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Autore: Lucreziaa31    16/03/2021    0 recensioni
Boston, 2005 stazione Centrale. Leah è una piccola bambina di sei anni che, in compagnia del padre si trova lì per prendere il treno diretto a Worcester. All’improvviso però, il caos. La gente si ammassa, e i due vengono quasi schiacciati. Proprio qui la bimba perde il genitore per qualche secondo, e tra la folla scorge chi è la causa di tale scompiglio: un uomo. I loro sguardi si incrociano immediatamente e tra i due sembra nascere una sorta di connessione.
Successivamente il padre la ritrova, e tutto sembra essere tornato alla normalità . Ma ciò che è appena successo non sarà un episodio isolato, e Leah riscoprirà il perché di questo avvenimento solamente tredici anni dopo.
Strani sogni, misteri enormi, bugie...
Quella di Leah è un’avventura alla ricerca di se stessa, che nasconde il desiderio di ognuno di noi di sfidare il destino, con la speranza di cambiarlo per sempre. Ed è anche la storia di un uomo, che aspetta che quelli siano, finalmente, i suoi ultimi cent’anni.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tecum

Rimase per un po' con gli occhi aperti, le braccia conserte, a fissare il buio della sua stanza, cercando di perdersi in quel vuoto oscuro, prima di decidersi a riaddormentarsi. 
Nella sua mente si accavallarono troppi pensieri, e troppo in fretta.
Era tutto collegato.
Lui aveva ragione, e lei era riuscita, come sempre, a mandare tutto all'aria. 

"Dovrai solamente saperlo aspettare." Le aveva detto l'uomo incappucciato in quel sogno premonitore. Un brivido le percorse tutto il corpo: le sembrava di vivere in un film. Era tutto così, incredibile. Ecco perché non aveva voluto credere a John: perché la sua mente da adulta aveva prevalso su quella da bambina, cercando di cancellare tutte le risposte che in realtà aveva già davanti agli occhi. Una piccola parte di sé aveva già capito che quella connessione aveva un fine, e che l'uomo non la aveva presa del tutto in giro. Ma quella parte era stata oppressa dalla parte razionale, che invece la portava a comportarsi come una persona adulta qualunque: scettica, fredda e con la perenne paura di ricevere una fregatura. 

Ecco, cosa le era mancato nella sua vita da giovane adulta: la speranza. 
Dopo tutto quello che le era accaduto, le incomprensioni, gli abbandoni, gli inganni... aveva iniziato pian piano a non credere più a nulla, dall'amicizia vera, alla "semplice" felicità. Il tutto quasi impercettibilmente, eppure era successo. Non aveva più veri sogni, speranze. Ed ogni cosa che le veniva detta da qualcuno di estraneo, doveva subire un processo di "autenticazione" all'interno del suo cervello. 

Ma John, non era un estraneo qualunque. Come si fa a ritenere "estranea" una persona alla quale ci si sente così potentemente collegati da un'energia immensurabile?
Si malediva, per non avergli creduto sul momento, per non averlo fatto continuare.

Ripensò alle sue parole.
Era così serio, che sembrava impossibile fosse uno scherno. Ma lei, non ci aveva creduto.
"Bisogna solo saperlo aspettare" ripeté tra sé e sé. 
Forse lo avrebbe rincontrato... m
a quando? Quanto avrebbe dovuto aspettare ancora? Quando lei sarebbe divenuta vecchia e lui ancora un giovane trentacinquenne?

Per un secondo rabbrividì. Un trentacinquenne.
In realtà lui aveva così tanti anni, ma era intrappolato in un corpo che non era più il suo. 
Tutto le tornò: la stazione dei treni, la prigione, la foto ottocentesca...
Era lui. Senza ombra di dubbio.
Aveva visto la storia scorrergli davanti agli occhi. Lui stesso sarebbe potuto essere la storia. 
Chissà, cosa si provava. Le pareva talmente irreale questa cosa, che in realtà ne rimase meno scioccata di quanto pensasse.
Non voleva pensarci al momento.

