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Autore: Rosmary    25/03/2021    3 recensioni
{Missing Moments della long Paradiso perduto | Spoiler Alert se non si è arrivati al Capitolo Venti della longfic}
Come ogni anno, James fa ritorno a casa per le vacanze natalizie, ma diversamente dal solito porta con sé un vuoto che ha un nome, un volto e una rottura.
“Cambiano molte cose ultimamente.”
“Cambia quello che non funziona più.”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, James Sirius Potter, Louis Weasley, Rose Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Paradiso perduto'
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Spoiler Alert: il racconto contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Venti di Paradiso perduto.



S E   È   V U O T O   D E N T R O

«Per richiudere un vuoto
mettici la cosa che lo ha aperto –
A otturarlo
con altro – si spalanca –
Non puoi saldare un abisso
con l’aria1»
 
*
 
Dicembre 2020

La Cornovaglia è sempre stata un luogo magico per James, culla di divertimenti, confidenze, emozioni, di un’amicizia che non s’è dovuta nutrire nel tempo, c’è sempre stata – naturale.
Eppure in questo freddo dicembre non rintraccia nulla di magico intorno a lui, persino dentro di lui la magia sembra essere scomparsa, rimpiazzata da uno strano vuoto che gli ha prosciugato l’appetito e ghiacciato le mani.
I giocatori di Quidditch sfrecciano dinanzi a occhi per nulla ammirati, le grida degli spalti non riempiono la testa, le esultanze per i tiri andati a segno non smuovono niente in lui, come se questa non fosse la prima partita del Campionato dei Falmouth Falcons, per giunta in casa, come se lui non fosse comodamente seduto in tribuna d’onore in compagnia della famiglia, come se non avesse quasi sedici anni e l’eccitazione a fior di pelle.
“Che tiro penoso, i Cannoni non vincerebbero neanche il campionato dei dilettanti.”
Le parole di Albus, cui seguono la risata divertita di Lily e quella bonaria di Harry, in James suscitano solo una smorfia di disappunto al pensiero di quante battute divertenti e impietose avrebbero potuto scambiarsi lui e Louis se solo le cose non si fossero messe male, se solo fosse tutto come sempre – normale.
“James,” chiama Harry. “Non ti diverti?”
“È un musone,” interviene Lily, che seduta accanto al padre allunga la testolina rossa per sbirciare il profilo del fratello. “Siamo qui per lui e i suoi Falcons, e lui neanche esulta quando segnano!”
“Meglio che andare da zio Dudley,” sghignazza Albus. “Ci vai da solo, quest’anno,” aggiunge guardando il padre. “La gita di famiglia è questa.”
“Invece verrete con me come ogni anno,” precisa Harry.
“E perché Lily no? Lei può sempre restare a casa.”
“Sono cose da uomini,” dice Lily. “Io resto con mamma.”
“Tu sei una ruffiana e papà te lo rigiri come vuoi.”
“Grazie, Al,” celia Harry.
“Pa’, non te la prendere, ma sei un po’ rammollito. Com’è che ti hanno messo a capo del Dipartimento?” scherza Albus. “James, ehi, secondo te com’è che lo fanno addirittura comandare fuori casa?!”
James, chiamato in causa ancora una volta, concede un sorriso mesto al fratello e una pacca sulla schiena al padre.
“Fuori casa non c’è mamma,” scherza. “Gli è concessa un po’ di intraprendenza.”
Albus si apre in un sorriso pestifero, annuendo con vigore.
“Scommetto che prende ordini da zia Hermione, come dice la Skeeter!”
“Leggi ancora quella schifezza?” chiede James.
“Basile ha l’abbonamento, dovresti leggere i suoi articoli, sono quasi più svitati di quelli del Cavillo.”
“Lascia perdere il Cavillo.”
“Giusto, se a scrivere stronzate è la madre del tuo amico va bene.”
“Albus,” chiama Harry, “non voglio sentire certe parole.”
Albus nasconde una morfia nella sciarpa che gli riscalda il collo e James, che lo sbircia con la coda dell’occhio, sogghigna senza dir nulla.
“Era meglio seguire la partita con mamma,” riprende il secondogenito. “In tribuna stampa non sono così bacchettoni.”
“Ma quando c’è mamma non dici le parolacce,” interviene Lily, che dall’alto dei suoi dodici anni ha deciso di difendere l’onore del padre. “Papà ha ragione.”
Papà ha ragione,” ripete Albus, imitando una vocetta stridula che fa gonfiare di offesa le guance della sorella. “Sei proprio una ruffiana.”
“Adesso basta, tutti e due,” impone Harry. “Mamma in tribuna stampa lavora e noi non la disturberemo,” chiarisce. “E ora o seguite la partita oppure potete dire addio al computer che vi ho promesso.”
