Serie TV > Vikings
Segui la storia  |       
Autore: Lamy_    15/03/2021    1 recensioni
Ivar e Hildr sono i nuovi sovrani di Kattegat. Devono far riemergere un regno dalle ceneri, e una tale azione richiede sacrificio e impegno costante.
I nemici circondano i neo-sovrani: Oleg e il suo esercito sono pronti a eliminare chiunque minacci il trono di Kiev. Ma il principe Dir ha altri piani che includono l’appoggio di Ivar e Hildr.
A incrinare una situazione già di per sé delicata sarà la guerra dei vichinghi contro il Wessex. L’esito sarà doloroso e le conseguenze porteranno a nuovi equilibri mai visti in precedenza.
Tutto è nelle mani di Hildr.
Amore e morte, forze antiche quanto il mondo, giocheranno una partita in cui le pedine avranno solo due possibilità: splendere di gloria o piegarsi alla sconfitta.
(6B; contiene spoiler a vostro rischio e pericolo)
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
EPILOGO: LA VALCHIRIA DEL RE

“Queste si chiamano Valchirie; Odino le manda in ogni battaglia,
esse scelgono gli uomini cui toccherà la morte e decidono la vittoria.”
(Snorri Sturluson, Edda in prosa)
 
Due settimane dopo
L’aria era fresca e limpida, diversa da quella pregna di fumo di Kattegat. Hildr osservava le distese di terra che circondavano il monastero come uno scrigno. Erano trascorse due settimane, quel vecchio edificio era diventato il suo alloggio. Johannes aveva allestito una cella per lei, mentre Hvitserk andava e veniva ogni due giorni. Alfred aveva ospitato Hvitserk e Isobel a tempo illimitato, l’unica scadenza era segnata dalla convalescenza di Ivar. Il ragazzo continuava ad essere stazionario, i battiti del cuore erano ancora lenti ma presenti, e spesso aveva avuto attacchi di febbre. Si era svegliato poche volte e comunque non era stato in grado di riconoscere nessuno. Hildr sedeva al suo capezzale ogni giorno in attesa che si svegliasse.
“Disturbo?” domandò Johannes.
“Ivar è sveglio?”
“Non ancora. Ci vuole pazienza, ragazza mia. Il suo corpo deve rigenerarsi col tempo.”
La pazienza era una delle doti di cui Hildr non disponeva, non quando Ivar era bloccato fra la vita e la morte.
“Come è arrivato all’arunya? È una pianta rara e poco usata proprio per i suoi effetti pericolosi.”
“Ha usato questo.”
Johannes estrasse dalla tasca della tunica un piccolo libricino che Hildr conosceva bene: era il taccuino di sua madre, quello che riportava le sue annotazioni.
“Ecco perché non lo trovavo più!”
“Ivar ha pensato davvero a tutto.” Disse Johannes.
Nella mente di Hildr stava prendendo forma un pensiero, o meglio un ricordo di una conversazione avvenuta anni addietro fra sua madre e Ragnar.
“Quel maledetto ha pianificato persino i dettagli. Una volta suo padre Ragnar ha finto di essere morto, e si è fatto addirittura seppellire, per sorprendere i nemici. L’astuzia è una pecca di famiglia.”
La verità era che lei amava Ivar anche per la sua astuzia, ma in quel momento era stata quella virtù a separarli.
“Lui lo ha fatto per te. Se si risveglia è un bene, ma se il suo piano non serve a niente è solo un grande dolore. Lui voleva evitare che tu soffrissi ancora. Voleva che ti ricordassi di lui come un eroe.”
“Ma lui non è un eroe. È un bambino che gioca a fare il re.”
“Johannes! Johannes!” lo chiamò un monaco.
Hildr e il bibliotecario si precipitarono nella cella che ospitava Ivar. Il ragazzo era sveglio, veramente lucido dopo tre settimane. Sgranò gli occhi quando riconobbe sua moglie.
“H-h-hildr?” sussurrò con voce roca.
“Stupido imbecille!”
Hildr gli tirò uno schiaffo tanto forte da lasciargli il segno sulla guancia, dopodiché si fiondò su di lui per abbracciarlo. Ivar si crogiolò fra le sue braccia, facendoci consolare dal calore familiare e dall’odore di lei.
“Perdonami.”
“Non ti perdono. Ti odio. Sei un bastardo.” Mormorò Hildr.
Eppure lo stringeva come se da quell’abbraccio dipendesse la sua vita. Per un mese si era disperata, aveva permesso al lutto di dilaniarla dentro, aveva pianto fino ad addormentarsi. Adesso aveva la possibilità di vederlo, toccarlo e parlargli. La felicità faceva a botte con la tristezza.
“Mi dispiace, Hildr. Non avrei mai voluto questo per noi.”
Johannes fece cenno al monaco di lasciarli da soli, avevano bisogno di confrontarsi e anche di insultarsi un po’.
“Perché non me lo hai detto? Avremmo trovato una soluzione insieme.”
Ivar si scostò e con i pollici le accarezzò le tempie, era diversa dall’ultima volta che l’aveva vista.
“Hai i capelli corti.”
Lei sbuffò, sembrava che la gente desse più importanza ai suoi capelli che ai suoi sentimenti.
“Li ho tagliati perché li odiavo. Odiavo che tu non fossi lì a intrecciarmi i capelli ogni giorno.”
