscissi a portargli il doppio dei soldi previsti in tempo!
Mi infilo il pigiama ed esco da camera mia e, come previsto, i due stanno giocando a “non t’arrabbiare”, gioco per cui, nonostante il titolo, mio fratello si incazza sempre. Ciabatto verso il bagno e mi lavo velocemente i denti cercando di fare più rumore possibile, dopodiché tiro lo sciacquone a vuoto. Non soddisfatta, prima di andare a “dormire” riempio una bottiglia d’acqua da portare in camera, nel caso mi venisse sete durante la notte. Tutto è pronto per la mia messinscena.
«Io vado a dormire, buonanotte!» esclamo, facendo capolino dal corridoio.
Mio padre alza lo sguardo dal gioco da tavolo. «Di già? Sono appena le dieci e un quarto.» risponde con una leggera preoccupazione. «Ti senti poco bene?»
«No no, va tutto bene! Oggi è stata una giornata stressante e… ho bisogno di riposare.» mento spudoratamente
«Posso capire, non ti preoccupare… Io e Maltin cercheremo di fare meno confusione possibile per non disturbarti, vero?» esclama, accennando un sorriso.
«Sì come no!» replica Maltin.
«Grazie, lo apprezzerei molto…» dico, tirandogli un’occhiataccia. «Buonanotte!»
«Buonanotte scricciolo, riposati!»

Torno in camera mia e chiudo la porta, appoggio la bottiglietta d’acqua sul comodino e mi libero del pigiama in fretta e furia, vestendomi con il primo paio di jeans che trovo e una maglia a maniche lunghe. Gattono per la stanza alla ricerca delle scarpe, poi improvviso un fantoccio di vestiti nel mio letto, cercando di dargli una forma credibile. Dubito che mio padre potrebbe entrare in camera per qualche motivo, ma non si sa mai che proprio oggi gli venga l’idea di farlo. Infilo il mio parka blu, prendo la tracolla e il mio berretto preferito con le orecchie da gatto, controllo di avere le chiavi di casa e poi procedo ad uscire. Apro la finestra e guardo fuori: al momento non c’è nessuno, ma d’altronde, chi mai uscirebbe alle dieci di sera di un martedì di fine ottobre? Con una gamba mi trovo già fuori di casa, un refolo d’aria fredda s’insinua sotto la maglietta, facendomi rabbrividire. Guardo il buio cortile sottostante, per fortuna casa mia è costruita su un solo piano perciò non rischierò di farmi troppo male lanciandomi sotto ma la morsa dell’ansia mi blocca come un peso irremovibile attaccato alle caviglie. Penso a quanto rimarrebbero delusi i miei amici e mio padre se scoprissero ciò che devo fare, riesco quasi a immaginare la delusione nei loro sguardi quando io incrocerò i loro. Ma d’altro canto, non mi rimane che giocare sporco, e non posso deludere le aspettative di Lea, il mio alleato in questa lotta contro il bastardo supremo, e anche se l’idea in principio è stata sua, sono stata io, in seguito, a chiedergli di metterla in atto. Sono senza scuse: se mai mi beccheranno la colpa sarà solo mia.
Inspiro profondamente e prendo coraggio. Mi siedo sulla finestra e con un salto sono fuori. Mi volto in direzione della finestra rimasta aperta e una scarica di adrenalina percorre il mio corpo. Tiro un sospiro, l’ultimo, prima di correre verso il bar di Rolud perché, come al solito, sono in ritardo!

Corro a perdifiato per le strade quasi deserte della città, reggendo il cappuccio del parka e la tracolla. Quando arrivo di fronte al locale chiuso una figura dalla distintiva giacca a vento rossa mi sta aspettando con impazienza. I suoi capelli rossi sono nascosti dal berretto di lana nero che indossa. È strano vederlo senza la sua solita pettinatura che lo contraddistingue.

