Anime & Manga > Violet Evergarden
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Autore: LatazzadiTea    22/01/2021    7 recensioni
Dal testo: Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Hodgins, Dietfried Bougainvillea, Gilbert Bougainvillea, Violet Evergarden
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'auto di rappresentanza fornita dall'esercito, si era fermata in un vecchissimo sobborgo di Leiden, dove le vie erano ancora illuminate a gas. Violet non ricordava di esserci stata nemmeno per consegnare la posta, ma era lì che Gilbert aveva vissuto ogni volta che tornava in città.

Aveva fatto la spola dall'isola dove si nascondeva abitualmente a quel quartiere, dove le strade fatte di ciottoli logorati dal tempo e dall'intenso calpestio dei carri, si intersecavano fra loro creando labirintici vicoli fra le case fatiscenti. Viuzze talmente strette e buie da sembrare infinite a un forestiero o un visitatore inesperto: il luogo ideale dove far perdere le proprie tracce in caso di pericolo. Inquietante e tenebroso, ben lontano dalle grandi vie illuminate e piene di negozi del centro o della più modesta ma ugualmente ricca periferia, anche se, per per molti versi, stranamente familiare.

Violet sentì un brivido percorrerle la schiena scoperta, portandola a stringersi più forte a Gilbert che, per tutta risposta, si tolse premurosamente il cappotto per metterglielo sulle spalle.

"Hai freddo?", le chiese Gilbert.

"No, non più.", rispose Violet, inalando il suo odore dal tessuto.

"Meglio così: vieni, ancora due passi e siamo arrivati.", l'avvertì lui.

Violet alzò lo sguardo lucido e carico d'emozione, ritrovandosi davanti uno spettacolare luccichio di lanterne colorate. Ci aveva messo un attimo a mettere a fuoco, accorgendosi quasi subito di quanto quei colori inondassero di luce l'incredibile piazzale al centro del quartiere. Ma ciò che più la sorprese fu la presenza di tantissime bancarelle, per non parlare del profumo dei dolci e del pane appena sfornato che aleggiava nell'aria solleticando l'immaginazione e l'appetito. Violet si soffermò ad ammirare tutto il contesto, provando un'emozione fortissima mentre faceva attenzione allo strano abbigliamento della tanta gente che a quell'ora ancora riempiva le strade. Fu un attimo, ma quando realizzò che quel particolare modo di vestire apparteneva senza ombra di dubbio agli abitanti di Intens - città che durante la guerra era stata liberata dopo tre anni di assedio da parte dell'impero Gardarik - ebbe un tuffo al cuore.

A quel punto i ricordi si fecero improvvisamente più intensi e vividi, ritornando al giorno in cui lei e il Maggiore avevano passeggiato lungo le vie di quel luogo lontano. Violet s'avvicinò a una di quelle bancarelle trattenendo il respiro, sentendo una lacrima scivolarle spontaneamente lungo il viso mentre il cuore le sobbalzava nel petto. Non avrebbe saputo dire se fosse lo stesso banchetto dove aveva comprato la sua amata spilla di smeraldo; nemmeno l'anziana venditrice pareva la stessa, eppure, tutto intorno a lei le rimembrava quel momento. Violet s'intenerì pensando a quell'ufficiale e a quella bambina soldato: le persone che erano state, quando lui era ancora il suo superiore e lei la sua arma, non esistevano più.

La ragazzina di allora non avrebbe mai compreso lo strazio dell'uomo che la precedeva lungo quella strada affollata di persone. Quella sera Gilbert si era fermato molte volte ad aspettarla, voltandosi spesso verso di lei per accertarsi che fosse ancora lì, a qualche passo da lui. Quella Violet non si sarebbe mai allontanata, non avrebbe mai e poi mai lasciato il suo Maggiore sebbene solo adesso capisse perché, nonostante la sua posizione di netta superiorità, lui si voltasse a cercarla. Le bastava fissarlo nell'unico occhio che gli era rimasto per rivedere lo stesso imbarazzo: la vergogna che Gilbert aveva provato per se stesso era identica al dolore che leggeva ora nel suo sguardo. Un dolore che voleva uscire ma restava intrappolato come era un grido soffocato, ricacciato a forza nella gola. Un suono inudibile, come la verità che Gilbert aveva custodito così a lungo in fondo al cuore, da sentirla pungere nel petto. Straziante, come gli artigli di una bestia che raschiava le profondità della sua anima per uscire.

