Anime & Manga > The promised neverland
Segui la storia  |       
Autore: New Moon Black    19/12/2020    1 recensioni
~{NoremmaMonth2020}~
[Tratto dal testo]
Il ragazzo non fece in tempo a completare la frase che, uno schiaffo ben sestato gli arrivò in piena faccia dalla sua interlocutrice, strattonandolo poi con forza dal colletto della sua camicia.
Faceva male.
Decisamente.
Ma quello che gli fece più male fu vedere le lacrime sul viso roseo della sua amata compagna d'avventure, intenta ad urlare ad alta voce tutta la sua rabbia, il suo dolore e la sua frustrazione.
Gli si spezzò il cuore.
Tutto questo era accaduto, solo, per colpa sua.
-"Tu non mi hai salvato da niente, Norman!
Ho vissuto, con questo dolore, ogni singolo giorno della mia vita e ti ho incolpato per aver anche solo pensato di sapere qual'era la cosa migliore per me... quando lo eri TU, stupido!"
---
Storia partecipante al contest "Norember" indetto da Standreamy!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emma, Norman
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Noremma-Atlas *Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole:
4.850
*Prompt: Strength

*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:

Profilo EFP (
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (
https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
*Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember              

Atlas’s Strength

 

 

-“Quanti minuti sono passati da quando è uscito dall’ufficio?”

Seduto sul divano di pelle scura, a sorseggiare una tazza di thé caldo, il corvino alzò lievemente lo sguardo verso l’orologio appeso al muro.

Segnavano le cinque in punto.

Una volta, le aveva confessato che odiava il ticchettio di quell’orologio quando capitava che si sentisse tesa e con il fascio di nervi al limite della sopportazione, e più volte aveva avuto il forte impulso di distruggerlo con le sue stesse mani.
Menomale che aveva avuto il pensiero di smontarlo e cambiare qualche meccanismo dell’orologio, cosicché non facesse più quel ticchettio costante e fastidioso.

-“Venti minuti contati.”

Seguì poi con lo sguardo la figura irrequieta della sua amica, che non la smetteva di mordersi frequentemente il labbro inferiore e a rigirarsi tra le mani il ciondolo dorato a forma di un occhio, donatagli dalla sua amica demone Mujika, usandolo come antistress.
Le parve pure di sentirla sussurrare, di sfuggita, fra sé e sé alternando varie frasi; alcune la facevano allarmare fino sbattere più volte le ciglia e scuotere la testa contrariata per chissà cosa, mentre le altre la facevano semplicemente serrare la mascella in una piccola smorfia infastidita prendendo poi vari respiri profondi.

“E se non dovesse tornare in tempo?”
“E se lui non avesse alcuna intenzione di ascoltarmi?”
“E se decidesse di cambiare strategia, nonostante avessimo stipulato un accordo?”

Per Ray, era insolito vederla in quello stato.

Emma non è mai stata una persona ansiosa o paranoica, eppure era chiaro come il sole che, in quel momento, non riusciva ad essere positiva come al suo solito.

Era lì, che con passi svelti camminava avanti ed indietro dentro lo studio di Norman, le mani intrecciate come in segno di preghiera e un’espressione pensierosa fino a farle corrugare la fronte.
La giovine era talmente in sovrappensiero e concentrata a parlare tra se’ e se’ che non sentì la sua voce quando provò a chiamarla.

Sospirò, seccato da quella strana situazione in cui si era ritrovato involontariamente.
Imprecò mentalmente ad un certo migliore amico, di lunga data, che pur di far avverare i desideri più folli della ragazza che le piaceva, si sarebbe spezzato l’osso del collo pur di riuscirci.
Non lo diceva spesso, ma il corvino ha sempre pensato che quando si trattava di proteggere la propria famiglia, certe volte, i suoi amici davano di matto.
Senza preoccuparsi dei rischi o di qualche imprevisto, Emma e Norman erano capaci di tutto per raggiungere il loro obbiettivo, arrivando persino ad usare ogni mezzo possibile ed inimmaginabile.
In veste di fratello e migliore amico di entrambi i ragazzi, lui doveva fare qualcosa.

Doveva agire.

Posando la tazza ormai vuota, si alzò con decisione dal divano e arrivando proprio davanti alla sua interlocutrice, le diede un bel pugno sopra la sua testa distraendola da pensieri poco piacevoli.