“Non è giusto,” protesta Lily. “È Al che mi dà fastidio.”
“Cos’è, ora non difendi papà?” ribatte Albus.
“E dateci un taglio,” interviene annoiato James, guardando poi solidale il padre. “La prossima volta li lasciamo dai nonni.”
Harry abbozza un sorriso e stringe la spalla del figlio per invogliarlo a non spazientirsi con i fratelli più piccoli, che dal canto loro si rifugiano nel silenzio – Lily si rannicchia contro Harry e Albus osserva il profilo sin troppo serio del maggiore.
“Ma che hai?”
Albus lo chiede a voce bassa, sporgendosi verso il fratello e sbirciando il padre e la sorella con la coda dell’occhio.
“Niente.”
James risponde senza distogliere gli occhi dal cielo, dove i giocatori seguitano a sfrecciare e dove il cercatore dei Falcons sembra aver finalmente scorto il boccino d’oro – non vede l’ora che questa partita finisca.
“Volevi venirci con Louis?”
“Sai che mi importa di lui.”
“Ma perché non vi parlate più?”
James si alza in piedi e si avvicina alla ringhiera – le mani vi si aggrappano per potersi serrare attorno a qualcosa.
“Non gli piace il Fight Club,” sussurra ad Albus non appena lo raggiunge. “E non andiamo più d’accordo.”
Albus storce le labbra, ma l’istante dopo fischia ammirato quando una parata particolarmente impegnativa impedisce ai Cannoni di mettere a segno i primi punti della partita.
“Io pensavo fosse per Lorcan,” riprende Albus dopo un po’. “Lo pensano tutti.”
“Tutti a farsi i cazzi nostri, questo non cambia mai.”
“Sei il figlio dell’eroe, che ti aspettavi?”
“E tu chi sei, il figlio dell’usciere?” scherza James in risposta.
“Sai che voglio dire, tu sei...”
“Elfo, smettila con queste cazzate,” sbotta. “E rassegnati, parlano anche di te.”
“A me non sembra.”
James curva le labbra in un sorriso sghembo e dà una pacca sulla schiena al fratello, che dal canto suo gli rivolge un’occhiata interrogativa.
“Guardati la partita, Al.”
“A nessuno interessa di me,” insiste Albus. “Se non per dire che sono quello finito a Serpeverde.”
“Che sei un topo di fogna è vero,” sghignazza James. “Ma t’importa?”
“Cosa?”
“Che parlino o meno di te,” chiarisce. “A me le chiacchiere stanno sul cazzo.”
“È per questo che hai fondato un club clandestino?” insinua Albus. “Non mi sembra il modo migliore per passare inosservato.”
“Almeno comando per qualcosa che ho creato io,” dice. “E chi mi rompe il cazzo sa cosa succede.”
Comando – Albus riflette svelto che quella parola detta dal fratello ha sempre contorni naturali, istintivi, dovuti, come se James fosse nato proprio per questo – per comandare –, e ogni volta che lo pensa avverte un impulso di ammirazione sporco di invidia agitarsi dentro di lui: darebbe tutto per essere come James.
A richiamare l’attenzione di entrambi è Lily che li raggiunge e li incita a rimettersi seduti, solo quando la assecondano si accorgono del gran sorriso del padre e dell’arrivo della madre, che infischiandosene delle smorfie dei figli più grandi scocca un bacio a entrambi e pretende di sedersi tra loro.
“Hai portato da mangiare,” esulta Albus, sgraffignando un sandwich.
“No, quello l’ho visto prima io,” protesta Lily, che planando a sorpresa su Albus riesce a rubargli lo spuntino. “Tu prendine un altro.”
Albus è sul punto di insultare in qualche modo la sorella, ma gli occhi di Ginny puntati su di lui e le sue sopracciglia alzate lo convincono ad abbozzare un sorriso e a servirsi un altro sandwich.
“Questo è anche più grande,” precisa all’indirizzo di Lily.
“Ma questo è più pieno,” rilancia dispettosa lei.
“Al, Lily, basta,” tenta di nuovo Harry. “Non disturbiamo gli altri spettatori.”
Albus inarca scettico un sopracciglio: è cosa ben nota che nessuno osi lamentarsi di Harry Potter e della sua famiglia, quindi perché non approfittarne? Pur cercandolo, non trova alcun valido motivo per non sfruttare un simile vantaggio.
“James,” chiama Ginny. “Tu non hai fame?”
James abbozza un sorriso all’indirizzo della madre e prende a sua volta uno dei sandwich, tuttavia a lei non sfugge che mangi svogliato.
“Tra poco torno in Tribuna, vuoi venire con me?”
“Ti darei solo fastidio.”
“Certo che no! Un esperto di questi Falcons della Cornovaglia può essermi utile.”