Durante quegli anni Violet aveva sognato spesso quell'episodio, solo che nei suoi incubi, lui scompariva sempre tra la folla. La perdita e l'assoluta ignoranza del come o del perché, nella ricerca incessante e il continuo domandarsi dove fosse, se stesse soffrendo o fosse infelice, era stata questa la sua condanna. Il sentimento angoscioso che l'aveva accompagnata ogni giorno al risveglio, dopo infinite notti passate a piangere non desiderando altro che la morte, questo l'aveva sfinita. Si era sentita la ragazza più sola che esistesse al mondo oltre che la più miserabile e colpevole, ecco cosa aveva provato.

E Gilbert? Sentiva lo stesso quando la guardava? Fino a che punto si era sentito colpevole? Credeva davvero di aver toccato il fondo regalandole quella spilla in cambio del suo impegno sul campo di battaglia? Violet aveva scelto quel gioiello solo perché le ricordava il colore dei suoi occhi, non l'aveva mai considerata un premio, ma un modo come un altro per sentirlo più vicino a sé, anche se del tutto inconsapevolmente. Che ci credesse o meno, era stato lui a salvarla dandole uno scopo per cui vivere, non il contrario. Al di là di tutto il dolore, la solitudine e la sofferenza di quegli anni, Violet comprese che era quella la sola e unica cosa veramente importante.

Anche se, costringendola a vivere senza di lui, Gilbert stesso aveva aperto la porta che alla fine lei aveva oltrepassato. A quel pensiero Violet sentì tutti i sentimenti negativi che aveva accumulato durante gli anni dissolversi, sparendo in un attimo alla vista di un bracciale d'argento in cui era incastonata una piccolissima pietra azzurra. Era un gioiello prettamente maschile, quello? Non avrebbe saputo dirlo, ma non ci pensò due volte a comprarlo. Aveva portato con amore e orgoglio la sua spilla: baciandola ogni notte, riversando in essa tutti i suoi pensieri, i desideri e le speranze, bagnandola sempre di lacrime prima di dormire. Gilbert l'aveva resa libera in tutti i modi possibili, adesso lo sapeva. L'aveva fatto senza aspettarsi nulla in cambio, a costo di perderla per sempre pur di saperla felice. Come poteva avercela con lui, per questo?

"Le ho preso un pensiero, spero non le dispiaccia...", l'avvisò Violet.

"Affatto, sapevo che ti sarebbe piaciuto fare acquisti in questo posto: fammi dare un'occhiata, dai, sono curioso...", accettò lui con entusiasmo.

"Allora allunghi il braccio, Mag... Volevo dire, Colonnello.", si corresse immediatamente Violet.

"Violet, tu? Ti ringrazio, ma non avresti dovuto...", reagì Gilbert, incupendosi non appena Violet gli allacciò il bracciale al polso.

"Sì, invece. Ho sempre desiderato farlo, perciò lo accetti, la prego...", insistette Violet, sentendosi nuovamente riempire il cuore d'affetto e gratitudine.

Il passato era il passato, bisognava lasciarselo alle spalle per ricominciare a vivere: era stato lui a insegnarglielo. Nel presente, il passato aveva smesso di esistere ed avere un senso, come ciò che erano stati e le cose che avevano fatto; forse non lo ricordava, ma era stato proprio lui a dirglielo. Non si poteva cambiare ciò che era stato, quelle esperienze avevano costruito le persone che erano oggi, rinnegarle non sarebbe servito. L'unica cosa che potevano fare adesso era andare avanti. Non potevano far altro che proseguire aveva concluso Violet, pur chiedendosi dove l'avrebbe portata quella nuova avventura.