“Sei bella lo stesso.” Disse Ivar, gli occhi malinconici.
“Non iniziare con le moine. Io ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta.”
Hildr si tirò indietro per sedersi ai piedi del letto, lontana dalla tentazione di riempirlo di baci dappertutto. Poteva amarlo e odiarlo al tempo stesso?
“Ho capito che la malattia stava degenerando quando ho avuto la febbre a Kiev. Da allora i sintomi sono peggiorati, il dolore alle ossa era ingestibile. Ho capito che stavo morendo. Mi sono rivolto a diversi guaritori ma nessuno di loro sapeva come aiutarmi. Mi restava poco tempo e non volevo morire in un letto come un malato, quindi ho deciso che avrei avuto una morte gloriosa e ho dichiarato guerra al Wessex. Quella colonia andava vendicata, era l’occasione perfetta.”
“E il piano che hai ordito con Johannes ed Einer?” domandò Hildr.
“Sebbene la morte fosse dietro di me, ho pensato che avere un’altra opzione era la cosa giusta. Ho inviato qui Johannes e gli ho chiesto di cercare un guaritore capace. Poi ho stretto un patto con Einer affinché mi accompagnasse qui dopo il funerale. Lo so che sembra assurdo, ma ho cercato in tutti i modi di restare vivo.”
Hildr doveva ammettere che quel piano non faceva una piega. Ivar era uno stratega eccellente, e ne aveva dato prova persino in punto di morte.
“Saresti tornato da me?”
“Certamente.” Disse Ivar senza esitare.
“Hai cercato una cura per tornare a Kattegat e regnare?”
Ivar scosse la testa, uno sprazzo di delusione vagò nel suo sguardo.
“Ho cercato una cura per stare con te. Non lo hai ancora capito?”
“Capito cosa?”
Hildr era talmente confusa che a stento avrebbe ricordato il suo nome se qualcuno glielo avesse chiesto.
“Io non voglio tornare a Kattegat. Io non voglio regnare. Non voglio più essere Ivar Senz’Ossa.”
“E cosa vuoi?”
Ivar tese la mano per afferrarle il mento e farsi guardare in faccia.
“Voglio essere solo Ivar, un semplice ragazzo di campagna. E voglio essere tuo marito. Voglio quella vita tranquilla che tu desideri. Basta potere, basta guerre, basta sofferenze.”
Era stato quello l’obiettivo di Ivar sin dall’inizio: voleva che il famigerato Senz’Ossa morisse per lasciare spazio al ragazzo che meritava pace e amore. Doveva uccidere una leggenda per riavere indietro la sua vera vita. Ma l’unico modo per vivere in pace era far sapere a tutti che lui era morto, così nessuno avrebbe cercato vendetta e loro avrebbero vissuto in serenità.
“Sei sicuro di voler rinunciare al potere? È quello che hai sempre sognato.” Disse Hildr.
“Quello che ho sempre sognato ce l’ho avuto davanti agli occhi per anni e non l’ho mai visto perché ero abbagliato dalla sete di potere. Ora finalmente vedo. Vedo te, solo te.”
Hildr si era commossa, ma trattenne le lacrime per non apparire vulnerabile. La vita le stava offrendo una seconda chance che andava colta al volo.
“Ti odio.”
Ivar scoppiò a ridere, un suono che lei sentì vibrare nelle orecchie e irradiarsi nel petto.
“E io odio te.”
 Ivar Senz’Ossa e Hildr la Valchiria erano morti, era tempo di ricostruire qualcosa di solido sulle loro ceneri.
 
Un anno dopo, Wessex
“L’infuso di malva aiut- … Ivar, smettila! Mi stai distraendo.”
Ivar rise e continuò a giocare con un laccio della casacca di Hildr, giusto per irritarla ancora di più. Lei gli lanciò un’occhiataccia ma lo lasciò perdere, era inutile spendere le energie per dissuaderlo dall’infastidirla.
“Sei così carina quando ti arrabbi.” Disse lui.
“Ti stacco un dito a morsi quando mi arrabbio.” Replicò Hildr.
Ivar dopo una lunga convalescenza si era stabilizzato, la febbre non gli era più venuta e le ferite da amputazione si erano rigenerate alla perfezione. Poiché tutti – amici e nemici – sapevano che era morto, avevano deciso di restare a vivere nel Wessex. Alfred in persona si era premurato di donare loro una piccola e sperduta tenuta di campagna. Non c’erano altre case o altre persone nei dintorni, e il villaggio più vicino distava all’incirca un giorno di cammino.
“Lo dici sempre ma non lo fai mai.” La sfidò Ivar ridendo.
Hildr fece roteare gli occhi, stufa di quel giochetto infantile.
“Prima o poi ti ucciderò, e non sarà per finta.”
La vita procedeva stranamente bene. Non c’erano riunioni da presiedere, nessuna difesa da erigere, nessuna orda nemica da combattere. Le loro giornate trascorrevano in quel meraviglioso clima di quiete. Lei studiava il taccuino di sua madre per imparare le arti della guarigione e lui intagliava pezzi di legno a volontà. Preparavano la cena insieme, chiacchieravano sul portico della tenuta, poi andavano a dormire. Era una routine nuova per loro ma era bello mettersi a letto senza preoccupazioni.
“Lo so che mi ami e che mi terrai con te il più a lungo possibile.” disse Ivar.
