Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: sissi149    22/11/2020    3 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si erano spostati in piazza, dove era più facile che tutti confluissero una volta recuperata la memoria. Qualcuno era stato allertato con una chiamata direttamente da lei o da uno dei ragazzi del vecchio quartetto della Shutetsu, poi a catena, tramite il giro delle conoscenze incrociate in quella nuova realtà erano riusciti a raggiungere quasi tutti i membri della Generazione d’oro e chi li conosceva da vicino.
L’atmosfera che Sanae respirava era un miscuglio di emozioni diverse, ma su  tutte dominavano lo stupore e la gioia per essersi risvegliati e ritrovati in quella strana realtà, dove il loro mondo era andato tutto a rovescio e gli amici di sempre si erano ritrovati ad essere acerrimi nemici.
Era lì, mano nella mano con Tsubasa che osservava l’arrivo degli altri da soli o in piccoli gruppi, a cominciare da Ishizaki che si era gettato in ginocchio davanti ad Ozora  per chiedere perdono per tutte le sue malefatte e tutto ciò che aveva fatto subire al povero ed innocente architetto.
“Tsubasa, ti prego perdonami! – strillava – Io non so cosa stessi facendo! Sai che non l’avrei mai fatto intenzionalmente. Sei il  mio idolo, non ti avrei mai trattato così.”
“Ryo, alzati. Non c’è bisogno che ti scusi di nulla.” Tsubasa, come suo solito, era fin troppo disposto a perdonare da subito, ma era anche per quello che Sanae lo aveva sposato.
“Se fossi stato in me ti avrei difeso a spada tratta da chi ti credeva colpevole di aver fatto del male a Genzo! Io so che sei troppo in gamba per aver fatto una cosa del genere.”
Ora la cosa stava sfiorando il ridicolo, ancora un po’ e Ryo avrebbe dichiarato eterno amore al suo capitano. La signora Ozora decise di intervenire per porre fine a quello spettacolo indecoroso.
“Ishizaki, smettila! Ti rendi conto che stai attirando l’attenzione di tutti e ti stai rendendo ridicolo? Capisco che sia più forte di te, ma c’è un limite a tutto!”
Quelli più vicini ai coniugi Ozora ridacchiarono per l’affermazione di Sanae, mentre il diretto interessato si rialzava e batteva leggermente in ritirata, non rinunciando a lanciarle a sua volta una frecciatina.
“Vedo che non sei cambiata per nulla, Anego.”
Sanae si stinse nelle spalle. Era bello sentire nuovamente il suo vecchio soprannome, i panni della composta ed inappuntabile signora Becker le erano stati decisamente scomodi e solo una volta risvegliata si era resa conto di quanto la situazione avesse soffocato la sua vera natura.
Non appena il  suo pensiero indugiò sul Sindaco lo vide arrivare in fondo alla strada, seguito da Yukari. Vederli insieme la sorprese, sapeva che la segretaria abitava lontano dalla loro villetta, non era possibile si fossero incrociati per strada. Il fatto che fossero giunti dalla stessa direzione a quell’ora della notte lasciava campo libero all’immaginazione e confermava parecchi suoi sospetti sulle mire della donna: aveva sempre presentito che volesse portarle via il marito. Per assurdo la cosa le diede fastidio: pur sapendo che la realtà in cui erano vissuti fino a poco prima era fittizia, frutto di una mente perversa, ed i sentimenti che avevano legato lei e Taro avevano ben poco di reale, scoprire tra le braccia di un’altra l’uomo che fino a quel pomeriggio aveva sostenuto di amarla la addolorava. Rendeva ancora più insostenibile il peso del castello di bugie.
Sia Misaki che Nishimoto si avvicinarono con gli occhi bassi, evidentemente sapevano di essere in fallo. Se Roberto non avesse fornito loro un altro nome, per come il Sindaco Becker si era comportato e per tutti gli altarini che aveva sempre nascosto, avrebbe quasi sicuramente puntato il dito contro di lui come mente dietro tutto quanto accaduto. Anche a costo di litigare con Tsubasa, lui non avrebbe mai accettato che il suo migliore amico potesse avergli procurato tanta sofferenza.
Difatti il marito mollò la sua mano e corse ad abbracciare Misaki, che in un primo tempo lo guardò stralunato.
“Taro! Come sono felice di vedere che stai bene e che sei tornato!”
“Gra… grazie Tsubasa – Misaki rispose esitante – non credevo che avresti fatto i salti di gioia a vedermi.”
“E perché mai?”