Alla fine Gilbert aveva accettato e sorriso, un mezzo sorriso in realtà, ma il calore con cui lo fece fu più che sufficiente a commuoverla. L'indicibile dolcezza nello sguardo di lui - più magro e longilineo del fratello, ma altrettanto aitante - cozzava con la sua immagine ferita e claudicante di adesso. Tuttavia, malgrado avesse il viso segnato dalle cicatrici e il corpo traumatizzato dalla guerra, l'uomo di fronte a lei non aveva perso la sua incredibile bellezza. Era ancora giovane e attraente, oltre che la persona migliore che avesse mai incontrato in tutta la sua vita, eppure, la consapevolezza della loro vicinanza fisica non la turbava affatto. Gilbert non la faceva sentire confusa e a disagio come Dietfried, doveva ammetterlo, anche se al momento poco importava. Una volta chiarito con Gilbert sarebbe andata sicuramente a cercarlo, si disse, stringendosi nuovamente al braccio del suo elegante cavaliere.

Violet notò che anche Gilbert s'era finalmente rasserenato, malgrado sulle prime avesse reagito con tristezza alla vista di quel regalo. Non sapeva che tipo di pensieri avesse ispirato in lui con quel gesto né perché l'avesse turbato, tuttavia, dopo aver così faticosamente raggiunto una sorta di pace e d'accettazione non ebbe il coraggio di chiederglielo. La serata non era ancora conclusa, così decisero di visitare la dimessa abitazione che Gilbert aveva usato durante le sue sporadiche missioni a Leiden. Il tetto sarebbe dovuto essere aggiustato e la facciata ridipinta, così come le porte e le finestre. Il vialetto che portava alla casa era pieno di erbacce e radici affioranti, con parecchie buche e pozzanghere piene d'acqua disseminate un po' ovunque. Solo il piccolo giardino era pulito e in ordine, con varie piante di fiori e rose rampicanti che in quel periodo stavano fiorendo. Nonostante tutti i suoi difetti, una volta dentro Violet ebbe modo di apprezzarne almeno l'interno, ch'era caldo ed accogliente malgrado ci fossero appena due stanze. Quel misero alloggio non era niente di fronte alla maestosità della Villa o gli eleganti palazzi dell'alta borghesia dove Gilbert era cresciuto, ma non aveva nessun motivo di vergognarsene vista la sua scelta.

"Prego, accomodati...", la invitò a entrare Gilbert, accendendo subito il fuoco nel camino.

"Sì, grazie... Posso dare una mano?", si offrì lei, vedendolo in difficoltà nell'alzare un grosso ceppo di legna.

"No, resta seduta, ci penso io! Per caso hai fame? Che sciocco: avrei dovuto offrirti la cena, perdonami...", si scusò l'altro, guardando la dispensa semi vuota.

"Mi accontenterò del tè visto che mi sono abbuffata di dolci prima di uscire: non ho molto appetito, davvero...", confessò Violet, arrossendo.

"La nostra cuoca è sempre stata molto brava a prepararli, mia madre ti avrà viziata alla Villa immagino... Mi mancano soprattutto quelle sfoglie di crema e cioccolato che preparava quasi sempre a pranzo la domenica, per non parlare dei suoi fantastici biscotti al burro: davvero ottimi!"; aggiunse Gilbert, mettendo il bollitore sul fuoco.

"L'ha fatto: mi ha trattata come una figlia, e invece di ringraziarla e finire il mio lavoro, sono fuggita..." ammise la giovane, rabbuiandosi in viso.

Una volta respirato l'inebriante profumo del tè appena fatto, Violet si sentì meglio, al punto che ancora immersa nei suoi pensieri addentò uno dei due ricchi e corposi tramezzini che Gilbert aveva preparato, smentendosi. L'uomo si era seduto al tavolo ad osservarla nel frattempo, sorridendo in sottecchi mentre la luce tremolante dell'illuminazione a gas proiettava le loro ombre contro il muro.

