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Autore: Restart    05/02/2021    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Marcello aveva dato appuntamento a Caterina in un bar in Via Vittorio Veneto. Era tardo pomeriggio, aveva lavorato per tutto il giorno e voleva solo che quell’appuntamento durasse il meno possibile. Per questo aveva scelto un posto vicino casa. L’aspettava fuori, a uno di quei tavolini che stavano arrugginendosi, una sigaretta tra le labbra, gli occhi nascosti da un paio di lenti scurissime. Era una giornata strana, la luce dorata che bagnava Roma al tramonto era meno intensa del solito. Il freddo era pungente, fin troppo per rimanere fuori a bere qualcosa. Caterina si fece annunciare dal ticchettare dei suoi stivali sull’asfalto. Marcello si tirò in piedi e stese la mano, formale, serioso. Non riusciva a nascondere il suo essere a disagio.
Caterina si sedette e ordinò una cioccolata calda. Il silenzio che soggiornava tra loro era pesante. Marcello si accese un’altra sigaretta non appena ebbe finito la prima. Cosa voleva quella donna, torturarlo? Farlo sentire in colpa? Le lanciò uno sguardo indagatorio da dietro gli occhiali. Lei sembrava agitata almeno quanto lui. E infatti Caterina lo era. Come cominciare un discorso? Come chiedere di Stefano, della loro relazione senza sembrare una bacchettona?
«Mi scusi, ma ho una certa fretta. Mi aspettano a casa. Di cosa voleva parlare?» Marcello si era spazientito. Il tono duro, tagliente, sferzante, fece svegliare Caterina. Annuì e rovistò nella borsa alla ricerca del quaderno di Stefano. L’ultimo. Lo posò sul tavolo, facendolo scivolare nella direzione dell’uomo di fronte a lei. Lui non capì. Perché essere tanto criptici? Voleva fargli perdere la pazienza?
«Stavo facendo ordine nel mio armadio e ho trovato questo. Stefano ha segnato tutti i punti fondamentali della vostra relazione su dei diari. Nero su bianco. Li ho letti» la voce di Caterina era ferma, risoluta, secca. Si era preparata il discorso in macchina, si era ripromessa che non avrebbe balbettato, che non sarebbe crollata. Doveva rimanere ferma, stoica.
Marcello, invece, si era sbriciolato in un attimo. Rivedere la scrittura di Stefano dopo tutto quel tempo lo rendeva estremamente debole, senza difese. Gli sembrò per un momento di sentire la voce dell’uomo sussurrargli nell’orecchio, le sue dita sfiorarlo, accarezzarlo. Si portò la mano alla bocca, cercando di soffocare il pianto. Guardò quella donna davanti a lui: non accennava a mostrare alcun sentimento, sebbene il labbro superiore che fremeva leggermente la tradì.
«Cosa vuole che le dica? Che ho amato Stefano con tutto me stesso? E poi che farà? Mi attaccherà perché sono un uomo, perché ho rovinato la vostra bella apparenza? Eh?» era sulla difensiva, quasi impaurito. Temeva che lei si comportasse come Maria. Ma Caterina negò con un movimento secco della testa.
«Non posso cambiare il passato. Non posso neanche dire che però mi ha fatto male venire a conoscenza di una seconda vita di Stefano. Lo amavo con tutta me stessa, ero certa che lui avesse occhi solo per me. È stato doloroso sapere che lui non pensava solo a me. Ma sacrificherei tutto per riaverlo al mio fianco. Per rivederlo ridere, per sentirlo parlare nuovamente. Mi rimangono solo le sue parole su dei pezzi di carta. Solo quelle fanno in modo che lui diventi percepibile ai miei occhi…» ma Caterina non riuscì a continuare. Marcello sembrò essere colpito da una spada, una spada che l’aveva ferito diritto al cuore. Fu allora che lei realizzò che l’uomo non sapeva della morte di Stefano. In lui rivide tutto quello che aveva provato lei più di sei anni prima. Tutto quel dolore, quell’amarezza a impregnare ogni cellula del corpo. E perché no, anche quel pizzico di senso di colpa, un fardello che si portava dietro da quella notte. Marcello chiese un minuto per sé. Si tolse violentemente gli occhiali, passandosi le mani sul volto. Poi si alzò di scatto, facendo alcuni passi avanti indietro sul marciapiede, attirando le attenzioni di alcuni curiosi che si trovavano allo stesso bar. Poi tornò a sedersi, fissando gli occhi arrossati su quelli verdi di Caterina.