“Non c’è nessuno più esperto di te in fatto di Quidditch,” concede James. “Ne sai anche più di papà,” aggiunge in un sussurro complice.
“E dei tuoi zii,” rilancia lei. “Ma non glielo diciamo!”
James ghigna e, sbirciato in giro per essere certo di non avere occhi puntati su di sé, si allunga a baciare fugace la guancia della madre, che dal canto suo si apre in un sorriso e gli ammicca scherzosa, riuscendo a farlo ridere.
“Cos’è che bisbigliate sempre voi due?” interviene Harry, sedendosi alle spalle della moglie.
“Cose tra madre e figlio, tu non puoi capire,” risponde lei.
“Ah, è così?” celia Harry. “Al, Lily, dite alla mamma chi preferite tra me e lei.”
“Mamma.”
“Io preferisco te, papà,” risponde invece Lily.
“Perché sei ruffiana, vedi che lo sei?”
“Smettila di chiamarmi così.”
“Lily Ruffiana Potter,” insiste Albus. “Dovrebbero chiamarti così anche a scuola,” sghignazza.
“E tu sei un elfo topo di fogna, come dice James!”
“No, io dico solo elfo,” corregge James. “Topo di fogna è per scherzare.”
“Stai dicendo che sei serio quando mi chiami elfo?”
“Ovvio, elfo!”
“Sì, Albus Elfo Potter,” esulta Lily.
“Che è comunque meglio di Severus,” s’accoda James. “Ma come avete fatto a mettergli nomi così… così abominevoli?”
“Ehi, sono solo vecchi,” protesta Albus.
“No, sono proprio una mer… brutti,” si corregge subito James, rivolgendo un sorriso ipocrita alla madre.
“A rendere belli i nomi è il loro significato,” dice Harry. “Ve l’abbiamo spiegato tante volte.”
“Fortuna che sono nato prima, allora,” borbotta James.
“Non potevi chiamare me Sirius Albus e lui James Severus? Almeno ce li saremmo divisi,” sbotta Albus.
James Severus,” ride Ginny. “Scusa, Harry, ma fa un po’ ridere,” aggiunge cogliendo l’occhiata torva del marito.
“Un giorno vi spiegheremo anche questo.”
“Quale giorno?” chiede Lily.
“Un giorno,” ripete Harry. “Ora riusciamo a guardare per dieci minuti la partita?”
E se i figli ridono e Ginny gli indirizza uno sguardo solidale, Harry non nasconde un sorriso che di spazientito non ha proprio nulla: malgrado finga di borbottare, ama più di ogni altra cosa la quotidianità chiassosa della famiglia – se potesse, terrebbe i figli con sé tutto l’anno.
James, che sbircia il viso del padre, curva le labbra in un’espressione sghemba e gli indirizza un occhiolino insolente non appena l’adulto si volta a guardarlo. È quando rivolge l’attenzione alla partita in corso che il buonumore sfuma rapido – di nuovo, pulsa prepotente una mancanza che ha un nome, un volto e una rottura.
Devono trascorrere ben due ore prima che l’arbitro decreti la vittoria schiacciante dei Falcons e James sa di non essere mai stato così felice di frapporre quanta più distanza possibile tra se stesso e un campo di Quidditch.
Tuttavia non fa in tempo a bearsi all’idea di far ritorno a casa che intravede in lontananza due figure conosciute, impegnate a loro volta ad abbandonare gli spalti.
Dannazione.
Non fa neanche in tempo a dire a suo padre di percorrere le gradinate a destra anziché quelle a sinistra che Lily si sbraccia per chiamare Louis – e quant’è bravo Louis a ignorarlo mentre saluta sua sorella, suo fratello, suo padre e annuncia di voler salutare zia Ginny prima di andare via.
In un manciata di minuti si ritrovano tutti all’esterno della struttura, distanti dalla calca che si disperde a poco a poco, impegnati a commentare la partita, mentre in lontananza un’altra figura conosciuta agita la mano in segno di saluto.
James vorrebbe urlare di andare via quando zio Bill, sopraggiunto per smaterializzarsi assieme a Louis e Leonard, insiste affinché la sorella e la sua famiglia si trattengano a Villa Conchiglia per cenare.
“Non dovevamo andare dai nonni?” tenta James.
“Possiamo andarci domani,” dice Lily. “Io voglio andare da Vì e Domi!”
“E va bene,” acconsente Ginny, sorridendo quando la figlia esulta allegra.
“Neanch’io voglio andarci,” mormora Albus all’orecchio di James. “E poi Smith è insopportabile.”
James annuisce e scambia uno sguardo solidale col fratello.
“A me sta proprio sul cazzo,” rilancia a voce bassa. “Non fa che scodinzolare.”