"Così, eri alla Villa per conto di mia madre: pensavo fosse Dietfried il tuo cliente... ", esordi Gilbert dopo un breve silenzio.

"Lo credeva anche il direttore, ma non era così... Anche la Signora era al corrente di tutto, vero? L'ho pensato subito guardandola negli occhi quella sera, prima che scappassi... Ad essere sincera, non era la sola. Lo sapevano tutti, anche il Sig.Hodgins e Cattleya, persino le ragazze e i miei colleghi della società postale. Gli unici all'oscuro eravamo io e il Capitano, sebbene solo adesso ne comprenda il motivo.", sbuffò Violet.

"Sono felice di sentirtelo dire, anche se capisco che accettarlo non sia stato facile. So di averti ferita, e mi dispiace Violet, non sai quanto!", aggiunse Gilbert.

"Sì, lei mi ha ferita, e moltissimo! Ma non voglio più pensare al passato, non più, Maggiore... cioè, io... Colonnello... Mi perdoni, le porgo le mie scuse più sincere, ma è difficile per me non chiamarla in quel modo.", riconobbe Violet, scusandosi ancora una volta.

"No, non scusarti. Mi hai chiamato così fin da piccola, perciò, se proprio non riesci ad abituarti, va bene anche Maggiore... Oppure, potresti iniziare a chiamarmi per nome visto che a breve lascerò l'esercito per occuparmi degli affari di famiglia... Mia madre sta morendo, Violet: è stata lei stessa a dirmelo... ", le rivelò Gilbert.

"Avevo ragione quindi, la Signora sapeva tutto... Mi sento sollevata al pensiero che non abbia dovuto soffrire come abbiamo fatto io il Capitano...", si sentì di rispondere Violet, pur sapendo che parlarne, avrebbe potuto ferire entrambi.

Era tardi per recriminare, Dietfried era stato importante per lei. Ciò che avevano provato l'uno per l'altra era stato reale quanto quello che lei e Gilbert avevano condiviso. Violet avrebbe voluto sapere altro, ma si sentì svenire. Aveva bisogno di riposo, ma a quel punto, ciò che voleva di più al mondo era smettere di pensare. C'era una valanga di altri dubbi a turbarla dopo quella confessione, Gilbert era tornato per lei o per la madre? E cosa avrebbe dovuto scrivere Violet nella lettera che la Signora Bougainvillea le aveva commissionato, se il figlio sapeva già tutto sul suo precario stato di salute? La missiva che avrebbe dovuto indirizzare a Gilbert non era mai stata scritta, e Violet comprese che il suo lavoro alla Villa non era finito con la sua partenza, la notte in cui se n'era andata.

"È quasi mezzanotte purtroppo... Penso che dovremmo muoverci se non volgiamo tardare, o Claudia si preoccuperà e verrà a cercarci...", si svincolò Gilbert, alzandosi di scatto dalla sedia quasi preferisse scappare pur di non dover affrontare l'argomento.

Violet avvertì i rintocchi delle campane in lontananza: sarebbero rientrati comunque in ritardo, e Hodgins li avrebbe sgridati lo stesso, pensò, uscendo in fretta dalla casa. Ma non oppose resistenza e lo seguì mestamente fino all'auto, percorrendo a ritroso la stessa identica strada dell'andata. Lei e Gilbert si erano certamente persi, concluse Violet. Anche se quella sera, per un momento aveva chiaramente sentito di averlo ritrovato. Quando c'erano state in gioco le emozioni, niente era stato facile per lei. Anche l'intesa più profonda e il sentimento più puro, potevano essere messi a dura prova di fronte a uno ostacolo, e il loro era senza dubbio il peso del non detto. Violet si era affidata completamente a lui in passato, al Gilbert che conosceva più intimamente di chiunque altro e di cui si fidava. Ma l'uomo gentile e premuroso di allora, quello di cui si era innamorata quando era solo una bambina non c'era veramente più. E sebbene quell'idea non le piacesse, avrebbe dovuto conviverci.




 
   
 
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