“Se stai zitto e fai il bravo, allora potrei anche tenerti.”
Hildr rise per il broncio del ragazzo, quindi gli stampò un bacio sulle labbra.
“Chissà cosa starà combinando Hvitserk. Le bambine lo staranno facendo impazzire.”
Dopo che Hildr aveva rinunciato al ruolo di regina, l’onore – o l’onere, dipende – era toccato a Hvitserk e Isobel. I due erano tornati insieme ed erano diventati genitori della splendida Eyra, un nome scelto da Hildr ancora una volta. Lei sentiva la mancanza di Isobel, Aila ed Eyra e sperava di rivederle al più presto, ma era felice di non dover sopportare Hvitserk.
“Hvitserk è stupido, merita di impazzire.”
Ivar ridacchiò, era proprio vero che alcune cose non cambiavano mai. Intanto era calato il buio e iniziava a tirare un venticello fresco.
“Rientriamo, comincia a fare freddo.”
Hildr si alzò e richiuse il taccuino, poi aprì la porta per fare entrare Ivar. Il ragazzo non usava più la stampella dato che non era necessaria, ora si trascinava facendo leva sulle braccia.
“Perché mi guardi così, Hildr?”
La ragazza, infatti, si era appoggiata allo stipite della porta e lo aveva osservato mentre si arrampicava sulla sedia. Miriadi di volte aveva visto Ivar che si spostava strisciando come un serpente, ma adesso l’assenza delle gambe le provocava un forte senso di colpa.
“E’ solo che … io … io mi sento egoista. È come se ti avessi obbligato a restare in vita e a sopportare tutto questo.”
“Con ‘tutto questo’ ti riferisci al fatto che per muovermi devo letteralmente strisciare per terra come un verme? Intendi che non potrò stare mai più in piedi?”
Hildr avvertì una sensazione terribile allo stomaco. Ogni volta che discutevano sull’argomento si sentiva male.
“Sì, mi riferisco a quello. Mi dispiace immensamente.”
Ivar sorrise, a volte sua moglie era la donna più insicura di Midgard.
“A me non importa aver perso le gambe, tanto anche prima mi servivano a ben poco. E non sei egoista. Al massimo quello egoista sono io che ho finto di essere morto e ti ho fatta soffrire. Smettila di incolparti per qualcosa che non hai fatto.”
“Ma tu …”
“Ma io sono felice così!” esclamò Ivar.
Hildr si sedette di fronte a lui e fissò le venature del tavolo. Ivar le prese la mano sinistra e depose un bacio sulla fede nuziale.
“Non è colpa tua, Hildr. Io ho scelto di amputare le gambe e sempre io ho scelto di vivere in questa maniera. A me sta bene. Non c’è nulla di cui dispiacersi. Anzi, sono io quello che dovrebbe preoccuparsi.”
“Di cosa dovresti preoccuparti?” chiese Hildr, guardinga.
“Beh, degli altri uomini. Io non ero un granché prima che avevo le gambe, ora sono peggiorato di sicuro. Magari al villaggio qualche bel giovane affascinante, con il corpo perfetto, potrebbe corteggiarti.”
“Magari se il bel giovane è meno fastidioso di te potrei farci un pensierino.”
Ivar si sforzò di ridere, però in fondo temeva davvero che un giorno lei si sarebbe accorta che quel matrimonio non era abbastanza e che sarebbe andata via.
“Continuerò ad essere fastidioso.”
Hildr gli strinse la mano e sorrise, sciogliendo ogni singolo dubbio.
“E io continuerò ad essere infastidita da te.”
 
 
Cinque anni dopo
I respiri affannati di Hildr rimbombavano nelle orecchie di Ivar. Il loro rifugio era caldo e accogliente, pelle contro pelle. Era mattino presto quando si era svegliati, salutati dall’arancio dell’alba che penetrava dalle finestre. Tra una chiacchiera e l’altra erano finiti a baciarsi, ogni bacio diventava sempre più veemente. Poi si erano spogliati, sparpagliando i vestiti sul pavimento con noncuranza. E alla fine si erano ritrovati nudi, avvinghiati in un abbraccio lussurioso. Hildr lo attirò in un bacio di pura passione, alternando morsi e sospiri.
“La mia adorata moglie ha qualche richiesta?” sussurrò Ivar al suo orecchio.
Lei elargì un sorriso talmente malizioso da fargli venire i brividi. Era così bella con i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino, la bocca gonfia per i baci e le guance arrossate.
“Il mio maritino lo sa cosa voglio.”
La ragazza piegò il collo di lato per baciare il palmo della mano di Ivar, un ordine che lui capì al volo. Lei faceva così quando voleva che lui obbedisse. Come un bravo soldatino, Ivar eseguì l’ordine facendo delicatamente scivolare la mano fra le gambe di Hildr.
“E’ questo che vuoi?”
Lei ridacchiò e si morse le labbra, totalmente rapita dal ragazzo.
“Mmh.”
La mano di Ivar compiva movimenti cauti e calcolati, ogni gemito di Hildr lo incitava a proseguire. L’intimità era uno degli aspetti del loro matrimonio che era cambiato, del resto avevano tanto tempo libero a disposizione per fare qualsiasi attività avessero voluto.
“Va bene così?” soffiò Ivar, la voce roca.
