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Autore: edoardo811    15/05/2021    5 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Due facce della stessa medaglia

 

 

Un fortissimo brusio si sollevò dopo quell’affermazione. I capicasa si guardarono tra di loro per la sorpresa, ognuno mormorando la propria, mentre Buck rimase in silenzio a trucidare Konnor con lo sguardo. Jane sussultò di nuovo, stringendosi nelle spalle e facendo di tutto per non voltarsi verso la sua direzione. 

«Tu… mi sfidi?!» rantolò Buck. 

Si alzò in piedi, torreggiando sul fratello. Konnor non era certo mingherlino, ma Buck era uno dei ragazzi più grossi del campo, lo superava in altezza di almeno dieci centimetri. Ma non contavano le dimensioni del corpo, contavano quelle del cuore. 

Konnor non batté ciglio, tenendo lo sguardo fisso sul fratello per nulla intimidito. «Scegli pure tu quando e dove.» 

«Konnor, Buck, per favore…» cercò di intromettersi Chirone con sguardo affranto. «… non litigate proprio ora. È un giorno di feste questo, non potete…»

«Chirone, con il dovuto rispetto…» lo interruppe Konnor, senza nemmeno guardarlo. «… questa storia è durata per troppo tempo. Buck è stato uno dei peggiori capicasa che si siano mai visti. Per i festeggiamenti ci sarà tempo quando l’avrò sconfitto.»

Una risatina fredda gorgheggiò fuori dalla gola di Buck, mentre si passava la mano sopra la testa rada. «Sapevo che non eri uno di noi, Konnor. L’ho sempre saputo. Ma non credevo che avresti mai trovato il coraggio di uscire allo scoperto.» Sogghignò e abbassò la testa, per bisbigliare il resto delle sue parole: «Mi assicurerò che d’ora in poi tu tenga la testa bassa. Tra un’ora, all’arena. Risolveremo questa faccenda una volta per tutte.»

Il capocasa di Ares non attese nemmeno una risposta. Si voltò, ringhiò a Jane di seguirlo e lei trasalì ancora una volta. Si allontanò con lui senza dire una parola. Nel suo volto, Stephanie scorse ancora una volta un’espressione impaurita che mai prima di allora le aveva visto fare.

Un silenzio imbarazzato scese nella stanza quando quei due se ne andarono. Konnor rimase in piedi, lo sguardo smarrito verso la porta e un viso indecifrabile. 

La risata della capocasa di Nike spezzò la tensione. «Finalmente un po’ di botte!» esclamò sfregandosi le mani.

Alyssa balzò in piedi, con un sorrisetto sghembo. «Si accettano scommesse! Konnor o Buck? Su chi volete puntare?»

«Ti sembra il momento di dire una cosa del genere?» la rimproverò Simon, scuotendo la testa con disappunto. 

«Forza Konnor!» gridò Kevin, stringendo i pugni. «Dagli una lezione!»

Tutti quanti cominciarono a parlarsi sopra. In mezzo al casino di semidei eccitati all’idea di vedere uno scontro tra fratelli, Stephanie rimase in silenzio a osservare Konnor angosciata, imitata dai suoi compagni dell’impresa. Chirone alzò la voce per farsi sentire: «Ragazzi, calmatevi adesso.» 

I capicasa rioccuparono i loro posti, sotto lo sguardo severo del centauro. 

«È passato molto tempo dall’ultima volta che una sfida di questo tipo è stata lanciata. Spero che tu ti renda conto di quanto importante sia questo momento, Konnor» disse Chirone.

Konnor resse lo sguardo del loro anziano mentore e annuì, senza rispondere. Quello era lo stesso ragazzo che aveva affrontato Orochi e sconfitto Naito. Se c’era qualcuno che si rendeva conto di cosa significasse tutto quello, era proprio lui.

Chirone annuì di rimando. «Molto bene. A tutti i capicasa, date il benvenuto ai vostri nuovi compagni: Stephanie Winkler, Thomas Blake, Edward Model e Rosa Mendez.» 

Applaudì, venendo seguito da tutti gli altri. Malgrado tutto, i quattro ragazzi riuscirono ad abbozzare dei tenui sorrisi. 

«Se nessun’altro ha nulla da dire, il Consiglio può aggiornarsi qui. Konnor ha una sfida a cui prepararsi.»

Nessuna risposta. Era chiaro che ora l’attenzione di tutti era incentrata sullo scontro che stava per arrivare. Stephanie avrebbe voluto intromettersi, avrebbe voluto dire che un’ora era troppo poco per permettere a Konnor di prepararsi. Erano appena tornati, aveva rischiato di morire, non era giusto che fosse gettato di nuovo in mezzo ai lupi in quel modo. Allo stesso tempo, però, sapeva che lui non si sarebbe mai e poi mai tirato indietro, nemmeno se Buck gli avesse dato solo cinque minuti.