Taro si allontanò dall’amico e sospirò profondamente, spostando per qualche secondo lo sguardo anche su di lei.
“Vuoi davvero che ti faccia l’elenco dei motivi per cui dovresti odiarmi?” il Sindaco alzò le sopracciglia con fare ironico, mentre Tsubasa allargava le braccia.
“È un altro quello da biasimare e che dovrà rendere conto a tutti di quanto avvenuto qui.”
Sanae scuoteva la testa al discorso del marito. Avrebbe forse dovuto dire del primo marito da quel momento?
Lei non era così pronta al perdono, per quello non aveva fatto nemmeno mezzo passo verso Yukari, verso colei che era stata la sua confidente negli anni di separazione da Ozora mentre inseguiva il suo sogno in Brasile. Il sangue cominciò a ribollirle, quella maledetta nazione era sempre stata la causa della sua sofferenza fin da ragazzina!
“Sanae…” Nishimoto sollevò la testa nel tentativo di intavolare  un dialogo con lei, ma venne bloccata da Ryo che le saltò addosso in uno slancio di affetto.
“Yukari, quanto mi sei mancata!”
“Ryo, datti una calmata! – Ribatté la donna, sembrando anche piuttosto scocciata – Non davanti a tutti.”
Ishizaki non sentiva ragioni:
“Cosa vuoi che mi importi degli altri? Dopo anni che non ci siamo più potuti frequentare.”
Sanae sgranò gli occhi, cogliendo il doppio significato dietro alle parole dell’uomo. Non credeva che Yukari e Ryo avessero cominciato ad uscire insieme ai tempi della loro vita precedente.
“Brutto stronzo! Questo è quello che ti meriti!”
L’esclamazione fece voltare tutti di scatto verso Matsuyama che guardava furente Hanji Urabe, mentre Hyuga cercava di trattenerlo.
“Hikaru, non ne vale la pena.”
“Ah, no? – Chiese il gelataio con astio -  Ti rendi conto di quello che ha fatto a Yoshiko?”
Urabe si massaggiava una guancia, dove evidentemente era stato colpito. Matsuyama non aveva certo avuto la reazione pacata di Tsubasa al risveglio. A Sanae non sarebbe del tutto dispiaciuto vedere Tsubasa prendere a pugni qualcuno, ma poi ricordò che Ozora aveva fatto a botte per lei in passato. Cercò Kanda tra la folla, ma non lo vide, forse non era stato raggiunto dalla loro catena di messaggi.
“Matsuyama ha ragione, mi merito questo.”
La risposta di Hanji scosse la signora Ozora dai suoi pensieri.
“Lo vedi, Kojiro? Lasciami andare!”
“Adesso basta!” La voce di Tsubasa si levò come un tuono, mentre il calciatore si avvicinava ai contendenti con ampie falcate, attirando su di sé le attenzioni dei presenti.
“Non vi è bastato essere stati messi gli uni contro gli altri per gli ultimi anni? Amico contro amico, compagni separati da distanze incolmabili? Ora che ci siamo ritrovati dovremmo stare uniti e se proprio ci venisse voglia di sfogare la nostra frustrazione, dovremmo rivolgerla contro il vero responsabile di tutto ciò!”
Sanae lo guardò con ammirazione: Ozora era un leader nato, che sapeva placare gli animi quando necessario ed indirizzare lo spirito battagliero nella corretta direzione. Per quello i ragazzi sul campo lo seguivano in qualsiasi sua decisione, per quello li aveva trascinati alla vittoria del campionato mondiale under 19.
“E tu sai forse chi è il nostro grande nemico?” La voce di Ken Wakashimazu arrivò dal fondo del gruppo, con la domanda che, Sanae ne era sicura, tutti avevano sulla punta della lingua.
Roberto si allontanò dalla folla e raggiunse Tsubasa al centro della piazza, prendendo la parola:
“Natureza. È stato Natureza. Il perché lo ignoro.”
“E tu come lo sai?” Incalzò Hyuga, che non aveva di certo per l’ex campione brasiliano la stessa stima che avevano i ragazzi di Nankatsu.
Hongo sospirò, ma sostenne gli sguardi di tutti.
“In questa realtà io ero uno dei suoi tirapiedi. Non si è mai preoccupato di nascondere la sua identità a noi, ma non ci ha mai svelato nel dettaglio cosa avesse fatto, so solo che dalla sua residenza muoveva i fili di tutto quanto avvenisse qui a New Team Town.”
Urabe fece una sorta di pernacchia con la bocca.