E tra mille pensieri, suonò la sveglia. Neanche quella notte era riuscita a dormire. 
Una volta alzata dal letto decise che quel pomeriggio sarebbe andata a prendere in farmacia un qualche tipo di rimedio, un sonnifero o qualcosa del genere, per risolvere questo problema enorme. 
Doveva accettare. Ma cosa? Per quanto ancora avrebbe dovuto passare le notti in bianco?
Non sarebbe resistita un giorno di più senza dormire, e la scienza della medicina la avrebbe sicuramente aiutata. 
***

La fila alla farmacia era stata interminabile! Ma era riuscita per fortuna a farsi prescrivere, e prendere una confezione di farmaco per dormire, anche se aveva aspettato ben quaranta minuti. Ma sicuramente, non poteva procrastinare altro.
Stava per imboccare la strada per tornare a casa, quando, vide lui.
Il cuore le esplose nel petto.
Stava camminando dalla parte opposta della strada, sul marciapiede. Doveva fermarlo! Parlarci, e come minimo scusarsi con lui. Forse non lo avrebbe più rivisto, ma non poteva non fare nulla! 

Attraversò la strada di corsa.
Lui le dava le spalle, quindi non la aveva ancora vista. 

«Senti... io devo chiederti scusa.» gli disse, a pochi centimetri da lui. Quest'ultimo si girò, e quando i loro occhi si incontrarono, un'espressione beffarda comparse sul volto dell'interlocutore, che si girò a guardarla negli occhi, dopo un lieve spavento procurato dalla sua improvvisa comparsa.
«Per cosa? Per una bugia che ti ho raccontato?» rise infine, amaramente. Ci mise poco a riconoscerla, lei era la ragazzina che sembrava essersi interessata a lui...
«Mi hai detto la verità, John.» replicò lei seria. 

«Sicura di stare bene?» sdrammatizzò lui. Anche se in realtà un brivido gli percorse la schiena... perché non facevano altro che incontrarsi? Doveva lasciare Boston il prima possibile. Questa situazione lo stava intimorendo non poco.

«Sì.» Leah abbassò gli occhi, le venne in mente dei sogni che aveva fatto. Doveva dirglielo! Solamente così poteva ricevere delle risposte e cercare di chiudere questo capitolo della sua vita «È da un po' di tempo che faccio degli strani sogni.» affermò.

«E a me lo vieni a dire? Non sono Freud! Vai da un esperto e non importunarmi oltre.» l'uomo iniziò ad innervosirsi. Cosa poteva interessare a lui della sua vita? Era una comune ragazzina, peraltro neanche troppo bella, che lavorava in uno stupido negozio! Entrambi non c'entravano nulla l'uno con l'altra. 
Le diede le spalle, intento a proseguire il suo cammino, che era stato interrotto da quell'impertinente. 

«Ho sognato una ragazza in compagnia di altre undici ragazze nel bosco, e poi lei che diceva di essersi innamorata di un uomo che presumibilmente cacciava in quel posto.» iniziò ad esplicargli, nella speranza che non se ne andasse. "John" non potè fare a meno di non ascoltare: sentiva come se quella cosa che stava dicendo riguardasse direttamente lui «E di uno strano contratto che avrebbe dovuto fare per stare con lui. Non era umana, probabilmente. Poi, la ho rivista in una cittadina forse di trecento anni fa, che si è scontrata con un uomo. Eri tu.» all'improvviso, sbiancò. Lei. 
Il modo in cui lui era rimasto folgorato dalla sua immensurabile bellezza, il suo intramontabile sorriso che sembrava illuminare il suo volto pallido. Non poteva essere una coincidenza, quella! O forse lei era... era una di loro! No, no, impossibile. Nessuno lassù aveva pietà di lui, tutti lo disprezzavano per aver fatto morire il fiore più bello dell'intero mondo. Quel fiore che proprio lui aveva visto sbocciare sotto i suoi occhi, e nel contempo aveva fatto pian piano appassire. 

Non rispose, talmente questa storia lo aveva scosso. Era la prima volta dopo tutti quegli anni che sentiva un'emozione così forte... forse era proprio la speranza?