«Alla buon’ora, gelataia! Per un attimo ho pensato che avessi tirato il culo indietro per la paura!»
Sono con lui da meno di un minuto e ha già iniziato a beffeggiarmi come suo solito. Quando smetterà di comportarsi così?
«Smettila di chiamarmi così, idiota. Io cerco sempre di mantenere le promesse quando riesco, semplicemente ero in ritardo.» Gli faccio presente.
«Tuo padre ha rotto le scatole?»
«No, ma ho dovuto fargli credere di voler andare a dormire prima e si è preoccupato del perché, quindi ho recitato la mia parte, poi mi sono cambiata in fretta e mi sono messa a correre. Sono uscita dalla finestra!»
«Grande, così si fa!» Esclama Lea «Comunque, dove hai detto che le ha messe le chiavi, il tuo amico?»
«Dovrebbero essere...» Tasto alla cieca il terriccio nel vaso. «Ah eccole qui! Esclamo poi, cercando di pulirle. Armeggio con il mazzo di chiavi, cercando quella che potrebbe essere quella giusta. Il buio di certo non aiuta molto così Lea, vista la mia difficoltà, cerca di farmi luce con la fiamma dell’ accendino.  «Dovrebbe essere questa.» Provo a infilare la chiave nella serratura e sento il meccanismo scattare. «Bingo.»

Entriamo nel locale e vengo accolta da una strana nostalgia, a rivederlo vuoto e a luci spente dopo tanti mesi, mi torna in mente il periodo in cui lavoravo al chiosco fino a sera: non capitava spesso fare le chiusure assieme a Rolud, ma quando accadeva, erano sempre dei bei momenti…

«Uh guarda quanto alcol! Ed è GRATIS. Non credo ci sarebbe nulla di male se ci facessimo un goccetto per scaldarci un po’, il tuo amico non se ne accorgerebbe nemmeno…»

Lea interrompe il flusso dei miei pensieri. Nonostante il buio riesco a intravedere i suoi occhi luccicare per l’eccitazione. Dove c’è il proibito c’è sempre Lea, o almeno, così pare. «Solo un goccetto, per il buon auspicio.» Insiste.
«Non ci pensare neanche. Ho promesso a Rolud che mi sarei comportata come se non fossi mai stata qui quindi non ti azzardare a spostare o toccare niente. Dobbiamo essere invisibili.»
«Che palle. Sei proprio una guastafeste, a volte sei peggio di Isa.»
Sospiro fingendo indifferenza per la sua affermazione, fortunatamente al momento è impossibile notare le mie guance arrossate. «Immagino la pazienza che deve avere quel povero ragazzo per sopportarti.» mormoro. Lea ridacchia, senza però ribattere.
«Dai, seguimi. Dobbiamo passare per la cucina.»
Attraversiamo il bancone e apro la porta a spinta che separa la sala dalla cucina. L’assenza di luce e il lento gorgogliare delle tubature e dei frigoriferi in azione rende questo luogo almeno dieci volte più inquietante del normale. Superiamo i grandi lavabi industriali in acciaio, poi una porta soltanto ci divide dal “sancta sanctorum” del chiosco dei gelati di Paperon De Paperoni. Tiro fuori il mazzetto di chiavi e proprio come prima Lea mi aiuta a rischiarare la situazione grazie al suo accendino. «Bravo aiutante.»
«Mi dici bravo, però non mi ricompensi nemmeno con un goccetto di alcol! Sei crudele.» Dice Lea, con il solito tono melodrammatico che mi fa alzare gli occhi al cielo. «Pensa che la ricompensa potrebbe essere molto più grossa di un goccetto d’alcol, se riusciamo a fare le cose come si deve. Avresti chili di gelato al sale marino solo per te!»
«Cazzo, Aura. Questa si che sarebbe una degna ricompensa. Un folle bottino degno di una folle serata.»  
La serratura scatta e ci ritroviamo finalmente nel laboratorio del chiosco. «Quindi è qui che accade la magia.» Lo sento bisbigliare dietro di me.
Premo l’interruttore rivestito in gomma e il neon appeso al soffitto si accende ronzando con un’intermittenza incerta prima di stabilizzarsi del tutto. «Ta-dà!»
Nulla è cambiato dall’ultima volta che sono stata qui e una ventata di ricordi mi riporta all’estate passata, quando il mio unico problema era servire orde di clienti affamati durante le ore più torride della giornata.
«Bene, mettiamoci al lavoro.»
«Hai idea di dove potrebbe essere?» Lea si guarda attorno quasi smarrito, quasi a fantasticare di quali oscuri segreti si potrebbero celare dentro questa piccola stanza piastrellata.
«Purtroppo no, dovremmo cercare anche nei posti più improbabili.»