-“Hey, scema se non te ne fossi accorta, starei cercando di parlarti.”

Sussultando per il colpo appena ricevuto alla nuca, Emma si lasciò scappare un gemito di dolore fra le labbra, esclamando un sonoro “ahia” massaggiandosi cauta sul capo, il suo punto più dolente.
Ovviamente, non prima di aver lanciato un’occhiataccia ostile al corvino lamentandosi di quanto, certe volte, avesse la mano pesante.

Alzò la voce di un’ottava, indicandosi poi l’indice la botta subita alla testa.

-“Mi hai fatto male, miseriaccia!
Ma che ti salta in mente di colpirmi in quel modo!?”

-“Oh, domando perdono per avervi disturbata nel vostro sonno di bellezza.
Ma non ho potuto fare a meno di notare, Vostra Altezza, quanto sembravate buffa con quell’espressione da ebete.”

Di tutta risposta, lei ringhiò mostrando i denti, piccoli ma bianchissimi, come per intimorirlo dal suo sguardo truce.
Serrò poi le iridi verdi al suo interlocutore, chiaramente infastidita dal tono saccente e sarcastico.

Antipatico, pensò lei.

Saettando lo sguardo verso l’orologio appeso al muro, proprio dietro di lei, girò lentamente la schiena fino a quando non ebbe una visuale migliore nel suo campo visivo.
Si morse nuovamente il labbro inferiore.

Cinque e un quarto.

Sarebbe dovuto tornare indietro molte ore fa, da loro due, ma non si era presentato all’appuntamento stabilito.
Non andava affatto bene.
Doveva ancora parlargli di cosa aveva scoperto nella Foresta Promessa, prima di arrivare con Ray e gli altri ragazzi di Grace Field e Goldy Pond alla base operativa “La Mascella del Leone”, grazie all’aiuto di Jin e Hayato.
Doveva, assolutamente, persuadere l’albino a non attuare il suo folle piano:  un genocidio di massa sia all’intera comunità dei Demoni, la Famiglia Reale e al Clan Ratri, sebbene non nutrisse una buona simpatia per loro.
Voleva proteggere Mujika e Sonju a tutti i costi, visto che a loro doveva tutto: li avevano salvati da morte certa da altri mostri famelici, senza avere secondi fini, gli avevano insegnato le varie tecniche di sopravvivenza ed a cacciare autonomamente e, cosa più importante, li avevano trattati come dei veri esseri umani; stringendo così un insolito legame.
La ragazza era talmente grata e riconoscente di quell’amicizia che, finalmente, aveva trovato nuovamente la speranza di poter andare avanti.

La speranza di poter vivere appieno il “domani”, con la sua famiglia, senza paura.

Emma doveva lottare con tutte le sue forze, per poter realizzare quel suo sogno impossibile conscia che, presto, avrebbe corso vari rischi.
Pensò a Mujika.
Se lei, il Demone del Sangue Maledetto, poteva forgiare la nuova Promessa alla Famiglia Reale e alla comunità stessa, significava una sola cosa: libertà.
Se Mujika avrebbe guidato tutti i Demoni ad una nuova “Era”, maggiori erano le possibilità di poter bandire, una volta per tutte, l’allevamento dei bambini bestiame nelle Fattorie.

Niente più morti.
Niente più guerre.
Niente più sacrifici.

“Devo giocarmi il tutto per tutto.”

Ripensò alle parole del ragazzo albino quando, nel cuore della notte e in stato di dormiveglia, era appoggiata sulla sua spalla ignaro che potesse sentirla.

“Emma, perdonami per quello che sto per fare…
Ma non voglio perderti, di nuovo.”

Prima di andarsene con Vincent a discutere privatamente di altre questioni, le aveva promesso che avrebbero parlato meglio del piano, visto quanto ci teneva la sua opinione e quella di Ray.
Eppure stava tardando a ritornare nel suo studio.

Per quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per rivederlo?

Abbassò lievemente la testa, dirigendosi con passi lenti e strascicanti fino al divano dove ci sedette sopra a peso morto, sprofondando man mano nei cuscinetti di pelle.
Sospirò.
C’era un’altra faccenda che aveva lasciato in sospeso e che non poteva in alcun modo ignorarla: doveva salvare il loro legame e la promessa di quel lontano 21 Aprile di tre/quattro anni fa.