Vedendo che non seguiva una risposta da parte dell'uomo, Leah continuò. Esigeva una replica! Anche solo una parola le sarebbe bastata. 
«Mi sembrava si chiamasse... Dakoturl...» il nome di quella donna non se lo ricordava proprio, lo aveva sentito un paio di volte nei sogni, ma era talmente particolare e complesso che era quasi impossibile citarlo tutto. 
«Daktulorodos.» la corresse tempestivamente lui, ormai certo al cento per cento che stessero parlando proprio della stessa persona. Daktulorodos. Alba dalle dita di rosa. Era da anni che non sentiva più quel nome, e sentirlo pronunciare da una sconosciuta, che evidentemente stava incominciando a sapere il suo segreto, gli fece un certo effetto. 

«Sì, ma c...come...» la ragazza spalancò la bocca. Era proprio lei. Ma allora sapeva chi fosse! La conosceva! Il sogno, l'uomo che le parlava... tutto vero! Quelle erano immagini realmente esistite. Non poteva nascondere di esserne un poco impaurita. Fino a prima sapeva che fosse vero, ma non ne aveva mai avuto la totale conferma.

«Allora è tutto vero...come fai a sapere tutte queste cose?!» dal canto suo, non potè far altro che rimanere scioccato davanti a questa scena che pareva quasi surreale. Continuava ad immergersi nei suoi occhi azzurri, non riusciva a staccarvisi, come se ricercasse delle risposte da lei, le stesse che anche quest'ultima voleva ricevere da lui.

«Io non lo so! Me le sono sognate! Non so come sia possibile una cosa del genere, è così assurdo!! Cioè, non credevo significasse qualcosa, ma poi è arrivato una specie di sogno premonitore che mi ha detto che tutto ciò è vero, e io ho iniziato a crederci, e sembra veramente così...» Leah iniziò a divagare. Faceva così quando era nervosa, si perdeva in chiacchiere inutili, e prontamente John se ne accorse, infatti la interruppe. Assurdo, era come se si conoscessero da una vita, pur senza sapere nulla l'uno dell'altra. 

«Questo deve significare qualcosa...» la sentiva, quella era la speranza. Avrebbe potuto finalmente liberarsi da questa maledizione, dopo decenni. E tutto poteva accadere solamente se decideva di collaborare con qualcuno. Oh ma lui non voleva collaborare con nessuno! Era solo, e solo sarebbe stato! Odiava avere qualcuno che gli desse una mano. «Ma...tu dovresti starmi alla larga ragazzina, non sono una persona di cui fidarsi...» si tirò indietro inventandosi una scusa.

«Innanzitutto mi chiamo Leah, Leah Parker. Piacere.» odiava quell'appellativo detto per scherno, lei non andava presa in giro ne schernita. Poteva sembrare un'innocente diciannovenne, ma sapeva farsi valere. «Io non credo. Sarà pur vero il tuo arresto, Ma non sei cattivo, forse un codardo sì.» sentiva che stava alzando come delle barriere, ma per proteggersi da cosa?

«Co... come ti permetti?» l'uomo si rizzò. Stava riuscendo a fargli perdere la pazienza m un'altra volta. Mai qualcuno era riuscito a fargli provare ciò, sentiva che lei era davvero insistente.

«Sai anche tu che ho ragione, e ora voglio sapere come fanno i miei sogni a corrispondere alla tua presunta storia.» continuò Leah. 

«Perché sei così ostinata?» cercò di sviare il discorso.
«Io sento che tra di noi c'è qualcosa. Ah, e non farti strane idee, sappilo. Ma credo solamente che neanche il nostro primo incontro sia stato del tutto causale. E tu lo sai meglio di me. In me cresce uno strano sentimento, come se fossi in dovere di aiutarti, o come se volessi farlo da sempre, da quando ti ho visto quella mattina, steso a terra.»
Quando ella finì di parlare lui rimase zitto, come ipnotizzato. 

«Il sogno premonitore mi ha detto che ogni notte sognerò la continuazione di questa storia incompleta. È la tua, non è così?» concluse lei. 

Egli Annuì. Doveva per forza essere la sua storia, le situazioni erano collegate. Erano le stesse cose che provava lui. Finalmente si decise, doveva raccontargli la sua storia se voleva essere aiutato, magari lei aveva già delle risposte. Qnche se la sua parte più reticente continuava a rifiutarsi di farlo.

