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Autore: Red_Coat    03/11/2020    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Casa.
Seduto sulla nuda terra in mezzo alla brulla distesa desertica che circondava Midgar, mentre osservava la lama della Buster Sword scintillare nel sole di mezzogiorno, Cloud Strife si prese qualche istante ancora per riflettere su quella parola che per lui, ora come ora, non aveva più alcun significato.
Casa. Nel pensiero comune il luogo in cui si ritorna quando non si hanno più doveri da compiere, un posto in cui trovare rifugio e conforto, o in alternativa un abbraccio, un sorriso, una parola gentile.
Casa era il luogo dove risiedono le persone che si amano, ma ... lui non aveva un posto così.
Nibelheim era andato distrutto il giorno della tragedia che aveva per sempre sconvolto la sua vita, ed ora non era che un cimitero di incubi popolato da comparse.
Midgar e il 7th heaven ... non erano mai stati casa sua, al più solo un posto in cui a volte si era trovato a bere qualcosa di buono.
Per Cloud Strife casa era diventata quella pianura desertica spiazzata dai venti dell'Ovest, dove Zack Fair aveva perso la vita. Lì aveva lasciato la sua innocenza e i suoi ricordi felici per farsi carico della sua eredità, e lì era tornato per rimettere tutto a posto, restituendo il simbolo di quel passaggio al legittimo proprietario.
Erano nati dei fiori, lì dove la terra aveva accolto quel sangue innocente. E proprio accanto a loro, come una sorta di lapide funeraria che non aveva bisogno di un nome sopra, aveva affondato la pesante lama, il manico ricoperto dal cuoio rosso ormai consumato dritto verso il cielo azzurro.
Ma c'era un altro posto che poteva chiamare casa, un altro tempio in cui un'altra anima buona era rimasta ad attenderlo, nonostante avesse ormai da tempo lasciato il suo corpo.
Se ne ricordò proprio guardando quei fiori, gli stessi che lei adorava e che fino ad oggi erano cresciuti solo nei posti a lei più vicini.
La sua casa, quella piccola chiesetta, e ora lì, in mezzo all'arido deserto, come un omaggio a quell'amore che non aveva mai dimenticato.
Strife sospirò, alzando gli occhi al cielo e perdendosi in quell'azzurro quasi accecante.
 
«Aerith ... Zack ... Spero siate felici insieme, ora.» mormorò, un filo di voce appena udibile.
 
E proprio allora si accorse di quella strana sensazione sulla guancia, come di una soffice carezza umida.
Abbassò il volto e vide quella lacrima schiantarsi contro la terra secca, dischiuse le labbra, stupito, e allungò una mano a toccarsi il viso.
Sulla pelle nera del guanto che ricopriva le dita apparve una macchia lucida e trasparente che quasi non riconobbe come sua.
 
«Mh ... Lacrime ... credevo di non averne più ...»
 
\\\
 
Una sinistra risata schernitrice risuonò nel buio.
L'ennesima fitta stridette dolorosamente nella sua testa.
 
"E quelle cosa sono? Lacrime?"
 
Sephiroth rise di nuovo.
 
"Vuoi farmi credere che tu provi ... emozioni?"
La fitta si estese al braccio, le immagini invasero il buio in cui era piombato permettendo all'angoscia di sopraffarlo.
Una rapida sequenza di orridi scatti: Le vittime di Nibelheim, il fuoco, il sogghigno del Generale, la sua lunga lama sporca del sangue di Aerith.
 
«Ricordalo bene. Sei solo un burattino!»
 
Le voci di Victor e Sephiroth si mescolarono in quell'unica subdola insinuazione.
Si svegliò di soprassalto, sudato fradicio ma tremante dal freddo.
Sopra di lui il cielo stellato e la faccia bianca della luna che lo fissava imperiosa, intorno solo la sabbia del deserto spazzata da rapide folate di vento.
Era ancora lì, vicino alla tomba di Zack, ma ci mise un po’ a riprendersi dalla paura del sogno e a ricordare cosa fosse accaduto.
Aveva avuto un altro attacco, il geostigma lo aveva colpito così forte e all'improvviso che si era ritrovato svenuto senza nemmeno accorgersene.
Per fortuna nuvole passeggere avevano impedito che oltre a ciò il sole del primo pomeriggio gli provocasse anche un'insolazione.
Provò ad alzarsi, ma si accorse di non riuscire a stare in piedi.
La testa girava troppo, la vista era annebbiata e aveva male dappertutto.
La febbre era tornata a salire.
Si guardò intorno, esausto.
La mente in un attimo di lucidità gli suggerì di tornare a casa, al suo posto sicuro, e lì tentare di riprendersi, ma lui non ne aveva uno.
O forse ... si.
Tuttavia, non era abbastanza lucido per poter guidare.
Quasi in automatico la mano si mosse verso la tasca del pantalone, sentì il tintinnio del vetro e la sua consistenza sotto lo strato di pelle nera e allora si ricordò.
Lo stimolante che gli aveva dato il dottor Fujita.
Ne afferrò un'ampolla e se la portò davanti agli occhi, guardandola quasi senza vederla.
Non gli piaceva quella roba.
"Usalo con parsimonia, crea dipendenza." lo aveva avvertito il medico.
Comunque aveva bisogno di riuscire ad arrivare almeno a Midgar, poi avrebbe trovato un modo meno faticoso per raggiungere i bassifondi.
Così, fattosi forza, cedette alla tentazione.
 
\\\
 
Non vide nulla, se non la strada. Nel buio della notte i suoi occhi color mako scintillarono lucidi su un paesaggio spettrale, fatto di vicoli silenziosi, palazzi decadenti o smembrati, gatti randagi e umani vagabondi in cerca di cibo o compagnia.
Il settore 5 non esisteva più, sepolto dalle macerie ormai grigie e spente del piatto crollato, ma le sue anime vaganti potevano contare sulla piccola chiesetta, l'unico edificio ancora in piedi a difesa di quel luogo ormai dimenticato.
Cloud si trascinò letteralmente al suo interno, seguendo il sentiero tracciato dalla luce lunare lungo la navata stretta e buia, e infine si abbandonò in un angolo vicino al piccolo altare, stringendo le ginocchia al petto e chiudendo gli occhi.
Casa ...
Nonostante tutto, quello era l'unico posto ancora degno di rappresentarla, perché lì le memorie buone non avevano smesso di far brillare la loro confortante luce.
 
