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Autore: LatazzadiTea    03/02/2021    5 recensioni
Dal testo: Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Hodgins, Dietfried Bougainvillea, Gilbert Bougainvillea, Violet Evergarden
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cap.13

Fratelli.



Al contrario di ogni sua aspettativa, durante il viaggio di ritorno la compagnia di Gilbert fu più vivace e piacevole rispetto a quella dell'andata. I lunghi silenzi e gli inevitabili imbarazzi sembravano improvvisamente scomparsi nel nulla, malgrado sapessero cosa li attendesse alla società postale in caso di ritardo. Era già l'una di notte, ma non trovarono nessuno a rimproverarli una volta messo piede nell'edificio. Dopo averla accompagnata Gilbert si era congedato con un semplice, ma significativo bacio sulla guancia: d'altronde non era più una bambina, e l'assenza di Hodgins lo provava. Si passò una mano fra i capelli biondi, e si guardò attorno con lo sguardo vacuo: quella serata, per quanto stranamente piacevole, non aveva fatto altro che confermare i suoi dubbi. Si sentiva una stupida a mettere a repentaglio il suo futuro solo perché non riusciva a togliersi un uomo dalla testa. Come aveva fatto cacciarsi in un guaio simile? Non c'era altra spiegazione che quella, alla tempesta emotiva che stava provando mentre si rintanava nell'illusoria sicurezza della propria stanza.

Violet carezzò i mobili nuovi, facendo scorrere le fredde dita d'acciaio sui profili laccati dei legni pregiati che li adornavano, soffermandosi presso la scrivania dove l'attendevano ancora le missive ricevute da Dietfried. Perché le buste erano due, sebbene quella più grande e voluminosa non potesse contenere soltanto una semplice lettera, si disse. Violet prese la più piccola fra le mani, portandosela alle labbra come avrebbe fatto fatto con la sua preziosa spilla, baciandola dolcemente prima di forzarne con ossequiosa riverenza il sigillo che la proteggeva. Era come se quel piccolo cerchio di cera con impresso lo stemma della loro famiglia, custodisse parole e sentimenti da occhi indiscreti. Come se Dietfried avesse deciso di usare quel vecchio metodo di elargire segreti, per dirle che qualunque cosa ci fosse scritta fra quelle righe, apparteneva soltanto a loro.

Violet si spoglio del bellissimo abito che indossava per mettere la semplice camicia da notte che metteva ogni sera per andare a dormire, accomodandosi sul grande letto di ferro battuto e i cuscini ricamati prima di cimentarsi in quella imprevedibile lettura. Lasciando che lo sguardo scivolasse libero e leggero fra le emozioni nascoste in quelle righe, Violet nascose improvvisamente il viso tra le mani. Ma pur restando a lungo con la testa china e le spalle curve, non pianse. Non poteva piangere, no, proprio non poteva...

Leiden, Villa Bougainvillea.
Giovedì, 3 giugno 1922.

Cara Violet,
come comprenderai, oggi mi prendo il tempo di dirti addio con questa lettera, ma anche di rivelarti ciò che ho sentito e provato, incontrandoti. Sono stato fortunato ad averti avuto nella mia vita, anche se per poco, e ringrazio il cielo di avermi dato l'opportunità di starti accanto. Devo dirti grazie, e per più di una ragione, ma anche che, malgrado tu ora sia lontana, è rimasta in me la voglia di abbracciarti, di stringerti e baciarti, come tu mi baciavi. Perché amo, e amavo i tuoi sospiri, mentre lo facevi. Il mio cuore è infranto, perché so' che non vivrò mai più un amore così puro, e penso sia il arrivato il momento di dirti che se avessi potuto, ti avrei dato tutto me stesso. Ti avrei chiamata: amore, ho ancora così tante cose da dirti e lettere da scriverti; frasi che ancora non ho, e che mai scriverò. Ti avrei detto: tesoro, ho ancora così tanti baci per te; baci che mai darò, perché sono solo tuoi. Spero che comprenderai, come solo tu sei stata capace di comprendermi, e di perdonarmi, per questo cuore ricolmo di un affetto che non potrò più dimostrarti.

N.b. Ho però, un ultimo regalo da farti, e spero che lo accetterai.

