“Udienza del 26 agosto, in
merito agli eventi che hanno
coinvolto il qui presente Joshua Grant Carter, residente al numero 23
di Garth
Hill, Bangor, Gwynedd. Presiede l’udienza Amelia Bones,
Direttore dell’Ufficio
Applicazione della Legge Sulla Magia. Il ruolo di Assistente e Scrivana
sarà
ricoperto da Mafalda Hopkirk. A Katherine Jones, madre del minorenne
Joshua
Carter, è consentito di presenziare
all’udienza”.
Queste parole, ripetute
meccanicamente e con tono ufficiale,
erano state pronunciate da un’austera strega dalla mascella
quadrata, che
indossava un antiquato monocolo. Era seduta di fronte a me,
dall’altra parte di
una grande scrivania all’interno di un ufficio al Secondo
Livello del Ministero
della Magia. Una seconda donna dai capelli grigi, seduta ad
un’altra scrivania
sul lato della stanza, aveva subito iniziato a prendere appunti con una
piuma
d’oca. Avvertii la rassicurante stretta di mia madre sulla
spalla, ma non
potetti ugualmente fare a meno di ingoiare faticosamente un groppo di
saliva
che sembrava intenzionato a bloccarmi la gola.
Erano passati quattro giorni dalla
battaglia notturna con il
Mangiamorte che mi era quasi costata la vita. La mattina dopo, ancora
pesto e
dolorante, ero stato riaccompagnato a casa dalla signora Finnegan, che
si era
profusa in un oceano di scuse per mia madre (la quale, a giudicare
dagli occhi
rossi, doveva essere stata divorata dall’ansia fin da quando,
quella mattina,
erano emerse le prime notizie sull’accaduto) mentre le
raccontava quel poco che
sapeva. Katherine, dal canto suo, l’aveva rassicurata,
dichiarandosi certa che
avesse fatto tutto il possibile per proteggermi, ma non appena io ebbi
salutato
Seamus, dandogli appuntamento a qualche giorno dopo
sull’Hogwarts Express, aveva
chiuso la porta alle mie spalle e mi aveva condotto in cucina con
sguardo a
metà tra il preoccupato e il feroce. La sola cosa che mi
aveva salvato da una
esemplare sgridata era stato, con ogni probabilità, il
pessimo stato nel quale
dovevo versare: sentivo un dolore pulsante in ogni parte del corpo, che
si
rifletteva nella mia andatura claudicante e nella schiena leggermente
incurvata
da uomo anziano che esibivo. Nel vedermi, perfino mia sorella, che era
seduta
al tavolo, non era riuscita a trovare le giuste parole per prendermi in
giro, ed
era rimasta silenziosa, gli occhi spalancati. Ero crollato
faticosamente su una
delle sedie. Mia madre mi aveva messo di fronte una tazza di
tè fumante, si era
seduta a sua volta e aveva detto, con voce neutra:
“Raccontami tutto quello che
è successo”.
Lo avevo fatto, senza tralasciare
quasi niente, neanche la
Maledizione Cruciatus, il cui nome aveva fatto sobbalzare entrambe le
donne,
che avevano preso a guardarmi con ulteriore preoccupazione. Alla fine,
mi
sentivo la gola secca: le urla della notte precedente mi avevano
lasciato una
forte irritazione. Mia madre non aveva parlato per diversi minuti, e
alla fine
aveva detto qualcosa di inaspettato: “Sono molto indecisa se
definire il tuo
gesto incredibilmente coraggioso o incredibilmente stupido.
Probabilmente è
stato un po’ di entrambi: hai corso un rischio terribile, e
senza dubbio sei
stato uno sciocco, ma non saresti figlio di tuo padre se non fossi
corso ad
aiutare un’amica che credevi in difficoltà
– aveva sorriso, ricordando le
qualità positive dell’uomo che, nonostante il male
che le aveva fatto alla
fine, aveva amato – Non farti strane idee, sono molto
arrabbiata con te, ma
allo stesso tempo, lo devo ammettere, sono orgogliosa”.