Iniziamo a perlustrare la zona assieme: i grossi frigoriferi industriali d’acciaio risplendono sotto la pallida luce emettendo strani rumori, al loro interno sono riposte le scorte dei gelati già pronte per essere servite il giorno dopo. Controllo i mobili e i cassetti contenenti gli strumenti che ho utilizzato in passato per cucinare. Il mio sguardo si alza sugli scaffali più in alto e nelle fessure, cercando di non tralasciare neanche il più insignificante dei cassetti. Ma oltre agli ingredienti, alle vaschette piene, e agli attrezzi da cucina, non c’è nulla che possa contenere la ricetta.
«Ehi Lea? Potresti controllare quella mensola doppia sopra il lavabo? Non trovo la scaletta per raggiungerlo.»
Il rosso obbedisce e alzandosi leggermente sulle punte inizia a mettere a soqquadro la mensola, spostando e riponendo le vaschette vuote, ma la ricerca, anche in questo caso è vana. «Anche qui niente.» Borbotta Lea, richiudendo le ante.
Il nostro entusiasmo sta gradualmente lasciando il posto al dubbio, sempre più reale, di aver fatto un buco nell’acqua.

Senza darci ancora per vinti, ci spostiamo tra gli scaffali dove il titolare è solito tenere tutti i documenti e le certificazioni. Tiriamo fuori un paio di cartelle colorate, ciascuna di queste etichettata con una data diversa.
«Oh cazzo. Con tutte queste cartelle ci impiegheremo una vita a cercare quello che ci serve.» Sbuffa il rosso, incrociando le braccia al petto.  
«Già, soprattutto perché poi dovremmo mettere tutto a posto proprio come l’abbiamo trovato, ma se ci aiutiamo a vicenda non sarà un lavoro troppo lungo.» Mi siedo per terra con la prima coppia di cartelle nelle mani e incomincio a sfogliarne il contenuto, dopo un minuto buono passato ad osservarmi in silenzio Lea si decide a seguire il mio esempio e dando voce all’ennesimo sbuffo si siede accanto a me. «Che palle.»

Rovistiamo tra le scartoffie in silenzio, a farci compagnia è solo il costante ronzio del grosso frigorifero industriale acceso.
Mi sfrego le mani per recuperare un po’ di calore, qui dentro la temperatura sembra star calando ogni minuto che passa.
«Aspetta, forse ho trovato qualcosa.» dico, scorgendo un post-it verde attaccato a uno dei tanti fogli stampati. Immediatamente Lea avvicina la sua testa alla mia, cercando di leggere. «Che cosa?»
«”Pagato: 50.000 munny.” Niente, falso allarme.» Mormoro seccata, riponendo il documento. Il rosso si allontana e riprende a riordinare un gruppo di fogli dentro un portalistino.
«Ma dove mai potrebbe aver nascosto quella stracazzo di ricetta, quel pennuto maledetto?» Sbotta Lea, aprendo l’ennesima cartella colorata e spargendo tutti i fogli in giro.
«Potrebbe essere ovunque, te l’ho detto. Quello era così paranoico da portarsi dietro tutto l’incasso ad ogni cambio del turno, lasciandomi sempre senza resto!»
Continuiamo a controllare incessantemente qualsiasi documento, post-it o foglietto che ci capita davanti, inginocchiati sul freddo pavimento piastrellato del laboratorio. Un sonoro sbadiglio esce quasi per sbaglio dalla mia bocca, inizio a sentirmi stanca: ormai ho perso totalmente la cognizione del tempo, per quel che ne so potrebbe anche essere mezzanotte inoltrata e non so per quanto tempo ancora potremo stare qua dentro, prima di uscirne vincitori… o sconfitti.