\\\
 
Dormì a lungo, per un giorno e una notte, nonostante avesse ancora in corpo un po di stimolante.
L'atmosfera tranquilla della piccola chiesetta lo cullò come avrebbero potuto fare le braccia di una madre, lo spirito di Aerith fece del suo meglio perché gli incubi non lo disturbassero.
La sentì sorridergli, nel sogno.
 
«Sei tornato.» lo accolse.
 
La sua voce dolce, tranquilla, anche se con una impercettibile nota triste.
"Perché sei triste, Aerith?"
Non glielo chiese, anche se avrebbe voluto, perché temette la risposta.
 
«Qui. Riposati.» lo invitò, carezzandogli i capelli.
 
Il battito del cuore decelerò, il respiro si regolarizzò e il geostigma sembrò dargli tregua.
Quando si svegliò il sole del mattino scintillava illuminando i fiori al centro della navata, e il loro profumo risvegliò i suoi sensi.
Li guardò, e si perse nei ricordi.
"Sono a casa..."
 
***
 
La notizia arrivò a colpire Rufus e i suoi collaboratori proprio la sera stessa dello scontro.
Vincent telefonò a Reeve, e quest'ultimo lo fece a sua volta con l'ex presidente, ma prima dovette concedersi qualche istante ancora, per sgombrare la mente dalla paura e trovare le parole.
Non conosceva Victor Osaka di persona, ma ciò che aveva scoperto si era fossilizzato nella sua mente ed era bastato ad inquietarlo.
Quando Sephiroth aveva iniziato a muovere i primi passi in SOLDIER, lui era già a capo del dipartimento di urbanistica di Midgar e all'inizio, come tutti, lo aveva guardato con ammirazione perché oggettivamente non si era mai visto qualcuno di così forte sulla faccia della terra.
Poi era successa una cosa strana.
Più la sua fama accresceva, più Reeve aveva iniziato a preoccuparsi.
Sapeva bene che Sephiroth non era un ragazzo normale, ma sapeva anche che qualsiasi cosa la Shinra concedesse, prima o poi avrebbe richiesto un prezzo da pagare. Tutta quella fama, quel potere ... la Shinra lo stava sfruttando per accrescere la propria popolarità, come sempre, ma al ragazzo sembrava non importare.
Almeno fino al giorno in cui quel velo di normalità si era squarciato, rivelando la potenza del rancore che per anni l'enfant prodige di SOLDIER aveva covato dentro di sé.
Era stato allora, dopo essere rimasto sconvolto dalle immagini di un pacifico villaggio tra i monti dato alle fiamme, che aveva sentito per la prima volta parlare dell'allievo di Sephiroth, Victor Osaka, fino ad allora rimasto nascosto dietro l'ombra del suo Maestro.
All'epoca dell'incidente il ragazzo si trovava lontano da Midgar, impegnato in quella che poi sarebbe diventata la sua ultima missione da first.
Nel mentre, in città le TV avevano iniziato a dirottare l'attenzione su di lui, mandando in onda alcuni spezzoni dei suoi allenamenti e immagini inedite che lo ritraevano sul campo di battaglia al fianco di Sephiroth, dato per morto senza troppe spiegazioni.
Reeve Tuesti era rimasto a guardare attonito, la gente invece dopo un primo momento di sconcerto aveva abboccato, ricominciando a sperare.
Erano nati altri fans club oltre a quello ufficiale aperto in fretta e furia dalla Shinra, che oltre a ciò si era affrettata a produrre gadget, poster e interviste a cui il suddetto non aveva mai partecipato, mettendogli in bocca parole non sue solo per accaparrarsi il favore del popolo e farlo restare il più tranquillo possibile.
Si era chiesto più volte in quel periodo quale sarebbe stata la reazione del ragazzo una volta tornato in patria.
Certo però non si aspettava fosse così glaciale. Nessuno, nemmeno il Presidente stesso, se lo sarebbe mai aspettato.
Il giovane Osaka aveva sfidato tutti, dal più giovane dei suoi fan alla massima autorità esistente, che tuttavia alla fine aveva deciso di non dargli troppa importanza non ritenendolo capace di minacciare la sua tranquillità.
Le sue dimissioni immediate e il suo discorso davanti alle telecamere furono comunque una secchiata di acqua gelata perfino per Tuesti, che aveva già intuito pur senza conoscerlo come sarebbe andata a finire la storia.
Ciò che nessuno immaginava era quello che sarebbe avvenuto in seguito, a cominciare dal ritorno di Sephiroth sotto forma di divinità e alla conseguente parziale distruzione del Pianeta, che ora languiva al centro del cosmo come un moribondo al centro di una stanza buia e vuota.
Gaia aveva il 50% delle possibilità di salvarsi.
Se solo Victor Osaka fosse morto col suo maestro ...
Invece adesso il monito che gli aveva sentito pronunciare nel suo discorso di addio alla Shinra tornò a risuonare nella sua mente come una sinistra, terrificante previsione a lungo termine.
 
«Sephiroth ... non sarà mai solo un ricordo.» aveva detto, aggiungendo poi, lapidario «Midgar, la Shinra, e voi … sentirete presto parlare di nuovo di lui, e quando questo accadrà io sarò lì in prima fila, a godermi lo spettacolo. Allora nessuno, nessuno riuscirà più a chiuderci la bocca.»
 
Aveva mantenuto la promessa, puntuale come le lancette dell'orologio dell'Apocalisse che aveva punito i crimini della Shinra stessa. Ma adesso che Sephiroth era morto davvero, ce n'era già un'altra che aleggiava su di loro. Non era più un avvertimento stavolta, ma una vera e propria condanna a morte, perché c'erano altri peccati ancora da espiare, e di certo non avrebbero potuto aspettarsi uno scontro di pena.
Fu proprio dopo essersi angosciato pensandoci che finalmente prese il cellulare dalla tasca del suo soprabito blu scuro e si decise a chiamare Rufus.
Il silenzio che lo accolse dall'altro lato della cornetta quando questi rispose gli suonò così stranamente famigliare.
 
«Allora?» fece grave il Presidente.
 
