# Extra 1
Scofield.
Tu vuoi sapere di Scofiel.
Dell’eroe; del grande genio. Del santarellino. Perchè
sì: Scofiel si considerava un puro, un martire.
Pensava di essere migliore di me, di noi.
Pensava di poterci usare.
Ma vuoi saperla la verità? Scofield era
una puttana. La peggior specie di puttana, di quelle che si credono delle gran
signore e che poi aprono le gambe al primo che passa. Perchè
hanno fame, sono stanche o vogliono una dose.
Scofiel era una puttana. E sarebbe potuto essere la mia
puttana. Gliel’ho offerto, sai?
Ma lui no, certo che no. Si credeva diverso lui; si riteneva nel
giusto, lui. Un arrogante figlio di puttana che credeva di sapere come andasse
il mondo, che pensava che il mondo fosse solo bianco o nero.
Ma il mondo, amico mio. Il
mondo è grigio. É sempre grigio. E nel grigio ci stanno quelli come me. E come Scofield.
I rifiuti, quelli che
nessuno vuole, quelli che tutti ignorano. Perchè
siamo fastidiosi, e siamo pericolosi.
Perché siamo dei drogati. Tutti e due. Drogati delle nostre fobie,
delle nostre stesse vite. Drogati di noi stessi e di quello che vediamo quando
ci guardiamo allo specchio.
Io lo so. L’ho sempre saputo. E non me ne è mai importato. Ci puoi
restare da cani, certo. Ma impari anche che a vita ti cuce addosso qualcosa, e
con quel qualcosa puoi solo conviverci e andare avanti.
Io lo sapevo; Scofiel non lo voleva
vedere.
E non mi stava a sentire, quando glielo sussurravo all’orecchio.
Come un serpente, qualcuno avrebbe potuto dire. E la sua testardaggine; la sua
incrollabile certezza di essere un bravo
ragazzo. Dio. Quanto mi faceva venir voglia di farlo crollare.
Lo avrei stuprato volentieri. Nella testa, sì. In quelle sue
patetiche idee di salvatore, di uomo che guarda tutti, che guarda me, dall’alto
in basso.
Dio. Quanto era eccitante.
Sì: Scofield sarebbe stata la mia
puttana ideale. Una di quelle che ti sputa in faccia per farti eccitare e Dio
solo sa quanto mi eccitasse quel ragazzino pelle e ossa. Come quando mi
guardava con disgusto, quasi con orrore. Oh, adoravo quello sguardo. Mi faceva
venir voglia di strapparglielo dalla faccia.
Perché. Vedi. Fottere la
gente era la mia specialità. Ed era anche la sua. E questo. Era questo che Scofield non accettava. Che in fondo, che in realtà io e
lui fossimo simili. Davvero simili.
Solo che io ho il coraggio
di ammetterlo. Ma lui. Lui no.
Ci ho messo un po’, onestamente.
Non perché non avessi in mente di chi scrivere. T-Bag
è l’alter-ego di Scofiel così come Sucre gli è
complementare. Ma gestire T-Bag è difficile. Perché è
uno che le cose te le sibila all’orecchio, mellifluo come un serpente
travestito da anguilla.
Ed è anche un uomo che non ha paura di guardare in faccia se stesso e
riconoscersi per quello che è.
Non ho amato molto come lo hanno reso nell’ultima serie, quasi un
rinnegato di se stesso, benchè sia il motore che fa
partire tutta la narrazione. Non è stata l’idea in sé a dispiacermi, ma come l’hanno
resa.
Quasi per buonismo e politicamente corretto anche T-Bag dovesse
tentare di diventare buono. Ma poi cosa vuol dire “buono”?
Prison breack, nel
suo piccolo, ti pone questo interrogativo. E se T-Bag
cavalca la serie come incarnazione del male, perché snaturarlo in un pentito
sulla via del perdono? Perché non può essere semplicemente un personaggio “umano”,
con le sue aberrazioni? Chè, purtroppo, nascondere la
testa sotto la sabbia non impedisce che nel mondo persone del genere esistano.
E con questo, chiudiamo il cerchio. Completamente. E definitivamente.
Grazie mille a chi mi ha letto, a chi mi a commentato e a chi è anche
solo passato di qua, anche se per inciampo.