Avevo sorriso, mentre mia sorella,
ancora stranamente
ammutolita, era scesa a sorpresa dalla sedia e mi aveva stretto in un
abbraccio. La smorfia di dolore che avevo fatto aveva convinto mia
madre a
portarmi al San Mungo per un controllo, ed era stato proprio
lì che mi aveva
raggiunto il gufo inviato dal Ministero della Magia, che mi convocava
per
un’udienza il 26 agosto. Mi ero aspettato qualcosa di simile:
benché solo
quattordicenne, avevo usato un sacco di magia durante il duello,
violando, in
teoria, il Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti Magiche
trai
Minorenni. Allo stesso tempo, non ero particolarmente preoccupato:
sapevo che
esisteva una clausola che consentiva di utilizzare la magia in caso di
vita o di
morte, e la situazione nella quale mi ero trovato sembrava rispondere
esattamente a questa condizione. A confermarlo, in fondo alla
convocazione,
campeggiava la precisazione ‘Le comunichiamo inoltre
che lei non comparirà
all’udienza come imputato, ma soltanto come persona informata
sui fatti’.
Una ulteriore conferma mi giunse
subito da Madame Bones, la
quale, con voce ancora dura ma decisamente meno formale,
continuò: “Signor
Carter, vorrei ribadirle che lei non è in alcun modo sotto
accusa: la testimonianza
del signor William Weasley, rilasciata già la mattina
successiva agli eventi,
ci ha confermato, come già sospettavamo dalla lista degli
incantesimi che
abbiamo registrato grazie alla Traccia che lei, come mago minorenne, ha
su di
se, che ha impiegato la magia solo per difendere la sua vita.
L’abbiamo
convocata perché stiamo cercando di ricostruire pienamente
gli avvenimenti
verificatisi al campeggio di Dartmoor la sera del 22 agosto –
incrociò le mani
davanti al petto e mi fissò con grande attenzione
– Le chiedo di raccontarmi
tutti i fatti dei quali è stato protagonista”.
Per la seconda volta mi trovai a
ripetere ciò che era
successo, a partire da quando io e Seamus eravamo usciti dalla tenda.
Madama
Bones non mi interruppe mai, finché non arrivai al lancio
della maledizione che
mi aveva inferto un lancinante dolore: “Mi sta dicendo
– chiese, con aria
estremamente sorpresa – che l’uomo mascherato le ha
lanciato la Maledizione
Cruciatus?”.
Annuii: “Sul momento non
sapevo cosa fosse, sinceramente.
Non avevo mai sentito parlare delle Maledizioni Senza Perdono. Ho solo
avvertito
un dolore tremendo, come mai mi era successo nella vita”.
La donna si rivolse a mia madre per
la prima volta
dall’inizio dell’udienza: “Il ragazzo
è stato visitato da un Guaritore?”.
“Sì, la mattina
dopo, appena è tornato a casa, l’ho portato
al San Mungo – rispose lei – A parte due costole
incrinate, qualche ammaccatura
ed i segni della ferita che il giovane Weasley aveva già
rimarginato, hanno
registrato la rottura di parecchi capillari e altri sintomi conformi
alla
Maledizione Cruciatus, ma nulla di potenzialmente pericoloso per la sua
futura
salute. Per fortuna, il Mangiamorte ha mantenuto attiva la Maledizione
solo per
pochi secondi, non abbastanza per provocare dei danni permanenti. Hanno
detto
che i dolori dovrebbero sparire del tutto in un paio di
settimane”.
Madame Bones annuì,
apparentemente soddisfatta, poi si
rivolse nuovamente a me e mi fece cenno di continuare. Io arrivai al
termine
del racconto, pur glissando su un paio di punti, come gli ultimi
incantesimi
che avevo lanciato al Mangiamorte: non ne avevo parlato neanche a mia
madre,
temendo non poco il suo giudizio per quello che, a conti fatti, era
stato un
tentativo di omicidio. Considerando che il mio avversario stava
tentando di
uccidermi, non mi sentivo minimamente in colpa, ma non ero sicuro che
lei
l’avrebbe pensata nello stesso modo.
Smisi di parlare quando ebbi
terminato di raccontare il modo
nel quale Bill mi aveva soccorso e riaccompagnato alla tenda. Amelia
Bones
rimase in silenzio per qualche secondo, poi si rivolse di nuovo a me :
“Signor
Carter, a prescindere dal fatto che ritengo non sia stata
un’idea
particolarmente sensata gettarsi a capofitto in una situazione tanto
pericolosa, anche se posso comprendere le ragioni dietro al suo gesto,
devo
comunque complimentarmi per il coraggio che ha dimostrato: pur essendo
solo un
ragazzo, ha saputo lottare come un uomo, e di questo deve essere
orgoglioso”.
