Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: sese87    05/11/2020    5 recensioni
Tokyo, Giappone. Bulma e Vegeta si incontrano in una giornata di pioggia. Inizieranno una relazione proibita tra studente e professore?
Storia liberamente ispirata a "Il Giardino Delle Parole" di Makoto Shinkai.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
GdP2

Il Giardino delle Parole

Capitolo 2

Tra i fiori che si scuriscono
La bianca peonia
Cattura la luna

- Kato Gyodai -

 

La strada era racchiusa tra grattacieli altissimi. Il tramonto scintillava contro le vetrate scure, mentre la giornata lavorativa finiva.
Goku aveva deciso di seguire Vegeta di nascosto, tra i passanti, verso la stazione Otemachi. Così lasciò le sue impronte di fango sulla scalinata all’entrata, giù, lungo claustrofobici cunicoli. Il soffitto basso, i muri scuri e tappezzati di pubblicità.
La stazione Otemachi, come ogni stazione di Tokyo, odorava di ramen. Lo vendevano le grandi catene di ristoranti ai lati degli androni; lo offrivano in buste di plastica bianca su banchi di legno. File lunghe di gente, il loro chiacchiericcio sommesso.
A Goku brontolò lo stomaco, quando Vegeta si fermò per prelevare contanti da un bancomat.

In fila, al Kita no Kaiō, Goku attendeva tranquillo, finché non si accorse che Vegeta era arrivato al suo turno. Allora saltò la fila, con grande scombussolamento, strattonando il morale ai presenti ed ad un ristoratore panciuto. «Che modi!»
«Prendo questo!»
Il ristoratore si sistemò gli occhialini rotondi e, leggermente scocciato, ma obbligatoriamente amorevole, disse: «Vuole anche una ciotola di riso?»
«Oh sì, grazie.» Disse Goku e ogni tanto controllava Vegeta: stava digitando sullo schermo ATM, senza curarsi del baccano. «Si sbrighi, però, vado di fretta!»
«In un lampo lampante[1]
Vegeta iniziò a prelevare le banconote. Goku iniziò a correre sul posto. «Quanto ci mette?»
«Bubble tea?»
Sembrava gustoso, rinfrescante, ma «No, grazie!»
«È in offerta.»
«Non mi interessa!» Perché Vegeta stava già sfilandosi il portafogli dalla giaccia.
«È due per uno! E se prende il dessert fanno due per tre!»
Goku smise di saltellare. «Cioè?»
«Ne prende due, ne paga uno di ognuno e non resta scontento nessuno.» Il ristoratore ridacchiò.
«Non ho capito.»
Il ristoratore si ricompose un po’ offeso, risistemò gli occhialetti, «È un’ottima offerta.»
«Non lo metto in dubbio però…» Vegeta lontano! «Non lo voglio.»
«Uno soltanto?»
«Non importa, tenga il resto!»
«Ma non ha pagato!»
«Tenga tutto!» A malincuore.
«Si fermi!»

Vegeta procedeva con le mani in tasca, si confondeva con gli uomini d’affari, in pantaloni scuri e camicia bianca, lo zaino leggero in spalla.
Turisti smarriti cercavano l’uscita tra scritte in hiragana, «O forse è katakana?»

«Ha importanza, cara?»
Vegeta si fermò, quando un ragazzo platinato, con un giubbotto rosso, gli andò incontro.
Goku venne distratto da una coppia: «Mi scusi, parla inglese?» Sapeva dire soltanto “thank you” e la coppia soltanto chiedere in giapponese se si parlasse inglese. Una cartina della metro aperta.
Vegeta, scocciato, rispondeva al ragazzo, che riprese a camminare in direzione opposta.
«E voi ce lo avete un accendino?»

Dopo ogni passante, le luci della stazione si proiettavano sulle rotaie bagnate. Si arroccavano tra le intercapedini e baluginavano, in quel punto all’aperto, sotto la notte scoperta. Pochi ciuffi d’erba.
Goku attendeva il prossimo treno dietro una colonna. Continuava a spiare Vegeta, per scoprire se, per lui, dovesse essere più o meno contento. O se avesse dovuto invece salvarlo. E sarebbe stato molto doloroso, se l’animo di Goku non fosse stato sempre così, dolcemente, ben disposto. E, quando il treno arrivò, Goku salì su un vagone diverso, ma senza perdere di vista Vegeta. Quando il treno si fermò, scesero entrambi alla stazione Harajuku.
Tra Shibuya e Shinjuku, gli adolescenti di Tokyo preferivano Harajuko, con il suo ventaglio di intrattenimenti, i negozi “trendy” e colorati. A detta di Yamcha non esistevano strade migliori per un primo appuntamento.
Ma Vegeta scelse Shibuya. E ogni rosea speranza morì quando Goku lo seguì in biblioteca.