All’improvviso mi accorgo delle insistenti occhiatine maliziose da parte di Lea, di cui non riesco a liberarmi fino a quando non gli do’ retta. «Cosa c’è?» Lo guardo di sottecchi.
«Allora… Com’è stato?»
Mi chiede di tutto punto, le sopracciglia alzate e un sorrisetto idiota stampato in faccia.
«Che cosa?» Aggrotto la fronte. Non capisco a cosa si stia riferendo.
«Quando sei finita sopra Damien! Ammettilo: ti è piaciuto.» Mi tira una lieve gomitata sul fianco, questa volta sta ridendo sotto i baffi, mentre io rimango allibita dalle sue parole!
«Ma sei scemo?» Sbotto. «Che schifo. Come ti vengono in mente certe cose?!»
Lea scoppia in una fragorosa risata e il mio volto si fa di fiamma per l’imbarazzo.  «Dovresti vedere la tua faccia! Stavo scherzando!»
«Ma vaffanculo!»
Lo spingo lontano da me e lui si getta a terra in una posa drammatica, si rotola sul pavimento piagnucolando. «Oh no guarda cosa hai fatto al mio sopracciglio! Ora dovrò tenere i capelli con il ciuffo all’ingiù per coprire il mio bellissimo viso deturpato per sempre! Me la pagherai, Aura!» Blatera, continuando a dimenare le gambe in aria.
Mi trattengo con una mano sulla bocca, non sopporto dargliela vinta quando riesce a farmi sorridere per queste stronzate!
«E comunque tengo a precisare che sono finita sopra la sua schiena e non sopra come pensi tu! Non l’ho nemmeno visto in faccia, almeno fino a quando non mi sono alzata…» La mia mente ripercorre quella scena a rallentatore, come a volersi assicurare che sia accaduta sul serio e che non fosse solo il frutto di un terribile incubo ad occhi aperti.
Questa volta si rimette a sedere ma continua a ridacchiare sommessamente tirandomi di tanto in tanto un’occhiata, in cerca della mia approvazione, lo guardo contrariata, abbozzando un sorriso. «Va bene, ti credo. A chi mai piacerebbe finire sopra di lui?»
«A Nika, di certo non a me. Mi sono venuti i brividi soltanto a pensarci.»
 Chiudo l’ennesima cartella e mi appresto a mettere via ciò che rimane degli ultimi documenti, ormai rassegnata.
Lea si rialza dal pavimento e spolverando i pantaloni si guarda in giro. Cerca di aprire un cassetto ma lo trova bloccato. «Che cosa nascondi qua dentro, signor cassetto?»
Rovista nelle tasche della sua giacca a vento e tira fuori un paio di graffette e forcine, mettendosi immediatamente all’opera.
«Non dirmi che vuoi scassinare la serratura.»
«Io non esco da qui a mani vuote.»
Roteo gli occhi, non avrei voluto arrivare a questo, ma ormai fermarlo è fuori discussione e poi nemmeno io ci tengo ad aver fatto tutta questa fatica per nulla. Lo guardo destreggiarsi con gli strumenti in mano, sicuramente più concentrato in questo momento che durante le ultime due verifiche.
Dopo qualche minuto la serratura scatta con un sonoro “clock” e Lea apre il cassetto, rivelandone il suo contenuto. Ammetto che la sua capacità di scassinare serrature è impressionante, e quasi mi viene il dubbio a pensare se abbia detto o meno la verità sul sacchetto di munny rubati…
Trafughiamo in velocità il cassetto a quattro mani cercando di non farci ombra a vicenda, ma oltre a polvere, cianfrusaglie e qualche munny sparso non c’è altro, della famigerata ricetta neanche l’ombra. Mi chiedo quale fosse il senso di tenerlo chiuso a chiave.

«Non c’è niente.» mormora Lea, avvilito. Richiude il cassetto e ripone i suoi “attrezzi” nelle ampie tasche della sua giacca a vento.

«Abbiamo cercato ovunque, non saprei più dove mettere le mani! Credo che… la ricetta non sia qui, probabilmente l’ha portata via con sé, oppure non esiste una versione scritta!» la delusione è evidente nel mio tono di voce. Tutta l’operazione si è rivelata un’inutile perdita di tempo, tempo che avremmo potuto usare per fare altro, e cosa peggiore ho messo in mezzo anche Rolud. «Mi dispiace… io ci ho provato.»
Mi passo una mano sul viso e mi lascio andare a un lungo sospiro. Siamo nella merda, questo è certo. Ed è solo colpa mia.
Mi rendo conto di star rabbrividendo, ma non capisco se è colpa del freddo che c’è o sto inconsciamente trattenendo la voglia di piangere, di nuovo. Lea si stringe nelle spalle e inaspettatamente mi tira su il cappuccio sulla testa.
«È meglio uscire da qui, questo posto mi sta mettendo i brividi, letteralmente.» Mi esorta ad uscire abbozzando un sorriso.