Erano le due di notte, ma nessuno dei due aveva per nulla voglia di dormire.
Tutti pensavano la stessa cosa, era come sentir ticchettare l'orologio di una bomba. Snervante e pietrificante, ma ognuno reagiva a modo suo.
 
«Vincent lo ha trovato ...» rispose, sentendo la gola seccarsi e la lingua rattrappirsi quasi fino a non funzionare più «Vivo ...» concluse in un soffio.
 
Silenzio dall'altro capo del telefono, per diversi istanti entrambi tacquero, poi Rufus sorrise, quasi come se lo aspettasse.
 
«E ...» tornò a chiedere senza scomporsi.
 
Reeve ne fu sorpreso non poco, ma rispose ugualmente, ingoiando il groppo che era salito a stringergli la gola.
 
«Per lui la guerra non è ancora finita.» disse, citando per filo e per segno le parole di Valentine.
 
Di nuovo Rufus sorrise, e a quel punto Tuesti sentì di non potersi più trattenere.
 
«Rufus, vuole sterminarci e dare il colpo di grazia al pianeta.» sbottò nervoso.
«Lo so ...» fu la pacata risposta dell'altro.
«E avrebbe tutti i mezzi per farlo. A questo punto non possiamo più non essere sicuri che non ci sia lui dietro gli zombies!»
«Mh, mh. Quindi cosa proponi di fare?»
«Dobbiamo proteggere la popolazione e catturarlo il prima possibile! Passare al contrattacco!» determinò l'ingegnere, affrettandosi ad aggiungere «Magari non sarà facile, ma dobbiamo provarci! Ne va della salvezza dell'intera umanità!»
 
A quel punto, Rufus tacque di nuovo. Reeve non poté vederlo, ma nel buio della sua stanza, seduto sulla sua sedia a rotelle, per un attimo il suo sorriso si fece meno sicuro, e un'ombra attraversò i suoi occhi chiari.
 
«Non abbiamo abbastanza forze disponibili per proteggere la popolazione, Reeve. Lo sai anche tu, molto bene. A nulla potrebbero i più volenterosi tra i nostri cittadini, contro un nemico di quel calibro.» rispose quindi, facendosi serio.
 
Il suo interlocutore fece ciò che aveva visto fare anche a Reno e a Tseng, il più ligio di tutti i suoi ragazzi. Semplicemente esplose, sotto il peso della paura che Victor Osaka aveva giurato di fargli provare.
Per il momento però l'unica cosa che sentì fu quasi una sorta di compatimento nei confronti di quei sentimenti.
Lo sentì sospirare, cercando di riprendere fiato per non lasciarsi completamente andare.
 
«Quindi cosa proponete di fare?» gli chiese «Restare a guardare e aspettare che faccia un passo falso?»
«No.» ribatté laconico Shinra «Giocheremo il suo gioco, lo inviteremo a pranzo e vedremo che succede, te l'ho già detto.»
«Gli daremo l'opportunità di ucciderci!»
 
Il Presidente sorrise di nuovo.
 
«Non lo farà ...» disse convinto «Victor Osaka è come un gatto che si diverte a torturare le sue prede prima di mangiarle. Se ha davvero intenzione di ucciderci tutti, non lo farà in una volta sola. E noi sfrutteremo uno scontro dopo l'altro per provare a sconfiggerlo.»
 
A quel punto fu Reeve a tacere, riflettendoci.
Ora finalmente iniziava a capire. Ma ...
 
«Sarà un enorme spreco di vite ...» mormorò, sconvolto.
«Mph. Non c'è guerra che non ne comporti uno. È il prezzo da pagare per la vittoria.» fu la replica cinica dell'altro.
«E se nonostante ciò ... non riuscissimo a farcela? Lo avete detto voi, non abbiamo abbastanza soldati.»
 
A domanda, Rufus Shinra rispose con un'affermazione che inchiodò Reeve alla cruda realtà una volta per tutte.
 
«Personalmente preferisco morire sapendo di essermi giocato tutte le carte a mia disposizione, piuttosto che accettare passivamente la cosa o peggio ancora nascondendomi come il peggiore dei codardi.»
 
Proposito arduo da portare a termine, e infatti anche su questo Reeve avrebbe avuto da ridire, ma a quel punto non poté che accettare l'unica soluzione proposta per poi passare la notte in bianco a fissare il soffitto e riflettere sui suoi errori, anche su quelli che per fortuna non aveva commesso.
In verità, nessuno dei due quella notte riuscì a chiudere occhio.
 
\\\
 
Alle 03:45 del mattino, quando era appena riuscito a prender sonno, Reeve venne svegliato dal suono acuto e intermittente della sirena d'allarme della base.
Scattò in piedi, il cuore a mille e il fiato corto, e per qualche istante si guardò intorno faticando a capire se stesse semplicemente assistendo al proseguo del suo incubo, o se peggio ancora ne stesse vivendo uno completamente nuovo nella sua realtà conscia.
Ogni dubbio venne fugato quando un soldato bussò alla sua porta e gli comunicò allarmato.
 
«Signore, siamo sotto attacco!»
 
"Cosa? Chi potrebbe mai ...?"
Non riuscì neanche a finire di darsi la risposta, che la porta si spalancò e dopo un gemito il cadavere del soldato cadde ai suoi piedi, due fori di proiettile e una grossa macchia rossa che si espandeva a vista d'occhio sulla schiena, divorando il beige della divisa.
D'istinto mise mano alla pistola che portava sempre al fianco, ma una fredda lama si posò sulla sua spalla, all'altezza della giugulare, scintillando sinistra.
Davanti a lui, la luce proveniente dal corridoio venne divorata da due losche figure longilinee che avanzarono lente e sicure verso di lui.
 
«Quindi sei tu, Reeve?» disse lo spadaccino alle sue spalle.
 
Non era la voce di Osaka, ne era sicuro.
E quegli altri due ... eppure quei capelli, quegli occhi ...
 
«Chi siete?» chiese cercando di mantenere il sangue freddo.
«A dopo le presentazioni. Forse.» rispose uno di quelli che gli sbarravano la strada, quello che aveva ucciso la sua guardia del corpo con la stessa pistola a canna lunga che ora gli puntava contro.
 
Sorrideva appena, ma era tutto fuorché serafico.
 