Hildr in risposta gli tirò leggermente i capelli per avere accesso al suo collo e regalargli una scia di baci caldi. Ivar deglutì e chiuse gli occhi, beandosi di quella bocca che gli faceva vibrare la gabbia toracica. Riaprì gli occhi per guardare Hildr contorcersi sotto il suo tocco. La sua mano si fece più audace, voleva mandarla sull’orlo del baratro.
“Ivar.”
Ivar tremò per come era stato pronunciato il suo nome, la voce di lei era bassa e sussultante. Lo sguardo di Hildr si era fatto liquido, la sua bocca gemeva. Pochi istanti dopo emise un sospiro, il respiro mozzato e la fronte imperlata di sudore. Ivar sorrise e le diede un lungo bacio.
“Stai bene?”
“Sto benissimo.”
Hildr si alzò per andare a bere, ogni passo fuori da quel riparo caldo era un brivido di freddo. Tornò di corsa a letto e poggiò la schiena contro il muro, mentre Ivar si accoccolò sul suo petto.
 “Te l’ho mai detto che sei bella?”
“Fin troppe volte!” ribatté lei ridendo.
Lui sollevò la testa per farle la linguaccia, poi si mise sghignazzare.
“Perché è vero che sei bella. Sei meravigliosamente bella.”
Hildr fece una smorfia, quelle smancerie non erano pane per i suoi denti. Ivar era bravo a fare i complimenti ed era molto romantico, invece lei faceva il possibile per mostrarsi dolce ogni tanto.
“Tu sei un adulatore nato. Non potevi, che ne so, essere bravo a cucinare? Ci sarebbe tornato utile.”
Ivar si allontanò per occupare la propria parte di letto, incrociò le braccia e si finse offeso.
“Io cucino benissimo.”
Hildr si mise a ridere come se quella fosse la barzelletta più divertente del mondo.
“Far cuocere la carne sul fuoco non significa saper cucinare.”  
“Neanche le tue verdure bollite sono un capolavoro, eh!” disse Ivar.
La ragazza gli tirò un ceffone sulla nuca e gli diede una gomitata. Era davvero offesa da quella mancanza di rispetto.
“Almeno io so affettare gli ortaggi! Brutto caprone!”
“In tutta sincerità, affetti in maniera disordinata e senza un filo logico.”
Hildr spalancò la bocca per insultarlo ma Ivar la zittì con un bacio. La spinse contro il materasso, premendosi contro di lei con tutto il corpo. Sapeva di essere fortunato a stare con lei. Insomma, Hildr avrebbe potuto scegliere un uomo con due gambe e un corpo in grado di soddisfarla, invece aveva scelto lui con una malattia incurabile e problemi di autostima.
“Oh, Ivar, giuro che ti lascerò morire di fame.” Lo minacciò lei.
Ivar inarcò il sopracciglio e fece un sorriso pericoloso, poi con l’indice percorse lo spazio fra i seni e scese fino a toccarle l’ombelico.
“E se mi facessi perdonare?”
Hildr gli cinse il collo con le braccia e sorrise ad una spanna dalle sue labbra.
“Inizia a darti da fare, più tardi tratteremo i termini dell’accordo.”
 
Otto anni dopo
“Fai un bel respiro, prendi la mira e scossa la freccia.” Disse Hildr.
Aila tese la corda dell’arco, puntò la freccia e mise a fuoco il bersaglio. Il tiro andò male, la freccia si conficcò nella terra a molta distanza dal fantoccio di paglia.
“Sono pessima.” Si lamentò Aila.
Aveva quattordici anni e Hvitserk pensava che fosse giunta l’ora di imparare a combattere. Isobel aveva deciso che solo Hildr e Ivar erano in grado di addestrare la figlia per diventare una shieldmaiden potente.
“Ieri hai centrato il bersaglio tutte le volte. Oggi sei distratta. Che succede?”
Aila si sedette per terra con uno sbuffo, non aveva voglia di essere interrogata. Aveva gli stessi capelli biondi di Isobel e gli occhi chiari di Hvitserk, ma il carattere sembrava essere quello introverso di Ivar quando era adolescente.
“Non succede niente.”
Hildr le accarezzò la schiena e lasciò che la nipote appoggiasse la testa sulla sua spalla. Le lasciò un bacio una fronte.
“Io sono qui per qualsiasi cosa. Sei preoccupata? Hai litigato con qualcuno?”
“Mamma non vuole che io vada a passare l’estate con Edward al castello.”
Edward era il figlio di Alfred, aveva diciassette anni ed era il ragazzo più educato di tutto il Wessex. Edward e Aila si erano conosciuti anni fa durante un incontro per rinnovare il trattato di pace fra i loro regni. Da allora erano stati inseparabili. Quando non stavano insieme, si scrivevano biglietti in cui raccontavano le loro giornate; l’uno aveva insegnato la propria lingua all’altra.
“Tua madre non capisce certe cose. Per lei sei ancora una bambina.” Disse Hildr.
“Quali cose?” fece Aila, rossa in viso.
“Ti piace Edward. È evidente, cristallino, palese.”
La ragazzina si coprì con le mani, si sentiva scoperta come se avesse rubato una pagnotta di pane.
“Mamma e papà non devono saperlo. Promesso?”
“Te lo prometto. Comunque, posso accompagnarti io al castello. Potremmo fermarci un paio di giorni, così tu starai con Edward e io mangerò dell’ottimo cibo.”
