III. Tra gli Inferi e Peter Pan
Lunedì,
21 settembre 2015
Per
Marco da Alice
Colgo l’occasione, con questa lettera, per farti
notare che oggi è il primo giorno d'autunno e ciò mi rende contenta. Ogni volta
che arriva questo periodo mi sento in dovere di leggere qualche poesia di
Ungaretti. Anche se, a dirla tutta, leggere Ungaretti dovrebbe essere un dovere
e basta. Rettifico: dovrebbe esserlo nutrirsi di poesia.
Bando alle ciance!
La tua
reazione alla mia risposta mi ha lasciata dubbiosa: come fai a scongiurare uno
scherzo ma al contempo farlo sembrare così reale? Perdonami se nelle mie parole
trovi una ragazza rude, ma d’altronde anche io necessito di salvaguardarmi. Questa
tua anonimia ti protegge, ma il tuo scudo non è sufficiente per coprire entrambi;
in tutta onestà, non è il momento adatto per essere vulnerabile agli occhi di
un estraneo.
Eppure sono curiosa, tremendamente curiosa: cosa sai di me? Quanto mi conosci? Sei
sicuro di non aver sbagliato persona?
Nonostante
tutto, non ho intenzione di negarlo. L’idea di dar vita a una corrispondenza –
seppur anonima – è qualcosa che, con i suoi pregi e i suoi difetti, mi alletta.
Più rileggo le tue parole, più perdo la testa. Sembri, in tutto e per tutto,
uscito da uno dei miei romanzi preferiti. La tua personalità mi attrae, come se
tu fossi miele ambrato che cola, ma da un alveare colmo di api. A quanto
ammonta, oggi, il rischio di essere punta? Qual è la trappola in cui vuoi che
resti invischiata senza via di fuga?
Come ho
già ribadito, non sono certa che continuerò a risponderti qualora mi sentissi
in particolare disagio o pericolo. Nel frattempo, però, concedimi di
approfittare ancora un po’ delle tue lettere. Vorrei porti una quantità di
domande incommensurabile, una quantità che sta tra lo zero e l’infinito.
Sappilo: sarò spietata, ma non banale. Rispondi a più quesiti possibili, te ne
prego.
Le tue
risposte, attualmente, sono l’unica cosa che potrebbero salvare questa corrispondenza
e protrarla nel tempo. Sono certa che ai tuoi occhi sia già risaltata una
contraddizione: scrivo righe di rigide premesse e poi ho questa istintiva
fiducia nei tuoi confronti. Carpe diem, giusto? Tieniti pronto, perché ora
iniziano le domande, sperando non siano poi troppo scomode.
Perché scegliere una coincidenza – come quella
del raggio di sole – per scegliere l'ultima fra le ultime? Cosa sai di me, di
me come persona? Perché hai scelto di essere un intreccio di segreti? Qual è il
tuo punto debole, la timidezza o la popolarità? Cosa ti impedisce di
avvicinarti e parlarmi?
Infine, avrei tanto voluto chiederti il tuo
nome, ma vista l'idea sciocca, ho deciso di sceglierlo io per te: Caronte. Ti
ci vedrei bene, anche se non come un vigoroso e anziano traghettatore; non
scorgo in te l’impeto con cui lui stesso impreca contro le anime condannate
all’erranza. Sento del fuoco, però, nei tuoi occhi. Vicina è anche la
disperazione che trapela dalle tue parole. Sento il tuo dolore.
Anche se con molto rammarico, devo comunicarti che al momento non ho oboli da
offrirti.
Se me lo
concedi, però, vorrei poterti guardare da lontano, anche se preda delle acque
dell’Acheronte. Lasciami naufragare almeno un po' in questo tuo terrificante
fiume fatto di urla.
P.S. Sappi che mentre ti scrivo, sono seduta
proprio dove mi hai vista per la prima volta.
«Ciao Marco, vieni pure», sorride la mia
psicologa, «oggi ci aspetta un bel po’ di lavoro.»
Non riesco ad emettere
alcun suono. Trascino il mio corpo dentro il suo studio, sedendomi sulla sedia
da ufficio di stoffa ruvida imbottita. Questo primo incontro dopo la pausa
estiva rischia più di infrangermi che di ricongiungere i frammenti sparsi di
me. Aspetto che Francesca si accomodi dall’altra parte della scrivania prima di
sospirare pesantemente.