“Norman…”

Sapeva bene quanto male avessero causato quei esseri malvagi alla loro famiglia, quante anime innocenti sono state strappate via ai loro cari  per poi essere spediti nell’aldilà e quanti orrori avesse visto gli occhi di Norman al stabilimento sperimentale Lambda 7214.
Eppure, non poteva assolutamente starsene con le mani in mano e fingere di “non vedere” come stavano davvero i fatti.
Conosceva l’albino quanto il palmo della sua mano e sapeva, perfettamente, che nascondere le sue emozioni per proteggere il prossimo e farsi forza con le sue gambe, lo avrebbero portato a brutte conseguenze.
Immaginava vari scenari in cui il ragazzo fosse coinvolto ed erano uno più sconcertante dell’altro.
L’ipotesi peggiore era vederlo trascinato in un baratro senza fondo: qualsiasi sua mossa, un passo falso o un solo movimento incerto, lui sarebbe caduto giù.

Proprio lì.
Nelle viscere dell’abisso.

Le venne in mente un altro spiacevole scenario, che la portò non solo a darsi i pizzichi alla pancia, ma anche a preoccuparsi ulteriormente per la sua sorte.
Come il Titano Atlante, secondo alcuni miti antichi, Norman stava sostenendo sulle spalle tutto il peso del mondo, facendo affidamento sulle sue forze; tuttavia, lei sapeva bene che presto o tardi, quel macigno lo avrebbe distrutto.

Letteralmente.

Certo, era un pensiero nobile e giusto voler costruire un mondo migliore per poter vivere tutti, insieme, senza che venissero etichettati come cibo o carne da macello; eppure, Emma non poteva fare a meno di pensare che il ragazzo si stesse assumendo troppe responsabilità, facendo così che il peso sulle sue spalle si aggravasse drasticamente.

Le iridi verdi persero poco a poco il loro tipico luccichio, divenendo man mano sempre più scuri e tristi.

“Cosa ti sta succedendo, Norman?”

Non poté fare a meno di pensare quanto fosse cresciuto fuori e, tristemente, quanto fosse cambiato dentro, in quei due/tre anni.

Perché provare un astio così profondo e viscerale per i Demoni, arrivando addirittura a programmare ed attuare varie strategie di sterminio?
Perché riservare lo stesso trattamento anche alle altre forme di vita che, per molto tempo, sono state innocue?
Perché arrivare a tanto?

Non riusciva a spiegarselo e più cercava di capire le sue intenzioni, più il suo lato pacifista e genuino continuava a non approvare le sue scelte.
Emma si sentiva non poco bene sapendo che, nonostante si stesse comportando in maniera fredda e cinica, l’albino stesse soffrendo, in silenzio, i suoi demoni interiori.

Le spezzava il cuore.

Aveva pianto per due/tre anni alla sua spedizione, credendolo morto, e per via di quell’episodio la rossa rimaneva sveglia durante la notte.
Più di un’occasione.
Quando si accertava di essere sola, in quei momenti di puro sconforto, si lasciava andare in un pianto disperato e muto.
Tra se’ e se’ pensava: cosa sarebbe successo, se le cose fossero andate diversamente?
Magari avesse avuto una macchina del tempo per cancellare, per sempre, quel momento doloroso quanto opprimente.
Avrebbe smesso di darsi costantemente la colpa per non averlo protetto abbastanza e di essersi lasciata sopraffare dalla sua più grande debolezza.

Strinse i pugni.

Però, lei non era più debole quando era a Grace Field.
No, Emma è diventata molto più forte di prima.
Ora sapeva che era vivo ed era riuscito a scappare dalla sua prigione, questo significava una sola cosa: aveva ancora una possibilità.

Aveva ancora un’occasione con Norman e, questa volta, non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.

“Sono forte abbastanza da potergli guardare le spalle e, dora in avanti, lui non dovrà più avere il pensiero di proteggermi… da chissà quale pericolo.
Non posso perderlo di nuovo…”

Era una promessa, sia a lui che a se stessa.

Sotto lo sguardo incredulo del corvino, si mise a giocherellare con i fermagli per capelli che aveva tra le dita, sciogliendo così l’intreccio intricato delle varie ciocche rosse.
Non lo faceva mai, se non quando c’era qualcosa che la turbasse nel profondo della sua anima.

-“Che ti succede, Emma?”