Aila sorrise raggiante, quella proposta era un dono degli dèi. Voleva rivedere Edward dopo un inverno di lontananza, voleva abbracciarlo e sentirlo parlare per ore di mitologia greca e latina.
“Quando partiamo?”
“Dove andate?” volle sapere Ivar.
Lui ed Eyra erano seduti sul portico della tenuta a intagliare pezzi di legno. La nipote amava passare il tempo con lui fra lezioni di intaglio e racconti su Asgard. Era una bambina che sapeva usare le mani: intagliava il legno, cuciva abiti, intrecciava capelli e adorava incidere le rune sui sassolini. Aila, al contrario, amava viaggiare con la fantasia al di là di Kattegat, imparava poesie e leggeva i libri che le regalava Edward, e soprattutto voleva diventare una guerriera come Hildr.
“Zia mi porta a fare visita a Edward per un paio di giorni!” disse Aila al settimo cielo.
Ivar corrugò la fronte, quei sassoni fetenti erano dappertutto.
“Tu e tua zia avete un debole per i sassoni.”
“Tu hai un debole per la gelosia.” Scherzò Hildr.
Aila ed Eyra risero per lo sguardo in cagnesco che si stavano scambiando gli zii. Se un minuto prima si baciavano, quello dopo si insultavano.
“Potete venire anche tu ed Eyra. Possiamo stare tutti insieme.” Disse Aila.
“A palazzo hanno dei bei tessuti, potrei cucire a tutti dei nuovi vestiti.” Rifletté Eyra.
Ivar era accerchiato: Hildr, Aila ed Eyra lo guardavano con gli occhioni dolci. Lui non poteva resistere, pertanto fu costretto ad annuire.
“Vada per questa gita di famiglia!”
Le nipoti corsero in casa a preparare le bisacce, le loro risate riecheggiavano fra le stanze. Hildr si accomodò accanto ad Ivar, gli prese la mano e gli baciò le nocche.
“Aila ha una cotta per Edward, ecco perché la voglio accompagnare. Non voglio andarci per vedere Alfred.”
“Dammi un bacio e forse mi passerà il malumore.”
Ivar ne approfittò per baciarla con foga, infilandole le dita fra quei capelli neri e setosi per cui andava pazzo.
 
Tre anni dopo
“Ora pratica un segno lungo l’asse centrale … sì, brava.”
Ivar ed Eyra stavano realizzando l’elsa di un pugnale da un pezzo di legno. La nipote, che ora aveva sedici anni, era una promettente forgiatrice di armi. Infatti, a Kattegat stava facendo un apprendistato presso il fabbro per imparare a creare ogni sorta di arma.
“Adesso che faccio? Non riesco a capire.” Disse Eyra.
“Guarda con attenzione, c’è qualcosa che non quadra.”
Eyra studiò il pezzo di legno ma non vide nulla, solo dopo un’accurata occhiata si rese conto che restava un lembo non inciso.
“E’ questo, vero?”
“Vero.”
Ivar sorrise e le diede un buffetto sul naso. Eyra somigliava ad Aslaug, aveva i capelli rossicci e una spruzzata di lentiggini sul naso come lei. A volte anche il suono della sua voce somigliava a quella dell’ex regina.
“Ditemi che sono un genio.” Disse Hildr alle loro spalle.
Uscì sul portico sventolando il taccuino di sua madre, un sorriso compiaciuto sulle labbra.
“Sei un genio.” Dissero Eyra e Ivar all’unisono.
Hildr si sedette in mezzo a loro e aprì una pagina del libricino per indicare la ricetta di un preparato.
“Questa potrebbe essere una svolta. Leggendo le annotazioni di mia madre ho scoperto che l’acqua bollente è un ottimo disinfettante. Ciò significa che possiamo disinfettare nell’acqua calda coltelli e aghi prima di ricucire e cauterizzare le ferite.”
“Quindi?” volle sapere Eyra.
“Secondo mia madre questo ridurrebbe il rischio di infezione. Buono a sapersi, no?”
“Ottimo a sapersi.” Disse Ivar con un sorriso.
Hildr negli anni aveva approfondito le sue conoscenze nel campo della guarigione, grazie anche agli appunti della madre. Almeno tre volte alla settimana vagava per i boschi in cerca di piante e fiori da testare per carpirne gli effetti. Questo le aveva permesso di capire che la camomilla poteva essere anche un rimedio per dormire bene.
“Aila sta tornando.” Disse Eyra.
Dalla collinetta stavano risalendo Aila ed Edward. La ragazza era andata al porticciolo del villaggio per accogliere il principe sassone. Ora camminavano fianco a fianco e ridevano.
“Dove sono stati per tutto questo tempo? Aila è uscita presto stamani.” Disse Ivar, sospettoso.
“Magari si sono appartati.” Ipotizzò Eyra.
“E tu che ne sai di queste cose? Hai solo sedici anni!”
Hildr alzò gli occhi al cielo, Ivar aveva un’indole paterna che lo faceva essere fin troppo protettivo con le nipoti.
“Ivar, non fare il guastafeste. Le ragazze sono grandi abbastanza per capire certe cose.”
Eyra andò incontro alla sorella, voleva mostrarle con orgoglio l’elsa che aveva intagliato.
“Quando Eyra parla di appartarsi intende che Edward e Aila hanno fatto sesso?”