“La sua residenza? Il negozio di frutta nel quartiere latinoamericano? E come faceva, vendeva banane con microchip nascosti all’interno?”
Sanae vide qualcuno annuire alle domande provocatorie di Hanji. Effettivamente le sue non erano obiezioni campate del tutto per aria, avevano un loro fondamento.
“Quella era solo una copertura, la sua vera residenza…”
Roberto non terminò la frase. Un auto di lusso arrivò in piazza a velocità sostenuta e si arrestò inchiodando di colpo a pochi centimetri dal gruppo. Ne scese un uomo alto e robusto che, nonostante l’ora sempre più assurda della notte, indossava un berretto sportivo con visiera.
“Allora, che mi sono perso?”
“Genzo!” Urlò Tsubasa, correndo incontro all’amico ed abbracciandolo forte.
Sanae sbatté gli occhi un paio di volte: l’ultima volta che aveva visto Wakabayashi era su una sedia a rotelle nei panni di Benjamin Price, il sempre incazzato ex capocantiere di New Team Town, ora lo ritrovava in piedi e perfettamente ristabilito. Evidentemente la rottura della maledizione aveva spazzato via la sua condizione di invalidità. La donna cominciò a sospettare che l’incidente al cantiere non fosse mai avvenuto e fosse frutto di ricordi contraffatti.
Fece qualche passo in avanti, felice di aver ritrovato quell’amico.
“Wakabayshi, sei in splendida forma.” Gli disse.
Il portiere si separò da Tsubasa e contraccambiò il suo saluto.
“Anche tu! Ma credo che tu ti stia ritrovando con un marito di troppo.”
Sanae si sbatté una mano sulla fronte, non era decisamente il momento di parlare di quello, c’erano questioni ben più urgenti da sistemare.
“Roberto, dicevi di Natureza e del negozio?” Domandò ad Hongo.
Il brasiliano si schiarì la voce.
“Il negozio era solo una copertura, un po’ come il mio che utilizzavo per raccogliere informazioni. Natureza gestiva ogni cosa dalla villa sulla collina.”
Istintivamente le teste di tutti si voltarono nella direzione indicata dal parrucchiere, dove la sagoma della villa svettava lontana.
“Io credevo fosse disabitata.” Sussurrò Ishizaki.
“È quello che Natureza voleva far credere. – rispose Roberto – Non avete idea del via vai che ci fosse lassù in certe giornate.”
Gli occhi di Genzo si assottigliarono, poi giunse l’esplosione:
“Stai dicendo che il bastardo che ci ha fatto questo dirigeva tutto il teatrino dalla mia villa? Appena mi capita a tiro lo strozzerò con le mie stesse mani!”
Sanae sapeva che difficilmente Wakabayashi minacciava a vuoto ed un brivido di angoscia le percorse la schiena.
“Genzo…” Sussurrò. Voleva farlo calmare, ma non sapeva bene cosa dirgli.
“Io vado lassù! Nessuno tocca Villa Wakabayashi senza il mio permesso!”
“Vengo con te! – Ryo si era scaldato a ruota dietro il compagno – andiamo a sistemare per le feste quello stronzo.”
“Rallenta Ishizaki.” La voce di Tsubasa era così calma, come se fosse diventato imperturbabile.
“Tsubasa ha ragione. – Roberto parlò di nuovo – Se conosco Natureza non se ne sarà rimasto lassù ad aspettare come un topo in trappola. Starà facendo di tutto per lasciare questo posto da vincitore, alle sue condizioni. Sa giocare parecchio sporco.”
Kojiro incrociò le braccia al petto e grugnì:
“Ce ne siamo accorti.”
Sanae ebbe come l’impressione che dietro le parole di Roberto si celasse molto di più di quanto l’uomo stesse dicendo, un pericolo maggiore di quanto tutti loro potessero immaginare. Del resto se era stato in grado di modificare le memorie a tutti loro e di portarli in quel posto sconosciuto chissà cos’altro sapeva fare. Si rese conto che stanarlo sarebbe stato pericoloso, avrebbero rischiato di perdere chi avevano appena ritrovato. Lei avrebbe potuto perdere Tsubasa, di nuovo. Non poteva sopportarlo.
Eppure anche lei aveva una gran voglia di vedere quel disgraziato, per usare un’espressione gentile, patire anche solo la metà di quello che aveva fatto subire a loro. Di certo non sarebbe venuto a consegnarsi di sua spontanea volontà, qualcuno doveva catturarlo.