«Anche io sento qualcosa. E forse tu potresti avere la chiave per finire una volta per tutte questo incubo in cui vivo da trecento anni.» non sapeva se fosse vero tutto ciò, se da lassù avevano veramente avuto pietà di lui, e gli avevano mandato un aiuto. Oppure era l'ennesima trappola, e questa volta avevano messo in mezzo una ragazza innocente! Ma dal profondo del suo cuore, sentiva che Leah non era l'ennesimo inganno. E anche se non avesse ricevuto delle risposte, sarebbe stato lo stesso un po' più contento. Per la prima volta qualcuno lo ascoltava seriamente, e quel qualcuno non era la foto di suo fratello Michael, ma una persona in carne ed ossa. Sembrava veramente che lei si interessasse a lui. Almeno era questo che cercava di ripetere a se stesso, e così facendo la sua parte volenterosa sopraffece quella più scontrosa.

«Però prima dovrai dirmi di esserne sicura.» voleva avere un'ulteriore conferma da parte di Leah. Quello che le stava per raccontare le avrebbe stravolto la vita, e lei doveva essere in grado di sopportare tale colpo.

«Certo. Lo sono.» affermò lei decisa.

«Ok, seguimi.» iniziò a camminare a passo veloce, come se avesse paura che qualcuno li inseguisse, anche se non ne aveva motivo. La giovane lo seguì, e in pochi minuti si trovarono davanti ad un parco cittadino. Entrarono dal cancello e si diressero verso una panchina isolata. Entrambi, in una situazione normale non si sarebbero sentiti a loro agio, soprattutto Leah. Ma quel leggero imbarazzo scomparve quasi subito quando lui iniziò a narrare.

 «Innanzitutto, non mi chiamo John Denbrough. Ma Arthur Walker. Ho cambiato vari nomi in questi secoli, ma su questo ci ritorneremo più tardi.
Passiamo al dunque: io Daktulorodos l'ho sempre conosciuta col nome di Catherine.» "deve essere una cosa comune cambiare identità" pensò Leah «Era il giugno del 1712, me lo ricordo ancora. Era così, come hai visto nel tuo sogno, che quel giorno si presentò a me. Cadde a terra, ed io, tornato da un mio giro per il bosco, la vidi, sporca e probabilmente ferita. Accorsi da lei, e non appena incrociai i suoi occhi verdi, e il suo viso angelico, venni ipnotizzato dalla sua meravigliosa bellezza, e dalla radiosità che il suo corpo emanava.» lei, che lo stava ascoltando, non riusciva a togliere lo sguardo dalla sua figura... gli abiti sgualciti, ma il viso, giovane. Sebbene fosse spento, e lasciasse intravedere tutta la malinconia che lo pervadeva. Gli risovvenne quel sogno, e non poteva ancora credere al fatto che fosse davvero lui.

«Non fu l'ultima volta che la vidi però, da quel giorno ci iniziammo a incontrare sempre più spesso, per i dieci giorni successivi. E il decimo ci sposammo. Ero perso di lei, della sua bellezza, della sua voce che pareva angelica. Tutto mi aveva ammaliato di lei. E così non ebbi problemi a chiederle di sposarmi, sapevo che in cuor suo era un sentimento ricambiato. Catherine mi piaceva, tanto. Non sapevo molto sul suo passato, mi disse solo che era figlia di un mugnaio nel paese vicino, e che entrambi i genitori erano morti, infatti non li incontrai mai. Passarono gli anni, io continuavo il mio lavoro di cacciatore, e lei, da donna, rimaneva a casa. Tutto perfetto dirai, e invece no. Dopo quattro, forse cinque anni, il nostro matrimonio iniziò a vacillare. Io volevo un figlio, per trasmettergli il mio lavoro, le nostre tradizioni, avere una discendenza. Quel figlio Catherine, non me lo diede mai. Non riusciva a darmelo. Ed io mi disperavo, mi arrabbiavo con lei.» in quell'istante la mente di Arthur si perse nei suoi ricordi. 

«Sono stanco, stanco di te! Voglio un figlio! È solamente colpa tua! Perché non me lo riesci a dare Catherine? Perché!?»
Cercò di riprendersi rapidamente, da quei ricordi dolorosi. Quanto, quanto gli era costato! Solo perché voleva un figlio, aveva rovinato la sua intera vita!