«Il nostro Niisan vuole risposte.» disse ancora lo spadaccino «E tu sei l'unico che può darcele.»
 
Un brivido lungo la schiena. "Niisan?"
 
«Non so di cosa voi stiate parlando.» replicò, realmente confuso.
 
Risero, sottovoce.
Poi il terzo alzò le braccia mostrando il suo guanto ad alta potenza scintillare sinistro, e giunse i pugni, con un sogghigno inquietante.
 
«Oh, si che lo sai ...» mormorò.
«Altrimenti non avresti mandato qualcuno a cercarci, no?» soggiunse quello alle sue spalle.
 
In un istante, tutto gli fu più chiaro. Victor Osaka. Era lui il fantomatico Niisan, e quella era una sua palese minaccia. Aveva capito il loro gioco? A quanto pare aveva abboccato all'esca lanciata da Rufus, ma ... non era certo questo il modo in cui dovevano accadere le cose.
Si guardò intorno.
 
«Dov'è il vostro Niisan, ora?» chiese con una vena di terrore.
 
Un altro sogghigno divertito apparve sulle loro labbra sottili.
 
«Strano...» rispose lo spadaccino, di cui non era ancora riuscito a scorgere il volto «Sapeva che lo avresti chiesto.»
 
E a quel punto, del tutto inaspettatamente, il pugile lo colpì con la sua arma in pieno stomaco, stordendolo con una scarica elettrica e facendolo crollare in ginocchio. Un dolore sordo al ventre annebbiò la sua vista, e il sapore dolciastro del sangue inondò la sua bocca.
 
«Ma ora le facciamo noi le domande, se non ti spiace.» concluse a quel punto il giovane alle sue spalle, prendendogli la pistola e mostrandosi finalmente, portandosi di fronte a lui mentre il pistolero chiudeva a chiave la porta.
 
Era il più giovane dei tre, anche i suoi capelli erano argentei ma corti fino a sfiorare le spalle.
Sembrava quasi un bambino, uno di quelli appena usciti dal riformatorio.
S'inginocchiò di fronte a lui, e gli puntò la sua pistola alla tempia tenendo il dito sul grilletto.
Osservò in silenzio il suo sguardo determinato e il respiro che cambiava facendosi più controllato, poi sorrise di nuovo e disse, quasi divertito.
 
«So cosa stai pensando di fare ... il Niisan ci ha addestrato bene a trattare tipi come te.»
 
Ora fu Reeve a sorridere.
 
«Ne sono lusingato.» rispose, ma la replica fu ancora più dura.
«Siete semplici, anche se cercate di apparire complessi. Basta un niente per farvi capitolare, e noi ora cercheremo di trovare proprio quel niente.»
 
Il volto di Tuesti si fece ancora più duro.
 
«Dovrete cercare a lungo, allora.»
 
Di nuovo, quelli risero.
 
«Non abbiamo fretta.» rispose il più piccolo, dopo un breve scambio di occhiate con gli altri due.
 
Senza riuscire a impedirselo, Reeve deglutì.
Volevano torturarlo, era chiaro, ma per ottenere cosa da lui? Informazioni su Rufus o sulla WRO. O magari c'era dell'altro che Osaka li aveva sapientemente avvertiti di non rivelare.
In quel caso, anche lui avrebbe dovuto sfruttare quel momento a suo favore, anche se ... doveva riuscire a mantenere tutta la lucidità di cui era capace, e non sarebbe stato un lavoro da nulla.
 
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Entrare nella base era stato un gioco da ragazzi per loro, grazie ai loro poteri erano riusciti a farlo senza aprire nemmeno una porta.
Anche uccidere tutti i soldati che incontravano senza alcun rumore era stato semplice, ma ben presto gli altri si erano accorti dei cadaveri ed era inevitabilmente scattato l'allarme intrusi, circostanza che li aveva in realtà assai divertiti.
Erano scattati i protocolli di sicurezza e loro si erano ritrovati a trucidare un soldato dopo l'altro, facendosi strada nel sangue verso il loro obiettivo.
Il più divertito era stato Loz, a dire il vero.
 
«Ora capisco cosa ci trova il fratellone in queste scorribande!» aveva esclamato ridendo mentre spezzava il collo ad un avversario e ne respingeva altri due a pugni.
 
Yazoo e Kadaj, impegnati a darsi man forte a vicenda, risero a loro volta, concordi.
Ma se quello era stato spassoso, non era che l'anteprima di ciò che sarebbe venuto dopo.
 
\\\
 
Aveva provato a lottare, com'era logico aspettarsi da lui. Ma quei tre sconosciuti che mai si erano azzardati a rivelare i loro nomi non erano uguali neanche a Victor Osaka.
Sembravano fantasmi, come loro erano capaci di evaporare, passare attraverso oggetti e mura, e nessun colpo li danneggiava, semplicemente passava loro attraverso.
Sfruttando questa loro capacità e soprattutto il fatto che lui non ne sapesse nulla, riuscirono a mettere a segno su di lui un paio di vittorie che alla fine lo costrinsero ad una resa forzata.
Il primo gli era stato inflitto nel momento in cui aveva provato a rubare dalle mani di Kadaj la sua pistola.
Gli si era fiondato addosso per colpirlo con un pugno ben assestato ma non aveva fatto altro che passargli attraverso, sbattendo contro la parete e ritrovandosi la doppia lama della sua katana conficcata nel fianco all'altezza delle reni.
Aveva trattenuto a stento un grido di dolore, che si era trasformato in un lungo gemito.
A quel punto il suo avversario aveva ridacchiato e gli aveva lasciato campo libero, senza fare altre mosse, come se stesse giocando al gatto col topo, e lui nei panni dello sfortunato roditore aveva raccolto tutte le sue forze per tentare un altro attacco.
Aveva bisogno di uscire da quella situazione per cercare rinforzi, ma Yazoo sorvegliava la porta. Doveva distrarlo, ma non poteva contare sul fargli del male.
 
«Che volete da me? Avanti!» gridò, avventandoglisi contro.
 
Venne però intercettato da Loz, che lo afferrò per le spalle e lo sbatté a terra.
Si portò su di lui, immobilizzandolo col peso del suo corpo.
 
