Edwin
mise
la freccia e accostò al marciapiede. Una ragazza di
diciassette anni, bionda, occhiali con la montatura scura,
salì dal lato passeggero, sistemandosi sul sedile anteriore.
Lucifer rise divertito. «Uh, una giovane Linda, ma guardala
che bel bocconcino» commentò dal sedile posteriore, poi la sua
espressione si incupì, si aggrappò alle sedute anteriori e si
sporse verso Edwin. «Zio Edwin, dimmi che non hai molestato
tua nipote...» disse con tono cupo e una punta di
preoccupazione nella voce.
«Cosa?» berciò quello, girandosi in parte, per poi osservare
il Diavolo riflesso nello specchietto retrovisore. «Non le ho
fatto nulla!» assicurò.
«Allora perché le devi chiedere scusa?» chiese Lucifer
scettico, mentre spostava lo sguardo sull'edificio ospedaliero
dal quale Linda era uscita.
Edwin si immise nel traffico, impegnato in una vivace
conversazione telefonica, l'auricolare del cellulare ben
piantato nell'orecchio.
«Proprio per non aver fatto nulla, vorrei chiederle scusa»
esordì, guardando la nipote, seduta accanto a sé. Sembrava
così piccola, fragile, schiacciata da un peso che pareva
volerla annientare. «Mi telefonò, chiedendomi di passarla a
prendere in ospedale. Io ero in zona, quindi lo feci... ma non
le chiesi mai cos'avesse, però, col senno di poi... C'era
qualcosa che non andava. Non disse una parola per tutto il
tragitto, io mi limitai a parlare di affari al telefono, però
penso che forse avesse bisogno di aiuto e io sono stato così
cieco da non accorgermene...» disse rammaricato. «L'ho capito
solo anni dopo, era tormentata, ma... non ho mai cercato di
capire quale ne fosse la causa» mormorò preoccupato. «Con gli
anni, il dubbio di non aver prestato la dovuta attenzione è
cresciuto e mi ha divorato. Era solo una ragazzina di 17
anni...»
Lucifer sbuffò divertito. «Linda è una donna sorprendentemente
forte, è riuscita a gestire... be'» sorrise sornione, «me»
concluse, muovendo le mani a mostrare se stesso.
Edwin si fermò al semaforo e si voltò a guardarlo. «In che
senso?»
Lucifer sorrise. «Oh, in molteplici sensi. Vedi, per gli
esseri umani è difficile credere a me, crederci per davvero.
Anche le persone di fede, per quanto io non abbia mai nascosto
la mia identità, la mia natura, non ci hanno mai creduto.
Almeno sino a quando non l'hanno vista» spiegò, con un velo di
malinconia nello sguardo. «Linda è stata la prima umana con
cui io mi sia aperto e... ho rischiato di perderla per questo.
Ma lei è forte. Si è ripresa ed è diventata... un'ottima
amica.»
L'uomo fissò la ragazza seduta al suo fianco, lo sguardo perso
oltre al finestrino, le cuffie del walkman nelle orecchie. Il
semaforo scattò, quindi Edwin premette l'acceleratore, la
macchina si rimise in marcia, mentre il cambio automatico
aumentava le marce. «Linda, amica del Diavolo...» commentò
divertito, scuotendo il capo.
«Sembri felice...» commentò Lucifer, scrutandone il riflesso
nello specchietto.
«Non dovrei? Se è tua amica, non la porterai qua, no?»
Lucifer schiuse le labbra, i denti candidi fecero capolino per
un breve istante, prima che stringesse le labbra in
un'espressione dura. «Non dipende da me. Io non decido chi va
all'Inferno o chi va in Paradiso.»
«Cosa? E allora chi è a decidere? Dio?»
Lui sbuffò divertito. «Mio Padre non c'entra, vi ha creato, vi
ha dato il libero arbitrio, e vi ha lasciato liberi di
scegliere. I responsabili delle vostre scelte siete soltanto
voi umani.» Si sistemò le maniche della giacca, per poi
riportare lo sguardo sulle iridi riflesse di Edwin. «Siete voi
che decidete se andare all'Inferno o in Paradiso, sono i
vostri sensi di colpa a divorarvi o la loro assenza a
elevarvi.»
Edwin mise la freccia e accostò. Linda sganciò la cintura e
scese dall'auto. «Ciao, Linda, salutami i tuoi!» le disse,
agitando una mano al suo indirizzo, prima di tornare a posarla
sul volante. «È assurdo...»
Lucifer scosse il capo. «Non lo è. Le porte delle vostre celle
non sono chiuse a chiave, ogni anima è libera di aprirle e
andarsene, ma nessuna lo fa. Ogni anima tormentata non riesce
a perdonare i propri errori e continua a rimuginarci sopra e a
ripeterli per l'eternità» assicurò, guardandosi la mano,
mentre sentì un brivido corrergli lungo la schiena, quando
ricordò il calore del sangue di Uriel e il suo ultimo
sussurro. Non era stata colpa sua, Uriel non gli aveva
lasciato scelta. Uccidere lui o perdere Mamma o Chloe. Aveva
seguito il cuore, non aveva visto nessuno dei suoi fratelli
per eoni interi, il rapporto che aveva sviluppato con la
detective era speciale, qualcosa a quel tempo a lui ignoto.
