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Autore: Mahlerlucia    06/09/2020    2 recensioni
Prendi una lacrima, passala sul volto di chi non ha mai pianto.
Prendi il coraggio mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla.
(Mahatma Gandhi)
[Atsushi x Akutagawa || #ShinSoukoku]
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Manga/Anime: Bungou Stray Dogs
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale
Rating: giallo
Personaggi: Atsushi Nakajima, Ryūnosuke Akutagawa (Osamu Dazai)
Pairing: #AtsuAku #ShinSoukoku #Sskk
Avvertimenti: Missing moments, Tematiche delicate
Tipo di coppia: Shonen-ai

 
 

 

2.  Inconsapevolmente simili
 
 
 

Qualcosa doveva pur essere accaduto, visto quanto si era fatto silenzioso Akutagawa. Tratteneva le mani nelle ampie tasche del suo inseparabile impermeabile mentre camminava a passo lento, tenendo la testa bassa e palesando di tanto in tanto un sospiro sommesso che avrebbe potuto tranquillamente tramutarsi in un concetto ben più concreto. Per quanto si sforzasse di restare fermo ed indifferente al cospetto della sofferenza altrui – specie quando questa riguardava un membro qualunque dell’Agenzia – non riusciva ad evitare d’intravedervi analogie con il suo passato. Comunemente un orfanotrofio veniva considerato alla stregua di un’ancora di salvezza per tutti gli orfani in cerca di un minimo di calore umano. Si era più volte immaginato come doveva essere avere un tetto sopra la testa quando da ragazzino si era ritrovato a trascorrere più tempo scalzo che al riparo dalle intemperie. Realizzare che anche all’interno di quelle mura potessero avvenire atrocità quanto meno simili a quelle che era stato costretto a subire Nakajima gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Chi era stato davvero il più fortunato fra i due in fin dei conti?!

“Akutagawa!”

La voce del più giovane cercava invano di attirare la sua attenzione, pronta a rimarcare nuovamente il motivo di quella calma apparente che si era finalmente posata tra loro. Allungò il passo e si mise al suo fianco, cercando di comprendere in autonomia il motivo per cui il suo alleato si fosse incupito ancor più del solito.
Ryūnosuke osservò lo spostamento dell’altro con la coda dell’occhio, ricomponendosi in una smorfia di disappunto con la quale avrebbe voluto interrompere quella sottospecie di collegamento empatico che si stava generando tra loro, seppur involontariamente.
Maledetto Dazai-san...

“Stai bene?”

“Ti ho già detto che non ho bisogno della tua compassione, Jinkō.”

“A dire il vero, quello che sta mostrando compassione sei tu. Magari è la volta buona.”
 
Il mafioso arrestò il suo passo per voltarsi in maniera flemmatica e perentoria verso quel ragazzino impertinente con cui era stato costretto a condividere gli obbiettivi più importanti della sua esistenza, senza ancora capirne realmente il motivo.
Lo fissò con espressione accigliata, digrignando appena i denti affilati e domandandosi a cosa diavolo si stesse riferendo; non escludeva che le sue stesse supposizioni potessero discostarsi dalla realtà. Necessitava soprattutto di conferme, come per ogni cosa a cui teneva in maniera particolare.

“Preferisci una morte veloce e praticamente indolore o una lenta e atroce agonia?”

Le labbra del più giovane si arricciarono in una smorfia fatta di terrore misto a rassegnazione. Sapeva bene che sotto determinati aspetti della sua personalità ci sarebbe stato da lavorare a lungo; e nessuno poteva garantirgli di riuscire appieno in quell’ardua impresa, pur sfoderando gli strumenti più cortesi che potesse ritrovarsi a disposizione.
Accigliò lo sguardo per darsi un tono e strinse i pugni. Non appena Ryūnosuke intuì quella reazione dai connotati fintamente silenziosi, voltò lo sguardo dalla parte opposta e proseguì il suo cammino lungo quel sotterraneo che non si sapeva ancora nel dettaglio dove li avrebbe condotti.