«Dov'è il bastardo che tiene nascosta la Madre? Diccelo!» lo minacciò, afferrandolo per il colletto e strattonandolo con forza.
 
La mente di Reeve ebbe un altro attimo d'incertezza.
 
«Madre?» mormorò, mentre cercava di capire.
 
Non ci mise molto in realtà, ma ogni restante dubbio venne fugato da Kadaj, che avvicinatosi gli mostrò il cellulare che gli aveva sottratto, senza che se ne fosse accorto.
 
«Piano Loz, ci serve ancora.» raccomandò al fratello, continuando a guardare lui con sulle labbra quel sorriso tranquillo e inquietante «Il Niisan vuole che tu gli faccia un piccolo favore.» gli disse, inginocchiandosi e avvicinando l'apparecchio al suo viso «Ha un messaggio per Rufus Shinra. Puoi trasmetterglielo ... per favore?» gli chiese, allargando quel sorriso quasi fino a farlo sembrare un smorfia.
 
Tuesti guardò il telefono, poi gli sguardi dei tre. A che gioco stavano giocando? Volevano informazioni da lui, o solo che si mettesse in contatto con Rufus? E perché Osaka aveva mandato loro e non si era presentato di persona? Forse si sentiva braccato, o ...
 
«Reeve?»
 
La voce di Rufus Shinra lo riscosse. Mentre era assorto nei suoi pensieri, Kadaj aveva trovato il numero in rubrica e avviato la chiamata in vivavoce.
Lo vide sogghignare, Loz alzò un pugno chiuso minacciando di scaraventarglielo sul naso se non avesse risposto immediatamente.
 
«Rufus.» parlò, la voce fin troppo tremula a causa della stanchezza e del dolore «Ho ... un messaggio da parte di Osaka.»
 
Per un attimo calò il silenzio dall'altro lato del telefono.
Fu assurdo, ma mentre leggeva il labiale di Kadaj e si sforzava di decifrarlo per poter riportare quelle parole all'ex presidente della Shinra, pensò che fosse stato davvero stupido da parte sua pensare di non utilizzare Caith Sith in quella situazione. Probabilmente se in via precauzionale avesse messo in campo la sua controparte non si sarebbe trovato in una situazione così svantaggiosa.
Nel frattempo Rufus aveva deciso come agire, capendo dal suo tono di voce che qualcosa stava andando irrimediabilmente storto.
 
«Ti ascolto.» disse soltanto.
 
Kadaj sogghignò soddisfatto, e annuì.
 
«Vuole ... vuole incontrarci. Tutti quanti.» proseguì sempre più sconcertato Reeve «Noi e le nostre truppe. A noi decidere il luogo.»
 
Dall'altro capo del telefono, Shinra sorrise rabbrividendo.
 
«Mph ... le classiche parole di chi è fin troppo sicuro di sé.» osservò, probabilmente convinto che l'interessato fosse in ascolto.
 
Non c'era, ma quella frase parve irritare molto i suoi fratelli minori, in particolare Yazoo che sgranò gli occhi e strinse i pugni, puntando una delle sue due pistole contro di lui.
Un gesto di Kadaj lo fermò. Reeve vide il più piccolo sorridere e scuotere il capo, a malavoglia l'altro obbedì a quel consiglio.
Poi il ragazzo tornò a guardare lui, avvicinò ancor di più il telefono a lui e annuì lentamente, guardandolo famelico.
Tuesti fece un respiro, raccogliendo tutte le sue forze. La ferita faceva male, inoltre stava continuando a perdere sangue e si sentiva stanco.
La vista calava sempre più.
Sospirò, ma Rufus prevenne la sua domanda.
 
«La prateria a metà strada tra Junon e la caverna di Mithril. Digli d'incontrarci lì.»
 
Vide apparire sul volto dei tre fratelli un sorriso soddisfatto.
 
«Va bene.» assentì.
«Reeve ... c'è altro?»
 
All'improvviso si ritrovò a trattenere il fiato, mentre gli occhi felini e famelici dei tre si puntarono scintillanti su di lui. Vide lo loro espressioni farsi serie, le loro pupille restringersi quasi fino a scomparire.
Kadaj in particolare lo fissò, in attesa, e quando finalmente si decise a rompere il silenzio per provare a salvarsi, di colpo chiuse la chiamata e rise assieme agli altri, beandosi della sua espressione stanca e rassegnata.
Si morse le labbra e chiuse gli occhi, annuendo rassegnato.
All'improvviso le mani di Loz si strinsero forti attorno al suo collo, e continuarono a farlo anche mentre lui, in preda agli spasmi, prese ad agitarsi e colpirlo, tentando di liberarsi.
Dannazione! Avevano gli stessi poteri dei fantasmi, ma come potevano essere così reali ora??
Ben presto i dettagli iniziarono a sfogarsi e di loro non restarono che le ombre scure dei loro profili e la luce sinistra dei loro occhi felini.
Quel verde mako che tanto gli ricordò ora i lunghi anni passati al servizio della Shinra, a collaborare con loro per lo sfruttamento del lifestream come fonte di energia. Aveva creato la WRO proprio per espiare questa sua colpa, ma forse il destino aveva deciso non fosse abbastanza.
Mentre sentiva le forse scemare, una lacrime sfuggì al suo controllo.
Sentì Kadaj ridacchiare e lo vide avvicinarsi. Rumore di passi appena percepito, Yazoo si chinò su di lui e gli puntò la pistola alla tempia mente Loz continuava a stringere il suo collo.
 
«Grazie per il tuo aiuto, Reeve Tuesti.» furono le ultime parole che sentì dal più piccolo «Vedrai, il nostro Niisan ne sarà lieto. Buonanotte, ora ...» concluse in un sussurro.
 
Poi la Velvet Nightmare sparò il suo ultimo colpo e tutto si spense, mentre il suo sangue schizzava fuori dall'altro lato della testa, insieme al proiettile e a brandelli di materia cerebrale.
 
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Loz lasciò andare il corpo ormai senza vita dell'uomo e si rialzò assieme agli altri, come se nulla fosse accaduto.
Rise, mentre Kadaj spegneva il cellulare della loro vittima e Yazoo li osservava soddisfatto.
 