I ragazzi cominciarono ad uscire dalla stanza. Mentre era sulla porta, Stephanie vide Chirone chiamare Seth e Konnor da parte, per dirgli qualcosa in privato che però non riuscì a udire. Nel corridoio, accanto a lei, i semidei ancora parlottavano tra loro, scambiandosi opinioni sull’imminente incontro.

«Tu su chi punti?» domandò Tonya ad Alyssa. La figlia di Tyche le lanciò uno sguardo di sufficienza. «Certo, e tu pensi che te lo dica così che possa copiarmi.»

«N-Non è così! So per certo di avere ragione io!»

«Come no.» 

«… sono sicuro che non farà una bella fine» stava dicendo invece Simon a Xavier, che sogghignò senza rispondere.

Stephanie sentì il cuore stringersi in una morsa. Accelerò il passo per uscire da lì al più presto. Si ritrovò con i suoi compagni dell’impresa e i loro fratelli fuori dalla Casa Grande.

«Non ho mai assistito ad una sfida di questo tipo» ammise Derek, massaggiandosi il mento pensieroso. «Chissà come funziona.»

«Da quanto ne so, dovrebbero affrontarsi come in uno scontro vero e proprio» spiegò Jonathan. «Senza uccidersi a vicenda, se possibile…»

Non appena disse quella frase, Stephanie sussultò.

«Tutto ok Steph?»

La figlia di Demetra avrebbe voluto rispondere. Purtroppo, quella domanda gliel’aveva fatta Edward. Rimase immobile ad osservarlo senza trovare parole da dire. Era preoccupata per Konnor, era evidente. Chiunque l’avrebbe capito. Incluso lui. 

«Konnor ha sconfitto Naito» le disse. «Pensi davvero che Buck possa essere una minaccia per lui?»

Stephanie non rispose. Non avrebbe dovuto essere sorpresa dal fatto che stesse cercando di rincuorarla. Edward non era malvagio, sapeva cosa stava pensando e stava cercando di essere gentile nonostante tutto. Si sentì in colpa per il suo comportamento. Scosse la testa. «Sono… sono solo preoccupata per quello che potrebbe pensare in questo momento… mi… mi ha parlato del suo rapporto con i suoi fratelli. Sfidare Buck non deve essere stata una scelta facile per lui.»

«Anche accompagnarmi nell’impresa non deve essere stata una scelta facile» proseguì Edward. «Eppure l’ha fatto. Se la caverà, vedrai. E noi tutti saremo lì a fare il tifo per lui. Vero?»

Stephanie spostò lo sguardo sui suoi amici. Lisa, Tommy, anche Rosa, Derek, Paul e Jonathan sorrisero, annuendo. Era ormai chiaro anche a loro che Konnor fosse un bravo ragazzo.

«Dai, figlia dei fiori.» Rosa la affiancò, avvolgendole un braccio attorno alle spalle. «Faccelo un sorriso, su.» 

Timidamente, Stephanie obbedì. 

«Puoi fare di meglio di così» si oppose Lisa, piazzandosi al suo altro fianco. Mise le dita sul bordo delle sue labbra e gliele tirò all’insù. «Ecco, perfetto!»

Steph si dimenò, lanciandole un’occhiataccia. Lisa alzò le mani con un ghigno divertito, mentre agli altri ragazzi scappava una piccola risata, che finì con il contagiarla. 

La vista di Konnor che usciva dalla Casa Grande per ultimo, insieme a Seth, li riportò alla realtà. Si avvicinarono a loro, ma prima che Stephanie potesse parlare il figlio di Nemesi sorrise. 

«Konnor ha bisogno di prepararsi per la sfida» disse soltanto. Eppure riuscì ad incutere comunque timore con la sua voce grave. «Se volete dirgli qualcosa, fatelo adesso. Per la prossima ora non sarà più reperibile.»

Edward inarcò un sopracciglio. «E tu cosa c’entri in questa storia?» 

«Chirone mi ha chiesto di tenerlo d’occhio e di assicurarmi che né lui né Buck provino a fare strani scherzi prima della sfida.» Seth sogghignò. «Ha detto che preferiva che fosse qualcuno con cui non ha dei legami stretti a farlo e siccome mia madre è anche la dea dell’equilibrio, la scelta è caduta su di me. Non preoccupatevi, non torcerò un capello al vostro amico… se si comporterà bene.»

Konnor storse le labbra in una smorfia, ma non disse niente. 

«Ehi, amico» disse Tommy, avvicinandosi a lui. Gli sorrise, porgendogli la mano. «Buona fortuna. Dagli una lezione anche da parte mia.»

Il figlio di Ares ricambiò il sorriso e la stretta di mano. «Contaci.»

Lisa gli diede un rapido abbraccio e alcune parole di incoraggiamento, per poi mettersi di nuovo accanto a Thomas, intrecciando le dita con le sue. Anche Edward gli porse la mano. 

«A San Francisco mi hai fatto a pezzi verbalmente» disse, per poi sorridere beffardo. «Ora vedi di farlo anche con Buck, fisicamente però.»