«E così, la nostra vita coniugale iniziò a diventare pesante. Entrambi non riuscivamo a stare insieme senza litigare. L'amore che ci professavamo sembrava essersi spento, e forse la situazione era irrimediabile. Lei però, ci sperava ancora. Lei mi amava, sul serio. Forse ero io, che non riuscivo a vivere la mia quotidianità con lei, o forse entrambi non siamo mai riusciti a trovare il nostro equilibrio. E così commisi l'errore più grande di tutta la mia esistenza:  iniziai a tradirla. Quasi ogni notte, dopo cena, lasciavo il letto coniugale per entrare in quello di un'altra donna, in un lupanare poco distante dal piccolo centro. In realtà non era solo una donna, ma tante donne. Ero desideroso di consumare il mio impulso sessuale, ma nessuno faceva l'amore come Catherine, con quella passione, quel desiderio...  Eppure io, avevo bisogno di stare con qualcuna, ero innamorato dell'idea dell'amore, ed arrivai a cercarlo in ogni donna, in ogni letto, volevo solo essere felice! E mia moglie mi rendeva sempre più iracondo, triste e impotente. Ricercavo Di provare tutte quelle sensazioni che ormai Catherine non mi dava più. Non potevo farne a meno. Avevo trentatré anni, e forse altri trenta da vivere. Mi sentivo ancora giovane, la vecchiaia mi spaventava, ero vanitoso, orgoglioso del fascino che la mia figura aveva sulle donne.
Ma il sette aprile del 1717, gli anni della mia vita divennero infiniti.
Catherine quel giorno era uscita a fare delle commissioni, era il mio giorno libero, ed io avevo da poco iniziato ad essere l'amante di una delle figlie del calzolaio. Presi dalla forte passione che era esplosa in seguito ad un nostro bacio clandestino dato nel retrobottega qualche giorno prima, decidemmo di proseguire ciò che avevamo iniziato  a casa mia, proprio perché Catherine non c'era. Avrei fatto sesso con una persona, per la prima volta, sul letto mio, e di mia moglie. E la cosa non mi faceva paura. Anzi. Destino, o come direbbe lei, la Moira, volle che ci scoprisse. La più grande mancanza di rispetto di sempre! Nel nostro letto. Con un'altra donna. Quando ci eravamo professati fedeltà eterna davanti a Dio e agli uomini. Iniziò ad urlare, a fare una scenata, e a ragione, aggiungerei. La ragazza se ne andò, e noi iniziammo a litigare, o meglio, io cercai di giustificarmi come un verme, e lei mi urlò di tutto e di più. Non si fidava più di me, era distrutta, devastata. 
Mi cacciò di casa. Ma quando tornai quella stessa sera, la scena che mi si presentò davanti fu agghiacciante: era morta. La sua mano destra reggeva un enorme coltello da cucina insanguinato, e la parte sinistra del suo petto era trafitta, le si vedevano le viscere. Il pavimento era una pozza di sangue. Mi impanicai, non provai mai più delle sensazioni così forti, negative. È impossibile da descrivere. Che orrore! Si era suicidata! Per causa mia! Urlai il suo nome, ma non rispose. Il suo corpo era pallido. 
E all'improvviso, la nostra casa, prima illuminata dalla luce fioca della mia lampada, s'irradiò di una luce, quasi divina.» 

Leah rabbrividì, non poteva credere a quello che le sue orecchie stavano sentendo! Davanti ai suoi occhi aveva davvero un uomo che si era comportato così? Che aveva trecento anni? Che aveva tradito così frequentemente la donna, la ninfa, che diceva di amare? Lei che si era suicidata... 