Ora, che le aveva detto addio, capiva il perché. Non aveva mai
pensato a nessun altro che se stesso e lo aveva fatto anche
quel giorno: Chloe era troppo importante per perderla.
Inspirò. Se solo Uriel non fosse stato così testardo...
«Sì, ok, questo ha senso... ma ci sono uomini che non hanno
scrupoli di sorta. Conoscevo uno, un mio compagno del liceo,
che si divertiva a picchiare i barboni. Si divertiva, capisci?
Non aveva alcun rimorso, lo faceva perché gli piaceva.»
«E quando morirà, ci sarà una stanza tutta per lui quaggiù»
rispose Lucifer, con espressione serafica.
«Lui è già morto. Una volta tentò di dare fuoco a un
senzatetto, ma ci fu un ritorno di fiamma, la bottiglia
d'alcol che aveva in mano esplose e pure lui bruciò. Morì dopo
una lunga agonia in ospedale. Quando se n'è andato... ho
provato sollievo. Quel tizio mi metteva a disagio...»
raccontò, scuotendo il capo. «Non provava rimorso. Una volta
cercai di capire perché lo facesse, di dissuaderlo, ma per lui
era naturale farlo, non gli causava nessun rimorso, nessun
dubbio... Era qualcosa che doveva fare.»
«Oh, Eddy, nessuno di voi è immune ai sensi di colpa. Dimmi
come si chiama questo tizio: lo troverò e te lo saluterò» gli
assicurò il Re dell'Inferno.
«Michael Simmons» rispose Edwin.
Lucifer arricciò un poco il naso. «Che pessimo nome...»
«Ravekeen»
mormorò
Lucifer, camminando per le lugubre gole dell'Inferno, «trovami
l'anima di Michael Simmons. Sulla Terra sono passati più di
quarant'anni dalla sua morte, quindi sarà nostro ospite da
diversi millenni oramai. È morto ustionato, mentre dava fuoco
a un senzatetto» spiegò, dopo che il corvo dagli occhi azzurri
era planato sulla sua spalla.
«Obbedisco» gracchiò il corvo, sbattendo le ali e
allontanandosi verso il cielo plumbeo.
Le
iridi
scure del Re scrutavano il proprio regno. Demoni strisciavano
tra le ombre, in lontananza, cercando di sottrarsi al suo
sguardo, invano. Dall'alto del suo trono, nulla poteva
sfuggirgli. Lui poteva vederli e Ravekeen era le sue orecchie,
riportandogli i sussurri che scivolavano sulle pareti di
roccia.
Sembrava che ormai ogni velleità di ribellione fosse
completamente spenta. Erano secoli che nessun demone alzava
più la cresta o metteva in discussione il suo operato.
Quando era tornato, non era stato tutto così facile. La sua
vacanza a Los Angeles aveva lasciato dietro di sé un forte
malcontento che aveva lentamente avvelenato gli animi dei
figli di Lilith, che si erano sentiti abbandonati per la
seconda volta.
Lo sguardo di Lucifer colse un movimento e si focalizzò sulla
macchia scura che si avvicinava rapidamente. La forma delle
ali nere si delineò tra la cenere e, quando il corvo fu
abbastanza vicino, compì un paio di cerchi attorno al trono,
prima di planare sullo schienale e poi sul bracciolo.
«Ravekeen, era ora. Va bene che una donna dovrebbe farsi
attendere, ma un mese spegnerebbe qualsiasi desiderio, persino
il mio» ironizzò.
«Ne dubito, mio Re. Voi siete l'incarnazione del Desiderio,
nulla potrebbe privarvene» rispose suadente.
«Solo perché non hai conosciuto i bambini umani, sono i
migliori dissuasori del mondo» replicò lui, inspirando a
fondo. Si ritrovò a pensare alla piccola Trixie e si stupì nel
domandarsi come stesse. Inevitabilmente i ricordi andarono
alla madre della giovane monella.
Lucifer sbuffò, si schiarì la voce, poi riportò lo sguardo sul
corvo. «Portami da questo Michael Simmons.»
L'uccello arruffò le penne e chinò il capo. «Non è qua... L'ho
cercato ovunque, ho trovato un paio di anime che lo hanno
conosciuto in vita, ma lui non è qua» garantì. Si irrigidì,
sentendo su di sé lo sguardo furente del proprio Signore.
«Vattene» ringhiò il Diavolo. Ravekeen non se lo fece ripetere
due volte, si tuffò nel vuoto, allontanandosi rapidamente.
Lucifer distese le gambe, posando le suole cremisi sul pianale
del trono, strinse i braccioli tra le dita, poi fece forza
sulle braccia e si alzò in piedi. Scrollò le spalle,
schiudendo le ampie ali candide. Le piume ondeggiarono,
accarezzate lievemente dalla brezza, nell'attimo in cui lui si
inclinò in avanti e si lasciò cadere. Spiegò le ali al
massimo, l'aria calda premette sulla superficie piumata e lo
sollevò verso l'alto, quindi Lucifer spostò il peso verso
sinistra, iniziò a battere ritmicamente ciò che suo Padre gli
aveva donato e si diresse verso il punto più luminoso del
cielo, quello attorno al quale le nubi cariche di cenere
ruotavano costantemente.