“Akutagawa, preferisco continuare a vivere... mi sembra ovvio.”

Tsk! Che risposta stucchevole e scontata. Degna del nuovo cagnolino di Dazai-san.”

“Ancora con questa sto-”

Nakajima non ebbe la possibilità di terminare la frase a causa di un oggetto contundente che, comparendo dal nulla, arrivò a perforargli la spalla sinistra. Per quanto fosse abituato a quel genere di ferite, sentì la carne e i muscoli strapparsi dall’interno, provocandogli dolori così lancinanti da fargli quasi perdere i sensi.
Cadde in ginocchio, mentre premeva la mano contro quel sangue che fuoriusciva a fiotti, puntando i denti nel disperato tentativo di rimaner lucido per potersi difendere da eventuali nuovi attacchi.

“Jinkō!”

Akutagawa non gli avrebbe mai chiesto come stava nella maniera più ortodossa plausibile: quell’urlo sguaiato valeva molto più di qualunque primo soccorso improvvisato. Perché il mafioso poteva essere tutto, meno che “stucchevole”, proprio come era stato definito lui stesso.
Ci fu un nuovo attacco nemico la cui provenienza non era ancora stata identificata con precisione, ma il mafioso riuscì a schivare ogni singolo tentativo facendo immediatamente appello alla sua straordinaria abilità. Senza nemmeno soffermarsi sul motivo per cui lo facesse – ma mosso interiormente da qualcosa che di sicuro non rasentava la semplice “compassione” – difese l’eterno rivale da ogni possibilità di venire nuovamente offeso, in attesa che la sua ferita si potesse rigenerare senza lasciargli più alcun segno visibile.

“Muoviti a tornare in te!”

“Sto facendo il possibile... ma dobbiamo comunque andarcene.”

“Scappare?! È questo il modo in cui affronti il nemico?! Cosa diavolo ti hanno insegnato in quell’Agenzia di pazzi?”

Nonostante il dolore accecante e la sensazione di poter perdere coscienza da un momento all’altro a causa dell’eccessiva quantità di sangue perduta, Atsushi non perdeva di vista ogni singolo sforzo che il compagno di sventure stava compiendo per proteggerlo. Avrebbe voluto ringraziarlo come si conveniva, ma non c’era né il tempo e né il modo di farlo; senza contare che rischiava di riceve nuovi e sempre meno simpatici insulti come uniche risposte. Non che ci credesse molto, ma sapeva di essere fin troppo impulsivo a fronte delle sue parole dal rango sempre piuttosto pungente e denigratorio.

“Vi ho trovati finalmente!”

Una voce metallica, lontana e a dir poco agghiacciante aveva attratto la loro attenzione distraendoli dalle lame che continuavano ad essere scagliate nella loro direzione. Ryūnosuke venne ferito a sua volta ad una mano, ma tentò in tutti i modi di non darlo a vedere, soprattutto a Nakajima. Quest’ultimo finalmente riuscì a rialzarsi, conscio di non poter più permettersi di essere solamente difeso dall’altro. Adocchiò la piccola telecamera che li stava osservando da quando avevano messo piede in quel cunicolo dimenticato dal mondo. Sopra ad essa vi era un minuscolo microfono che sembrava funzionare molto meglio di quello che abitualmente usava per mettersi in contatto con gli altri membri dell’Agenzia.

“Chi diavolo sei? Parla!”

“Quanta fretta ragazzo adirato! Perché non ci prendiamo un po’ di tempo per conoscerci meglio?”

Akutagawa fece per avventarsi contro la fonte da cui proveniva quel vociare arrogante, ma Atsushi lo fermò trattenendolo per una spalla. Il mafioso non ci pensò due volte a scrollarselo di dosso spingendolo a terra con una sola mano. Fortunatamente l’enorme ferita alla clavicola si era rimarginata a dovere, dettaglio che no sfuggì agli occhi del più rancoroso appena una frazione di secondo prima di usare la sua consueta indelicatezza nei suoi riguardi.