«Quando è successo?» la voce era sottile, flebile. Tremava.
«Sono passati sei anni ormai. Incidente stradale» Marcello mise la testa tra le mani e pianse in silenzio. Sei anni. Nessuno dei due riuscì a proferire parola per molto tempo. Solo quando lui riuscì a ingoiare qualche lacrima, tornò a guardare Caterina.
«Sembrerà una reazione stupida. La capisco. Dopo tutti questi anni. Ma sa, dopo che Stefano mi ha lasciato, sono andato a lavorare all’estero, cercando di tagliare i ponti con tutto quello che mi legava con Napoli, con l’Italia. Non volevo sapere niente di lui» il rimorso lo abbracciò, lo soffocò. Quel sentimento di asfissia se lo sarebbe portato dietro per molto ancora. Prese l’ennesima sigaretta e infilandosela in bocca guardò gravosamente Caterina. «Credevo che lei fosse venuta a farmi una storia sul fatto che suo marito aveva avuto un amante, per di più, uomo» un mezzo sorriso amaro che replicò anche lei con un’alzata di spalle.
«Non le nascondo quanto ci sia stata male nello scoprire che Stefano conduceva una doppia vita. Ma ormai sono passati troppi anni» constatò, deviando lo sguardo su qualunque altra cosa che non fosse lo sguardo di Marcello. Mentiva. Sapere che suo marito l’aveva ingannata a lungo la faceva sentire uno straccio.
«Beh, immagino. Comunque, non è giusto dire che avevamo una storia. Ho visto Stefano per l’ultima volta poco prima che gli nascesse Lucrezia. E prima di quello pochi altri incontri. Mi creda Caterina» con una mano prese la sua, mentre con l’altra alzò il piccolo quaderno nero riempito dalla calligrafia di Stefano. «Mi aveva parlato una volta dell’intenzione di scrivere una storia che fosse in parte autobiografica, che fosse un urlo al mondo intero di quello che lui fosse nel profondo. Io non so se ha letto tutto. Ma il mio ruolo è rilegato prettamente alla gioventù. Lei era il grande amore di Stefano. Non parlava d’altro che di lei. Dei vostri figli. Io ero una prostituta con cui condividere un letto per poche ore» Caterina fu portata a credergli. Percepiva sottopelle una profonda fiducia per quell’uomo sconosciuto. Ma lui era sconosciuto fino ad un certo punto: avevano condiviso un amore, lo sentiva più vicino di quanto non fosse.
«Marcello, Stefano le ha mai detto che intenzioni avesse con questa storia?» lo chiese con una voce sottile, fragile, completamente diversa da quella con cui si era posta prima. Marcello accennò ad un debole sorriso.
«Caterina, lo pubblichi. Non tema niente e nessuno. Mai» le baciò con dolcezza le nocche e se ne andò, sicuro che non ci fosse nient’altro da aggiungere.
*
Dicembre 2015
Andrea aveva condotto Caterina dentro Boboli. Era rimasto in silenzio, procedendo con passo svelto, sicuro, verso il posto preferito dalla donna: il giardino botanico. Era deserto quella mattina: il freddo aveva convogliato i turisti dentro i musei, lasciando gli spazi aperti ai solitari e ai romantici. Ma Andrea e Caterina non erano nessuno dei due. Si sedettero su una panchina in disparte, nascosta agli occhi degli altri.
«Mia madre è seria, Caterì. Ha intenzione di distruggerti. Dice che le hai rovinato del tutto la reputazione con quel libro» Andrea era serio, terribilmente serio. Ma ormai Caterina non temeva più quella donna, ormai era cresciuta abbastanza per tenerle testa. Lo sapeva, ne era certa.