«Non credo ci sia più molto da fare, ormai»,
mormoro sottovoce temendo le mie stesse parole, «mi sento di non valerne più la
pena.»
«Quanto tempo gli hanno dato i medici?»
«Non l’ho voluto sapere. E, in tutta
onestà, preferisco non saperlo.»
«Parlami del rientro a scuola. Come ti
sei sentito?» chiede, gentile come non lo è nessuno con me. Mi spiego meglio:
la gentilezza di Francesca non è falsa cortesia; è curiosità sincera espressa
con un tatto da maestri.
«Solo, esattamente come mi aspettavo.
Una solitudine più feroce di quel che avevo programmato. Eppure, qualcosa di
buono ne è saltato fuori», ammetto arrossendo pensando alle lettere di Alice, «qualcosa
che nemmeno io avrei immaginato».
Francesca mi guarda, in attesa, e con
sempre più timidezza proseguo: «Ho scritto a una ragazza».
«Durante le vacanze estive? Vi siete
scambiati i numeri?»
«No», affermo svelto, «quando dico che
le ho scritto, intendo dire che le ho scritto.» Lo sguardo di Francesca
è confuso, si sposta i corti ricci biondi dalla fronte e ci pensa qualche
secondo.
«Evidentemente sono dura di
comprendonio. Continuo a non capire cosa intendi.»
Ho estrema fiducia nei confronti di
questa donna, ed è per questo che prendo il plico di lettere dallo zaino e lo
poso sul legno scuro della scrivania che ci separa. Ho tenuto anche le brutte
copie delle mie lettere, perché non voglio dimenticare una sola parola di
questa corrispondenza. I suoi occhi ora sono sorpresi come lo sarebbero quelli
di un bambino, così non mi faccio scrupoli: inizio a raccontarle di come io abbia
colto un attimo inaspettato e di come Alice, dopotutto, abbia deciso di rispondere
a un folle come me.
La mia psicologa non si perde a indorare la
pillola, anzi, fa osservazioni di una certa rilevanza: «Il fatto che tu ti sia
messo in gioco, Marco, è senza ombra di dubbio un buon segno. Soprattutto se
prendiamo in considerazione il rifiuto che hai per i farmaci in questo ultimo
periodo.»
«Ma?» chiedo, perché le sue parole hanno
il gusto di qualcosa lasciato a metà.
«Goditi il momento, è giusto che tu lo
faccia. Se tutto filasse liscio, sarebbe la tua prima esperienza in campo
sentimentale e questo comporterebbe molte cose che ancora ti causano grandi
sofferenze», Francesca mi guarda negli occhi con tutta la sua genuinità, «vorrebbe
dire aprirsi, Marco, confidarsi. Condividere gioie e soprattutto dolori. Sei
sicuro di esserne pronto?»
«E se invece non andasse a buon fine?» domando,
rigirando il coltello nella piaga delle mie emozioni troppo vivide.
«Il dolore è un pezzo che già conosci,
non credi? Sarebbe un dolore diverso dal solito, ma pur sempre dolore. Sei
sicuro di volerti mettere in gioco proprio ora che sei più fragile?»
«Sono nato pronto.»
Giovedì 24 settembre 2015
Per Alice da Marco
Spero che le urla del mio corso di anime non
ti siano di troppo disturbo. Posso offrirti qualcosa? Magari un mucchio di
parole inutili? Qualche fugace risposta alle tue impetuose domande? Iniziamo
con ordine.
Fortunatamente, mi trovi concorde su due cose:
Ungaretti e la poesia. I lettori, se già tuttora possono considerarsi quasi
figure mitologiche, sono ancora più rari quando sono voraci di poesia. In un
certo qual modo, sono ancora più contento di averti scoperta.
Prima di tutto, vorrei contestare la
vulnerabilità di cui pensi di essere in balìa: ne abbiamo la medesima quantità.
So che può risultare paradossale, ma quel che so di te – oltre al tuo aspetto,
la tua classe e quel che mi hai scritto – è anch’esso misero.