Spengo la luce e mi chiudo la porta alle spalle, girando la chiave due volte nella serratura. Stavolta sono io a seguire l’ombra di Lea nel buio della cucina, fino al bar.

«Sicura che non vuoi farti un goccetto?» replica il rosso «Magari riesce a tirarti su di morale! E a scaldarti.»
«No. Sto già rischiando di mettere Rolud nei guai per questa storia, non mi sembra il caso di scroccare pure l’alcol dalla dispensa…»
«Ok, ok, non insisto. Come vuoi tu, capo.» sospira rassegnato.
«E adesso come facciamo? Non ho un piano di riserva, non ho idee, non so cosa fare! Siamo nella merda, ci cacceranno da scuola e sarà solo colpa mia!»
«Aura datti una calmata! Andrà tutto bene, ok? Ce la faremo, troveremo…» sospira, grattandosi il capo «Troveremo un modo. Abbiamo ancora una settimana.»
«Il sabato e la domenica non andiamo a scuola!» Gli ricordo, sull’orlo dell’esasperazione.
«Va beh, abbiamo ancora tempo! Ora possiamo uscire da qui prima che cambi idea sull’alcol?»
Usciamo dal locale con l’amaro in bocca e chiudo la porta, prima di rimettere le chiavi nel posto in cui le ho trovate, ben nascoste da possibili occhi indiscreti.

«Beh… direi che possiamo andare a casa. Non so nemmeno che ore sono e...» Non so proprio cosa dire per dileguarmi in fretta da questa situazione imbarazzante. In questo momento vorrei solo seppellirmi sotto le coperte. Guardo il rosso deglutendo. «Buonanotte.» borbotto. Giro i tacchi e mi avvio verso la strada di casa ma Lea mi afferra per un braccio e mi tira a sé.
«Dove vai?» Mi chiede guardandomi negli occhi.
«Uh… a casa?» Evito il suo sguardo. Lui sorride del mio evidente imbarazzo, ma non si decide a volermi lasciare andare. «A quest’ora?»
«Beh, sì.» replico io.
Lea fa un cenno di dissenso. «Risposta sbagliata, Aura. Non rendiamo questa serata inutile! Non voglio farti andare a casa triste.» Senza nemmeno possibilità di ribattere, vengo trascinata verso la via opposta.  Imbocchiamo la strada per la piazza principale e continuiamo a camminare, ancora stretta nella presa di Lea, che sembra non avere nessuna intenzione di lasciarmi il braccio.

Il castello di Radiant Garden si erge immenso spiccando anche nel buio della notte, quasi a voler eguagliare la Luna, l’odore di pini dei giardini reali ci raggiunge quando passiamo davanti all’altissimo cancello di ferro battuto che li divide dalla piazza, ma Lea tira dritto e prende una via secondaria.

«Dove stiamo andando?» chiedo con sincera curiosità.
«Se mollo la presa, mi prometti che non scappi a casa?»
«Non hai ancora risposto alla mia domanda.»
«Allora? Sì o no?» Insiste lui.

«Prometto di non scappare.»

Lea mantiene la parola data e mi lascia andare. Finalmente posso camminare stando al mio passo, senza faticare per star dietro alle sue lunghe falciate!
«Bene: voglio portarti in un posto fighissimo, ma non ti dirò di più. Voglio che tu lo veda con i tuoi stessi occhi.»
Sono ancora più curiosa, adesso, inoltre vorrei capire se per “posto fighissimo” intende qualcosa di oggettivamente tale, oppure lo è solo nei gusti di Lea! Dubito che se gli chiedessi di più mi risponderebbe.
«Wow, come mai questa voglia improvvisa di camminare? Non sei stanco?»
«Non ho voglia di tornare a casa subito» ammette «e poi non mi piace vederti giù di morale.»