Hildr gli rivolse uno sguardo truce, doveva smetterla di ficcanasare nelle faccende private delle nipoti.
“Smettila con queste sciocchezze. Aiala ha diciassette anni ed è in grado di fare le sue scelte. Comunque Eyra ti stava prendendo in giro.”
Ivar abbassò il mento, imbarazzato per la sua mania di controllo. Temeva solo che le sue nipoti scegliessero l’uomo sbagliato.
“A te Edward sta simpatico? A me sembra solo un ragazzino troppo alto e troppo stupido.”
“A te dà fastidio che tua nipote sia innamorata. Non fare il padre geloso.” Lo rimbeccò Hildr.
Quando i tre ragazzi furono vicini, Edward si inchinò per porgere i doverosi saluti.
“Hildr, Ivar, sono lieto di rivedervi.”
Era un giovanotto attraente, capelli ricci e neri, occhi marrone scuro e quelle spalle larghe che facevano avvampare le fanciulle. Aila, però, si era invaghita del suo carattere timido, riflessivo e amante della lettura. Era il ragazzo più colto che avesse mai conosciuto, parlava il latino e di recente stava studiando il greco.
“Noi stavamo meglio senza vederti.” Disse Ivar.
Hildr si passò una mano sulla fronte, sconcertata dalla maleducazione del marito.
“Lascialo perdere, Edward. Resti anche a cena?”
“Sì, se per voi va bene.”
“Va benissimo!” si affrettò a dire Aila.
“Andiamo al lago? Vorrei raccogliere altri rametti per fare un cesto.” Disse Eyra.
“Andate pure, io e Ivar prepareremo da mangiare.” Disse Hildr.
 
Aila sedeva sulla riva del lago e strappava i fili d’erba per poi attorcigliarseli intorno alle dita. Eyra stava setacciando il perimetro come un cane in cerca dell’osso, era proprio decisa a realizzare un cesto da regalare agli zii.
“Sembri distante. Stai bene?” chiese Edward.
Aila abbozzò un sorriso, però lui aveva ragione sul fatto che fosse distante. C’era un quesito che le dava il tormento da un mese.
“Nella tua ultima lettera hai scritto che a corte è arrivata la principessa Griselda.”
Griselda era la principessa di Northumbria, futura erede al trono a soli diciassette. Era orfana di madre e suo padre era molto malato, mancava poco alla sua ascesa. Era amica di infanzia di Edward, avevano seguito diverse lezioni di catechismo insieme in Wessex.
“Arriverà a corte fra due giorni. Perché ti interessa?”
Edward era ingenuo, troppo indulgente per capire le intenzioni che si celavano nei cuori altrui. Lui vedeva del buono in tutti, anche nei peggiori.
“Avete organizzato una festa per il suo arrivo?” domandò Aila.
“Sì. Mia madre ha organizzato un banchetto lussuoso. Il padre di Griselda è un alleato di mio padre da anni.”
Aila avrebbe voluto dargli uno spintone per fargli aprire gli occhi, ma Edward era così dolce che non meritava un simile trattamento.
“Hanno invitato Griselda per una proposta di matrimonio. Vogliono che tu la sposi.”
Edward lo aveva intuito, sua madre gli aveva parlato di Griselda per giorni e giorni, elogiandola e dipingendola come la moglie perfetta. Il problema era che la volontà dei genitori si scontrava con i suoi sentimenti.
“Lo so.”
Aila strappò con troppa forza un ciuffo d’erba e quasi cadde all’indietro.
“Tu la vuoi sposare? Sei innamorato di lei?”
Edward le prese la mano e col pollice le accarezzò il dorso, le mani della ragazza erano sempre fredde mentre le sue erano sempre calde. Una combinazione perfetta.
“Io non sono innamorato di Griselda.”
Lo sapeva che Griselda costituiva una parte importante poiché il regno di Northumbria era grande e prosperoso, tra l’altro entro pochi mesi sarebbe diventata regina e il Wessex sperava che volesse rinnovare l’alleanza. La via matrimoniale era quella più facile per garantirsi il suo appoggio, e questo Elsewith lo aveva tenuto più volte presente. A sua madre non interessavano i sentimenti del figlio, lei voleva solo ottenere un regno solido e forte.
“Sei innamorato di qualcuno?” osò chiedere Aila.
Ormai Aila aveva capito di provare dei sentimenti per il suo migliore amico, era stato chiaro sin da subito. Anche sua zia Hildr e zio Ivar erano stati migliori amici per anni prima di sposarsi.
“Non ho tempo per queste cose.”
“In che senso?”
Edward distese le gambe e poggiò il peso sui gomiti, il viso rivolto al sole.
“Mio padre ha intenzione di ritirarsi. Le sue condizioni di salute stanno peggiorando. A Natale sarò incoronato re. Tutto il mio tempo viene assorbito dalle lezioni con i precettori, dalle riunioni con i consiglieri reali e dagli incontri con il Vescovo.”
Aila trattenne il respiro. Stava brancolando nel buio.
“Diventerai re fra quattro mesi? È … surreale!”
“Credimi, ne cono cosciente. Ormai ho compiuto venti anni ed è il momento giusto per salire al trono. Mio padre vuole sistemare la faccenda prima di morire.”