«Andrea, non capisco perché tu abbia fatta tutta questa strada per dirmi questo. Non c’è assolutamente bisogno che tu mi protegga da tua madre. Non la temo. Figurati. Torna alla tua vita, per favore. Torna da Eva». Pensò di alzarsi, ma vide l’uomo fremere. C’era qualcosa che lo tormentava.
«Io e Eva ci siamo lasciati. Ha avuto un altro aborto» prese una pausa, lasciando che le lacrime venissero fuori. «Non ce la facevamo più neanche a guardarci». Gli occhi dolci e solari di Eva si erano oscurati terribilmente dopo il secondo aborto. Aveva perso tutta l’energia che la caratterizzava. Non lo voleva più vicino. Tirò su col naso, cercando di ricomporsi. «Ma non è per questo che sono qui, Caterì» dal suo zaino tirò fuori un quaderno nero, identico a quelli che erano nascosti in casa di Caterina. A lei per un attimo mancò il respiro. Temette che quello fosse una sorta di confutazione a tutto quello che gli aveva detto Marcello.
«Sono poesie» la rassicurò Andrea. «Poesie per tutte le persone con cui Stefano è entrato in contatto. Ma i personaggi principali sono tre: tu, mia madre e Marcello. Pensavo che tu le volessi» dette il libriccino in mano a Caterina. «Io vorrei che fossero pubblicate».
«Dove le hai trovate?» chiese estasiata Caterina, mentre sfogliava le pagine lievemente ingiallite.
«Nella scrivania di Stefano ad Amalfi. Era là che lui andava quando ti diceva che aveva bisogno di ispirazione. Ed è là che mi sono nascosto anche io dopo la separazione da Eva. È stato un caso» ma Caterina prestava poca attenzione a quella storia. Un altro pezzo di Stefano che tornava a sé, un altro pezzo di lui che non conosceva e che le permetteva di riviverlo sulla propria pelle. Mentre scorreva tra le pagine, tra le parole scritte di fretta dal marito, poteva sentire chiaramente la sua voce leggermente acuta, recitare ogni singolo vocabolo. D’impulso abbracciò Andrea.
«Grazie, è un regalo meraviglioso» lui le strinse dolcemente le braccia attorno alla vita, inspirando a fondo quell’odore fresco, familiare. Quante notti aveva sognato di poterla abbracciare di nuovo, di rivedere da vicino i suoi occhi brillare. Caterina era rinata dalle proprie ceneri. Si era ricostruita pezzo per pezzo, da sola, con grande forza di volontà. E sentiva il cuore scoppiargli nel petto al solo pensiero che lui l’avesse, solamente in una piccola quantità, aiutata in questo processo. Ritrovare i quaderni di Stefano era stato lo scatto definitivo per permetterle di trasformarsi.
Anche lei comprese chiaramente quanto bene le facesse essere là stretta al petto di Andrea. Lui la comprendeva. Ma Caterina fu bloccata da lei stessa. Temeva di essere respinta, temeva che lui non se la sentisse. Temeva di trovarsi col cuore spezzato. E dopo tutto quello che era successo preferì sentirsi al sicuro. Preferì la strada di Giacomo. Con lui non sarebbe mai stata male.
«Caterì, però bisogna sempre tenere di conto che mia madre potrebbe andare su tutte le furie, peggio ancora che per il libro» il tono di Andrea era impregnato del terrore vero e puro. Rivedeva il gelo dello sguardo della propria madre che lo fissava mentre gli esponeva le sue intenzioni per Caterina, le sue intenzioni per il libro. Non posso permettermi che passi l’immagine di un figlio così sciagurato. Un uomo. Parla di un uomo. Per non parlare di me. Di come mi descrive. Non permetterò che quella donna lucri sul passato di Stefano. Su un passato indegno oltrettutto. Chiamo subito l’avvocato.