«Lurido bastardo ...» commentò guardando con spregio il cadavere.
«È stato divertente!» osservò Loz sgranchendosi le dita «Che dici Kadaj? Gli tagliamo la testa e la mettiamo in un sacco o glielo portiamo tutto intero, così com'è?»
 
Il più piccolo sogghignò, intascò il cellulare e sfoderò la spada.
 
«Seguiamo le istruzioni del Niisan.» replicò «Lui saprà che farne.»
 
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Allo scattare dell'allarme, Shalua si trovava come al solito nel suo laboratorio, intenta ad analizzare i parametri dello zombie.
C'era stato un risveglio improvviso, appena pochi minuti prima, e ora la creatura se ne stava ad occhi aperti nella capsula, fissandola con sguardo vitreo, le zanne ben in mostra e la bocca deformata da un ringhio.
Stava cercando di capire, quando tutto accadde.
Dapprima ne fu sorpresa, poi guardò lo zombie e pensò che forse sarebbe stato meglio mettersi al sicuro.
I due soldati addetti alla sua sicurezza accorsero.
 
«Miss Rui, ci segua!»
 
Non se lo fece ripetere due volte. Afferrò la chiavetta USB in cui aveva salvato tutti i dati delle sue ricerche e si fece scortare lungo i corridoi, verso l'uscita.
Fu devastante e sconcertante, dopo i primi attimi di concitazione, vederli riempirsi di cadaveri.
 
«Che sta succedendo qui?» si chiese «Dov'è il signor Tuesti?» chiese poi alle guardie.
«Non tema, la raggiungerà all'uscita scortato da altri due nostri colleghi.» la informò uno dei due.
«Aspetti qui, è una zona sicura. Noi rientriamo a vedere se c'è bisogno di aiuto.» le disse l'altro.
 
Annuì lasciandoli andare, pensando che Reeve non scherzava affatto quando le aveva detto che i due soldati che le aveva affiancato erano due ex 2nd class abituati a tutto.
Anche quelli di Reeve lo erano, quindi non si preoccupò più, nonostante il massacro a cui aveva assistito.
Ma quando i minuti cominciarono a diventare ore iniziò a farlo.
Ne era passata una e mezza, e di Reeve o delle guardie del corpo nemmeno l'ombra.
Rimase in attesa, mentre cercava di decidere cosa fare.
Pensò a sua sorella, quella bambina che aveva perso e alla cui ricerca aveva deciso di dedicarsi anima e corpo per il resto della vita.
Non voleva morire ora, senza averla ritrovata.
Ma Reeve ... lui era stato l'unico a darle una possibilità concreta di farcela, l'unico a crederle e a offrirsi di aiutarla.
La stavano cercando insieme, appena qualche giorno prima le aveva detto di aver trovato qualcosa d'interessante in merito, ma non avevano fatto in tempo a parlarne.
Per questo alla fine decise di rientrare a vedere cosa fosse accaduto, spinta per metà da quella sete di sapere e per metà dalla gratitudine nei confronti di quell'uomo.
Fu il suo primo e ultimo sbaglio.
I corridoi erano pieni di sangue e cadavere, pieni di un silenzio di morte rotto solo ogni tanto da qualche gemito, e dall'allarme che continuava a suonare.
Inorridita, raggiunse prima l'ufficio di Reeve trovandolo vuoto, poi si recò verso il suo alloggio personale, trovando ad attendarla un'ancor più orrida sorpresa.
Il corpo del fondatore della WRO giaceva riverso a terra vicino al letto, in mezzo ad una pozza di sangue. La sua testa era stata recisa di netto e portata via, e la sua pistola abbandonata vicino a lui.
Le sue guardie erano morte ancor prima di riuscire a difenderlo, giacevano ora inermi come bambole, a gambe spalancate di fronte alla porta.
Soffocò un urlo coprendosi la bocca con le mani, dal suo unico occhio buono fuoriuscirono lacrime di dolore che colmarono il suo viso, appannando il vetro degli occhiali.
Cadde a terra coprendoselo con le mani, incapace di assistere, e per qualche breve istante non fu neanche in grado di resistere all'odore persistente e penetrante del sangue.
Quando finalmente ci riuscì, pensò che se non voleva fare la stessa fine doveva immediatamente uscire da quella trappola mortale.
Si rialzò, e corse fuori ripercorrendo la strada al ritroso, ma proprio a pochi passi dall'uscita qualcuno con un calcio la spinse giù, facendola precipitare da circa cinque metri proprio al centro del laboratorio, dove incontrò il pavimento pieno di schegge di vetro e liquido verdastro.
Lo zombie era scappato, qualcuno aveva rotto la capsula e gli aveva permesso di farlo o se lo era portata.
Tuttavia, l'impatto col terreno fu devastante, e lei si ritrovò paralizzata a terra, la schiena piena di schegge di vetro e un dolore lancinante in tutto il corpo.
 
«Ah, Loz! Non era necessario farlo.» disse qualcuno, una voce maschile, giovanile.
«Perché, ti spiace?» rise l'interessato con la sua voce baritona e graffiante.
«Cielo, no!» rise il primo «Ma avremmo almeno potuto chiederle se avesse qualche informazione interessante.»
 
Vide un'ombra avvicinarsi, ma non riuscì più a distinguere i contorni. Notò solo che aveva lunghi capelli bianchi e che si chinò ad osservarla.
 
«Non sarebbe stato divertente, è già mezza robot, e l'altra metà è mal messa.» osservò, con voce pacata.
 
Le ombre divennero due, si chinarono su di lei e continuarono ad osservarla. Da quella distanza più ravvicinata riuscì a scorgere anche la luce sinistra dei loro occhi. Mako.
 
«Mh, hai ragione.» rispose Kadaj «Shalua Rui ... tu dovevi essere a capo di questo laboratorio, a quanto vedo.»
«Hey, dici che dovremmo portargli anche la sua testa?»
 
Ebbe un sussulto. Allora erano stati loro a compiere quella tremenda carneficina. Perché? Ma soprattutto per conto di chi?
Tremò al solo pensiero di fare la stessa fine di Reeve, ma per sua fortuna il capobanda aveva un'idea diversa.
Sentì un paio di mani perquisirla rapidamente. Le strappò il tesserino e fece sua anche la chiavetta USB che portava in tasca, agitandola.
Gemette di dolore per aver fatto un movimento troppo brusco.
 