Nei viaggi e durante le ricerche effettuate nei mari del nord per rintracciare Gilbert, mi sono spinto fino all'isola dove ti trovai il giorno 26 settembre dell'anno 1913. Come immaginerai, dopo l'abbandono da parte degli abitanti a causa dei bombardamenti, non erano rimaste che rovine sull'isola. Ciò non di meno, sono riuscito a trovare qualcosa di significativo tra i resti di quella che, in precedenza, doveva essere una grande casa di pietra. Ho pensato che ti nascondessi lì prima che ti portassi via con la forza, imbarcandoti contro la tua volontà sulla USS Leviathan classe Dévastation, di cui tutt'ora sono il Capitano. Nella busta più grande, che lascio in allegato a questa mia, troverai informazioni più dettagliate riguardo il sito e le famiglie che vi abitavano prima dello scoppio della guerra. All'interno ci sono fotografie e documenti che riportano i nomi e la provenienza di ognuna di loro, tutto quello che ho acquisito e reperito proviene dall'istituto anagrafico della città di Hormgard, capitale del regno di Drossel. Con amore, Dietfried.



Violet si stiracchiò, mettendo i piedi a terra, sentendosi avvolgere da un calore che non aveva mai sentito prima. Ciò che più l'aveva scossa di quella lettera, era stata la parola addio, mentre quelle che più l'avevano emozionata erano state le ultime usate da Dietfried per concluderla. Violet si asciugò le lacrime, fermamente decisa a non permettergli di lasciarla andare solo per compiacere il fratello e impedirgli di soffrire. Avrebbe deciso da sola che strada prendere, si disse, sentendosi tuttavia sopraffare dall'idea di dover iniziare un nuovo viaggio e una nuova ricerca. Perché l'unica cosa che voleva adesso era vedere Dietfried per stringersi a lui, e capire in che direzione l'avrebbe portata la sua vita da quel momento in poi.





Due giorni dopo Dietfried passò tre ore nel suo ufficio di Leiden, prima di rassegnarsi al fatto che non riusciva a concentrarsi su niente che avesse un senso. Per tutta la mattina aveva aggredito chiunque gli fosse capitato a tiro facendo battere in ritirata più di una persona, prima di decidere di lasciar perdere qualsiasi cosa stesse facendo. Spinse via la fila di fogli che gli invadevano la scrivania, spingendoli totalmente di lato; erano tanti, e quasi tutti riguardavano Gilbert e ciò che aveva fatto in quegli ultimi anni agli ordini del governo. Avrebbe dovuto esaminarli per fare rapporto al comando generale della marina visto il suo coinvolgimento, ma non li aveva nemmeno guardati: lavorare era impossibile, ma non aveva nemmeno voglia di uscire o andare in uno dei suoi circoli in cerca di distrazioni visto che non cercava la compagnia di nessuno. Dannazione: l'unica cosa che avrebbe voluto, era stare con Violet. Aveva persino evitato di incontrare Gilbert, per paura di vederla con lui. Ormai era palese: il dolore di saperli di nuovo insieme, era insopportabile quanto l'idea di starle lontano. Imprecò: erano appena le dieci del mattino ed era nel pieno servizio delle sue mansioni per potersi impunemente attaccare alla bottiglia.

Dietfried socchiuse gli occhi verdi, guardandosi allo specchio di sfuggita. Il riflesso rimarcò l'incredibile somiglianza che lo accomunava al fratello più giovane, facendogli distogliere lo sguardo al pensiero di quanto stupidamente avesse gettato via la sua vita in quegli anni. Quattro anni gettati al vento, aveva continuato a ripetersi Dietfried, anche se la colpa di quella situazione non era solo sua. Gilbert si era allontanato da lui proprio a causa del suo radicato egocentrismo: dall'individuo tronfio, arrogante ed egoista ch'era sempre stato, ammise. Aveva vissuto come gli pareva, senza mai badare alle conseguenze, pensando che il denaro avrebbe sempre e comunque aggiustato tutto. In questo, lui e Abelia erano simili: miseri esempi dell'aspetto peggiore della razza umana a cui appartenevano. Lui aveva usato lei per la sua influenza sul padre, e lei aveva usato lui per vantarsi delle conquiste che le permetteva il suo status. L'amara verità era che nessuna somma di denaro avrebbe mai potuto restituirgli il fratello se fosse morto, tanto meno adesso. Niente di ciò che aveva fatto per riaverlo nella sua vita gli aveva restituito il suo amore o la sua stima, si disse Dietfried, carezzando con la punta delle dita una loro foto da bambini.