Questo è inaspettatamente dolce da parte sua.

Passiamo per una via residenziale piena di villette dall’aria sfarzosa e un cane abbaia improvvisamente al nostro passaggio, istintivamente mi aggrappo al braccio di Lea con il cuore in gola per lo spavento e la sua battuta non tarda ad arrivare. «Ti lascio andare e tu ti aggrappi di nuovo, devo essere davvero super irresistibile.» Ridacchia il rosso. Mi porto una mano sul petto e respiro forte per cercare di calmare il mio povero cuore in tachicardia, non riesco nemmeno a ribattere alle parole di Lea.  
Attraversiamo la strada e ci ritroviamo davanti a quello che sembra un vicolo cieco, ma Lea continua a camminare dritto fino ad addentrarsi in una stradina stretta nascosta dagli alberi e rischiarata solo dalla luna che continua a spiarci imperterrita, a volte coprendosi dietro una cortina di nuvole. Le mie conoscenze su queste strade sono terminate esattamente nel punto in cui siamo sbucati fuori dalla boscaglia, ritrovandoci in quella che ha tutta l’aria di essere la periferia. Mi guardo attorno incuriosita mentre avanziamo in silenzio, le mani in tasca e il cappuccio ancora a coprirmi la testa.

«Siamo quasi arrivati.» sembra volermi rassicurare con un sorriso.
Qualche minuto dopo riesco a scorgere le mura della città. Dovremmo trovarci nei pressi della porta sud, perché non sono mai passata per di qua per uscire da Radiant Garden. Fortunatamente non essendoci un coprifuoco i cancelli non vengono mai chiusi, chiunque può entrare ed uscire liberamente dalla città senza il timore di rimanere chiuso fuori dalle mura!
Attraversiamo il grosso arco in pietra con sopra inciso lo stemma della città e continuiamo a camminare. Davanti a noi si presenta una lunga strada in salita che si perde nel buio inghiottita dagli alberi, fuori città le strade sono poco illuminate e la fitta boscaglia che si estende per tutta la zona non aiuta a rischiarare la nostra via. Procediamo dritti fino a quando la strada non ci presenta davanti a un bivio, ma delle due direzioni Lea prende una strada poco battuta che si addentra maggiormente nel bosco, la salita si fa sempre più ripida e suoni della città si fanno man mano più ovattati, l’unico rumore che ci accompagna in questa scampagnata notturna fuori programma è quello della ghiaia sotto le nostre scarpe e del vento che scompiglia le chiome degli alberi.

«Quanto hai intenzione di allontanarti da casa?» chiedo con il fiato corto.
«Oh non ti preoccupare, ti ripeto che siamo quasi arrivati. Credimi, ti piacerà.»
«Come fai ad esserne così sicuro?»
Siamo a pochi metri dalla cima della salita e continuiamo a camminare a grandi passi cercando di non scivolare sulla ghiaia, Lea mi supera correndo verso la meta e mi incita ad andare più veloce, ma non riesco ad andare più veloce di così, per di più con il timore di mettere i piedi nei posti sbagliati!
 «Mi hai chiesto come facessi ad essere sicuro che ti sarebbe piaciuto…» Lo raggiungo «ma come potrebbe non piacere questa vista?» Esclama.
L’intera Radiant Garden si mostra in tutta la sua bellezza in una vista mozzafiato, dall’alto i lampioni che illuminano le strade sembrano solo una scia di puntini luminosi che si susseguono per tutta la pianta della città e brillano come lucciole in un campo di grano in estate.
«Wow… ma è fantastico! Da qui si vede tutta la città!» sono esterrefatta.
Quello che salta di più all’occhio è la gigantesca struttura di Piazza della Fontana: la più grande fonte di illuminazione di tutta la città, i suoi giochi di luci nell’acqua la rendono un piccolo gioiello scintillante in grado di abbagliare anche il castello con la sua bellezza.

