Capitolo
15- Verità cartacea
La
truccatrice continuava a picchiettare la spugnetta piena di cipria sul
viso di
Rin, ma lei voleva solo sottrarsi a quel supplizio: aveva scoperto
quanto fosse
difficile rimanere ferma quando qualcuno te lo imponeva.
Così era successo a
lei dal primo giorno che aveva messo piede negli studios.
Sì,
alla fine era stata presa per quel film.
Seduta
sulla sedia, ripensò al giorno in cui le avevano comunicato
l’assegnazione del
ruolo.
All’inizio
pensò che si doveva trattare di uno scherzo, poi
però la gioia e l’euforia
avevano preso il sopravvento e si era ritrovata a saltare sul divano in
preda
ad un moto travolgente del corpo.
Midoriko,
Kagome e Kikyo erano accorse per vedere cosa fosse successo, e se le
prima due
si erano unite a lei nei festeggiamenti, Kikyo aveva semplicemente
alzato un
sopracciglio per poi girare i tacchi e tornare in camera sua.
Kagome
invece era salita sul divano con lei per saltare insieme, mentre
Midoriko, con le dita dentro le orecchie per evitare di rompersi i
timpani a
causa dei decibel alti, le guardava divertita e felice. Da quando aveva
saputo che
Rin avrebbe partecipato al provino, non aveva avuto il minimo dubbio
sul fatto
che l’avrebbero presa.
-Diciamo
di sì… altrimenti improvviserò!-
-Non
ci provare! L’ultima volta non riuscivo a starti dietro e ho
fatto una fatica
immensa!- protestò Hajime.
Era
intenta a masticare senza troppa convinzione i cereali che Kagome le
aveva
passato, quando Jinenji fece il suo ingresso allegro e canticchiando un
motivetto della sua infanzia.
-Bene
così, per oggi. Ricordatevi che la prossima settimana
inizieremo a girare in
esterna- urlò il regista prima di lasciar andare tutti gli
attori.
Salutò
i suoi compagni e si diresse verso i corridoi degli studios per
raggiungere
Jinenji che, ne era sicura, l’attendeva
all’ingresso con la macchina pronto a
riportarla a casa.
Quel
giorno aveva particolarmente fretta: quella settimana era in programma
un test
d’inglese e doveva assolutamente ripassare qualcosa.
Sicuramente lo avrebbe
fatto dopo cena.
Senza
rendersene conto, Rin si ritrovò a terra con un gran tonfo.
Non
ebbe molto tempo per rendersi conto del suo dolore, perché
subito una voce
infantile le fece distogliere l’attenzione da sé
stessa.
Rin
fu attraversata da un lampo di terrore: sebbene non fosse
particolarmente
corpulenta, un’adolescente come lei avrebbe potuto fare
benissimo del male ad
una bambina.
E
con suo sollievo vide che non usciva sangue ma la zona era solamente un
po’
arrossata per l’impatto.
La
bimba aprì gli occhi e la guardò quasi
supplichevole.
Prese
le mani della bambina e l’aiutò ad alzarsi da
terra, poi si diresse verso la
macchinetta.
La
piccola ci pensò su, poi disse, puntando il dito contro il
vetro:- Il latte
alla fragola-
-Ed
io sono Mayu!-
-Stavo
aspettando il mio papà, ma lui ci sta mettendo tanto-
-Lavora
qui il tuo papà?-
-Non
proprio-
-Sì-
-E
stai girando un film?-
Dall’espressione
sul volto, capì che la piccola doveva essersi allontanata
senza il suo
permesso.
Tentò
di spiegarglielo.
-Papà, lei è Rin. Mi ha
comprato anche il latte alla fragola!- urlò subito Mayu
allegra.
-È
tutto a posto qui?-
Questa
volta fu una
quarta voce a parlare. Voce che Rin avrebbe riconosciuto a chilometri
di
distanza, tanto era inconfondibile: glaciale, dura, monocorde.
E si ritrovò a
fronteggiare ancora una volta l’espressione di Sesshomaru, in
piedi di fronte a
lei.
-Sesshomaru-sama…-
Lui
dal canto suo,
sembrava leggermente stupito di vederla, anche se difficilmente lo
avrebbe dato
a vedere. Si limitò ad alzare un sopracciglio, che la
diretta interessata
interpretò come un segno altezzoso.
-Mi
scusi per questa
interruzione- si scusò l’uomo rialzandosi e
avvicinandosi con la figlia agli
altri due.
-Nessun problema. Vedo
che ha conosciuto una delle nostre nuove promesse- disse Sesshomaru,
spostando
l’attenzione su Rin.
-Papà, è un’attrice!-
saltellò Mayu in preda all’euforia.
La
diretta interessata,
di tutta risposta, avvampò. Nonostante il teatro non le
piaceva stare al centro
dell’attenzione.
-Rin,
ti presento il
signor Kosuke Matsumoto, proprietario della casa editrice
“kuroi kitsune”-
continuò il demone, presentandoli.
-Conosco bene la sua
casa editrice. Molti dei miei libri sono i vostri- disse lei allungando
una
mano- Molto lieta, mi chiamo Rin Damashita-
-Damashita? Conoscevo
una ragazza all’università con questo cognome-
disse l’uomo, stringendole la
mano.
-Davver0? Forse è un
caso di omonimia…-
Ma
non fece in tempo a
finire la frase perché il telefono iniziò a
squillare: era Jinenji che,
preoccupato, voleva assicurarsi che stesse bene e che il ritardo non
fosse
dovuto a qualche malore. Rin, sentendo la voce del mezzo demone,
sbiancò e
spalancò gli occhi: si era completamente scordata di lui.