Lui e Gilbert avevano solo tre anni di differenza, ma sembrava che ci fosse un secolo a dividerli. Potevano somigliarsi come gocce d'acqua, ma non erano uguali. Gilbert era sempre stato più remissivo e calmo, così ligio al dovere e sottomesso al padre, che non aveva mai osato replicare ne ribellarsi a niente prima di incontrare Violet. Si era arruolato nell'esercito proprio per accondiscendere ai desideri della sua famiglia, mentre lui aveva scelto la marina solo per contraddirli. Dietfried chiuse gli occhi sospirando, rilassandosi completamente al ricordo di loro due da piccoli. Non a caso, quella primavera - l'ultima che ricordava essere stata felice - il padre li aveva portati alla grande parata militare che si teneva a Leiden una volta l'anno. Il più grande eroe di guerra a cui Leidenschaftlich avesse dato i natali non usciva mai in pubblico, e quella era una di quelle rare occasioni. Un uomo severo e tutto di un pezzo, ecco come lo ricordava. Un padre che poteva essere tale solo in funzione di come avrebbe allevato i suoi figli in vista della gloria che avrebbero portato al buon nome della propria famiglia.

Ripensò a com'era saltato dalla carrozza quel giorno, trovandosi dinnanzi uno spettacolare scenario estivo colmo di luci e di colori. La prima cosa che aveva notato infatti, erano stati i grandi festoni appesi agli alberi perfettamente allineati sulla strada, con le ombre create dalla luce del sole che danzavano, seguendo il ritmo disordinato dell'aria che spirava tra le fronde. In quella stagione, le tempeste di petali create dai fiori di ciliegio spazzati dal vento, duravano ore, ed erano talmente belle da attirare moltissimi turisti e visitatori a Leiden. Quasi come le bufere di neve che avvenivano al nord, i fiori fluttuavano nell'aria ricoprendo tutto, al punto da essere considerato un vero e proprio spettacolo della natura in tutto il paese.

"È il fiore della nostra famiglia.", gli aveva fatto notare a un certo punto, il padre.

Ricordava quel giorno perché aveva fatto spallucce di fronte a quel richiamo, intento com'era a tenere la mano del suo fratellino di otto anni affinché non si perdesse tra la folla. Non era mai stato capace di apprezzare il tono d'orgoglio nella voce dell'anziano genitore che, ogni volta, passando davanti a quel luogo faceva quel gesto. Non aveva idea del significato che attribuisse a quello stupido fiore, ne gli era mai interessato saperlo. Suo padre non lo aveva mai ripreso prima di allora, ma quell'anno, per tutta risposta lo aveva colpito, umiliandolo davanti a tutti. Strattonandolo per il colletto del pomposo completo di cui si vergognava e che alla veneranda età di undici anni era costretto ancora ad indossare.

L'uomo poi, non contento lo aveva costretto a seguirlo fino al palco da dove avrebbero assistito alla sfilata organizzata dalle forze armate: un'area che sembrava esser stata appositamente creata per contenere alcune pericolose strutture per l'addestramento militare. C'erano diverse persone che indossavano la stessa uniforme nera violacea del padre, ma oltre a quelli, c'erano anche soldati che indossavano quella bianca a collo alto della marina. Intorno ai caccia e agli aerei da ricognizione, molti di quei soldati chiacchieravano tra loro, nettamente divisi in due gruppi. Sebbene fossero entrambe considerate forze di difesa, i membri di quei gruppi sembravano palesemente ostili gli uni verso gli altri: uno spettacolo bizzarro agli occhi di un ragazzo. Per i Bougainvillea era consuetudine entrare nell'esercito e non era la prima volta che suo padre, che occupava una posizione di alto rango, aveva portato lui e suo fratello a eventi simili, ma fu proprio quell'anno che Dietfierd decise di arruolarsi in marina per offenderlo.

Gilbert era sempre stato un bravo bambino, invece. Aveva sempre avuto una sorta di timore riverenziale per il padre: non avrebbe mai osato contraddirlo, probabilmente era per questo che dopo la sua decisione, non aveva più voluto vederlo. Dietfried sentì di essersi allontanato da Gilbert proprio quel giorno. Come se facendo quella scelta, avesse lasciato la sua piccola manina permettendogli di perdersi. Ribellandosi al proprio destino Dietfried sentiva di averlo abbandonato, incurante del dolore e della sofferenza che avrebbe inflitto a tutti i membri della sua famiglia, lui compreso. Ma non ebbe il tempo di pensarlo, che qualcuno bussò alla porta proprio nell'istante in cui decise di andarsene e passare il resto della giornata altrove, ordinando a uno dei due piantoni che sorvegliavano la porta del suo ufficio di cacciare chiunque fosse stato a disturbarlo.

"Mi spiace, ma dovrai ricevermi, che tu lo voglia o meno!", esclamò Gilbert, facendo letteralmente strada fra i due energumeni.

"Sul serio?! Tu, razza di idiota! Sai quanto sei stato stupido a venire qui, vero? Esci immediatamente Gil, o non risponderò delle mie azioni, giuro!", lo sfidò Dietfried, andandogli incontro senza buone intenzioni.