Albus non si preoccupa di reprimere una risata di scherno né di evitare di lanciare occhiate ostili all’indirizzo del cugino e del suo amico – è una bella sensazione avere James dalla propria parte, per giunta a scapito di Louis, ha tutta l’intenzione di goderne sin quando possibile.
James, dal canto suo, spera invece che la serata trascorra in fretta e furia, perché ne ha già abbastanza – e non lo sopporta.
Non sopporta il vuoto che gli annebbia tutti i pensieri e lo induce a detestare cose che ha amato sino a pochi mesi prima: le partite dei Falcons, il profumo di salsedine che echeggia sino alle camere di Villa Conchiglia, la risata di zio Bill e la dolcezza di zia Fleur – Louis.
Ha la sensazione di essere stato privato di una parte di sé dall’oggi al domani, senza motivo alcuno, una vera e propria ingiustizia.
Tutta colpa di Louis.
Della sua prepotenza, della sua pretesa di mettere bocca su tutto e tutti, della sua totale incapacità di fare gruppo e della sua rivalità ridicola e infantile con Lorcan.
Serra la mascella senza rendersene conto quando, accolti nella cucina di Fleur, vede Dominique salutare Leonard come se fosse di casa.
Stupido Smith.
Non ha mai capito cosa ci trovi in lui Louis – una delle sue amicizie illogiche –, né riesce a capire come possa averlo sostituito con quel Tassorosso senza spina dorsale, bravo solo a scodinzolargli dietro e a guardarlo ammirato.
“Vuoi?”
James, in piedi sull’uscio insieme ad Albus, incrocia gli occhi chiari di Louis e con un cenno di diniego rifiuta la burrobirra ghiacciata.
“Non bevi più roba fredda anche d’inverno?” insiste l’anglo-francese. “Ora preferisci il tè caldo?” provoca.
“Può essere,” risponde. “Cambiano molte cose ultimamente.”
“Cambia quello che non funziona più.”
“Ecco, bravo.”
“Io quella la prenderei,” s’inserisce Albus, indicando la burrobirra.
Louis, l’aria disinteressata, gliela cede senza dire alcunché.
“Tua sorella è un tornado,” esclama improvviso Leonard, affiancando l’amico con aria allucinata. “Non so quante cose mi ha detto in cinque minuti.”
“Povero Smith, non reggi Molly, figuriamoci Dominique,” serpeggia svelto James. “Ti vedo provato.”
E se Albus sbotta in una risata, Louis maschera a fatica un ghigno divertito.
“Io non ti vedo proprio, invece,” ribatte Leonard.
“Siamo migliorati nelle risposte, bravo,” replica sarcastico James. “Louis ti sta addestrando proprio bene, tra un paio d’anni sarai addirittura reattivo.”
“Spero prima di un paio d’anni,” interviene Louis. “James è sempre pessimista,” aggiunge scherzoso guardando Leonard.
“Divertente,” borbotta il ragazzo. “Torno da tua sorella.”
“Attento a non guardarla troppo,” ironizza Louis. “Potrebbe incantarti.”
“Lascialo fare, Smith col cuore spezzato potrebbe essere divertente,” sghignazza Albus.
“Preoccupati del tuo di cuore, Albus, ché girano certe voci su di te e la tua Capitana,” insinua evasivo Louis, il sorriso sfrontato in bella mostra.
“Di che voci parli?”
Ma Louis non risponde, anzi amplia il sorriso e ammicca con voluta malizia in direzione di Albus.
“Dacci un taglio,” interviene James.
“Non ho detto niente,” ribatte Louis.
“Invece dici sempre troppo.”
“James, non fa niente, non m’importa,” tenta Albus.
“Ho solo continuato il tuo gioco,” continua invece Louis.
“Il mio gioco?”
“Tu scherzi con Leonard e io con Albus.”
“Non capisci mai un cazzo.”
“Ecco, vattene.”
A James quelle ultime parole arrivano ovattate, eppure le avverte ugualmente forti, astiose, insopportabili. E vorrebbe avere sul serio la libertà di infilarsi il cappotto e andare via, invece tutto ciò che può fare è rintanarsi al piano superiore fingendo di aver bisogno del bagno.
Forse avrebbe fatto bene a essere lapidario con suo padre quando, rientrato a casa per le vacanze natalizie, ha accennato alla lite con Louis – invece è stato morbido e ha lasciato che l’adulto lo rincuorasse raccontandogli dei litigi accumulatisi negli anni tra lui e Ron.
Come se fosse la stessa cosa.
Louis non ha l’indole dello zio Ron, né suo padre e lo zio hanno mai dovuto fare i conti con la presenza di un terzo, amico dell’uno e inviso all’altro.
È quando tenta di chiudersi la porta alle spalle che capisce di essere stato seguito, ed è già pronto a dire ad Albus di non preoccuparsi quando incrocia due occhi chiarissimi sporchi di nervosismo.