La donna tacque, mentre mia madre mi
stringeva di nuovo la
spalla con dolcezza, quasi per confermarmi che era perfettamente
d’accordo.
Vidi gli occhi di Amelia Bones scorrere un foglio che aveva di fronte:
“Direi
che abbiamo praticamente finito. Vorrei solo avere una precisazione
sugli
incantesimi che lei ha scagliato durante il
combattimento…”.
Sentii un campanello
d’allarme scattare nella mia testa, e
questa volta non proveniva dalla Signora Voce, bensì dal mio
istinto di
conservazione: compresi che sul foglio dovevano essere segnati tutti
gli
incantesimi che avevo scagliato e che i sistemi di rilevamento del
Ministero avevano
registrato. Inevitabilmente, Madama Bones doveva aver notato
ciò che avevo
fatto, e altrettanto inevitabilmente si era posta qualche domanda.
“Si tratta certamente di
una valida selezione di incantesimi
da combattimento, e anche in questo caso devo complimentarmi con lei
per
l’abilità che ha dimostrato, non sono molti gli
studenti che, subito dopo il
termine del terzo anno ad Hogwarts, sarebbero in grado di scagliare
anche solo
la metà di queste fatture – fece una piccola pausa
– Alcune sono abbastanza
pericolose, devo ammetterlo, ma vista la situazione nella quale le ha
impiegate
non trovo nessuna critica da muoverle – altra pausa
– Devo dire però di essere
rimasta incuriosita dalla sequenza finale, gli ultimi quattro
incantesimi che
ha lanciato – scorse con un dito la pergamena – Un
Incantesimo Esplosivo
standard, uno di Vento Elementale, uno di Librazione base e uno
Incendiario.
Per quanto mi sia impegnata, non sono veramente riuscita a capire cosa
abbia
cercato di fare con questa combinazione. Le dispiacerebbe soddisfare la
mia
curiosità?”.
Esitai per un istante. Era la cosa
che temevo di più: dover
ammettere di fronte a Katherine di essere andato ad un passo dal
divenire un
assassino. Ormai avevo superato quasi tutte le remore
dell’anno precedente,
arrivando a considerarla mia madre quanto quella che avevo lasciato
dall’altra
parte, e non volevo vedere sul suo volto delusione e paura. Non potevo,
però,
mentire di fronte ad un alto funzionario del Ministero, e per di
più scoprii di
non essere in grado di inventare su due piedi una valida spiegazione
alternativa, quindi finii per spiegarle tutto. La stretta sulla mia
spalla si
accentuò quando arrivai al momento nel quale avevo dato
fuoco alla tela cerata.
Per la prima volta Amelia Bones
inarcò un sopracciglio con aria
di disapprovazione: “Mi sta dicendo che lei ha
consapevolmente cercato di
uccidere il suo avversario?”.
Presi un lungo respiro:
“Madama Bones, posso parlare francamente?”.
“E’
ovvio” rispose con nuova durezza.
“In quel momento io ero
stremato ed estremamente dolorante –
cercai di spiegare – Non ero riuscito a infliggere neanche un
vero danno al
Mangiamorte, e sentivo di non essere più in grado di
difendermi efficacemente.
Sapevo che mi avrebbe ucciso entro pochi secondi se non avessi fatto
qualcosa,
quindi ho cercato di usare una tattica che lo ponesse in condizioni di
non
nuocere, mettendo in pratica la sola idea che mi è venuta in
mente e che
credevo avesse una possibilità di riuscita –
sospirai – Sapevo di poterlo
uccidere? Sì, ne ero consapevole, ma sapevo anche che se non
lo avessi fatto
sarei stato senza dubbio io a morire: era molto più forte di
me, non avevo
nulla nel mio arsenale che fosse sufficiente per batterlo, quindi ho
provato a
giocare d’astuzia. Era la sua vita contro la mia. Ho
sbagliato a tentare di
salvarmi in ogni modo possibile?”. Misi nelle ultime parole
un senso di colpa che
non provavo realmente: non ero dispiaciuto per aver provato ad
ammazzare una
carogna pronta a torturare un ragazzino, ma non volevo apparire tanto
indifferente, a mia madre non sarebbe piaciuto affatto, e probabilmente
neanche
alla donna che avevo davanti.