«Te l’ho detto che ne sarebbe valsa la pena!» Lea si siede su un vecchio tronco caduto, sotto gli spogli rami di una betulla, cerca qualcosa nelle tasche della sua giacca a vento. Mi siedo accanto a lui, senza staccare gli occhi da quella vista meravigliosa. Avrei perso tutta la nottata nel cercare di riconoscere i luoghi in cui sono stata, chissà, forse tra tutte quelle casette, sarei riuscita a vedere anche la mia.
Lea si accende una sigaretta, dopo il primo tiro il fumo grigio si dissolve con una folata di vento. «Vuoi fare un tiro?» mi chiede, accorgendosi del mio sguardo insistente.
«No, meglio di no.» declino l’offerta, ridacchiando. «Cucciolina. Hai ragione, meglio non iniziare.»
Lo guardo di sottecchi e fingo di non averlo sentito chiamarmi “cucciolina”. «Come hai scoperto questo posto? È bellissimo!»
«Mah… non ricordo, probabilmente girando a caso, per noia. Di solito è in quei momenti di esplorazione improvvisa che trovi i luoghi più belli!» Lea fa un altro tiro dalla sua sigaretta, poi continua «Ma da quando l’ho scoperto, io e Isa veniamo spesso qui a rilassarci... e poi da quest’altezza anche il castello sembra piccolo e insignificante, e posso sentirmi anch’io un principe, a modo mio.»
«Vorresti essere un principe?»
Lea ci pensa un attimo, la fronte corrugata e la bocca piegata in una smorfia.
«Nah... non fa per me. E poi non esistono principi a Radiant Garden, è il re ad essere il pezzo più importante della scacchiera. Un principe è solo una pedina.»
«Una pedina che sta cercando di mangiarci.»
Ci scambiamo un breve sguardo, poi fa un cenno di dissenso con il capo, un altro filo di fumo esce dalle sue labbra prima di dissolversi nell’oscurità.
«Damien non mi fa paura. È solo un bamboccio viziato che gioca a fare il re dove può permettersi di farlo. Ma in realtà non è nessuno, né qui, né a palazzo.» Alza gli occhi al cielo, per poi posarli di nuovo su di me.
«Ti fai troppi problemi, Aura.» Abbasso lo sguardo e mi guardo le scarpe di tela rosso bordò, ormai imbiancate dalla polvere per la nostra precedente camminata.
«Però sembravi molto turbata ieri...» mormora, quasi trattenuto dal volerne parlare «quando mi hai raccontato quello che è successo… dimmi, ti ha messo le mani addosso?» Riesco a percepire la tensione nel suo tono di voce, la mascella serrata.
Ieri non ho raccontato a Lea tutte le dinamiche dell’incidente perché non ne ho avuto il tempo ma è l’unica persona ad esserne a conoscenza, e in questo momento sembra che le sue intenzioni di capire ciò che è successo siano serie. 
«Damien no, ma Elseid sì.» A ripensare all’accaduto riesco ancora a percepire la sua presa ferrea sul mio braccio.  «Mi ha trascinato nel sottoscala e mi ha trattenuto al muro con la forza mentre Damien mi minacciava. Poi sono fuggiti via quando hanno sentito gli altri avvicinarsi.»
Lea è sconvolto, si passa una mano sulla nuca, scuotendo la testa.
«... mi dispiace, cazzo. Se solo l'avessi saputo prima...»
«È stata la prima volta che usavano la forza con me. Non mi sarei mai aspettata che arrivassero a questo punto, però»
«La prima e pure l'ultima. Stronzi. Più li conosco, più mi fanno venire i conati di vomito.» Spegne la sigaretta sfregandola con forza sotto la suola delle sue sneakers per poi buttare il mozzicone giù dalla collina.
«D’ora in poi dovranno vedersela con me.» Sibila a denti stretti. Il suo volto è livido di rabbia.
Non rispondo ma rimango colpita dalla sua dichiarazione.
Forse non scherzava quando mi aveva detto che ormai eravamo amici, ci credeva sul serio.
Anche se la nostra doveva essere solo una farsa, mi rattristo all’idea che prima o poi prenderanno di mira anche lui, se mai vorrà prendere le mie difese. Sotto quell’aria da teppista si nasconde una brava persona che non merita un trattamento del genere, ed io non riuscirei a sopportare ulteriori sensi di colpa. Vorrei diventare più forte per riuscire a difendermi da sola e tenere testa a tutti.
Con la coda dell’occhio noto Lea accendersi la seconda sigaretta nell’arco di un quarto d’ora. Ci scambiamo uno sguardo silenzioso, un breve sorriso si allarga distendendosi sul suo volto e riesce a contagiare anche me.