Nessuno dei due lo dice, eppure entrambi si guardano attorno e pensano che è stato proprio in un bagno che hanno deciso di frapporre tutto tra loro e fingere di non essere legati da un’amicizia che s’è nutrita negli anni.
“Se continui così, se ne accorgeranno tutti che non ci sopportiamo.”
James distoglie lo sguardo da Louis e reprime la voglia di dirgli che lui lo sopporta eccome, ma ha dovuto adeguarsi all’astio che gli è stato scaraventato contro.
“Non sono stato io a rivolgerti la parola.”
“Ti ho portato la burrobirra!”
E se James inarca le sopracciglia, Louis fissa gli occhi a terra, d’improvviso a disagio, conscio di aver pronunciato quella frase come a volergli dire di aver fatto un passo verso di lui.
“E hai dato il mio biglietto a Smith,” replica James. “Perché quello era il mio biglietto.”
“L’hai vista lo stesso, la partita.”
“Con i miei, non ti ho rimpiazzato.”
“Tu mi rimpiazzi dal primo anno,” ribatte duro Louis. “Mi sono adeguato.”
“Non capirai mai.”
“Credo di aver capito benissimo, invece.”
“Perfetto, allora che vuoi?”
Le labbra di Louis tremano, mentre i suoi occhi chiari incrociano a fatica quelli astiosi di James. Detesta il vuoto che avverte dentro ogni volta che sfiora la vita del cugino, ogni volta che avverte la sua mancanza quando né Leonard né chiunque altro riesce a capirlo, a camminare al suo stesso passo, a essergli accanto.
Ma non può fare altrimenti.
Per orgoglio e anche perché non crede di poterla sopportare più, la sensazione di essere secondo, di dover cedere il passo a Scamander e alla loro complicità. Non è nato per dividere qualcosa con altri, trova sia intollerabile, figurarsi l’amicizia fraterna di James.
Meglio niente che una parte.
“Solo dirti di non alzare i toni,” risponde allora. “Sono fatti nostri, non coinvolgiamo i parenti.”
James non fa in tempo a ribattere che la porta del bagno, già socchiusa, si spalanca e a fare la sua comparsa è un sorridente Bill.
“Sempre a confabulare voi due,” esordisce. “La cena è in tavola, vi stiamo aspettando. E tu,” dice al figlio, “non lasciare solo il tuo amico, potrebbe sentirsi a disagio.”
Entrambi i ragazzi annuiscono e seguono Bill al piano sottostante per prendere posto alla tavola imbandita, scoprendo con fastidio – e con un pizzico di qualcosa che rischia di farli sorridere – di essere stati messi l’uno accanto all’altro, mentre a lato di Louis c’è Leonard e a quello di James c’è Albus.
Si ritrovano in fretta invischiati in una conversazione sulla partita appena conclusa, con Louis impegnato a difendere la strategia dei Falcons dalle insinuazioni del padre, che li accusa di essere stati soprattutto fortunati.
“Era un boccino facile da prendere,” conviene Ginny, dando manforte al fratello. “Il cercatore dei Cannoni ha anche messo su peso, a momenti la scopa non lo reggeva.”
“Spero non scriverai questo nell’articolo,” interviene Victoire.
“Ti prego, scrivilo,” trilla invece Dominique. “È la volta buona che leggo un giornale!”
“Ma non posso scriverlo,” sghignazza Ginny. “Non in modo così diretto, ci vuole tatto!”
“Allora siamo tranquilli,” scherza Bill. “Tu sei la regina del tatto!”
“Mi stai forse accusando di essere insensibile?”
“Impossibile, sappiamo tutti che sei la dolcezza fatta persona,” ironizza Harry, riuscendo a far ridacchiare anche i figli.
“Ad ogni modo, non capite niente,” riprende Louis. “Il cercatore dei Falcons ha volutamente ritardato la vittoria, per fare spettacolo.”
“Ma non farci ridere,” replica Albus. “Quello ha bisogno di un paio di occhiali, altroché!”
“No, no, Louis ha ragione,” interviene James. “Lo ha visto appena dieci minuti dopo il fischio d’inizio, ma ha lasciato correre.”
“Qualche volta l’ha perso di vista, questo sì,” precisa Louis.
“Vero, ha tirato parecchio la corda.”
“I Cannoni sono schiappe, si è affidato a questo.”
“Ma poi l’hai visto l’ultimo tiro agli Anelli?”
“Per poco il portiere non precipitava pur di fingere di averlo visto,” esclama Louis. “Uno spettacolo indecente.”
“I Cannoni non hanno proprio la stoffa,” concorda James. “Anche se Selwyn è una fuoriclasse, qualsiasi portiere sarebbe andato in crisi.”