Persa nei suoi pensieri, Emma intrecciò con le dita sottili una ciocca fino a creare un arriccio, era in tensione come la corda di un violino, quando la lasciò scivolare su di se’, le solleticò leggermente il viso roseo e stanco e le ciglia scure.
I suoi capelli avevano avuto una ricrescita spaventosa, a tal punto che erano lunghi abbastanza da poterli alzare in un codino, non troppo alto visto quant’erano scalati,  ma aveva modo di tenerli a bada.
Assomigliavano tanto alla criniera di un leone, belli vaporosi quanto ribelli, ed era di un bel rosso fiammeggiante da avere varie sfumature; rosso nelle radici, arancio sopra le ciocche e alle punte e gialle tra i punti luce.
Pur di non guardare Ray faccia a faccia, le iridi verdi guardavano di sottecchi le sue dita che intrecciavano invano la ciocca rossa e fluente.

-“N-Non è niente, tranquillo.”

Gli rispose così, a bruciapelo, ma non smise di torturarsi tra le dita sia i fermagli che le ciocche dei suoi capelli.

Sei poco credibile, pensò lei.

Percepì una leggera fitta all’orecchio cicatrizzato, cercò di non darlo a vedere all’amico ma si tradì non appena sentì un brivido proprio all’altezza dell’intero padiglione sinistro, segno che la stava avvertendo del cambio di temperatura all’esterno. 
Bofonchiò un “maledizione” a denti stretti, stringendosi le nocche fino a sbiancarle, desiderando ardentemente che l’albino piombasse all’instante nel suo ufficio, solo per poterlo vedere.

-“Non ti credo, sai?
È più che palese che c’è qualcosa che non va.”

Non si accorse della presenza del corvino che, con passi felpati, la raggiunse sul divano sedendosi poi con la schiena dritta e poggiando le mani alle ginocchia, come se si stesse preparando psicologicamente a una qualsiasi sua uscita “inaspettata”.
Le sue iridi cangianti osservavano silenti e curiosi la figura minuta di Emma che, nel mentre, si massaggiava con i polpastrelli il dorso della sua mano destra.
Le venne un brivido dietro la schiena.

-“Eh?”

Inclinò leggermente la testa, facendo oscillare le ciocche che precedentemente nascondevano l’orecchio cicatrizzato, ora esposte alla luce.
Le pizzicavano le ciglia e, una buona parte, il viso; poteva sentire, anche se lieve, il profumo dello shampoo che aveva usato qualche giorno fa.

Sapeva di fiori di campo.

Non provava fastidio ritrovarsi con i capelli davanti la sua visuale, nemmeno della lunghezza, visto che alcune volte li usava come una coperta; per proteggersi dai sbuffi di vento improvvisi e il freddo secco di fine autunno.
Tuttavia, doveva trovare seriamente qualche trucco per poter trattare meglio i suoi capelli, visto che non ci teneva sia a sperimentare altre acconciature “poco” pratiche e farsi trattare da cavia per le assurde idee di stile della cara Gilda.

Voleva un gran bene alla sua amica, ma certe volte sapeva essere “troppo” esasperante in fatto di moda.

Sospirò nuovamente.
Ogni volta che si toccava la cicatrice, provava un senso di disagio mostrare quella ferita deturpata, così, davanti a qualcuno; ma in presenza di Ray, non aveva alcun timore, anche perché insieme ad Anna si erano occupati di lei dopo la fuga dall’orfanotrofio.

-“Di che parli?”

-“Non fare la finta tonta con me.
È da quando siamo nello studio di Norman che continui ad avere degli sbalzi d’umore repentini, in più ti metti a sospirare con la vista annebbiata… mi fai venire i brividi.”

Lo guardò accigliata.
Delicato come sempre, eh Ray?

-“Non sei divertente.”

Il sorriso sardonico di Ray fece capolino fra le labbra sottili non appena vide una smorfia infastidita deformando in maniera infantile le labbra, la fronte e le sopraciglia della ragazza.
Aveva un’idea di cosa si stesse crucciando così intensamente la sua amica d’infanzia.

-“Ma non stai negando la cosa, no?”

Di tutta risposta, la rossa sospirò.
Bingo, pensò lui.