Ci perdiamo nei nostri pensieri, inghiottiti nel silenzio della notte. A farci da sfondo solo un cielo ormai sgombro dalle nuvole e la luna, ormai uscita allo scoperto. Anche dall’alto il castello ci controlla, torreggia al centro della città in tutta la sua possenza, gettando ombre su tutto ciò che lo circonda.  

Dopo un lasso di tempo indefinito passato con il naso all’insù, uno sbadiglio mi ricorda che l’ora di andare a dormire è già passata da un po’. Il sonno avrebbe preso il sopravvento sulle mie palpebre da qui a poco.

«Forse è meglio se ritorno a casa, non so nemmeno che ore sono. Domani a scuola saremo due zombie.» borbotto mentre la mia bocca si spalanca per l’ennesimo sbadiglio.
«Ti accompagno.»



Ripercorriamo la strada fatta in precedenza e nel frattempo parliamo del più e del meno.
Fortunatamente i toni della nostra conversazione si sono alleggeriti rispetto a prima: non avrei sopportato l’idea di parlare di nuovo di lui.

Casa mia dista un paio di metri da noi, ma preferisco interrompere adesso la nostra camminata. Da qui riesco a intravedere la finestra spalancata di camera mia, così buia da sembrare un buco nero nel muro.

«Fermiamoci qua, non vorrei che qualcuno potesse sentirci parlare fuori dalla porta.»

«Ok. Sicura che non ti serva una mano per salire dalla finestra? Mi sembri abbastanza bassa per riuscire ad arrampicarti da sola.» Sogghigna, guardandomi dall’alto dei suoi venti centimetri in più.
«Ho preso le chiavi, quindi entrerò dalla porta d’ingresso. Spero di non dovermene pentire.» Cerco il mazzo di chiavi tra le cianfrusaglie rimaste nella mia borsa, come per assicurarmi di averle effettivamente prese, dopodiché alzo il mio sguardo verso il rosso.
«Grazie per la camminata improvvisata… mi è servito staccare la spina per un po’. E parlare.»
«Figurati. Ce lo siamo meritati.» Esclama, massaggiandosi il collo. «Beh, credo che ora sia arrivato il momento che io me ne vada. Ci vediamo domani!»

Lea mi saluta e lo guardo incamminarsi per la sua strada. Sorrido sommessamente mentre prendo le chiavi di casa e mi appresto ad arrivare alla meta.
Per quanto io tenti di fare meno rumore possibile, la porta di casa non mi è per niente d’aiuto. La richiudo piano alle mie spalle e zompetto nel corridoio fino ad arrivare sana e salva in camera mia.
Chiudo immediatamente la finestra, e dopo essermi sbarazzata del parka e della tracolla, mi sfilo il berretto abbandonandolo sul comodino. Il mio sguardo ricade distrattamente sulla sveglia-uovo e per poco non mi prende un colpo nel leggere l’orario sulle lancette: “Due di notte”. Domani sarò in condizioni pietose semmai riuscirò ad alzarmi in tempo per le lezioni! Mi spoglio in fretta e mi rendo conto del freddo che fa nella mia stanza non appena mi ritrovo in mutande, alla disperata ricerca del mio pigiama sotterrato tra le coperte e gli altri vestiti ammassati per creare il fantoccio.
Quando finalmente mi distendo sul letto, non prima di aver messo la sveglia per le 7:00, quasi non mi sembra vero, e alzando le coperte fin sopra la mia testa chiudo gli occhi e mi abbandono al sonno.

 

 
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Note dell'autrice: Mi dispiace di aver aspettato tutto questo tempo per un solo capitolo, non mi sono dimenticata della storia, semplicemente ho avuto un periodo abbastanza carico di impegni e tra questo e il blocco dello scrittore è stata dura ricominciare a scrivere. Spero solo che tutti i miei sforzi siano di vostro gradimento, mi farebbe davvero piacere!
  
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