Anche Hildr in passato aveva sistemato i problemi del regno per poi cedere la corona Hvitserk e Isobel, quindi il comportamento di Alfred era sensato. Quello che invece non aveva senso erano le tempistiche.
“Tu stai per diventare re e Griselda sta per diventare regina. Entrambi vi troverete alla stessa festa fra pochi giorni. Non ti sembra strano?”
Edward si grattò la nuca in imbarazzo, lo faceva quando veniva messo all’angolo. Aila era lì che lo guardava con occhi indagatori, eppure nel suo sguardo vi era anche un pizzico di tristezza.
“Aila, mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo.”
La ragazza dapprima sollevò le sopracciglia, poi emise un sospiro di rabbia.
“E’ una festa di fidanzamento. Tu e Griselda vi sposerete.”
È stato già tutto deciso. Non posso oppormi al volere dei miei genitori.” Disse Edward.
Aila si alzò e si spazzolò i calzoni, tentava in tutti i modi di evitare lo sguardo bastonato del ragazzo.
“Eyra, andiamo! Si è fatto tardi.”
“Ma io devo ancora raccogliere i rametti!” disse la sorella.
“Lascia stare quegli stupidi rametti. Andiamo! Adesso!”
Eyra buttò a terra i rametti raccolti e seguì la sorella con le spalle ingobbite. Edward si affrettò a raggiungerle, anche lui sembrava turbato come Aila.
“L’hai offesa?” domandò Eyra.
“Le ho detto che dovrò sposarmi fra qualche mese.” Disse Edward a bassa voce.
La vichinga arricciò le labbra per il disappunto. Sapeva della cotta di Aila per Edward, ecco spiegato perché ora la sorella camminava a gran velocità come uno struzzo inferocito.
“E le hai detto quella cosa?”
Edward arrossì e scosse la testa. Solo Eyra conosceva il suo segreto, era l’unica persona con cui poteva parlare liberamente delle sue emozioni.
“Non ancora.”
 
Ivar fissava la soglia della porta come un gatto che aspetta un topo. Hildr non si capacitava di quanto fosse ridicolo il marito.
“La porta ti ha fatto del male? Sembra che tu voglia darle fuoco.”
“Quel principino non mi piace per niente.” Grugnì Ivar.
Hildr mise da parte la pianta che stava studiando per concentrarsi sulla conversazione.
“I sassoni non sono male. Hvitserk ha sposato una sassone. Io ho salvato un sassone. Aila si è infatuata di un sassone.”
Ivar la guardò in tralice, non era brava con le rassicurazioni.
“Tu, Hvitserk e Aila avete gusti discutibili.”
“Tu hai sposato Freydis, quindi taci.” Ribatté lei.
“Sono passati vent’anni, è storia vecchia.” Disse Ivar sulla difensiva.
Hildr gli diede un colpetto alla coscia con il piede, attenta a non fargli troppo male.
“Tu mi hai richiusa in gattabuia. Hai voluto che combattessi agli Hòlmganga. Hai sposato Freydis. Hai baciato Katya. Hai dichiarato guerra ad Alfred contro la mia volontà. Ti sei finto morto. Ma io sono ancora qui dopo venti anni.”
“La morale sarebbe che ero un idiota?”
Hildr rise, anche se in effetti quella domanda era piuttosto sensata.
“Anche oggi sei un idiota. Comunque, la morale è che alla fine conta solo quello che provi. Noi stiamo insieme perché abbiamo lottato, ci siamo separati e ci siamo ricongiunti. Se Aila è innamorata di Edward non importa da dove provenga, conta solo quello che vogliono. Oggi non avremmo questa vita se non l’avessimo voluta.”
Ivar si guardò la fede nuziale, il ricordo del loro matrimonio era vivido. Hildr era al suo fianco da più di venti anni nonostante i litigi, gli intrighi e i momenti difficili.
“Hai ragione.”
“Oh, lo so.”
“Però Edward non mi piace lo stesso.”
Hildr si sporse per baciarlo e metterlo così a tacere.
 
Due giorni dopo
Edward ad un certo punto della festa si era allontanato per prendere una boccata d’aria. Era stato sotto pressione per tutto il giorno, iniziando dalla madre che gli aveva fatto provare numerose giacche e finendo con Griselda che raccontava storie noiose sul padre. Si era nascosto su un angusto balcone del castello, sin da bambino si rifugiava lì quando il mondo lo opprimeva.
“Edward.”
Si voltò e sorrise più felice che mai. Aila era là, le mani sui fianchi e l’espressione vergognosa. Indossava un abito verde con intarsi in oro che metteva in risalto i suoi occhi chiari.
“Sei qui.”
“Hildr mi ha convinta ed Eyra ha cucito l’abito per me. Ivar ha protestato un po’, ma lo sai com’è fatto mio zio. Non potevo lasciarti da solo stasera.”
Edward si avvicinò e le sfiorò una ciocca bionda con la delicatezza che si riserva ad una preziosa reliquia. Era più alto di lei tanto che con il mento toccava la fronte della ragazza.
“Aila, ti ringrazio. Avevo bisogno che la mia più cara amica fosse qui con me.”
Aila aveva perso le speranze, erano svanite quando aveva messo piede nel castello. Edward era suo amico e sarebbe rimasta al suo fianco nonostante tutto. Nonostante avesse voglia di baciarlo e stringersi a lui.
“Prego.”
Edward rise e avvolse le braccia intorno a lei, sollevandola da terra per farla volteggiare.