Amelia Bones rimase pensierosa per
qualche secondo, poi
rispose: “No, non posso sinceramente dire che lei abbia
sbagliato, signor Carter,
ma vorrei consigliarle di valutare bene le sue opzioni in ogni
situazione che
non comporti il rischio di una morte immediata: posso comprendere i
suoi
sentimenti di fronte al pericolo, ma spero che non si
abituerà a valutare con
tanta freddezza la vita o la morte di un uomo, anche se stiamo parlando
di un
criminale della peggiore specie”.
Scossi platealmente la testa:
“Sinceramente, Signora, spero
di non trovarmi mai più in una situazione simile”.
Ero assolutamente sincero,
anche se una voce fin troppo nota dentro di me mi fece notare, con un
tono
rassegnato, di non farci troppo conto.
“Lo spero anch’io
– disse lei, ed iniziò a raccogliere le
sue carte – Bene, l’udienza è finita.
Confermo che nessuna accusa verrà mossa
contro di lei, signor Carter. La ringrazio per la sua
disponibilità e le auguro
un buon ritorno ad Hogwarts”. Tese la mano a me e a mia
madre, ed entrambi la
stringemmo. Subito dopo, Katherine mi guidò fuori
dall’ufficio.
Eravamo solo a metà del
corridoio quando giunse la fatidica
domanda: “Perché non mi hai raccontato quello che
è successo nell’ultima parte
dello scontro?” mi chiese, una punta perfettamente
percepibile di delusione
nella voce. Quando mi voltai verso di lei, vidi lo stesso sentimento
dipinto
sul suo volto.
“Avevo paura, mamma
– ammisi con sincerità, e perfino io
avvertii il dispiacere per niente simulato nel mio tono –
Temevo che… se avessi
saputo quello che ho quasi fatto… temevo che mi avresti
giudicato un…un…”.
Katherine mi abbracciò con
calore, e io avvertii tutto
l’affetto di una madre nel suo gesto. Mi sentii letteralmente
sciogliere, e una
lacrima mi scorse sul viso. Non disse una parola: non ce
n’era bisogno.
Tronando a casa mi sentii un
vincitore, ma la sensazione
durò poco. Quella notte il mio sonno fu costellato di
incubi: rivissi i
terribili momenti del duello, il senso di impotenza, il lancinante
dolore della
Maledizione Cruciatus, fino agli ultimi momenti, nei quali avevo
accettato di
stare per morire. Solo che questa volta nessun Marchio Nero apparve nel
cielo
per salvarmi. Una differente luce verde illuminò tutto,
mentre un rumore simile
ad un treno in corsa occupò l’aria. Non li
riconobbi, ma sentii qualcosa di
orribile premere ai confini della mia memoria, e mi svegliai
trattenendo a
stento un urlo. Ansimando, mi passai una mano sulla fronte: era madida
di
gelido sudore. Mi alzai e mi affacciai alla finestra aperta, respirando
la
fresca aria della notte e cercando di calmarmi. In quel momento, per la
prima
volta, mi resi conto di quanto ci fossi andato vicino: per la seconda
volta
nella mia vita, avevo visto la morte in faccia. Per la seconda volta,
avevo
scoperto di non poter fare nulla per evitarla. L’incidente mi
aveva trasportato
in quel mondo, ma difficilmente sarei stato di nuovo così
fortunato. Sollevai
la mano, e la vidi tremare. Avevo paura. Non volevo morire, e sapevo
che c’era
mancato davvero pochissimo. In quel momento odiai il corpo da
quattordicenne
che il Destino, o chi per lui, mi avevano dato: volevo di nuovo essere
un
adulto, non un semplice pulcino. Volevo potermi confrontare alla pari
con i
miei avversari, non essere una semplice vittima sacrificale! Se
c’era un ruolo
per me in quel mondo, nel momento presente non ero in grado di
sostenerlo.
Presi un lungo respiro, cercando di
calmarmi: sentivo dentro
di me che il pericolo non era lontano, ma il mio ‘Senso di
Ragno’ si stava
impegnando per comunicarmi che non era neppure imminente. Avevo tempo
per
prepararmi. Tempo per farmi trovare pronto. Mentre osservavo la notte
stellata,
però, dovetti concludere tristemente di non sapere come
avrei fatto: ero
soltanto uno studente, non un soldato. Come diavolo avrei fatto a
diventare il
cacciatore che avevo bisogno di essere?