Anche, e soprattutto per questo vorrei proseguire la nostra corrispondenza:
benché non lo faccia trapelare, nel petto ho la stessa bramosia di saperti che
hai tu. Tu che sei sfuggevole, tu che eludi le mie domande e ti prendi con
forza la facoltà di porne a tua volta. Lo trovo adorabile.
Dunque, come puoi continuare a credere che mi
stia prendendo gioco di te? Non ne avrei motivo: io sono fortunato, perché di
te, che tu scelga o meno di dar lunga vita a tutto questo, preserverò per
sempre la tua autenticità. Quest’ultima, se mi è concesso dirlo, dubito sia
privilegio di tutti.
Ah, e per quanto riguarda il punto debole,
direi che non è né timidezza né questione di popolarità. È che ora preferisco
averti così, senza obblighi o doveri, senza che tu ti senta costretta a
lasciarmi entrare a gamba tesa nella tua vita. Lo spazio che se mai mi
spetterà, preferisco prendermelo parola dopo parola, lettera dopo lettera. In
fondo, sento di dovermi guadagnare la tua attenzione e, perché no, un piccolo
spazio dentro di te.
I tuoi dubbi mi lasciano comunque un po’
perplesso: siamo nel 2015 e la tecnologia ha la meglio sulla carta e sul
cervello degli uomini. A quale scopo farti uno scherzo di cattivo gusto quando,
tutto sommato, sarebbe sufficiente postare una foto ridicola di te online? Siamo
anacronistici e io ne sono entusiasta.
Entrambi non facciamo altro che divagare. Stimoli positivamente la mia rara
parlantina. Posso chiamarla “parlantina” anche se sto scrivendo? Insomma, mi
sono perso di nuovo dentro i miei soli pensieri.
Ho bisogno della tua compagnia per far sì che i
miei spettri non fuggano da me, per tenere incollato quel poco che ho di buono:
ti va di essere la mia Wendy armata di ago? Saresti
disposta ad acciuffare la mia ombra per poi cucirmela sulla pelle?
Voglio sentire la libertà delle tue parole
imprimersi sulla carta, le tue emozioni vibrare sul foglio. Riesco a percepire
la tua dolce tenacia, la tua diffidenza, la tua curiosità. Almeno quest’ultima
spero di poterla soddisfare, prima o poi.
Sei stata il mio raggio di sole quella mattina
e a ogni tua parola, che sia estate o autunno, penso solo:
“Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.”
(Giuseppe Ungaretti, Veglia)
P.S. In quel vestito
color rosso tramonto-che-spero-non-tramonti-mai, non trovarti meravigliosa è
stata cosa ardua.
Alice
I miei occhi continuano a scorrere sulla lettera
che ho tra le dita. La brezza autunnale mi coglie di sorpresa, facendomi
rabbrividire: è ormai passata un’ora da quando mi sono seduta qui. Sono in
stazione, su una banchina, a lasciarmi cullare dal vociare dei passeggeri che
vanno e vengono. Solitamente resto qui, con l’apparecchio acustico spento,
perché quando sono sommersa dal silenzio e guardo gli abbracci di chi
finalmente si incontra, mi sembrano tutti più carichi d’amore. Sono momenti
magici, per me, anche se non ne sono la diretta protagonista. Mi piace stare
sullo sfondo, forse perché adoro il mondo o forse perché ne ho una gigantesca
paura. Non mi è ancora ben chiaro.
Quando vedo la mia amica in lontananza, torno a sentire il rumore del mondo e
ho quasi un capogiro.
«Stai nuovamente facendo la carta da parati?»
la voce di Bea mi giunge forte e chiara.
«Così sembra», mormoro alzandomi, «mi
sei mancata!»
Ci scambiamo un abbraccio nostalgico e, per un
attimo, vorrei che la Alice-carta-da-parati ci vedesse. Sono anni che io e
Beatrice adoriamo definirci carta da parati o tappezzeria, insomma, dipende. Lei
ha un’innata abilità nel passare inosservata, nonostante il suo aspetto sia
talvolta stravagante. A detta sua, non ci mette molto impegno, ma io credo che
invece si sia abituata al silenzio per anni. E, ancor più che il silenzio, sono
convinta che il dono dell’invisibilità le sia costato parecchio in alcune
situazioni.