«Era suo padre. Non era un mugnaio. Ma un dio, un dio. Non lo vidi, ma nella mia mente si fece spazio una voce profonda e intimidatoria. 
"Per causa tua, mia figlia Daktulorodos, ha abbandonato la vita. La tua anima di uomo egoista la ha uccisa! La punizione che ti spetterà non sarà mai in grado di dissipare l'odio che provo nei tuoi confronti, per aver fatto spirare mia figlia, che ha lasciato il mondo degli déi per vivere la sua vita da mortale con quest'anima sporca di presunzione e narcisismo! Hai fatto morire la Ninfa del bosco, colei che accompagnava con la sua soave voce la nascita dell'aurora! La più bella dell'intero mondo divino! Vergognati, neanche le anime che risiedono nel tartaro ti accoglierebbero! 
Tu sei stato tanto spregevole con mia figlia, ed è questo che ti meriti di essere odiato dai tuoi simili per il resto della tua esistenza! E, Intrappolato in questo stesso corpo, che, come lo stolto Narciso, volevi mantenere per sempre! Non è forse questo che vuoi? Ed eccoti accontentato, il tuo più grande desiderio diverrà la tua maledizione!"
Caddi a terra, e svenni.
Quando mi svegliai il corpo di Catherine era scomparso, così, intimorito da tutto e da tutti, presi le mie cose e me ne andai da quel paesino... e da quel giorno, vissi la mia vita, sotto questa sua terribile maledizione, fino ad ora. Ho attraversato l'Asia, l'Africa, parte delle Americhe, per trovare una risposta, una soluzione a questo maleficio. Sono diventato più scontroso, burbero. Odio le persone, e loro odiano me. Mi evitano, mi disprezzano, e questo fa parte del maleficio. Nonostante questo sono ancora qui, a viaggiare da trecento anni. 
Quel giorno a Boston non nego di non aver provato delle strane sensazioni quando ho visto quella piccola bambina stringere il suo orsetto di peluche, come se lei riuscisse a comprendermi, per un attimo non mi sono più sentito solo. E poi mi hanno arrestato, e la bambina se ne è andata. È vero, sono stato in galera per sei anni, per aver rubato un biglietto del treno ad una donna, dovevo andare a Nashua, lì forse avrei ricevuto delle risposte. Ci sono stato, una volta scarcerato, ma ho fatto un buco nell'acqua. È ancora strano per me essere di nuovo qui, nel New England...
Nel corso degli anni ho cambiato sempre il mio nome, da uno stato all'altro, dopo che passavano un po' di anni, siccome non sarei stato per nulla credibile con lo stesso nome da secoli, non che freghi qualcosa a qualcuno. La falsificazione dei dati personali è stato un gioco da ragazzi: siccome nessuno si interessa al sottoscritto, la suddetta è stata molto semplice.
Nel tuo negozio ci sono entrato per caso, ed ora sono qui, a raccontarti questa mia storia, che non si è ancora conclusa.» 
Arthur riprese fiato. Sembrava come se si fosse tolto un peso dall'anima, ora il suo spirito sembrava quasi libero, e una strana sensazione di tranquillità lo pervase. 
Per la prima volta aveva raccontato tutto ciò a una persona... a una persona? Wow.

«Oh... io sono senza parole... sembra davvero un film.» non sapeva cos'altro dire, cos'altro fare. Dèi, Ninfe, maledizioni. Era forse un film? 
Gli dèi esistevano? La sua fede religiosa forse non era mai esistita, ma sentire che invece le storie che leggeva nei libri erano vere, le faceva salire una certa angoscia mista all'emozione. 

Se non fosse stato lui, lei sicuramente lo avrebbe scambiato per un pazzo da rinchiudere in una casa psichiatrica. Ma sapeva che quella era la verità, e in un certo senso si sentiva soddisfatta, e in dovere di aiutarlo. Anche se aveva fatto tutte quegli sbagli, non si meritava di essere condannato per sempre. E lei avrebbe fatto di tutto per dargli una mano. 

«Quindi tu pensi che i miei sogni possano darti una mano?» domandò poi. 

«Sì, almeno lo spero, tu ora stai sognando la vita di Catherine, e forse riesci a sentire anche i suoi pensieri, probabilmente lì c'è la soluzione. Ma ovviamente non ti obbligo ad aiutarmi, io sono un uomo che viaggia sempre, non ho una casa, solo una tenda di fortuna. Inoltre sono abituato a stare solo, non credo ti convenga.» ed eccolo lì, Arthur. Il solito che si ritraeva indietro, che voleva l'aiuto ma non lo voleva. Sentiva di stare bene solo, ma forse lei sarebbe stata d'aiuto...

Peccato per lui che la sua "compagna" fosse una che non demordeva mai. E infatti, non si lasciò intimorire dalle sue parole. Anzi, lui avrebbe dovuto convivere con lo spirito deciso della ragazza, ancora per molto. 
«Voglio aiutarti.»
   
 
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