Pur parlando vagamente, incespicando con le parole e fermarsi nel bel mezzo del discorso per poi rabbuiarsi di colpo, le aveva confermato una buona parte i suoi sospetti: Emma aveva un problema con le cosiddette “questioni di cuore”.
All’inizio dubitava fortemente di quell’ipotesi, visto che la vedeva poco interessata su quell’argomento, tuttavia il corvino dovette ricredersi visti gli ultimi episodi successi al Rifugio.
Le poche volte in cui guardava la rossa di sottecchi, aveva l’aria che stesse nascondendo qualcosa, cercando invano di comportarsi normalmente davanti agli altri ragazzi con il sorriso.
Specialmente, in presenza di Norman.

La prima cosa che notò in lei fu il suo sguardo.

I suoi occhi verdi e brillanti guardavano sempre intensamente, se non ammaliati, la figura slanciata dell’albino accompagnato poi dal suo portamento elegante, l’espressione concentrata e silente quando compilava alcune scartoffie d’ufficio e le iridi azzurre saettare freneticamente da un documento all’altro.
S’incantava così facilmente che, spesso, sembrava di stare tra le nuvole e quando Norman o lui stesso cercavano di farla ritornare con i piedi per terra, un attimo prima sbiancava di colpo per lo shock e, quello dopo, la sua pelle diventava un tutt’uno con i suoi capelli rossi, incespicando con le parole.
Gli capitò di vederla da lontano mentre lo spiava, di nascosto, mentre lavorava alla scrivania.
Alcune volte, sfruttava il suo tempo libero davanti alla sua porta, senza farsi scoprire, indecisa se entrare o meno per salutarlo.
Quando Emma guardava negli occhi il loro migliore amico, lo faceva con la stessa intensità in cui l’altro vegliava, silenzioso e discreto, quest’ultima da tempo immemore, come se dipendesse dalla sua stessa vita.
Come se fosse caduta vittima di un sortilegio a cui non poteva sottrarsi.
Pensò che fosse solo una mera coincidenza.  

La seconda cosa che notò in lei furono i suoi sbalzi d’umore, che lo fecero stare in stato di allerta.

C’erano giorni in cui,  nonostante si mostrasse sempre energica e positiva, la ragazza si sentisse particolarmente sensibile sognando chissà cosa ad occhi aperti; poi, c’erano momenti in cui cadeva preda a varie crisi di pianto isterico e, se Gilda e Anna non erano al suo fianco, non riusciva a reggersi in piedi.
E quelli ancora, se la ragazza si svegliava con l’umore sottoterra e non aveva alcuna intenzione d’iniziare una conversazione, attaccava chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione, senza fare nessuna distinzione, mostrando un lato di se stessa da far lasciare a bocca aperta tutti quanti.

Irascibile.
Intrattabile.

Erano pochi i momenti in cui lei si lasciasse così tanto andare, addirittura a sputare varie imprecazioni colorite, ma era davvero inusuale vedere la sua positività e il suo innato altruismo frantumarsi in mille pezzi, con una facilità disarmante.

Chi l’avrebbe mai detto che, anche la sua amica d’infanzia,  potesse tirare fuori gli artigli?

Ora che ci pensava, ultimamente la rossa aveva un’aria decisamente tesa quando andavano a visitare Norman: era poco propensa a parlargli del perché fosse così agitata e nervosa; più di una volta, liquidava la questione con scuse strategiche, del tipo “non ho niente che non va, sarà l’ansia da prestazione” oppure “è normale se, durante una missione, sono nervosa”.
C’era stata un’occasione in cui Violet, Paula e Gillian, avevano preso da parte la rossa per un cosiddetto “scambio di opinioni” su alcune faccende personali, ma per  Ray si traduceva in una sola cosa: una “chiacchierata tra ragazze”.

All’inizio  era un po’ sospettoso nei loro confronti, ma finì nell’ignorarle completamente; pensando che forse le faceva bene stare con le altre ragazze e, magari, allargare i suoi orizzonti.
Era una bella giornata di sole nel Paradiso dei Bambini e non poté fare a meno di sorridere distrattamente per la pace che regnava in quel luogo, lontano da occhi nemici.
Ricordava che lui era nel cortile, insieme a Don e Nat, a vegliare da bravo fratello maggiore ai bambini che giocavano fuori; mentre gli altri due ragazzi partecipavano attivamente alle loro attività, Ray teneva d’occhio a Jemima, Chris, Yvette e Christie che giocavano a campana.
Sembrava tutto tranquillo, come quando vivevano allegramente a Grace Field, ignari di tutto; come se intorno a loro governasse una sorta di “calma piatta”.