Raramente ho visto Bea abbattersi, ma
questo non la rende invincibile: ai miei occhi le sue debolezze appaiono
comunque come punti di forza. Sono passati quattro anni da quando ci siamo
conosciute e, inevitabilmente, legate. I suoi capelli tinti di rosa fluorescente
e la sua abilità da tappezzeria sono l’ossimoro più bello che conosca.
Quando penso a quest’ultima frase, riecheggia
dentro me la lettera che ancora tengo in mano. L’occhio da aquila di Beatrice
non se l’è certo lasciata sfuggire.
«E quella?», chiede mentre sulle sue
labbra si disegna un sorriso furbo.
Arrossisco istantaneamente: «Beh, questa… sì, ecco, questa…», balbetto.
«È quello che credo?»
Annuisco, sempre più rossa in viso. Bea
sorride largamente e vedere i suoi occhi così curiosi e sereni mi fa sentire
meglio: «Allora direi che è meglio sbrigarsi, L’angolo del goloso non
resta aperto in eterno per noi!»
***
«Ora che ho la pancia piena mi sento dieci
volte meglio», afferma Bea tastandosi il ventre, come se la focaccia avesse
preso forma nel suo grembo, «hai una vaga idea di chi potrebbe essere il tuo
Romeo?»
«Tu e mio padre siete in combutta, per
caso?» chiedo, mentre Bea mi guarda perplessa.
«In che senso?» chiede con cipiglio, i
suoi occhi quasi verdi rilucono il sole autunnale.
«Lo chiamate Romeo così spesso che ormai
quando ci penso lo vedo in calzamaglia sotto al mio balcone», rispondo ironica,
suscitando una grassa risata sulle labbra della mia amica, «comunque, no. Non
ho idea di chi possa essere. Da quando sono diventata così non ho più rivolto la parola a nessuno lì dentro».
«Può anche darsi che tu non abbia
stretto amicizie, Ali, ma non sei davvero
invisibile», mormora trangugiando quel che è rimasto della merenda, «almeno,
non con quel cespuglio di ricci in testa».
Le
nostre risate si fanno compagnia, ma dentro me sento solo una gran confusione. La
mia amica coglie al volo ogni mio stato d’animo, il suo sguardo resta fermo sul
mio viso, e con un breve cenno del capo, mi sprona a dirle quello che penso.
«Ecco, Bea…» mormoro. «Perché proprio
me? Credi che sia a conoscenza di questo?» le chiedo, esponendo apertamente il
mio apparecchio acustico retroauricolare. Beatrice
raccoglie le briciole della focaccia rimaste sul tavolo, il movimento delle sue
mani piccole e curate quasi mi ipnotizza mentre getta le malcapitate su un
piattino.
«A questo non so e non posso
risponderti, ma ti ha già scelta», la mia amica sospira, poi incornicia la sua
bocca con un sorriso, «magari sa a cosa sta andando incontro».
«Come fai ad esserne così sicura? Io, a
tratti, ancora temo che sia uno scherzo o un viscido uomo di mezza età!»
Bea è esausta di cibo e inizia a
sistemare le sue cose nella borsa argentata: «Non è impossibile ma resta molto improbabile.
Né un viscido né un simpaticone si impegnerebbero a scriverti delle lettere.
Che scherzo sarebbe, poi, se uno dovesse impegnarsi pure così tanto per farlo?»
Annuisco piano, riflettendoci sopra.
Beatrice non ha torto, eppure il mio cuore è ancora un po’ spaventato. Infilo
una sigaretta tra le mie labbra, ho decisamente bisogno di una boccata di
nicotina. Porgo i soldi della merenda alla mia amica, che con zelo si reca alla
cassa e paga mentre io esalo la mia prima boccata di fumo.
Dopo pochi attimi mi raggiunge e, seppur tristemente, arriva il momento di
congedarsi. Stringo forte tra le mie braccia il corpo di questa ragazza
stravagante e adorabile, con i suoi pantaloni etnici a zampa di elefante e i
capelli rosa.
«Ti fidi di me, Ali?»
«Ciecamente.»