«Caterì, quella donna ti vuole rovinare. Non le interessano nemmeno i bambini. Le interessa solo di se stessa. Le interessa solo della sua reputazione» la voce dell’uomo tremava. Con la perdita di Eva si era rinchiuso nelle proprie insicurezze, si era estraniato dal mondo, diventando il fantasma dell’uomo che era riuscito piano piano a costruirsi. Un processo lunghissimo, durato degli anni, spazzato via in così poco tempo. Era stato un incapace figlio, un incapace marito, un incapace padre. O meglio: un mancato padre. L’unica cosa che era riuscito a fare era lavorare. Un lavoro stancante, aberrante. Un lavoro che non lo soddisfaceva. Ma tutti quei tormenti, era intenzionato a tenerseli dentro. Non voleva dirli a lei, non voleva caricarla delle sue ansie. Dei suoi timori. Delle sue insicurezze.
«Andrea, devi stare tranquillo per me. Ho tutto sotto controllo» lei era risoluta, sicura di sé: ma lui sembrava non sentirla, avulso nei suoi pensieri.
«Tutto bene Andrea?» la mano di Caterina poggiata sul suo braccio mandava delle scariche elettriche talmente forti che era impossibile che lei non le sentisse. Alzò lo sguardo e accennò un sorriso finto. Le scariche c’erano. Come c’era ancora al dito di Caterina l’anello di fidanzamento. E lui non poteva fare altro che farsi da parte. Come aveva sempre fatto in tutti quegli anni.
«Ora tutto bene».
*
Caterina teneva in mano il cellulare di Giacomo con la mano tremante. Un’altra donna. Come era riuscita a farselo sfuggire? Ma soprattutto perché sentiva questo strano sollievo dentro sé?
A Giacomo si gelò lo sguardo quando entrò nella stanza. Era appena uscito dalla doccia, l’asciugamano stretto attorno ai fianchi, l’acqua che scivolava sul petto abbronzato.
«Caterina lascia che ti spieghi» la voce era sottile, poco convinta. Caterina posò il telefono sul tavolo con delicatezza, con lo sguardo basso. «Non voglio spiegazioni. Hai fatto bene. Non funzionavamo.» La sua era una costatazione dolorosa, seppur veritiera. Non funzionavano. O meglio, non volevano funzionare. Dopo tre anni di fidanzamento non erano ancora riusciti a fissare una data per il matrimonio. Caterina credeva che il problema fosse il suo passato, mentre ora più che mai era sicura che fosse il futuro. Non vedeva nessun futuro al fianco di Giacomo. Nessun futuro che valesse la pena condividere.
«Forse hai ragione» lui non riuscì a dire nient’altro. Il senso di colpa era pressante, ma in un certo qual modo si sentì anche libero con poco sforzo. Caterina si sfilò l’anello e lo poggiò nel palmo umido di Giacomo con un sorriso.
«Ci vediamo» disse piano e se ne andò. Il tutto parve ad entrambi surreale, ma allo stesso tempo perfettamente giusto.
*
Giugno 2016
Era una giornata fresca quella in cui Caterina giunse a Napoli. Era per lei solamente la seconda volta che raggiungeva la città, la prima che la vedeva di giorno, nel suo splendore barocco. Lucrezia e Giulio erano al suo fianco. Andrea li aspettava appena fuori dalla stazione: il sole gli aveva schiarito i capelli, scurito la pelle. Era rinato, un’altra volta. Sembrava aver trovato il suo equilibrio. Quando vide arrivare Caterina, un sorriso dolce gli si dipinse sulle labbra. La donna spiccava tra la folla sudaticcia: indossava un abito rosa pallido, i capelli miele tagliati sopra le spalle e lasciati sciolti in onde morbide. Non appena Lucrezia lo scorse gli saltò al collo: non era cambiato niente tra loro, i sentimenti di profonda stima e amore che sentiva per lo zio non erano mutati.