 
Un anno dopo
Il cielo sguazzava in un mare di rosso e blu che si mischiavano al tramonto. Hildr era seduta sul portico ad ammirare quello spettacolo. Pensò a Floki, chissà dove si era cacciato quello zio tutto matto. Pensò ad Helga nel Valhalla che danzava con sua figlia. E pensò ai suoi genitori che sedevano al banchetto di Odino e brindavano in allegria.
“Tienimi per mano al tramonto, quando il giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle.”*
“Poetico.”
Hildr sorrise d’istinto. Facendo riferimento alle sue parole, gli tese una mano che lui afferrò con vigore. Lentamente si fece scivolare accanto a lei e le mise un braccio attorno alle spalle.
“A che stai pensando?”
“All’incendio che ha portato via i miei genitori. È stato l’inizio di tutto.”
“Mi ricordo quando sei entrata nella sala reale con le guance sporche di fuliggine e i piedi scalzi. Eri la bambina più stramba che avessi mai visto.”
Hildr ricordava molto bene l’attimo in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Ivar per la prima volta. Quell’istante li aveva legati per sempre.
“Era destino che quella notte l’incendio distruggesse la mia casa e la mia famiglia.”
“Molte cose che ci sono capitate erano volute dal destino. Noi due ci siamo conosciuti per volere del destino. Se quella sera Hvitserk non ti avesse accolta in casa, io e te non ci saremmo mai parlati. Io sarei rimasto il ragazzo scontroso e malato di sempre e tu saresti diventata una contadina nella fattoria di famiglia.”
“O magari ci saremmo sposati lo stesso.” Azzardò Hildr.
“Una come te non avrebbe mai notato uno storpio come me.” Disse Ivar.
Lei emise un piccolo sospiro, consapevole delle infinte vie che avrebbero potuto prendere le loro vite. Invece le loro strade si erano incrociate e i loro passi si erano fusi.
“Io ti avrei notato. Per me non sei mai stato uno storpio. Per me sei sempre stato Ivar.”
Ivar sorrise e le diede un bacio sulla tempia, attirandola di più a sé.
“E io avrei fatto l’impossibile per farmi notare da te.”
“Smielato.” Borbottò Hildr, ma stava ridendo.
“Ricordi quando ti ho chiesto di sposarmi la prima volta? Eravamo in fuga da Kattegat.”
“Me lo ricordo.”
“E ti ricordi cosa ti ho detto sul nostro destino?”
Hildr si perse nei meandri della memoria, quasi poté sentire sulla pelle il vento che tirava quella notte.
“Mi hai detto che potevamo riscrivere le cose a modo nostro e che potevamo sfidare il fato che gli dèi avevano stabilito per noi. Mi hai detto che potevamo superare tutti i limiti.”
“Esatto. Lo abbiamo fatto, Hildr. Abbiamo scelto di vivere come volevamo. Prima abbiamo voluto la guerra e poi abbiamo voluto una vita lontana da tutti, e ci siamo presi entrambe le cose.”
“Cosa cerchi di dirmi?”
Ivar la guardò con gli occhi ricolmi d’amore e di ammirazione. In essi divampava il fuoco che li aveva uniti venti anni orsono.
“Che noi due eravamo destinati a stare insieme. Ti sto dicendo che, nonostante il Fato e gli dèi, noi ci saremmo trovati comunque.”
Hildr alzò gli occhi al cielo, però in cuor suo stava sorridendo. Loro insieme avevano fatto grandi cose, battaglie cruente, lotte per il trono, strategie di ogni tipo. Erano nodi indissolubili.
“Migliori amici per sempre?”
Ivar ridacchiò e le strinse la mano facendo incastrare le loro dita. Quella era più di una banale domanda, era una promessa. Era la promessa di restare insieme finché la morte non li avrebbe separati, ma anche in quel caso si sarebbero ritrovati nel Valhalla.
“Migliori amici per sempre.”
Hildr appoggiò la testa sulla sua spalla e si lasciò sfuggire un sorriso. Era davvero felice.
“Comunque resti uno stupido caprone.”
“E tu una mula impazzita.”
Le loro risate risuonarono nella notte, forti e cristalline come campane che suonano a festa.
Freya li osservò dal palazzo di Folkvang* e sorrise dolcemente: per una volta il Fato era stato riscritto e gli dèi non si erano opposti.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine di questa avventura. Ivar l’ho lasciato vivere perché sapete che do sempre un lieto fine ai personaggi perché è giusto e mi piace pensare che in un universo parallelo siano felici.
Questa storia mi ha dato tante soddisfazioni e ho imparato molte cose sulla mitologia norrena e sulla storia facendo le ricerche.
Spero di aver reso i personaggi simili alla serie tv e di non averli stravolti troppo.
Grazie di cuore a voi per aver seguito la storia. Vi sarò sempre grata.
Un bacio grande grande,
la vostra Lamy__
 
*storicamente il primo figlio maschio di Re Alfred si chiamava Edward, ha regnato tra la fine del IX e l’inizio del X secolo d.C.
*citazione di Hermann Hesse
*Folkvang è il palazzo dove mitologicamente risiede Freya.
 
PS. Ma se scrivessi una storia su Aila, Eyra e Edward? Vi piacerebbe?

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Vikings / Vai alla pagina dell'autore: Lamy_