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Autore: Stella_Potter394    07/02/2021    0 recensioni
[...]Un altro giorno, ancora. Mi chiedo ancora come abbia fatto a non diventare pazzo nelle mie condizioni, credo che se non avessi avuto una ragione per resistere, qualcosa, un pensiero, a cui aggrapparmi adesso sarei già scivolato da tanto nella pazzia o, peggio, avrei chiesto pietà e allora avrei dovuto vuotare il sacco. Solo al pensiero rabbrividivo. No, non avrei mai fatto nessuna delle due opzioni a costo di morire qui, da solo, solo per proteggerli.
Come un futuro può essere cambiato. Un intreccio di ricordi, sensazioni, sguardi e sentimenti che (spero) vi sorprenderà: è la storia di Jenna e di lui. Lui che le è sempre vicino e che deve proteggerla.
entrate e scoprirete il loro mondo
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15
«Lei ci salverà...»
Silenzio.
«Dimmi chi é la Sciamana.»
Un grido di dolore.
«Dovrai uccidermi.»
Rumore di ossa che si rompono, di pelle e carne macerata.
«Tu non capisci.»
Il tintinnio delle catene accompagnava quelle urla.
«Perché lo fai? Hai abbastanza potere, lascia il nostro popolo in pace.»
La puzza della bile nell'aria.
«Io sono il vostro Re. Non vi è chiesto di pensare, ma solo di obbedirmi.»
Circondato dalle tenebre, l'uomo se ne stava seduto tranquillo, alzando solo pigramente una mano verso il prigioniero.
Al movimento del suo dito indice, avvolto da una cupa luce blu, questi urlò. Fu un urlo assordante, capace di far accapponare la pelle ad un morto. Il rumore di un braccio tranciato di netto e caduto a terra. «Così fastidiosi...» Borbottò con stizza l'uomo seduto mentre l'altro ansimava nel tentativo di immagazzinare aria.
«Se tu fossi più collaborativo avresti una morte rapida e indolore.»
Finalmente, il mostro si alzò e, guardando la sua preda negli occhi, gli passò una mano sul petto, vedendo come l'aria rientrava lentamente nei polmoni. Il prigioniero cominciò a tossire convulsamente, sputando per l'ennesima volta bile e sangue. 
Respirando affannosamente, alzò lo sguardo, fissandolo con odio. L'altro accolse quel disprezzo con un ghigno. 
«O forse vorresti vivere?» Chiese con voce divertita, riprendendo subito dopo a parlare, ghignando maliziosamente. 
«In realtà vuoi vivere. Vuoi tornare dalla tua famiglia» quasi sputò quelle parole «Potrei farlo, sai? Potrei lasciarti vivere, tornare da lui. Potrei ridarti una vita. Ti basterebbe solo inchinarti a me, questa volta sul serio.»
L'altro uomo continuò a guardarlo con odio, senza dire alcunché. Poi, all'improvviso, cominciò a dimenarsi in modo scomposto, emettendo dei deboli lamenti che si trasformarono ben presto in grida disperate.
«Credo non ci sia fretta, puoi scegliere con calma da quale parte della Luna vuoi essere.» aprì le catene al suo polso con uno schiocco di dita. 
Il prigioniero cadde a terra, producendo un forte rumore. Non si rialzava.
L'uomo, non preoccupandosi nemmeno di verificare se l'altro fosse ancora vivo, se ne andò. 
Quando la porta venne chiusa con un tonfo, il detenuto alzò lo sguardo verso l'unica finestra che aveva in quela cella, il viso macchiato di sangue e lacrime illuminato dalla luce della luna.
Nel silenzio creatosi, l'unica cosa che si sentì erano i suoi singhiozzi.
 
Aprii di scatto gli occhi cominciando a respirare affannosamente. Non vedevo niente nel buio della mia camera ma dovevo alzarmi, correre, fuggire.
Mi sentivo febbricitante, il disgusto e l'orrore di quanto sognato mi stavano facendo rivoltare lo stomaco.
Con gambe tremanti scesi dal letto e, cercando di non cadere, mi diressi verso la porta per prendere aria. Proprio quando stavo per aprirla, le mie gambe cedettero, caddi a terra sbattendo le ginocchia sul pavimento, ma non ci feci caso, perché proprio in quel momento un conato di vomito mi assalì, afferrai il cestino, posizionato vicino alla porta, e cominciai a rimettere mentre le immagini di quell'incubo così reale continuavano a perseguitarmi.
Quell'uomo...
Percepivo ogni sua singola emozione, ogni suo minimo dolore, e mi sentivo letteralmente a pezzi. Faticavo a respirare, la mia pelle bruciava, come se avessi fuoco nelle vene al posto del sangue. Il dolore acuto alla testa e al petto non accennava a diminuire.
Mi portai una mano a stringermi il petto, graffiandomi nonostante il pigiama, nel tentativo di diminuire la pressione che mi opprimeva, mentre piangevo per lo sforzo di rimettere.
Ero disgustata, sentivo ancora quelle mani addosso, il dolore, il terrore che quel mostro aveva impresso a quell'uomo.
Un altro conato mi scosse lo stomaco.
«Jenna?» Un sussurro roco mi chiamò ma io non ci prestai attenzione, presa com'ero a vomitare anche l'anima. Basta, basta, basta...

D'un tratto avvertii le dita fredde di Cameron sulla fronte a tenermi indietro i capelli così che non si sporcassero.
Dopo un tempo non ben quantificato riuscii finalmente a smettere di rimettere, sentivo ancora male ovunque e, senza rendermene conto, presi a tremare, dallo sforzo, dalla paura, dal dolore che ancora provavo. 
All'improvviso le braccia di Cameron  mi avvolsero, mi ritrovai così, tremante e stanca, stretta al suo corpo freddo che riusciva a dare sollievo al mio, caldo e disperato.
 
«Va tutto bene, sei al sicuro. Va tutto bene.» Mi ripetè con la sua voce dolce e roca, mentre mi accarezzava i capelli e mi stringeva a sé.
 
Avrei voluto dirgli che no, non andava tutto bene, perché sapevo di essere al sicuro, o almeno, razionalmente lo sapevo, sapevo di essere in camera mia, che nessuno mi aveva amputato un braccio a sangue freddo, o strappato la pelle di dosso, nessuno mi aveva fatto del male, ma tutte queste cose io le sentivo ancora sulla mia pelle. 
Io potevo anche essere al sicuro, nella mia stanza, stretta nelle braccia di Cameron, ma quell'uomo non lo era,  stava male e, quel che mi uccideva era sapere di non poter fare niente per aiutarlo.
Mi si strinse il cuore, mi sentivo così impotente, così inutile.
Una lacrima scivolò sulla mia guancia per poi posarsi sulla maglietta di Cameron e, dopo poco, cominciai a piangere silenziosamente.

Cam lo sentì, mi sentì piangere, e mi strinse delicatamente, posando la guancia sulla mia testa «Andrà tutto bene, ci sono qui io» sussurrò dolcemente. 
Lui non sapeva quello che avevo visto, non poteva sapere come mi sentivo, né il perché, ma, nonostante tutto, a quelle parole sorrisi mestamente e lo strinsi anch'io.
   
 
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