“Non sai nulla di me. Non permetterti di usare aggettivi che non mi appartengono.”

“Ma come? Non puoi non ammetterlo, suvvia. Se solo qualcuno ti concedesse un pochino di considerazione in più... accidenti! Che mondo infausto verso questi poveri giovani sottoposti...”

Era chiaro che l’obbiettivo della Guild in quel frangente era quello di fare leva sulle debolezze psichiche dei loro rivali. Come ne fossero a conoscenza, invece, risultava essere ancora un mistero.
Quando Nakajima comprese l’arcano, invitò l’altro a non lasciarsi sopraffare da quelle parole, partendo dal presupposto che fossero state proferite da un completo sconosciuto, per lo più loro antagonista. Non riuscì a persuaderlo, ma per lo meno evitò che si avventasse inutilmente contro l’unica fonte d’informazioni che avessero a disposizione. Informazioni che, chiaramente, andavano considerate con la dovuta cautela.

“Ragazzo-tigre. Ora che lui non c’è più ti senti davvero al sicuro? Chissà perché ti trattava così male in quel posto...”

Atsushi mantenne lo sguardo fisso su quello di Akutagawa, ma non riuscì più a mettere a fuoco i suoi lineamenti pallidi. Nella sua mente si ruppe di nuovo un ricordo, dopo essere stato riportato alla luce senza alcuna autorizzazione e non rimarcando la benché minima forma di tatto umano. Non fu necessario ipotizzare a chi potesse essere riferito quel terribile pronome, quel “lui” che tanto si era prodigato per rendere la sua vita un perfetto inferno.

“Jinkō, cosa mi hai detto giusto un attimo fa? Ti stai rimangiando tutto così in fretta?”

Gli occhi chiari del più giovane riacquistarono lentamente la loro usuale lucentezza, ritrovando di nuovo i tratti – oramai familiari – di colui che stava cercando di riportarlo con i piedi per terra. Scrollò la testa e volse lo sguardo verso il basso, nel vano tentativo di rifuggire a quelle parole e alla profondità dello sguardo di Ryūnosuke.

“Ricordati che il nostro obbiettivo è ucciderlo. Non m’importa nulla di quello che pensa di me o di te.”

Atsushi si sollevò di scatto lanciandogli un’occhiata di rimprovero che fu accolta – quasi fosse una novità – con un certa contrarietà. Il tema della violenza e della vittoria ottenuta a suon di spargimenti gratuiti di sangue era per lui una sorta di ossessione che non si decideva a lasciargli intravedere le cose da una prospettiva differente.

“Noi non uccideremo nessuno.”

“Giusto. Una volta che riuscirò a sconfiggerlo lo adotterete nella vostra meravigliosa Agenzia?”

“Sì, in effetti non mi dispiacerebbe rivedere quella vecchia volpa di Dazai. È passato parecchio tempo dall’ultima volta in cui ha avuto il coraggio di presentarsi di persona.”

I due ragazzi si rivolsero di nuovo alla telecamera imprecando a bassa voce, muovendosi quasi all’unisono. Il rispetto che entrambi provavano per il loro mentore – l’unica persona capace di raccoglierli dall’abbandono, dal quel senso di completa disperazione che con il trascorrere degli anni li avrebbe condannati a morte certa – era un sentimento talmente forte da indurli ad agire senza la necessità di soffermarsi sui diversi precetti con cui le diverse organizzazioni da cui provenivano avevano inondato i loro pensieri ben più innocui.
Senza contare che del diretto interessato tutto si poteva dire, tranne che non fosse dotato di coraggio.

“Chi diamine sei? Come fai a conoscere Dazai-san? Parla!”

“Questi sono dettagli che potrei rivelarvi ad un’unica condizione...”