Mentre Goku sbuffava in un angolo, in attesa di vedere un po’ di azione, Vegeta continuava a cercare libri. Controllava una corsia, poi l’altra. Tornava indietro, ricontrollava. Ricominciava daccapo, disattendendo le aspettative di chi avrebbe voluto vederlo godersi la sua età. Ma poi, gli si avvicinò una ragazza carina e gli sorrise. Camicetta fucsia, capelli corti. Aveva un solo orecchino. «Mi occorre un attimo.» Si separarono.
Goku si appiattì contro uno scaffale.
La ragazza riapparve con un libro in mano. «A quanto pare l’altro che cerca lo stanno ancora leggendo, ma se vuole, appena lo lasciano, glielo porto.»
«Non importa. Non posso aspettare!»
Vegeta notò l’ora.

Secondo i dati del governo giapponese, il quarantadue per cento degli uomini era vergine, in Giappone. E per chi non se ne facesse un vanto, all’occorrenza, esistevano i robu hoteru, gli hotel dell’amore, a Kabukicho, Shinjuku (sempre in Giappone). Bastava dirlo a bassa voce.
Si affittavano stanze, anche a tema, «Con letti doppi oppure tripli!» Annunciò un vecchietto arzillo a Vegeta, nascondendo la bocca dietro una mano. «Abbiamo anche sirene, donne serpenti ed hawaiane!» Per scoprire cosa ci si perdesse, o per ritrovare quanto già perduto. Le ragazze erano giovani, svestite e ben disposte: le migliori per tutta la notte, ma soltanto per una notte. «La tariffa è oraria.»
Vegeta finì di allacciarsi la scarpa e andò oltre. Lo zaino, pesante di libri, di nuovo in spalla.
I passi di Goku disegnarono pozzanghere, screziate dal riverbero delle insegne colorate.

Il ristorante Porunga vendeva la stessa ricetta da anni: brodo caldo di maiale e salsa piccante. Agli studenti raccontavano fosse buono al punto da propiziarsi gli dei, i più disperati, i meno bravi, se la bevevano. Così, nel periodo degli esami, ordinavano quel desiderio di successo dalla macchinetta all’ingresso, self-service. Il romanticismo, però, non veniva quasi mai invitato: i tavoli erano piccole nicchie di legno, da uno. Goku si accorse di essere alla fine della corsa. Non gli restò che affrontare Vegeta.
Attraversò la stanzetta, gli posò una mano sulla spalla, «Ohi!»
«Ma che?!»
«Perché non me lo hai detto subito che preferivi restare da solo, scusa?»

Bulma, sotto l’azumaya, aspettava che finalmente piovesse; che un acquazzone tornasse e scomodasse gli uccelli nei nidi; che la nebbia scendesse sul lago e si insinuasse tra le foglie sui rami; che desse un senso alla sua attesa e che uno scrosciare, forte e improvviso, le scordasse le ossa. Il cuore teso.
Si chiese se quegli sputi di cielo, quel pomeriggio, valessero ad esaudire la promessa di rivedersi, Alla prossima pioggia?
Spuntò l’arcobaleno tra i picchi delle nuvole, dietro gli alberi sul lago. Il palazzo della FC disturbava il panorama nel cielo sempre più terso.
Vegeta non arrivò.
Bulma tornò a casa.

Ogni giorno, alle sette di mattina, gli studenti riempivano la mensa, in mano vassoi di plastica e scatole bento.
Bulma arrivò alle nove e quarantacinque. Si sporse e considerò in quanti le stessero davanti. «Vi piacciono proprio le file, eh?»
E si sentì giudicata, da un’alzata di sopracciglio di uno studente al suo fianco, spallucce. Gli cacciò la linguaccia.
Dopo, il sole si ribellava ancora alla pioggia, e Bulma strizzava gli occhi nel fastidioso riverbero delle finestre: cercava un tavolino a cui sedersi, o qualcuno disposto a cederle il posto, farle un po’ di spazio, prima che i cereali si ammorbidissero nel latte e il caffè si intiepidisse.
I cereali si ammorbidirono.
Il caffè diventò freddo.
La sua rabbia si infuocò. Anche l’indifferenza era una forma di bullismo, pensò. «Accidenti!»
Le venne voglia di urlare, gettare il vassoio in testa a qualcuno, ma notò un piccolo tavolo in un angolo in disparte. Una sedia vuota, l’altra occupata da Vegeta. Correggeva i compiti dei suoi studenti. Un’ecatombe di brutti voti e segni rossi, merendine smangiucchiate. Una tazza di tè tiepido.
Quando Bulma gli fu abbastanza vicino, chinandosi su di lui, gli solleticò accidentalmente il viso con la coda di cavallo. Gli tolse un airpod dall’orecchio. Vegeta sollevò la testa in un colpo di sorpresa.
«Ehilà!» Gli sorrise e con la punta dello stivaletto indicò la sedia libera. Un calzino rosso di spugna arricciato alla caviglia. Il vassoio ancora in mano. «Posso?»
Da quel calzino corto, per le gambe scoperte, oltre la maglietta succinta, Vegeta percorse la sua figura fino a raggiungere i suoi occhi. Nessuno li aveva come i suoi: grandi, di un blu indeciso come il mare d’inverno, in tempesta. Languidi, ma strafottenti e curiosi.
Poi lui raccolse la propria roba, l’airpod dalla sua mano, cartacce comprese. Si alzò. Ma lei non voleva restar sola! Lo avrebbe rivisto? «Vegeta!»
Si voltarono tutti.
Si voltò. «È Ōji-sensei, per te.»