«Lù così non lo fai respirare» aveva detto Caterina ridacchiando e cercando di farla desistere. Si avvicinò talmente tanto ad Andrea che i loro sguardi si allacciarono: era tanto che non succedeva, era tanto che Caterina non sentiva quella stretta alla gola. Una stretta comune, una stretta condivisa anche da lui. Nessuno dei due aveva ormai dubbi sui propri sentimenti, ma non riuscivano a fare quel passo in avanti e renderlo chiaro.
Li portò a fare un breve giro turistico in auto prima di raggiungere casa di Maria. Era Caterina che si era imposta: le avrebbe fatto vedere i bambini, sì, ma era intenzionata anche a parlarci finalmente vis à vis, e presentarle il libro di poesie di Stefano. Un pezzo dell’anima dell’uomo era riuscito ad incastonarsi in quei versi. Più che nei suoi romanzi, Caterina percepiva tutta l’essenza del marito in quelle parole, percepiva la sua voce morbida. Passò con delicatezza le dita sulla copertina rossa e sorrise dolcemente. Si era immaginata le braccia dell’uomo circondarla, come era solito fare. Si era immaginata sussurrarle ti amo nell’orecchio.
La macchina si fermò e lei si destò dalla sua fantasia. La villa polverosa si apriva davanti a lei in tutta la sua magnificenza barocca. Ma a osservarla bene, i difetti venivano alla luce: le finestre divorate dalla salsedine, il giardino che non riusciva a verdeggiare, le incrostazioni dell’intonaco.
Maria li aspettava sul portone d’ingresso. Lo sguardo accigliato era sottolineato dalla matita nera. La sua figura era completata dai severi capelli corvini e gli abiti scuri. La somiglianza con Andrea era tutta lì, ma anche tutta lì terminava. Il buon cuore non l’aveva sicuramente preso da lei. Caterina la osservò torva per qualche secondo prima di scendere dall’auto. Non lo dava a vedere, ma aveva il cuore in gola e le mani che le tremavano per l’ansia. Scese con calma apparente, con la stessa calma con cui salì i gradini di pietra ed entrò in quella casa inquietante, ma allo stesso tempo affascinante. La donna la invitò ad entrare con un gesto sprezzante, quasi sofferto. Quando furono finalmente sedute una di fronte all’altra, Caterina estrasse il libro dalla borsa e glielo porse. Un lampo sembrò passare per gli occhi di Maria. Strinse le dita ossute attorno alla pelle rossa del libro.
«Non sono stata abbastanza chiara? Vuoi veramente gli avvocati? Lo sai che a me non serve niente. L’altra volta Andrea si è opposto. Ma questa volta non esiterò» ma Caterina non fu scalfita da quelle parole. Sorrise debolmente.
«Chiedo solamente che lo legga. Prima di portare avanti azioni legali o simili. Legga quelle parole. Ne riparliamo appena finisce» si alzò senza aggiungere altro, raggiungendo Andrea che l’aspettava appoggiato allo stipite della porta. Richiamò con voce chiara i figli e se ne andarono, non lasciando mai il contatto visivo con Maria.
Andrea guidò fino a casa sua ad Amalfi. Rimasero in silenzio per tutto il tragitto, lui con gli occhi fissi sulla strada che ribolliva, lei con lo sguardo perso fuori dal finestrino a rimirare quei paesaggi che non conosceva, ma che risplendevano sotto il sole estivo. Giulio chiese di mettere un po’ di musica, angosciato dall’anomalo silenzio che vigeva nell’abitacolo. Non riusciva a comprendere come mai la madre di fosse oscurata d’improvviso. Non si spiegava come mai quella donna anziana che l’aveva squadrato a lungo, aveva un’influenza tanto forte sia su di lei che su suo zio. Catalizzava su di sé tutta l’attenzione, li rendeva silenziosi, preoccupati, li rendeva angosciati.
Caterina rifletteva sulla possibilità di pubblicare ugualmente quel libro: sarebbe significato trovarsi Maria alle calcagna con un paio di avvocati al guinzaglio pronti a mordere. Pronti a portarle via tutto quello che aveva. Si domandò se ne valesse la pena: avrebbe potuto perdere la casa, avrebbe potuto perdere tutto, forse perfino i suoi figli. Sperò con tutta se stessa che Maria leggesse quelle parole, che le apprezzasse, o che almeno non le disprezzasse. Sperò che la lasciasse celebrare il marito come preferiva.