“Quali? Parla, maledetto!”

Atsushi si avvicinò al mafioso cercando di contenere quella rabbia che avrebbe potuto mandare all’aria i piani che li avevano portati ad accettare l’ennesima, complessa missione da affrontare assieme. Gli posò nuovamente una mano sulla spalla e provò a fargli intendere nella maniera più pacata possibile che imprecare in quel modo non si sarebbe di certo rivelata la soluzione più consona, per quanto stesse cominciando a sua volta a non reggere più il tono beffardo con cui quella voce “misteriosa” si stava rivolgendo loro.

“Akutagawa, calmati!”

Con un movimento brusco, Ryūnosuke si scrollò la sua mano di dosso. La sua espressione era notevolmente peggiorata rispetto a quella mostrata solamente pochi minuti prima, il ché non stava a presagire nulla di positivo. Atsushi sapeva bene di doversi ancora conquistare appieno la sua fiducia, almeno per il tempo necessario. Certo, se ciò fosse avvenuto a tempo ancor più indeterminato non gli sarebbe dispiaciuto affatto; ma non poteva pretendere la luna senza prima impegnarsi nello scovare un modo quantomeno proficuo per poterla raggiungere.

“Non interferire, Jinkō!”

Mostrò la consueta espressione disgustata che all’altro, questa volta, parve leggermente forzata. L’idea che qualcuno in particolare lo stesse tenendo d’occhio non riusciva a evadere dalla sua mente, lasciandolo costantemente in un limbo d’indecisione dentro il quale era costretto a pesare ogni suo minimo movimento.

“Non puoi chiedermi di non interferire. Stiamo affrontando questa missione insieme, come ci ha chiesto...”

Nakajima si arrestò d’impeto, realizzando a scoppio ritardato quanto spesso si dilungasse in dettagli che avrebbero potuto alterare una situazione già piuttosto compromessa. Si limitò ad osservarlo tenendo gli occhi bassi, quasi a volersi scusare senza neanche avere un motivo valido per doverlo fare. Mentre la testa gli aveva sempre indicato di muoversi con cautela nei confronti di quel ragazzo, il cuore gli diceva ben altro. E non poteva permettersi di mandare in fumo questa sorta di legame invisibile e indecifrabile che si era inevitabilmente creato tra loro.
Akutagawa preferì non dare adito a quelle parole, evitando l’ennesima bagarre che li avrebbe portati solamente a distrarsi da quella che era la ragione principale per cui erano costretti a tollerarsi.

“Come potete lavorare insieme se non riuscite nemmeno a condividere l’indispensabile per poter andare d’accordo? Mi fate quasi tenerezza, sapete?”

“Maledetto!”

“Akutagawa!”

Atsushi gli lanciò un’occhiata truce, sperando di non essere mandato al diavolo ancora una volta. Continuare a bisticciare sotto osservazione della fazione opposta avrebbe solamente contribuito a rendere ancor più vulnerabili quelli che erano gli evidenti punti deboli su cui avrebbero ancora dovuto lavorare; e possibilmente... collaborando.
Avanzò fino a sistemarsi esattamente sotto la lente vigile della telecamera, con l’unico obbiettivo di mostrare fierezza e convinzione in quello che stava per rivelare.

“Come puoi dire che non riusciamo a lavorare insieme, chiunque tu sia? Ci conosci? Sai per caso se ci è già capitato in passato di unire le nostre forze per sconfiggere le organizzazioni criminali?”

“Ragazzino, la metà di voi appartiene a sua volta ad un’organizzazione criminale, non credo sia una novità per te!”