“Vero anche questo. Secondo me Amanda le somiglia come stile di volo.”
“In effetti… Ha quel modo di curvare in aria...”
“Esatto. Quando si smarca, poi, è identica.”
“Forte è forte,” concede James. “A occhio direi che non c’è nessuno migliore di lei a scuola.”
“Ora non esagerate,” si intromette Albus, che non ha perso neanche una parola dei due. “Moira è più brava.”
“Chi è Moira?” chiede Dominique.
“La Capitana di Albus,” risponde Lily. “Anche secondo me è brava, ma è più brava Roxi.”
“Insomma,” riflette James. “Roxanne è chiassosa.”
“Che significa?”
“Io ho capito,” ridacchia Louis. “Vuole dire che perde più tempo a mettersi in mostra che a pensare alla pluffa,” spiega a Lily.
“Ecco, grazie della traduzione,” ghigna James. “Amanda non ha rivali a scuola,” aggiunge poi. “Rassegnati, Al!”
“Non mi rassegno per niente, Moira è dieci volte più brava di Amanda, ed è anche Capitana!”
“Questo non c’entra niente, è Capitana solo perché nella sua Casa non ci sono io,” precisa vanesio Louis.
“Ha ragione Rose, sei un pavone,” borbotta Albus.
“Davvero dice che è un pavone?” sghignazza Dominique. “Perché sono anni che dico che deve essere quello il suo Patronus!”
“Spiritosa,” replica Louis. “Il tuo è una puzzola?”
“Il mio spero sia un drago! Enorme e potente!”
“Voto la puzzola,” dice James, e Louis accanto a lui ride.
E più Louis ride, più James lo imita, più una strana vertigine li sorprende e consiglia a entrambi di non guardarsi, di non concentrarsi sulla complicità sfacciata che li lega, ma di fingere indifferenza e dirsi che sono solo maschere, queste – solo maschere per impedire ai presenti di fiutare i problemi.
“Voglio entrare anch’io in squadra,” dice Lily, allungando il braccio verso Louis per richiamarne l’attenzione. “Come cacciatrice!”
“Sei ancora troppo piccola per giocare,” interviene svelto Albus. “Se becchi un bolide in testa, muori.”
“Albus,” rimprovera Ginny, “non dire queste cose a tua sorella.”
“Ma è la verità.”
“Preoccupati di Serpeverde,” liquida Louis, dedicando poi l’attenzione a Lily. “L’anno prossimo si libera un posto, fai un buon provino e il ruolo è tuo!”
“Non ti deluderò!”
“Ma che promesse fai? Non è corretto,” sbotta Dominique. “Se un altro è più bravo di lei?”
“Mia la squadra, mie le regole,” ghigna Louis.
“Ma non è corretto,” insiste la sorella. “Stai scherzando?”
“Ma quanto sei noiosa,” interviene James. “È lui il Capitano, saprà come gestire la squadra.”
“Questo non c’entra!”
“Secondo me sì,” ribatte annoiato James. “Smith,” chiama poi in un sussurro, sporgendosi alle spalle di Louis. “Ritratto quello che ho detto: hai speranze con Dominique, sbadigliate insieme,” dice sarcastico.
“Pensandoci,” s’inserisce divertito Louis, “potrebbe essere la tua Bathilda, se solo ti impegnassi.”
Leonard, che non ha ben chiaro di cosa parlino, si limita a fissare l’amico con espressione infastidita, ma Louis non riesce a evitare di ridere insieme a James, beccandosi persino un calcio dalla sorella.
“Dai, sto scherzando,” mormora poi all’indirizzo di Leonard. “Fingo solo che James non mi stia sul cazzo.”
“Non è divertente lo stesso,” ribatte Leonard, e le gote si imporporano un po’.
“Ma ti piace sul serio?”
“Chi?”
“Domi.”
“No, certo che no.”
“Scusa,” sghignazza Louis. “Io sono contento se trova qualcuno che la sopporta.”
“Stai sparlando di me?” chiede Dominique, pensando bene di deliziare il fratello con un altro calcio, attenta a non farsi sorprendere dai genitori e dagli zii.
“Potreste fingere di essere persone mature?” prorompe Victoire, che pur tentando in tutti i modi di concentrarsi solo su Lily e sulle sue domande curiose ha le orecchie invase dall’inutile cianciare del fratello e della sorella.
E se Dominique sghignazza, Louis si limita a sollevare un sopracciglio, reazioni che inducono Victoire a scuotere la testa contrariata.
Le ore successive scorrono più lente di quanto James abbia sperato, complice la tensione tra lui e Louis ripiombata improvvisa, non appena l’argomento Quidditch è sfumato assieme alle risate – chiedere ai genitori di accompagnarlo dai nonni anziché a casa, salutati gli zii e oltrepassato l’uscio d’ingresso di Villa Conchiglia, è talmente istintivo da dargli l’impressione di non averlo neanche pensato.