Chiuse la conversazione e
si rivolse verso i presenti.
-Vogliate
scusarmi, ma
devo proprio andare. È stato un piacere fare la sua
conoscenza-
-Rin, ci sarai anche
domani?- domandò speranzosa Mayu.
Lei sorrise.
-Certo!-
E corse verso l’uscita.
Due occhi ambrati la
seguirono fino alla fine.
***
Kagome
guardò l’orologio per l’ennesima volta e
poi sbuffò rumorosamente. Lasciò
cadere la testa sulla mano destra e rimase a guardare il panorama scuro
dalla
sua finestra.
Non
aveva nessuna voglia di scendere giù in salotto: sapeva che
avrebbe trovato
Kikyo e Inu-Yasha, intenti a fare i piccioncini. E questo spettacolo
avrebbe
voluto risparmiarselo. In più Rin, da quando aveva iniziato
a girare il film,
raramente rientrava a casa nel pomeriggio.
Inutile
era anche il fare affidamento su sua zia Midoriko, la quale cercava di
non
alimentare la rivalità tra le due sorelle.
Inevitabilmente
si trovò a rimurginare sugli avvenimenti di tre settimane
prima: il provino di
Rin, la festa e quel bacio, l’inevitabile allontanamento di
Inu-Yasha dal
gruppo e Kikyo che sembrava insopportabilmente felice e fastidiosamente
plateale nel volerlo dimostrare.
Quando
li aveva visti in cucina, aveva prontamente fatto dietrofront per
evitare di
farsi beccare lì impalata davanti alla porta.
Si
era portata una mano alla bocca per scongiurare un conato di vomito.
La
ragazza aveva ringraziato gli dei dell’arrivo dei suoi amici,
altrimenti
sarebbe stata vittima di un attacco di pianto quasi isterico.
Jakotsu,
sempre sveglio e dotato quasi di un sesto senso, si avvicinò
silenziosamente
verso la porta della cucina e sbirciò. Si
allontanò quasi subito e rivolse a
Kagome uno sguardo carico di affetto e comprensione.
-Su,
andiamo in bagno. Non è il caso di rimanere qui- aveva poi
detto dolcemente,
guidandole con sicurezza.
Rin,
che era rimasta in silenzio, guardò Jakotsu, interrogandolo
con gli occhi.
Quando
poi le lacrime finirono, i due amici la tirarono su insieme.
Jakotsu
le carezzò le guance.
Rin
invece la portò vicina al lavandino e gentilmente le
lavò il viso con acqua
fredda, allievandole il rossore.
Più
difficile fu evitare la sorella, la quale si comportava come se niente
fosse.
Ogni
volta che la salutava, Kagome sentiva montarle una rabbia travolgente.
Avrebbe spesso
voluto afferrarla per i capelli. Ma subito dopo si pentiva di certi
comportamenti e guardava in faccia la realtà: sua sorella
l’aveva sempre messa
in ombra. Era la più bella, la più talentuosa, la
ragazza prodigio.
Per
una volta lei aveva trovato qualcosa di suo, forse anche di
più: il Giappone,
la zia, i suoi amici, Inu-Yasha.
E
come sempre Kikyo faceva il suo ingresso trionfale, lasciandole solo le
briciole.
Kagome
fu distratta dalla luce del suo smartphone, che brillava senza emettere
alcun
suono. Preferiva non guardare troppo il cellulare per paura di vedere
comparire
un messaggio.
Sentì
crescerle dentro un peso enorme e decise che ne aveva decisamente
abbastanza.
Avrebbe
concluso il prima possibile quella chiamata.
E
si sorprese della sua risolutezza e freddezza.
Il
mezzo demone rimase qualche secondo in silenzio, come se quelle parole
pesassero come un macigno.
Come
se fosse una sorta di automa, si infilò una felpa addosso e
scese. Per sua
fortuna non incrociò nessuno lungo la sua traiettoria.
Il
vento gelido le sferzò il viso. Si strinse nelle braccia e
si diresse verso il
cancello.
Inu-Yasha
l’aspettava, le orecchie canine abbassate in segno di
tristezza.
Lei
con le braccia incrociate, un po’ per il freddo e un
po’ perché non aveva la
minima intenzione di sembrare amichevole, tutt’altro; lui con
la faccia
affranta e l’atteggiamento colpevole, si guardava la punta
delle scarpe.
E
nella parole c’era una sfumatura di amarezza. Essere trattato
così malamente da
una persona che fino a poco prima era l’unica ad essere
riuscita ad avvicinarsi
a lui, era un dolore pari ad una tortura.
Kagome
rientrò in casa, ignorando la domanda di Kikyo che le
chiedeva cosa ci facesse
fuori e si barricò nuovamente in camera.
Il
sospiro che emise sembrò portarsi via il macigno che aveva
sentito nel cuore
quando Inu-Yasha l’aveva chiamata.
Non
le venne da piangere, le lacrime erano finite per davvero.
Li
guardò.
Li
posò.
Distinse
chiaramente le lettere in oro che riportavano il titolo
“Sengoku monogatari”. Aveva
quasi scordato di averlo sepolto lì.
Lo
prese in mano e lo sfogliò.
Il
corpo le si irrigidì e lo sguardo puntò qualcosa
di indefinito davanti a lei.
Con
il libro ancora in mano, Kagome vide scorrere davanti a lei immagini di
una
vita antica, arcaica, che non aveva vissuto ma allo stesso tempo con la
consapevolezza che quei ricordi le appartenessero.
Estraneità
e familiarità.