Il più giovane cercò di non lasciarsi influenzare da quel discorso realistico, ma che mirava unicamente a ledere un rapporto già piuttosto complicato dalle sue stesse origini. Se l’intuito non gli stava semplicemente tirando un brutto scherzo, poteva dire di aver dedotto che quel tizio si sarebbe divertito a rigirare a suo piacimento quel coltello che nella piaga ci era già finito diverse volte. L’unico modo che aveva di fermarlo consisteva nel dimostrargli che si sbagliava, ma per farlo aveva bisogno dell’aiuto di Akutagawa.
Non si voltò, preferì continuare ad occuparsi di quelle inutili chiacchiere per conto proprio, continuando a sperare che il tutto non degenerasse a suon di Rashōmon ed improperi di vario genere.

“Noi siamo stati entrambi mandati qui da Dazai-san.”

Se non avesse deciso di perseverare nel rivolgere le spalle al mafioso, sarebbe stato ben lieto di cogliere quel guizzo di sorpresa mista a gratitudine all’interno dei suoi occhi grigi, incapaci di reagire adeguatamente a quelle parole.
Jinkō...

“Quindi quello che si diceva sulla questione degli orfani da salvare... è tutto vero.”

Atsushi non stava realmente capendo a cosa o chi si stesse riferendo. Ripensò a quella tomba che il suo mentore andava a omaggiare con una certa frequenza, senza che avesse mai rivelato a qualcuno in particolare a chi appartenesse. L’associazione di pensiero fu pressoché automatica poiché, da quel poco che gli aveva potuto raccontare Kunikida, sapeva che era stata proprio quella persona a convincere Dazai a lasciare definitivamente la Port Mafia per iniziare a fare del bene, a partire dai soggetti più soli e vulnerabili. E chi poteva rappresentare al meglio questa categoria se non i bambini privati delle loro famiglie? Sì, esattamente come lo erano stati loro, seppur in due accezioni apparentemente non equiparabili.

“Stai parlando un po’ troppo per i miei gusti. Perché non vieni fuori così concludiamo il discorso una volta per tutte? Hai forse paura?”

“No, sta’ tranquillo, sottoposto della Mafia. Non ho paura di due ragazzini che senza le direttive del loro capo faticano persino a prendere le più elementari decisioni.”

Ryūnosuke non avrebbe retto ancora per molto a quelle allusioni non richieste. La sua indole premeva per la reazione immediata, impulsiva; quel piatto forte a cui non riusciva a sottrarsi se non per forze di causa maggiore. E purtroppo – o per fortuna? – per lui, quegli occhi chiari e indecifrabili che lo guardavano con aria di rimprovero avevano tutte le intenzioni di catalogarsi tra queste ultime.
Akutagawa, non ci cascare per favore!

“Si chiama rispetto e tu lo stai confondendo con la debolezza!”

“Ragazzo-tigre, percepisco un certo amore per la lettura nelle tue puerili parole. Ma probabilmente non sei mai andato oltre le favole e le storielle a lieto fine. Come potrebbe essere altrimenti visto il brutto posto in cui sei cresciuto?”

“Ti ordino di smetterla! Non ti permetto di parlare in questo modo di noi e del nostro passato. Tu non sai nulla, non sai cosa abbiamo dovuto sopportare per arrivare fino a qui! E non m’interessa chi ti abbia parlato di noi e cosa ti abbia detto... certe situazioni devono essere vissute sulla propria pelle per poter essere comprese, altrimenti per noi le tue parole non varranno mai nulla! Tu stai solo cercando di provocarci per i tuoi loschi obbiettivi... ma non ci riuscirai! Dico bene Akutagawa?”

Rispondimi per favore! Dammi corda, fai anche solo “sì” con la testa... ti scongiuro...
Ryūnosuke non riusciva a spostare i suoi grandi occhi scuri dalla schiena del più giovane, di nuovo sorpreso e inspiegabilmente ammaliato da quello che aveva appena avuto modo di sentire uscire dalla sua bocca. Aveva parlato al plurale, includendolo integralmente nell’esplosione emotiva del suo rammarico e riservandogli addirittura un posto d’onore al suo fianco. Non aveva mai incontrato nessuno che fosse mai arrivato spontaneamente a considerarlo in tale maniera, cullandolo all’interno di quel senso di condivisione ed accoglienza fino a quel momento a lui ignoto.