Ma avvertì un campanello d’allarme non appena sentì un urlo.

Era una voce femminile, a lui fin troppo familiare, provenire dal lato Nord del cortile e come scattò sull’attenti, vide da lontano il ciuffo rosso, sempre ribelle, di Emma.
Urlava qualcosa a quelle tre ragazze di Goldy Pond, agitando la testa e le braccia in maniera scomposta, come posseduta da chissà quale spirito.

Qui si mette male, pensò lui.

Non potendo leggere bene il suo labiale da lontano, non aveva modo di comprendere cosa stesse dicendo, ma dato le sue urla e il fatto che stesse andando letteralmente in escandescenza, non era un buon segno.

Per niente.

Qualunque cosa avessero detto quelle ragazze ad Emma, non solo avevano scombussolato negativamente i suoi sentimenti, ma avevano inconsciamente innescato una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere in qualsiasi momento.

“Ho una sorta di déjà vu…”

Non capì come si accese quella che doveva essere una “chiacchierata pacifica”, ma era certo che se non fossero intervenuti  Don, Nat e lui stesso a dividerle, come minimo la rissa avrebbe preso una brutta piega.
Da un lato c’era Violet in ginocchio, che prendeva fiato, ed era assistita dal moro mentre dall’altro, Paula e Nat tenevano Gillian su una spalla; a parte qualche bernoccolo, non sembravano messe male.

Peccato che non poteva dire lo stesso con le altre due.

Emma aveva i capelli tutti arruffati, qualche strappo tra i vestiti e un paio di lividi sul viso e alle braccia; aveva giurato di aver intravisto una goccia di sangue fuoriuscire dal naso, ma i suoi capelli coprivano una buona parte la sua faccia.
Violet, che si alzò lentamente da terra ignorando l’aiuto di Don, aveva le stesse ferite che aveva la sua amica, con le uniche eccezioni della presenza di qualche bernoccolo, un livido intorno all’occhio destro e il plasma che colava copiosamente dal naso piccolo; assottigliò le palpebre in due fessure e, nonostante provasse dolore, non smise di guardare torva la sua avversaria.
Aveva l’intento di suonargliene, nuovamente, di santa ragione ma con l’arrivo di Oliver e Hayato dovette fermarsi e venire mandata in infermeria assieme a Gillian e Paula.

Dopo quell’episodio, le ragazze non avevano più detto una parola.
Nemmeno una.
Persino Emma fece il voto del silenzio.

Ci vollero molte settimane più tardi a farle convincere che, invece di azzuffarsi come cane e gatto, dovevano riappacificarsi, decidere chi doveva fare il grande passo e suggellare, finalmente, il tanto ed agognato patto di pace.
Non ebbe la possibilità di poter capire appieno tutta la versione dei fatti da entrambe le parti, visto quanto ci tenevano a mantenere il segreto; tuttavia, se ne dimenticò quasi subito non appena la rossa le fece una confessione inaspettata.
Ammise, con il cuore aperto, che la sua più grande debolezza era Norman e, con lui, ogni parte di se stesso: i suoi occhi azzurri e brillanti, il suo sorriso morbido e caldo e il tepore delle sue mani.

Lui era sempre stato il suo punto debole, ma per lei era anche la sua forza.  

Quando era al suo fianco, si sentiva forte, energica e determinata come non mai, ma nel momento in cui credette di aver perso per sempre Norman, si sentì per la prima volta persa.

Debole.
Incapace.

“Ha sempre nascosto le sue emozioni, per mostrarsi forte davanti ai miei occhi… e darebbe tutto se stesso pur di proteggermi.
È come se lui possedesse una maledizione, che lo porta a sostenere un peso abnorme sulle sue spalle; pur rimanendo in piedi soprafatto dal dolore, lui resiste… non perché può  farcela, ma perché deve  farlo.
Non permetterò che Norman si sacrifichi nuovamente per il mio bene, e se sarà necessario, sopporterò anch’io quel peso sulle spalle.
Lui… Io non… è una cosa che non posso accettarlo!”

Possibile che avesse iniziato a capire di provare qualcosa per lui?
I suoi occhi guardavano, per davvero, l’albino oltre il “semplice affetto fraterno”?    