Arrivarono a casa di Andrea nel tardo pomeriggio, stanchi e affamati, ma per Giulio e Lucrezia il sonno ebbe la meglio e crollarono sul divano in un secondo. Caterina invece si perse per i corridoi stretti e freschi di quella casa così imponente, così splendidamente rimasta a qualche anno addietro nel tempo. Comprese subito come mai Stefano vi ci si rifugiasse: ogni singolo pezzo di quell’abitazione era fonte di ispirazione continua. Ogni oggetto aveva la sua storia che necessitava d’essere raccontata.
Il suo giro terminò sull’ampia terrazza che guardava il mare: Andrea era seduto là con un bicchiere di vino tre le mani e gli occhi fissi sull’orizzonte che stava diventando sempre più aranciato. Si sedette accanto a lui.
«Pensi che Maria ci passerà sopra?» gli chiese con voce flebile. Andrea rimase in silenzio a lungo.
«Forse sì» era sola speranza la sua: la madre poteva essere imprevedibile, eppure sotto la pelle sentiva che forse era la volta buona che passava sopra tutto. Che avrebbe finalmente accettato Stefano per quello che era. Voleva tenersi quelle speranze solo per se stesso: non voleva darne di false e vane a Caterina.
La mano di lei cercò quella di lui: la strinse con quanta più forza poteva. Aveva bisogno di quel contatto più che mai. Sentire nuovamente quel contatto ad Andrea fece più che bene: il suo cuore si riempì improvvisamente, le guance si arrossarono, le labbra si piegarono in un sorriso quasi involontario. Era nel suo posto preferito al mondo, era con la sua persona preferita al mondo. Quel momento cariche di ansie e preoccupazioni sarebbe stato uno di quelli che Andrea si sarebbe portato dentro per sempre.
*
Cara mamma,
Ti scrivo pur sapendo che non leggerai mai queste parole. Sono nove anni che non ti vedo. Sono nove anni che non ti parlo. Sono nove anni che mi manchi. Nonostante il tuo comportamento, io sto ancora rimpiangendo il giorno in cui mi sono allontanato da Napoli, mi sono allontanato da te. Ieri sera è nato mio figlio Giulio. Per la prima volta mi sono sentito realmente responsabile per qualcun altro. Non ti sto a spiegare l’emozione enorme che ho provato nel tenerlo tra le mie braccia. So che capisci. So che tu hai provato le stesse emozioni. Sono sicuro che farei di tutto per lui, farei di tutto per proteggerlo dal mondo esterno. Proprio come volevi fare tu. Ma poi ho anche capito che avrà bisogno non solo di protezione, ma anche degli strumenti per affrontare il mondo. E io e Caterina siamo i primi a doverglieli dare. Voglio di poterlo crescere nell’amore, nell’accettazione di sé. Tu hai avuto paura, lo capisco. E per questo io ti perdono. Ti perdonerò per sempre.
In attesa di rivederti di nuovo, di mando un grande abbraccio.
Ste’.
Maria chiuse quella lettera e la ripose nel cassetto del comodino. Tutto quello che Stefano aveva scritto era vero. E quelle parole erano diventate dei marchi di fuoco sulla sua carne. Un pentimento insopportabile, un fardello che si sarebbe portata dietro per il resto della propria vita. Era sempre stata certa, fino a quel momento, di aver agito nella maniera giusta. Era sempre stata sicura che quello di limitarlo fosse il modo corretto per proteggere il figlio. Anche a costo di vederlo lontano. Si portò le mani al volto e cercò di ricacciare dentro le lacrime. Non poteva fare più niente ormai. Era troppo tardi. Stefano non poteva più ascoltare nessuna sua parola. Aveva avuto paura, una paura che era diventata incontrollabile.