“Ci andiamo domani,” dice Ginny.
“Vorrei dormire lì,” insiste James.
“Rose è alla Tana?”
James annuisce e osserva trepidante i genitori scambiarsi uno sguardo.
“D’accordo,” concede Harry. “Ti accompagno io.”
Albus storce le labbra e reprime la voglia di chiedere ai genitori di imitare il fratello – sa già che il suo intento è restare solo con Rose, cui probabilmente racconterà della giornata e di Louis, tutto quello che non dice a lui.
James, ignaro dei pensieri del più piccolo, saluta tutti con un gran sorriso e si smaterializza assieme al padre dinanzi alla porta della Tana. Complice anche l’orario, suo padre riesce a congedarsi in fretta e anche lui riesce a divincolarsi svelto dalle attenzioni dei nonni in favore di Rose.
Percorre le vecchie scale in poche falcate e scarta la stanza in cui è abituato a dormire per fare capolino in quella dove sa di trovare la ragazza. Non appena entra, a colpirlo è la luce di un paio di candele, segno evidente che lei sia ancora sveglia.
“Rosie.”
Rose, seduta sul letto con le coperte a coprirle le gambe, solleva lo sguardo chiaro su James e gli rivolge un sorriso stupito.
“Cosa ci fai qui?”
“Secondo te?”
Rose allunga la mano verso di lui per invitarlo a sedersi accanto a sé e James non si fa pregare, approfittandone anche per sbirciare le fotografie che stringe tra le mani.
“Le avete fatte oggi?”
“Con la nuova macchina fotografica di Lysander,” risponde Rose. “Ne ho scattate tantissime, Lor non ha fatto altro che lamentarsi,” aggiunge ridendo.
“Però ti ha accontentata come al solito.”
Lei sorride furba e James scoppia a ridere quando scorge una foto in cui Lorcan sfoggia tutto il suo broncio.
“Vi lascio soli mezza giornata e lo trasformi in un pupazzo,” ironizza.
“Ma non è vero,” ghigna Rose. “Ho scattato qualche foto anche a Lysander, guarda, e poi ci sono anche io.”
“Manco solo io, in pratica.”
“Domani le facciamo,” esclama allegra. “Lorcan domani viene qui, sa che dormo dai nonni.”
“Meglio, così non devo avvisarlo di raggiungermi.”
“Com’è andata?”
James esibisce una smorfia contrariata e Rose allunga le mani sino ai suoi capelli neri e ribelli, sorridendo mesta quando lo vede calare le palpebre e rilassarsi sotto al suo tocco.
Per alcuni minuti, se non fosse per la pioggia che diviene d’improvviso più insistente e percuote la finestra ovale, che serrata protegge dal gelo la piccola stanza, oltre ai loro respiri leggeri non vi sarebbe alcun suono udibile. La luce emanata dalle fiamme che animano le candele un po’ sfavilla e un po’ genera ombre contro le pareti fitte di mobili datati, dando a entrambi la sensazione di essere calati in una penombra prossima a svanire assieme al timido fuoco per lasciarli in balia del buio.
A tratti sembra anche echeggiare il rintocco dell’orologio affisso alla parete del piano terra, almeno sino a quando dei passi svelti che s’avvicinano non sovrastano ogni più piccolo rumore.
“James, va’ a letto, è tardi.”
La voce spiccia della nonna scuote Rose e James prima che riescano a scorgere la piccola figura della donna ferma sull’uscio.
“Può dormire qui, ci siamo solo noi, il letto di Roxanne è libero,” dice subito Rose.
La ruga contrariata che sporca la fronte della nonna è evidente malgrado la poca luce – dopotutto è ben noto quanto Molly Weasley senior non trovi decoroso, come ama dire, che ragazzi e ragazze dormano nello stesso perimetro, ma è altrettanto noto che gli occhioni dei nipoti riescano sempre ad ammorbidirne le convinzioni.
“Solo per questa notte.”
James sogghigna non appena la nonna si allontana.
“Quante volte l’ha detto, solo per questa notte?” chiede retorico, alzandosi per chiudere la porta.
“Ogni volta, credo,” ironizza Rose.
James amplia il sorriso sghembo e si preoccupa di spogliarsi per indossare il pigiama nel più breve tempo possibile – nonostante non soffra particolarmente il freddo, una piovosa notte dicembrina riesce a far rabbrividire anche lui.
Rose ne approfitta per riporre le fotografie sul comodino, sdraiarsi e rannicchiarsi quanto più possibile contro la parete per far posto a James nel letto.
“È un invito?” scherza lui, cogliendone al volo i movimenti.
“Ne hai bisogno?”
“Sempre più sfacciata.”