Rimase stupito quando lo paragonò ad Atlante, il Titano ribelle che, per punizione di Zeus il Re degli Dei, doveva scontare la pena di sostenere il Cielo e la Terra con le sue braccia.
Pur conoscendolo da tanto tempo, era la prima volta che vedeva Norman sotto un’altra prospettiva.
Guardò Emma dritto negli occhi, senza lasciar trasparire nessun’emozione dalla sua espressione seria e composta.
Nonostante fosse convinto di quella teoria, il corvino non aveva alcuna prova per dimostrarne la veridicità, complice il suo silenzio riguardo quell’argomento.

Non aveva scelta se non di rischiare.

Ray doveva far “ruggire” nuovamente l’impavida leonessa.

-“Non potresti capire… è abbastanza complicato da spiegare.
Io… e-ecco, persino io faccio fatica a capir-”

-“Ti sbagli.
Ho capito tutto, ma era chiaro fin dal principio.”

Chissà, pensò lui, magari sarebbe riuscito a farle estorcere qualche informazione “interessante”.

-“Eh? Che vorresti dire?”

-“Noi tre abbiamo vissuto nell’orfanotrofio da tantissimo tempo e, mentre cercavo di salvarvi la vita dalla mamma e da quei mostri…
Ecco, mi rendo conto solo adesso, di non aver calcolato l’eventualità che tu…”

-“Mhm?”

Lui rimase in silenzio giusto per qualche minuto, guardando di sottecchi la rossa che aspettava, paziente, di poter seguire il racconto senza intoppi.
Ebbe un flashback di loro tre da bambini che leggevano di nascosto, nel cuore della notte, un libro di fiabe con solo una lanterna consumata e una coperta a proteggerli dal buio e dal freddo.
Sebbene gli sfuggì di mente il titolo di quel libro, ricordava perfettamente come Norman ed Emma pendevano dalle sue labbra, desiderosi che lui continuasse a raccontare la storia e scoprire come il cavaliere e il principe avevano unito le loro forze, grazie anche alla loro solida amicizia, per poter spezzare il maleficio di uno stregone nel loro regno.
Costretti a vagare in eterno nel mondo dei sogni, per aver distrutto una clessidra dai poteri straordinari in una rovina antica, i due giovani non sarebbero mai più ritornati nel loro presente; e le loro amate, la principessa di un altro regno e la sua dama di corte, che avevano provato invano a salvarli, erano cadute vittime di un altro maleficio: ogni volta che toccavano lo specchio dell’acqua durante un plenilunio, si trasformavano in dei cigni, bianchi e candidi come la neve.

Nonostante non nutrisse un gran interesse per i romanzi di fantasia, Ray aveva sempre provato una sorta di ammirazione nello spirito combattivo e fiero del nobile cavaliere, ma anche della sua virilità e umanità; tanto da ritrovarsi in lui in certi momenti.

-“Norman è proprio cresciuto in questi anni, sembra il principe di quella fiaba che leggemmo insieme tempo fa… sai, quella dove parlava della nobile amicizia tra lui e il cavaliere.”

Lei lo ascoltò mentre tentava di rifarsi la treccia al lato dell’orecchio amputato, tuttavia non nascose la sua incertezza davanti al suo interlocutore.

Perché aveva tirato fuori, proprio adesso, un vecchio ricordo ai tempi di Grace Field?
Arcuò un sopraciglio dubbiosa.

-“Ad ogni modo, è perfettamente normale che tu provi queste cose... anche se ne dubitavo.”

Sobbalzò sul posto, facendo cadere i fermagli colorati che aveva precedentemente con se’ in un tintinnio sordo, sgranò gli occhi sorpresa.
Una delle punte dei capelli più lunghi gli finì tra le labbra, tremando debolmente, e il viso cominciò ad imporporarsi sempre di più non appena si palesò l’immagine del sorriso candido dell’albino nella sua mente;  viaggiava ad una velocità inimmaginabile che per un attimo temette di dimenticarsi come si respirasse.
Aveva il forte impulso di coprirsi la faccia con entrambe le mani, cercando di nascondere il suo crescente rossore, ma si bloccò non appena s’immaginò Norman indossare gli abiti del nobile principe della fiaba; che per puro caso del destino, erano simili a quelli che aveva indossato al giorno del suo undicesimo compleanno.