"Non posso, non prima di averti parlato...", insistette Gilbert, alzando tuttavia le braccia in segno di resa.

"Parlare? E di cosa?", continuò torvo Dietfried, fermandosi minaccioso a un solo passo da lui. Non vedeva il fratello da ben cinque anni, e non si erano lasciati per niente bene prima che sparisse.

Dietfried avrebbe potuto toccarlo semplicemente alzando un dito, ma per quanto lo desiderasse non ebbe comunque il coraggio di farlo. Non era ancora pronto a perdonarlo tuttavia, lo stato d'animo in cui versava in quel momento lo allarmò al punto da farlo desistere dal colpirlo e permettergli di restare.

"Di questa: è da parte di mamma", si spiegò Gilbert, mostrandogli chiaramente una lettera.

"Per me? Bastava una telefonata, non capisco...", si stupì Dietfried, tornando alla sua scrivania per aprire quella busta e leggerla.

Gilbert aveva deglutito nervosamente, rimanendo in piedi nel mezzo della stanza illuminata dal sole di mezzogiorno in attesa di una qual si voglia reazione da parte del fratello maggiore. Era il suo ultimo e disperato tentativo di riappacificarsi con lui, malgrado fosse latore di una delle peggiori notizie che una madre potesse dare a un figlio.

"Ma che problemi avete in questa famiglia, eh? La mamma, lei... Sta morendo? E me lo dice così, con una stupidissima lettera? Scommetto che sapeva tutto di te, vero? Da quanto, Gil? Rispondimi, maledizione!", reagì malamente Dietfried.

"Dal Principio... Mi spiace che averlo saputo in questo modo ti ferisca, ma mi ero appena ripreso dal coma e scoperto di aver perso sia il braccio che l'occhio destro: per questo l'ho chiamata! Ero talmente disperato per quello che era successo a me e a Violet che avrei voluto morire, così l'ho cercata. Volevo solo sentire la sua voce: giuro che non le avrei mai risposto se non l'avessi sentita invocare il mio nome al telefono... Era talmente addolorata che alla fine, io, non c'è l'ho fatta a mentire", gli confessò Gilbert, scusandosi addirittura con lui pur di aiutarlo a comprendere.

"Basta! Basta Gil, ti prego: ho capito perfettamente, non c'è bisogno che continui...", lo interruppe infatti Dietfried, stringendo con dolore quel foglio di carta nel pugno.

Vedere Dietfried piangere era uno spettacolo inconsueto a cui assistere. E Gilbert rimase immobile, incapace di dire una parola o di emettere un suono davanti a quel cedimento. L'uomo che ricordava l'avrebbe colpito, preso per gli stracci e gettato fuori dalla stanza senza mezzi termini pur di rimarcare la propria autorità e la propria forza. Nel bene e nel male, Dietfried era sempre rimasto fedele a se stesso, ma solo ora Gilbert, riconosceva in lui suo fratello.

"So' perfettamente che non potrai mai perdonarmi per averti mentito, ma posso abbracciarti adesso? Ti prego!", lo aveva supplicato Gilbert.

"Certo, ma non ti ci abituare: non credere nemmeno per un momento che te la farò passare liscia, capito?", aveva ribattuto Dietfried, trattenendo inutilmente le lacrime mentre lo accoglieva di nuovo fra le braccia.

Gilbert ne aveva inizialmente percepito la riluttanza, poi l'abbandono.La lotta interiore che da sempre si agitava in lui aveva finito per distruggere la loro relazione. E Gilbert a sua volta pianse, al sentore di quel corpo massiccio avvolgere il suo. Al contrario di lui, Dietfried aveva la stessa forza e la stazza dei maschi della loro famiglia, pensò, ricordandosi di quell'essere orribile che era stato suo padre nell'istante stesso in cui lo sentì singhiozzare. Quante volte quell'uomo lo aveva colpito? Avevano perso il conto ormai, si rispose il soldato, stringendosi ancora più forte a lui. Come la risacca marina s'abbatteva sulla scogliera immobile scavando la roccia, così, anni di vessazioni avevano scavato un buco nel suo cuore.

Non gli aveva mai detto di essersi allontanato da lui proprio per quello, perché da quel momento in poi Gilbert non lo avrebbe più lasciato. Sarebbe rimasto al suo fianco, e come Dietfried aveva fatto con lui, lo avrebbe preso per mano. Perché erano uniti da qualcosa che non si poteva spiegare, da un legame che era nato con loro ed era cresciuto con l'amore. Quell'amore che non avevano mai smesso di provare l'uno per l'altro, per quanto il mondo, la sofferenza e la guerra, gli avessero remato contro.


 
   
 
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