Lei morde le labbra per non scoppiare a ridere, mentre James si infila sotto le coperte e allunga il braccio per stringerla a sé.
È un’abitudine tutto sommato nuova, dormire nello stesso letto, anche se negli anni è già accaduto in più di un’occasione – la differenza col passato è che dall’estate appena trascorsa è diventata consapevole, e voluta e cercata, un nuovo modo per trascorrere il tempo insieme.
James trova particolarmente bello addormentarsi e svegliarsi con lei accanto, e Rose ha scoperto che niente riesce a cullarla quanto le braccia di lui.
“Com’è andata?”
La domanda di Rose questa volta è un mormorio, ma è di nuovo accompagnata dalle dita che carezzano i capelli neri di lui.
James resiste alla voglia di abbandonarsi totalmente al suo tocco e forza se stesso a non rifiutarle lo sguardo.
“Abbiamo incontrato Louis alla fine della partita, era con Smith. Poi è arrivato zio Bill e ci ha invitati a casa loro.”
“Mi dispiace.”
“Non gliene importa più un cazzo di me, avresti dovuto vederlo.”
“Dovresti parlargli.”
“Per dirgli cosa? È lui che deve scusarsi.”
“Non lo farà mai.”
“E allora restiamo così, devo solo abituarmi.”
Rose abbozza un sorriso e si tira su quanto basta per baciargli la guancia. James ne approfitta per indurla a sbilanciarsi e appoggiarsi su di lui, correndo a carezzarle la schiena – e la sente, ridere contro il proprio collo prima di sfiorarlo con un bacio.
“Se anche volessi parlargli,” riprende, “non saprei che dire.”
“Che è uno stronzo, ma a te va bene.”
“Consiglio saggio,” scherza lui.
“Sincero,” rilancia lei, allontanandosi un po’ per sdraiarsi di nuovo sul materasso e avere James di fronte. “Fosse per me...”
“Mi diresti di ignorarlo,” completa svelto.
“Sì.”
“È Lorcan a condizionarti.”
“Non è vero,” ribatte lei. “Louis ha sempre voluto allontanarti da tutti, non mi piace questa cosa.”
“Sei gelosa di Louis?”
“No, cioè...” farfuglia. “Mi dà fastidio, ha sempre voluto essere il tuo unico amico.”
“Ma tu sei un’altra cosa.”
“Vuoi dirmi che non ha mai cercato di allontanarti da me?”
James sorride e corre a sfiorarle il viso con le dita, concedendosi alcuni istanti di silenzio.
“È egocentrico, non coglione,” risponde. “Non ci ha mai neanche pensato.”
“Allora puoi anche frequentarlo,” ribatte sarcastica.
“Grazie,” ironizza James.
“Con Smith com’è andata?”
“Inutile come sempre, bravo solo a scodinzolare.”
“Louis si stancherà di lui, vedrai.”
“Faccia quello che vuole, devo solo abituarmi a ignorarlo.”
Rose sospira e si avvicina un po’ di più, James sfrutta di nuovo la vicinanza, questa volta per baciarle la punta del naso prima e la guancia poi, sorridendo quando il solletico la induce a soffocare una risata – stringersi a lei è sempre balsamico, a volte gli procura anche delle strane sensazioni capaci di scuoterlo sin dentro le ossa, ma le ignora sempre, certo che non abbiano alcun significato.
“Hai freddo?”
“Un po’.”
James le fa cenno di voltarsi, lei lo guarda interrogativa ma lo asseconda – poco dopo sorride, però, avvolta in un caldo abbraccio, con la schiena premuta contro il petto di lui e le coperte sino al mento.
“Ora va meglio?”
Il viso di James, disperso tra i capelli ramati, fa sì che quella domanda aliti sulla nuca e in qualche modo riesca a donarle ancora più calore.
Rose non risponde, ma gli stringe la mano premuta sul proprio ventre – e una strana sensazione la sorprende a tradimento e la induce a tremare un po’, ma dentro e non di freddo.
“James.”
“Mmh.”
“Ti voglio bene.”
Forse imitandola, forse d’istinto, anziché risponderle James serra la stretta delle loro dita e sorride tra i suoi capelli.
Si addormentano di lì a poco, mentre le fiamme delle candele, sempre più deboli, sbiadiscono sino a spegnersi, lasciando al buio la possibilità di fagocitare la piccola stanza e nascondere tra le proprie fauci i non detti e le sensazioni senza nome.
 



 
1 poesia di Emily Dickinson
Note dell’autrice: la citazione che apre questa storia la devo a Lisbeth Salander, così come l’intuizione di associarla a James e Louis.
Ringrazio chiunque abbia letto questo ennesimo momento dedicato al mio piccolo universo narrativo, spero abbia meritato il vostro tempo.
Un abbraccio. ❤
   
 
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