Si sentiva in un vicolo cieco, qualsiasi decisione avrebbero preso avrebbe potuto andare male.
Ozora prese in mano di nuovo la situazione:
“Ci divideremo in gruppi: qualcuno salirà alla villa, qualcuno andrà anche al negozio, per precauzione, per controllare anche i posti scontati. Gli altri si organizzeranno a sorvegliare i confini della città. Dobbiamo fermare Natureza a tutti i costi!”
Un ruggito di approvazione esplose tra i ragazzi della Generazione d’oro.
Forse solo lei e le altre ragazze, Yukari e Yoshiko, non erano così convinte. Chissà che ne pensavano Yayoi o Kumi, oppure Maki. Le cercò con lo sguardo, ma non le trovò. Si rese conto che parecchie persone che erano intervenute al matrimonio non erano arrivate nella piazza.
Sfiorò delicatamente un braccio al marito.
“Tsubasa – gli disse – qui non ci sono tutti. Molti ancora mancano. Io cercherò di rintracciarli tutti.”
Tsubasa annuì.
“Sono stupito di non vedere Kitty: lei era sempre stata una sostenitrice della teoria della maledizione.”
“Lei sapeva di noi?”
“In un certo senso.”
Roberto sospirò di nuovo, guadagnandosi l’attenzione della coppia.
“Non so se rivedremo mai quella donna, Natureza voleva che fosse tolta di mezzo in maniera definitiva: la considerava pericolosa.”
La rabbia esplose nel petto di Sanae. Non bastava aver stravolto le vite di tutti, ora Natureza si dava anche all’omicidio? Che razza di persona era?
“Vi prego, prendetelo, gettatelo in prigione e buttate via la chiave!” Gridò, sentendosi sostenuta da un altro ruggito di approvazione dei ragazzi.
Genzo si mise davanti a Tsubasa, con piglio deciso:
“Io salgo alla villa: è casa mia e nessuno metterà più piede là dentro senza di me.”
Ozora annuì.
“Vai e portati qualcuno di fidato.”
“Stai attento, Natureza teneva dei prigionieri lassù, in una stanza segreta in cantina.”
Fu l’ultimo avvertimento di Roberto prima che Genzo risalisse in macchina seguito dai ragazzi della Shutetsu.
 
 
 
 
Genzo parcheggiò davanti all’ingresso della villa, sempre più disgustato. Mano a mano che si erano avvicinati il profilo di dell’abitazione era diventato più chiaro e familiare, riportandogli alla mente tutti i momenti trascorsi tra quelle mura con i genitori, con Mikami e con gli amici. Quel luogo era una sorta di tempio sacro per lui ed era stato profanato dal bastardo che aveva voluto rovinare le loro vite. Chissà poi perché. In fondo con Natureza si erano scontrati un’unica volta sul campo da calcio, nella finale del World Youth, era un avversario come tanti, non c’era stato nulla di personale nel loro scontrarsi. Non era possibile che avesse messo in piedi un simile teatrino solo perché aveva perso una partita, seppur importante. Cosa aveva, undici anni? Anche lui in passato non aveva preso bene le sconfitte od il subire un solo gol, ma erano fatti che risalivano a quando, appunto, era solo un ragazzino, anche piuttosto viziato, doveva ammetterlo. Ma poi era cresciuto.
Scese dall’auto stringendo i pugni con forza, al punto che le nocche sbiancarono.
“Capitano, tutto bene?” Mamoru accanto a lui era preoccupato.
“Come ti sentiresti se uno stronzo si installasse in casa tua?”
“Non bene, per questo ti ho chiesto.”
Wakabayashi annuì, era inutile mettersi a discutere con i vecchi amici, in fondo le intenzioni di Izawa erano state buone.
“Andiamo.”
Fece segno anche alla Silver Combi ed a Takasugi di seguirlo verso l’abitazione, salendo i gradini dell’ingresso. Senza troppa convinzione appoggiò una mano sulla maniglia e provò ad abbassarla. Con sua sorpresa la porta si aprì senza opporre resistenza.
“Dev’essere scappato proprio in fretta e furia per aver lasciato tutto spalancato.” Commentò alle sue spalle Hajime.
Genzo prese un sospiro ed entrò. L’ingresso ed il corridoio erano sempre uguali, eppure erano in qualche modo diversi. I suoi occhi si muovevano veloci a cercare tracce di contaminazione nel suo prezioso territorio, scorgendole nei dettagli e nei particolari, dalla sparizione delle foto di famiglia o di immagini significative, sostituite con qualcosa di molto più anonimo e vuoto. Tutto in quel posto aveva perso il suo calore familiare per diventare freddo ed asettico, come sospeso nel tempo e nello spazio. Temeva di scoprire cosa Natureza avesse fatto nelle altre stanze e negli altri ambienti.