Aprì nuovamente il cassetto del comodino e prese il libro che le aveva portato Caterina. L’aveva letto in un pomeriggio. Così come aveva consumato velocemente anche gli altri. Aveva sentito la necessità, nel tempo, di dover conoscere quel figlio che non era più suo. E non lo era per colpa sua. Sentì quindi il dovere morale di fare la sua piccola parte, potergli dare la possibilità di dire addio al mondo in maniera definitiva, lasciando però ben marcata la sua impronta, seppur piccola, nella storia.
*
Maria chiamò Andrea in piena notte. Lui scattò in piedi, impaurito al suono del cellulare. L’ansia non terminò nemmeno quando vide il nome della madre brillare sullo schermo.
«Pronto?» la voce era impastata dal sonno, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Nel frattempo, Caterina era accorsa dalla stanza accanto.
«Passami Caterina» nel tono severo e spesso di Maria si celava un filo di preoccupazione. Andrea allungò il cellulare alla donna di fronte a sé.
«L’ho finito. Per me puoi farci tutto quello che vuoi.» Caterina sentì il cuore esploderle nel petto: un sorriso si dipinse sul suo volto, talmente tanto grande che sembrò toccarle entrambe gli orecchi.
«Grazie Maria, grazie. Arrivederci» l’altra non rispose nemmeno, ma a lei non importava. Le bastava solo quel beneplacito. Abbracciò d’impulso Andrea, stringendolo tra le sue braccia pallide.
«Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta» si ripeteva piano, ma a lui parve che lei stesse cercando di dirlo a Stefano. Era così: Caterina sentì la gioia che la riempiva mescolarsi con l’angoscia, con il desiderio che potesse dirlo al marito, per poterlo vedere sorridere di nuovo. Chiuse gli occhi, cercando di contenere le lacrime e l’immagine di Stefano divenne nuovamente nitida. Lui era tornato, era finalmente tornato al suo fianco.
«Grazie Caterì» era tornato quello che aveva visto per la prima volta nel bar in via de’ Servi: gli occhiali chiari, i capelli corti, le labbra leggermente screpolate per il freddo. Lui c’era, lui ci sarebbe sempre stato. E ora doveva continuare con quella consapevolezza.
Si staccò dall’abbraccio con Andrea e lo guardò profondamente negli occhi: Stefano era anche lì, in quell’azzurro tanto chiaro. Prese il suo volto tra le mani, facendo passare delicatamente il pollice sulla guancia macchiata di una leggera barba scura.
«Che c’è Caterì?» la voce profonda di Andrea le giunse lievemente ovattata. Avvicinò il volto al suo, facendo sfiorare la punta dei nasi. Chiusero entrambi le palpebre, inspirando a lungo il profumo dell’altro, assaporando a lungo quel momento che avevano temuto a lungo. Ma poi le labbra di Caterina si portarono in avanti, toccando appena quella di Andrea. Si fermò, impaurita. Era la scelta giusta? Aprì gli occhi, osservando il volto dell’uomo nella penombra. Stava per fare il passo più azzardato della sua vita. Ma non poteva più mentire a se stessa, non poteva più sopprimere quello che sentiva.
Allora lo baciò.
*
Andrea osserva la schiena nuda di Caterina, lievemente bagnata dalla luce dell’alba. Una brezza leggera arriva dal mare, facendo ondeggiare le tende bianche. A lui pare di essere in paradiso. Caterina si gira dolcemente e arriccia le labbra. Andrea fa scivolare il pollice sul volto appena abbronzato della donna. Lei, a quel tocco, sorride beatamente. Vorrebbe fermare il tempo, vorrebbe vivere quel momento all’infinito. Sono anni che non si sente così bene.
Gli prende la mano, bacia delicatamente le nocche e finalmente lo guarda negli occhi: quegli occhi che sono pungenti e forti come quelli di Stefano, eppure più sfumati, i confini meno marcati. Andrea è così: senza definizione, sfumato, sfuggente. Non riesce a capirlo appieno, ma ha tanto tempo per farlo. Il resto della vita.
   
 
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