Tsk! Sono stato l’unico responsabile di qualsiasi decisione che potessi prendere fino al giorno in cui non ho incontrato Dazai-san. Non perderò di certo tempo a dare retta ad un idiota che non ha patito né freddo né fame per un solo istante della sua inutile esistenza. Un vigliacco che non riesce neanche a tirar fuori gli attributi per rivelarci dove si trova. Di’ un po’, vuoi continuare a nasconderti dietro ad una lente per il resto dei tuoi giorni o ci onorerai della tua presenza, prima o poi?”

“Ti sbagli di grosso, giovane presuntuoso! Sono già presente tra voi.”

Dalle pareti laterali di quel sottopassaggio improvvisato si aprirono una serie di rientranze contenenti ognuna un’arma da fuoco pronta a sparare da un momento all’altro. Le canne più lontane cominciarono a fare fuoco, fintantoché il frastuono di pallottole sparate a raffica non si fece sempre più pericoloso a mano a mano che si avvicina.
Akutagawa cercò di difendersi con l’aiuto della sua abilità, ma nel momento esatto in cui realizzò che Nakajima non avrebbe mai fatto in tempo a schernire i colpi senza alcun aiuto, gli si lanciò praticamente addosso e finì a terra assieme a lui. Fu solo a quel punto che entrambi videro altre rientranze aprirsi sopra le loro teste, puntando direttamente verso di loro.




 
To be continued...









 

Angolo dell’autrice


Ringrazio anticipatamente tutti coloro che passeranno a leggere questa mia mini-long!

Scrivo per la prima volta nel fandom di Bungou Stray Dogs dopo aver recuperato tutte le stagioni dell’anime, “Dead Apple”, “Beast” e trovandomi attualmente in piena fase di lettura del manga originale. E tutto questo da circa quindici giorni al massimo; perché sì, mi sono letteralmente innamorata di questo fandom, dei suoi personaggi e di tutto quello che ruota attorno a loro (e poco importa se non è esattamente il mio genere, dato che vengo da un amore smodato per gli spokon). Chiedo venia per eventuali cose “improponibili” che potreste leggere, ma essendo la prima fanfiction che scrivo in questo fandom accetto tutti i consigli possibili ed immaginabili da chi ne sa molto più di me! :)

Capitolo 2.
Un  pochino lo so, nel senso che me ne sono resa conto scrivendo e rileggendo: tanta introspezione, forse troppa! Ma non ne posso fare a meno perché penso che questi due personaggi (così come il “povero” Dazai al quale fischieranno come non mai le orecchie a furia di essere continuamente nominato da tutti) abbiano così tanto da dire, così tanto da rivelare di sé e del proprio passato che... boh, potrei arrivare a scrivere anche dieci capitoli consecutivi densi di battibecchi e pensieri – più o meno – inconfessabili. Ok, ok! Ora ci si è messo pure questo misterioso personaggio della Guild a provocarli e a pungolarli sulle loro debolezze e, soprattutto, sul loro delicato passato. Fortuna che si stanno sforzando come non mai (non è facile per loro, sono pur sempre due adolescenti con mentalità differenti) per non cadere nella trappola. E poi si sa, si preoccupano tanto l’uno per l’altro se si fanno la “bua”, ma noi non lo diciamo a nessuno, nemmeno a Dazai! XD
Il prossimo sarà l’ultimo capitolo (eh, ma scriverò ancora di loro: gli ultimi spoiler mi hanno aperto un universo parallelo in cui potrei buttare dentro anche altri due soggettoni...) e spero di riuscire a pubblicarlo entro 15 giorni al massimo. Stay tuned! ;)

Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.
Il titolo generale della mini-long riprende quello della medesima canzone dei Florence + The Machine.

A presto,

Mahlerlucia
 
 
   
 
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