Lo spirito pratico di Takasugi diede una scossa al gruppo:
“Da che parte cominciamo?”
“Roberto ha parlato di prigionieri in cantina, forse dovremmo cominciare da lì.” Propose Teppei. La rabbia salì di un ulteriore gradino in Wakabayashi: che casa sua venisse usata come prigione era un affronto senza precedenti, Natureza doveva solo pregare di non finire tra le sue mani.
Senza dire una parola si mosse in direzione della cantina e scese le scale. Il suo occhio esperto notò come la collezione di vini di suo padre si fosse ridotta di parecchie unità. Al parassita piaceva trattarsi bene. Sul fondo uno degli scaffali, quello che custodiva i vini preferiti del signor Wakabayashi era però rimasto ben fornito. L’istinto gli disse di dirigersi da quella parte. Sul pavimento c’erano parecchi segni di trascinamento: lo scaffale doveva essere stato spostato più volte.
“Shingo, dammi una mano con questo!” Chiamò l’amico, mentre da oltre la parete si udiva un lamento:
“C’è qualcuno? Aiuto!”
In due riuscirono a spostare il mobile con facilità.
Si trovarono di fronte una cella dove era incatenato un uomo che doveva essere lì da diversi giorni, se non addirittura settimane.
“Signor Brown?” Domandò Genzo sorpreso, a quanto ne sapeva lui il giornalista doveva aver lasciato la cittadina da un pezzo. Perché Natureza se l’era presa anche con qualcuno che non c’entrava nulla con il loro mondo? Forse aveva paura che il giornalista scoprisse qualcosa? Ma chi avrebbe mai potuto credere ad una storia incredibile come la loro? Lui stesso, che la stava vivendo, ancora pensava di essere nel bel mezzo di un incubo da cui si sarebbe dovuto svegliare.
“Wakabayashi, sei proprio tu? E Takasugi! Izawa! Grazie agli dei.”
Genzo sbatté le palpebre dubbioso:
“Ci conosciamo forse?”
L’uomo annuì vigorosamente.
“Sono Atsushi, Atsushi Nakazawa.”
Mamoru si avvicinò sgranando gli occhi:
“Il fratello di Nakazawa? L’ultima volta che ti ho visto eri ancora un soldo di cacio!”
“Tu invece sei sempre il solito presuntuoso. Non capirò mai come mia sorella possa trovare piacevole la compagnia di quelli come te.”
Genzo non aveva tempo da perdere con battibecchi da adolescenti e lo fece presente ai due che abbassarono la testa.
“Come sei finito prigioniero, Atsushi?” Chiese invece Shingo.
 “Ho messo il naso dove non dovevo: ancora prima che riacquistassi la memoria Natureza continuava a chiedermi cosa ricordassi o meno ed io con capivo che volesse. Ma che ne dite di togliermi le catene?”
Genzo sbuffò, guardandosi attorno. Non trovò chiavi nelle vicinanze e se Natureza le aveva nascoste da qualche parte nella villa avrebbero potuto cercare per giorni inutilmente.
“Taki, Kisugi. Andate a cercare qualcosa per liberarlo.” Gli ordinò.
“C’è un’altra cosa che dovreste sapere.” Disse Atsushi.
“Cosa?”
“Il bastardo teneva qui anche Kumi. Prima di andarsene l’ha stordita e l’ha portata con sé, non ho idea di cosa voglia farle.”
“Niente di buono – pensò Genzo – Decisamente niente di buono.”
Prese il cellulare per allertare gli altri dei nuovi sviluppi.






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Un po' in ritardo questa domenica, ma la famiglia ha preteso attenzioni e mi ha tenuto lontana dall'ultima revisione fino ad adesso.

Qui abbiamo il grande incontro tra quasi tutti i nostri ragazzi e come vediamo da Sanae le assenze non passano inosservate. Qualcuno avrà delle buone ragioni per non essere presente, qualcuno magari non è stato raggiunto.
Sul finale abbaimo anche la rivelazione del nome della misteriosa prigioniera che molti di voi hanno intutito. Del resto il cerchio si stava stringendo ed i nomi rimasti fuori tra i nostri eroi cominciavano a scarseggiare...
  
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