Sei giorni dopo, per la prima volta
in vita mia, mi trovai a
compiere una delle esperienze che più volte avevo sperato di
poter sperimentare
da ragazzino: attraversare il muro che divideva la stazione di
King’s Cross, a
Londra, dal Binario Nove e Tre Quarti. Fu una sensazione stranissima
passare
attraverso la barriera, ma assolutamente nulla in confronto a
ciò che mi trovai
di fronte una volta arrivato dall’altra parte.
Mi ero sempre immaginato quanto
dovesse essere spettacolare
la partenza dell’Hogwarts Express: l’anno
precedente ero ‘arrivato’ dopo il
viaggio di andata, quindi non avevo vissuto l’emozione di
salire sul treno
trainato dalla poderosa locomotiva rossa insieme ad altre centinaia di
ragazzi
come me. Trovandomi lì, con mia madre e mia sorella al mio
fianco e i bauli
miei e di Sheila caricati su un carrello, mi sentivo a dir poco
entusiasta.
Ormai avevo capito che avevo una enorme voglia di tornare a Hogwarts:
quel
luogo era divenuto per me una seconda (o forse una terza) casa, e
sentivo che
era proprio lì che dovevo stare. Mentre salutavo i tanti
ragazzi che avevo
conosciuto l’anno precedente, però, sentii una
strana coltre di ghiaccio calarmi
sul cuore: improvvisamente, avvertivo qualcosa di strano. Non
lì sul binario,
bensì davanti a me, e non in senso geografico: non sarei in
alcun modo stato in
grado di dire di cosa si trattasse, ma sentivo che quello non sarebbe
stato un
anno normale, ammesso che quello precedente potesse essere definito in
termini
simili. Più reale, concreta e spaventosa che mai, sentii la
tempesta, ancora
distante, ma decisamente sulla strada che l’avrebbe portata
verso il mio mondo.
Non riuscii a trattenere un tremito, ma cercai di riscuotermi: non
volevo che
mia madre se ne accorgesse.
Katherine, dal canto suo, mi
accompagnò fino ad una delle
scalette, dove avevo intravisto Seamus e Dean che mi salutavano con
calore. I
due ragazzi mi aiutarono a caricare i due bauli, mentre il treno
iniziava ad
eruttare fumo e il fischio avvisava i ritardatari della partenza
imminente.
Saltai rapidamente giù per l’ultima volta e
strinsi mia madre in un forte
abbraccio: forse condizionato dai pensieri neri di qualche minuto
prima, cercai
con quella stretta di trasmetterle tutto l’affetto che avevo
imparato a provare
per lei. Dalla sua risposta, ritenni di esserci riuscito. Una volta
staccatomi,
Sheila mi sostituì: nonostante l’emozione del suo
primo viaggio verso Hogwarts,
o forse proprio per quella, non riuscì a trattenere qualche
lacrima, ma poche
parole di nostra madre furono sufficienti per riportarle il sorriso sul
volto.
Katherine mi affidò la bambina, raccomandando ad entrambi di
fare i bravi e a
me di occuparmi di lei. Un ultimo bacio, e io guidai Sheila su per la
scaletta.
Raggiungemmo rapidamente lo
scompartimento già occupato da
Seamus, Dean, Neville, Ginny e Mary, ai quali presentai una
improvvisamente
timida Sheila. Il mio stomaco ebbe un piccolo sobbalzo quando la
ragazzina mi
salutò con un sorriso, e la cosa non sembrò
passare inosservata alla mia fin
troppo perspicace sorellina, che mi tirò per una manica in
modo che abbassassi
l’orecchio al livello della sua bocca:
“E’ lei, vero? – mi chiese in un
sussurro udibile, sperai, solo da me – La ragazza che hai
cercato di salvare al
campeggio! E’ veramente carina!”.
Sentii improvvisamente le mie guance
avvampare, ma fui
salvato dal momento di imbarazzo dal nuovo fischio del treno, che
subito dopo
iniziò ad arrancare in avanti. Sheila si
precipitò al finestrino, ed io la
seguii. Di fronte alla carrozza, nostra madre ci stava salutando con la
mano,
ed entrambi ci sporgemmo fuori per ricambiare, urlando che le avremmo
scritto
già il giorno dopo. Pochi secondi, e Katherine Jones
scomparve dietro la curva.