«Oh, credo che questa sia importante ...» osservò Yazoo, con un sogghigno, guardando suo fratello.
 
Kadaj annuì con un ghigno.
 
«Si. Basteranno queste.» decise.
 
Poi si alzarono, e senza nemmeno darle il tempo di capire cosa stesse succedendo Yazoo le scaricò contro tutti i proiettili che aveva in canna, ponendo fine anche alla sua vita prima ancora che il suo destino potesse compiersi.
Dai suoi occhi, un'ultima lacrima scivolò schiantandosi sul freddo linoleum.
"Shelke, perdonami ..."
 
***
 
Erano passati quasi quattro giorni quando infine Victor Osaka riaprì gli occhi.
Furono i passi lenti e controllati di Valentine a svegliarlo del tutto, dato che aveva dormito profondamente solo per un paio di giorni, e gli altri li aveva passati a sviluppare l'arte da poco appresa della meditazione.
Riaprì gli occhi e il cielo gli parve anche troppo azzurro per il tono della conversazione che di li a poco sarebbero andati ad affrontare.
Si mise a sedere a gambe incrociate e guardò la sagoma oscura del "nemico" avvicinarsi sempre più, fino a che i loro occhi riuscirono ad incrociarsi.
Sorrise.
 
«Ci si rivede, Valentine.»
 
Questi non ebbe tempo per lui, il suo sguardo preoccupato andò subito alla caverna alle loro spalle, dove riposava la donna che aveva giurato di proteggere.
 
«Non ho calpestato nemmeno un centimetro di quel suolo, se te lo stai chiedendo.» lo rassicurò «Ti ho aspettato, e nel frattempo ho recuperato le forze.» tornò a sorridere soddisfatto «Era da tanto che non incontravo un avversario alla mia altezza.»
 
Finalmente l'uomo abbassò lo sguardo su di lui e lo scrutò con una lunga, meditabonda occhiata.
Non ebbe bisogno di parlare, Victor Osaka seppe già cosa avrebbe voluto chiedergli.
 
«Spero tu non te la sia presa per lo scherzetto che ti ho giocato.» si scusò con un sorriso, poi però si fece serio «Avevo un assoluto bisogno di parlare con Chaos.»
 
Vide i suoi occhi rossi illuminarsi, quasi come se ne fosse sorpreso.
Probabilmente, capì, era la prima volta che sentiva quel nome. Non si stupì della successiva domanda che gli fu rivolta.
 
«Perché?»
 
C'era del nervosismo nel suo tono, ma non solo. Per la prima volta da che Lucrecia se n'era andata, Vincent Valentine era tornato ad indossare le emozioni di cui si era privato, ed era tutta colpa o merito suo.
Victor lo guardò negli occhi.
 
«Per lo stesso motivo per cui tu continui a proteggerla, nonostante non ne abbia più bisogno ormai.» rispose serio, indicando con un cenno del capo la grotta alle sue spalle, mentre per un attimo i suoi occhi tornarono lucidi.
 
Ancora una volta, i loro sguardi rimasero fissi l'uno nell'altro.
Non solo come una sfida, ma anche quasi a voler ricercare nell'avversario tracce di quel sentimento che entrambi avevano provato. Un dolore troppo profondo per poter essere dimenticato.
Lo trovarono, e come era accaduto quando era stato a visitare la tomba di Hikari sul lago, Vincent si ritrovò a fare un passo indietro, aiutato da Osaka che non avrebbe voluto avanzare oltre quel muro di pietra che aveva eretto per tenere lontano il dolore.
 
«Questo è tutto quello che ho da dirti, per il momento.» risolse, poi spostò l'attenzione su di lui e sul segreto che si portava dentro da più di cinquant'anni ormai «Ora tocca a me fare le domande. Chi è?» lo incalzò.
 
E Valentine, dopo un primo momento ancora di esitazione, fu costretto a cedere.
 
«Cosa vuoi sapere?» chiese a sua volta.
 
Lo vide sorridere, quasi nostalgico.
 
«Tutto quello che sai. Tutto ciò che Sephiroth avrebbe dovuto sapere. È per lui che lo faccio.» replicò.
«Lui è morto, ormai.» fu la fredda risposta di Valentine.
 
Victor Osaka strinse i pugni, lanciandogli uno sguardo torvo.
 
«Ma io no.» rispose cupo.
 
Poi si diede un istante per calmarsi. Chiuse gli occhi, sospirò e tornò a guardare il suo interlocutore.
 
«Quando non ero che un bambino, vedevo e sentivo cose di cui gli altri non potevano accorgersi. La voce del pianeta, la chiamavano i libri. Per me erano fantasmi, anime in pena alla ricerca di un addio o di vendetta.» prese un altro respiro, mentre il sguardo si addolciva diventando nostalgico «Avevo poteri che non riuscivo a controllare e ricordi di Sephiroth ancor prima che diventasse un ricordo di tutti. Io sapevo di lui e lui di me, ancor prima d'incontrarci, nonostante fossimo venuti al mondo in due epoche diverse, in posti diversi e da madri diverse.
Non sapevo ancora di essere un Cetra, ne ero spaventato perché non capivo.
Sephiroth ...» sorrise, grato e nostalgico «Lui non è stato solo il mio maestro, ma il primo ad accorgersi delle mie capacità e ad aiutarmi a svilupparle. È stato la chiave per uscire fuori da quel guscio di terrore in cui mi ero confinato. Non sarei niente senza di lui! Niente ...»
 
Chiuse gli occhi alle lacrime, trattenendole a stento. Quindi prese fiato e concluse, tornando a guardare quegli occhi rossi che lo scrutavano attenti.
 
«Sephiroth mi ha dato le risposte che cercavo da quando sono nato, ora sono io a volergliele dare.» un ghigno amaro colorò pian piano le sue labbra «Una madre.» mormorò, ancora sull'orlo delle lacrime «Voleva solo una madre. Ci credi, Valentine?»
 
Si voltò verso l'ingresso della grotta e lasciò correre i suoi occhi verso quel buio denso. Sospirò, ricacciando definitivamente in dentro l'angoscia.
 