Dire che fosse rossa come un pomodoro era decisamente un eufemismo.

Era talmente occupata a sognare ad occhi aperti da non notare il piccolo sorriso del corvino.
Ma guarda un po’ cos’ho scoperto oggi, pensò lui.
Si era intenerito all’idea che Emma, la stessa bambina sempre energica e piena di vita che tifava per il lieto fine dei due protagonisti, stava affrontando la più grande battaglia della sua vita, non considerando però la cotta che aveva per Norman.

“Ti ho sottovalutata, Emma.”

Ai suoi occhi, la ragazza si era infatuata di un Icaro, non avendo la benché minima idea di quanto era disposto a spezzarsi l’osso del collo solo per lei.
Eppure vedeva la forza virile e la tristezza malinconica di Atlante, condannato a soffrire in silenzio a sopportare tutto il peso del mondo.
Da solo.

Era proprio vero che, quando si è innamorati, le persone possono fare cose pazze.

Gli venne in mente le parole di Norman, o come chiamava lui, Icaro il Folle.

“Sarà anche la mia debolezza, ma Emma rappresenta la mia forza.”

Si fece forza con le ginocchia e alzandosi dal divano, prima scostò dolcemente i suoi capelli rossi da bravo fratello maggiore qual’era, fino a quando non li scombinò energicamente.
Quest’ultima si riprese, quasi subito, dal suo stato di trance e accigliata, tentò di tenerlo fermo; anche se con scarso successo, visto quanto fosse diventato forte.

-“H-Hey, ma insomma, Ray! 
Così mi fai male, maledizione!”

Ridacchiò divertito quando cercò di sistemarsi i capelli in maniera presentabile, anche se non poteva domare al meglio la sua chioma arruffata e vaporosa.
La rossa inarcò le sopraciglia, ancora più confusa di prima.

-“Allora, cosa farai con il principe Atlante?
Userai un approccio diretto come solo tu sai fare o hai in serbo una strategia?”

-“M-Ma di cosa stai parlando!? 
Cosa centra Siegfried con Norman?”

Lei si affrettò a raccogliere con fretta e furia i suoi fermagli per poi stringerli, arrossendo vistosamente alle gote andando  fino all’orecchio sano.
Presa da un attacco di nervosismo, scattò in piedi sferrando un paio di pugni al diretto interessato, solo che il corvino le tenne la testa con una mano; così che  lei colpisse semplicemente l’aria.
Come sentì le sue grasse risate echeggiare per tutto lo studio, avvampò nuovamente sentendo già il sangue andargli alla testa.

-“RAY, SE FAI ANCORA LO STRONZO GIURO CHE TI PRENDO A CALCI!”

-“Ohhh, la piccola leonessa sta spalancando le sue fauci perché ho nominato il suo adorato principe azzurro.”

Di tutta risposta lei digrignò i denti, più che furiosa, assottigliando le iridi verdi in due fessure, proprio come quelli di un felino.

-“Lo sai che così potrei prenderti in giro fino alla morte, vero?”

Proprio in quel preciso istante, la porta dello studio si aprì rivelando la figura slanciata di Norman che, spingendo con la schiena all’indietro, entrò dentro chiudendola poi alle sue spalle.
I due ragazzi erano talmente concentrati ad azzuffarsi come gatto e topo da non notare la sua presenza.

-“Scusate il ritardo, ragazzi. Vincent m-”

-“ORA TI PRENDO!”

-“Uhhh, sto tremando di paura.”

 

 

 

Angolo dell'autor*:

Avrei voluto aggiornarlo prima, ma come si è visto, arrivo sempre in ritardo e temo che sarà così fino alla fine della raccolta.
Chissà quando potrò farlo correggere ulteriormente dalla mia Beta-
Considerate l'aggiornamento della raccolta Noremma come regalo di Natale e se ce la farò mai ad aggiornare anche più avanti, tipo prima della fine dell'anno, dipenderà dalla mia velocità(?)
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la raccolta, perciò ritorno a spaccarmi  la schiena come mio solito... se vi è piaciuto e volete esprimere la vostra gioia, per favore lasciate un commento, anche una critica costruttiva.
(Purchè sia costruita bene)
Intanto, vi auguro buona lettura e, in anticipo, Buon Natale!
Con affetto,
Artemìs

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > The promised neverland / Vai alla pagina dell'autore: New Moon Black