Durante le lezioni “Vegeta Ōji-sensei” camminava. Saliva le scale dell’anfiteatro e parlava loro alle spalle, un generale ai suoi soldati in trincea. Gli studenti rivolti alle diapositive o ai suoi calcoli assurdi scarabocchiati alla lavagna. I numeri si affaticavano a rincorrere equazioni. Le sue mani sempre imbrattate di gesso bianco.
Bulma seguiva la lezione dall’ultimo banco e sperava che Vegeta aspettasse la pioggia tanto quanto lei. Sollevò la mano per rispondere alla domanda appena fatta.
Fu costretto a guardarla, un piede sul gradino.
Gli occhi neri non erano tutti uguali. Quelli di Vegeta erano una notte profonda, brucianti anche senza stelle. Corrucciati, trattenevano a stento i suoi pensieri in fermento, sfumati da qualcosa ogni volta diverso. Di questa soppesava l’importanza con un insulto, se tirava le labbra in un ghigno.
Per Bulma fu di nuovo indifferenza.
Vegeta si rivolse al resto della classe. «Qualcuno che, invece, la sappia, la risposta?»
 

Nella stagione delle piogge, Tokyo aveva l’odore del cielo[2].
Goccia dopo goccia, i marciapiedi si coloravano d’acqua. Il petricore risaliva dalla strada alle finestre aperte e l’aria diventava un respiro fresco.
Ma non pioveva da giorni e la freddezza di Vegeta era diventata più pesante della pressione. La sua presenza era assente.
Le passò accanto in corridoio e la lasciò sospesa nella distanza che li divise.
Bulma si fermò, in bilico sulla voragine del proprio orgoglio. Strinse le labbra e il libro al petto.
Gli corse dietro e osò afferrarlo per un braccio. «Vegeta!»
Infastidito, si strappò dalla presa. «Che diamine vuoi
Sbocciò curiosità tutto intorno. Cadde il silenzio e il tempo si fermò.
«Se…sensei.» Balbettò Bulma sorridendo, ma il suo imbarazzo, per pregiudizio contro una personalità troppo sfacciata, parve un frutto di impertinenza.
«Cosa vuole?» Ripeté con più forzata compostezza Vegeta.
Sapere se l’avrebbe rivisto alla prossima pioggia, «Non riuscirò a consegnare il compito in tempo.» Avrebbe dovuto portarglieli lui, i libri su cui studiare. Era parte del piano.
«E quindi, vuole rinunciare?»
«Ovviamente no, per chi mi hai presa?»
«Allora inizi a studiare.»

 
I want to walk in the open wind
I want to talk like lovers do
Want to die into your ocean
Is it raining with you?

Continua…

 

 

Ciao a tutti! :D Questo capitolo è stato una tragedia da scrivere! Per una volta ho avuto la malsana idea di farlo leggere al mio compagno, che lo ha bocciato dicendo che il punto di vista deve essere costante, come nella scrittura professionale. E quindi, per una volta, ho seguito il suo consiglio, togliendo anche due scene, alleggerendo altre. Ma il capitolo non funzionava, così l’ho riscritto seguendo il mio stile di sempre.

Per questo vorrei ringraziare Died, che ha letto entrambe le versioni (le tante versioni) e che, come sempre, mi legge in anteprima e sa consigliarmi! Al mio compagno non chiederò più niente :D

Alla prossima! :*

Nda: la descrizione dei luoghi, tranne i nomi presi da Dragon Ball, sono reali. Non sono mai stata a Tokyo, ma Google e YouTube mi hanno aiutata molto.

Ppppps: La canzone citata alla fine, è “Here Comes the Rain Again” degli Eurythmics.

 

 

 

 

 



[1] Citazione dal film Love Actually, messa in bocca a Re Kaio mi pareva appropriato! Anche la scenetta è ispirata allo stesso film.

[2]Citazione dal film. Nell’anime il Giardino delle Parole la frase è qualcosa tipo “Il cielo odorava di pioggia”.

Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: sese87