«Tutto questo non sarebbe successo se quei bastardi maledetti non gli avessero mentito.» mormorò, tornando a stringere i pugni «Se almeno avessero fatto in modo che ne avesse davvero avuto una che si prendesse cura di lui, che ascoltasse i suoi pianti di paura da bambino e lo abbracciasse quando moriva di freddo. Invece ...» scosse il capo, tornando serio «L'hanno trattato come una qualunque misera cavia da laboratorio per tutta la vita. Senza amore. Senza dignità. Con la stessa freddezza con cui si tratta un bestia da circo.»
 
Sentì la rabbia salirgli al naso, ma stavolta decise di trattenersi. Si voltò invece di nuovo verso Valentine e lo vide riflettere, lo sguardo basso e il volto nascosto dietro i lunghi capelli.
 
«Vuoi continuare a trattarlo così anche tu, Valentine? O almeno dopo la sua morte ti deciderai a conferirgli un po’ di pace?» domandò, quasi implorante.
 
L'uomo tornò a guardarlo, e stavolta anche nei suoi occhi si dipinse la tristezza.
 
«Non posso fare più nulla per lui, ormai. Sephiroth ... e sua madre ... non esser stato in grado di proteggerli è stato il più grande errore della mia vita.» replicò, ma stavolta aggiungendo con voce impercettibilmente tremula «Ma se sei convinto che questo basti ... allora dovrò raccontarti i miei incubi peggiori ancora una volta. Ascolta bene ... perché sarà l'ultima.»
 
\\\
 
L'ultima lacrima cadde in silenzio, schiantandosi sulla superficie liscia e limpida dell'acqua.
Sulla sponda del lago, le piccole onde si propagarono un paio di volte prima di sparire, e i riflessi della luce del cristallo ne risaltarono i contorni nitidi.
Con un sospiro, Victor Osaka tornò ad alzare il viso verso la figura di quella donna, scacciando nervosamente con un gesto della mano l'acqua salata rimasta impigliata tra le sue ciglia nere e restando per un istante in silenzio.
Valentine si voltò a guardarlo, scrutando bene i lineamenti del suo viso e sorprendendosi nel vederlo piangere a quel modo.
Era il suo stesso dolore, o qualcosa di più profondo?
Lo vide sospirare di nuovo, scuotendo le spalle e riappropriandosi di sé.
Alzò di nuovo il capo altero, e finalmente parlò.
 
«Quindi è così ...» mormorò.
 
Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra sottili.
"Sephiroth ... forse è meglio che tu non abbia mai saputo. Quale madre degenere venderebbe suo figlio alla scienza, e a quella bestia di Hojo?"
Lo pensò, ma non lo disse, tenendosi per sé tutte le altre considerazioni.
Infine tornò a guardare Valentine, in attesa di una risposta da parte sua.
 
«Non ho nulla contro di te, Vincent Valentine.» gli disse «E ora ti sono anche debitore. Perciò lascia che ti dia un consiglio.» si fece serio, quasi torvo «Mi è piaciuto combattere con te, ma fa in modo che non ricapiti. Altrimenti potrei non essere così clemente la prossima volta.»
 
Quindi gli voltò le spalle, e prima di andarsene concluse malinconico.
 
«Anzi, fossi in te sfrutterei il tempo rimasto per starle accanto fino alla fine, come avresti voluto fare allora.»
 
I loro occhi s'incrociarono un'ultima volta, i loro sguardi posero fine a tutte le altre parole che avrebbero potuto dirsi.
 
«Questo pianeta è destinato ad estinguersi, e la cosa dentro di te lo sa bene. Stanne fuori, hai già combattuto abbastanza per qualcuno che non lo merita.»
 
Quindi se ne andò, lasciandolo solo con lei a riflettere su ciò che quelle parole avrebbero potuto significare se gli avesse dato ascolto.
 
\\\
 
Il sole fuori era tramontato da un pezzo, ora le stelle brillavano vivaci in cielo e la luna stava apprestandosi a sorgere all'orizzonte, dietro le colline.
Victor trasse un sospiro riempiendo i polmoni di quell'aria pura, e sorrise pensando a quanto fosse simile il destino che aveva colto lui e quell'uomo.
"Hikari ... Anche questo è un bel posto dove riposare. Ma nulla in confronto al nostro lago."
Il trillo del suo telefono interruppe quei suoi malinconici pensieri, appena lesse il nome del chiamante tutta la tristezza svanì, restituendogli quel ghigno perfido che per un attimo aveva dimenticato di possedere.
Premette il pulsante verde e si portò il telefono all'orecchio, senza dir nulla.
 
«Niisan, missione compiuta.» rispose Kadaj «È stato anche più facile del previsto.»
 
In sottofondo udì la risata divertita di Loz.
 
«E anche divertente, come dicevi tu.» aggiunse su di giri.
 
Sogghignò divertito e soddisfatto.
 
«Lieto di avervi fatto passare una serata in allegria.» commentò, poi tornò a farsi serio «Qual è stata la risposta?» tornò a chiedere.
«La prateria a metà strada tra Junon e la caverna di Mithril, vuole che c'incontriamo lì.» replicò Kadaj.
«Credi che finalmente ci daranno la madre, Niisan?» domandò ancora Loz.
 
Victor scosse il capo.
 
«Non ancora, ve l'ho già detto.» disse «Loro credono di prenderci in trappola, invece saremo noi a toglierli di mezzo uno ad uno, fino ad arrivare a Lei.»
 
Loz rise di nuovo.
 
«Sei geniale!»
«Piantala Loz!» lo ammonì Yazoo.
 
Osaka sorrise di nuovo.
 
«Lascialo divertirsi un po’, Yazoo.» replicò bonario «Lo so, grazie Loz.» disse poi al mezzano.
«Ci vediamo al porto allora, Niisan.» concluse Kadaj.
 
Annuì di nuovo.
 
«Tra una settimana dovrei essere lì. Nel caso dovessi tardare, godetevela senza ammazzare nessuno.» precisò con una risatina.
«Ci proveremo.» ridacchiò a sua volta il più piccolo.
«A presto, Niisan!» concluse Yazoo, seguito dagli altri due.
 
Poi la chiamata si chiuse, lasciandolo di nuovo al silenzio e al buio, ma con un’espressione diversa in volto, quella di qualcuno che sa che il meglio deve ancora arrivare.

 
   
 
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