«Non credo di poterlo fare a pezzi nel vero senso della parola, ma penso che un’alternativa valida riuscirò a trovarla.»

I due ragazzi sghignazzarono, scambiandosi un cenno d’intesa. Vederli più vicini tra loro riuscì a tranquillizzare Steph, almeno in parte. Lo sguardo di Konnor scivolò su di lei. Bastarono solo i suoi occhi per comunicarle che, qualunque cosa sarebbe successa, era pronto. Con quello sguardo aveva affrontato Naito, aveva affrontato l’esercito di Orochi e infine Orochi stesso. Non avrebbe fallito, ne era certa. Tuttavia, la sua paura più grande andava verso cosa la capanna Cinque sarebbe potuta diventare se lui avesse vinto. Aveva paura che i figli di Ares si spaccassero a metà ed era certa che anche Konnor temesse lo stesso. Si avvicinò a lui, sentendo tutti gli sguardi puntati su di lei. Una strana aria aleggiò mentre osservava l’amico. 

«Konnor…» cominciò lei, prima che lui la fermasse con un cenno della mano.

«Ho bisogno che tu mi prometta una cosa, Steph.»

La ragazza sussultò, sorpresa dalla quella frase e dal suo tono serio. «Certo… dimmi.»  

L’espressione di Konnor si ammorbidì. «Quando vincerò… uscirai con me.»

Stephanie sentì le guance bruciare all’improvviso. Riuscì a sentire il lungo “uhhhhh” che Lisa e Rosa fecero alle sue spalle. Non trovò il coraggio di voltarsi verso di loro. Incrociò di nuovo lo sguardo di Konnor e tutto quello che avevano passato insieme balenò nella sua mente. 

La sera della caccia al tesoro, la sera al motel, l’Union Station, i viaggi in treno, il loro abbraccio nel bosco e per finire quando aveva affrontato Naito. Fece un lento sorriso, molto più sincero. Poi, ridacchiò, posandosi una mano sul fianco. Non aveva detto “se”. «Quando vincerai? Sei confidente, mh?»

Konnor alzò le spalle, con un sorrisetto divertito. Stephanie lo guardò negli occhi, smarrendosi nelle sue iridi cristalline.

«Va bene, Murray. Quando vincerai…» lo pungolò sul petto. «… e se non farai sciocchezze… usciremo insieme.»

Poté giurare di aver sentito, in un angolino della sua mente, Afrodite che faceva un verso estasiato. O forse erano di nuovo i versi di Lisa e Rosa – anche di Derek e Tommy.

«Che carini che siete» gracchiò Seth con quel sorrisetto da psicopatico. E se quella era l’espressione che faceva di fronte a qualcosa di carino, Steph non voleva sapere cosa avrebbe fatto di fronte a qualcosa che non lo era. 

«Scusate, ma il tempo è poco. Potrete parlargli di nuovo dopo la sfida.» Il figlio di Nemesi afferrò Konnor per il braccio e lo trascinò via di peso, senza nemmeno dargli il tempo di dire la propria. 

«Ci vediamo dopo» riuscì soltanto a dire, mentre veniva scortato verso la cabina di Nemesi, che assomigliava a una prigione con torce sulle pareti e il simbolo della dea appeso sopra la porta. 

«Siamo sicuri che là dentro non lo mangeranno vivo?» domandò Derek perplesso.

«Ragazzi, scusate.» Un’altra voce si sollevò, attirando le loro attenzioni. Rachel si avvicinò a loro, affiancata da Chirone. Sorrise verso di Edward. «Avremmo bisogno di chiederti alcune cose riguardo la profezia che hai ricevuto. Ti dispiace seguirci di nuovo nella Casa Grande?»

«Déjà-vu» borbottò Edward, incrociando le braccia. Annuì. «Certo. Ci vediamo all’arena, tenetemi un posto in prima fila» disse agli altri, battendo una mano sulla spalla di Tommy. 

Poco prima di andarsene, incrociò ancora lo sguardo con Stephanie. Bastò solo quell’istante per farle capire cosa stava pensando. Di nuovo, le sembrò di sentire la risatina divertita di Afrodite nella sua mente. Nessuno dei due disse nulla. Edward si allontanò con Rachel e Chirone, mentre un pesantissimo macigno scendeva inesorabile nello stomaco di Steph. 

 

***

 

Nell’arena c’era stata sì e no una decina di volte, al massimo, in tutti gli anni che aveva trascorso al campo. Era il luogo dove i semidei combattevano, versando sudore, saliva, perfino sangue alle volte, perciò non era proprio la sua attrazione del campo preferita. I campi di fragole erano molto più gradevoli di quel cubicolo di legno, sabbia e cemento pieno zeppo di armi e manichini di paglia. 

O il lago. Perché non combattere in riva al lago, con l’aria fresca e il cinguettio degli uccellini? 

La voce dello scontro si era sparsa in fretta, in quel luogo in cui perfino un bacio alle quattro del mattino non passava inosservato. Almeno metà del campo si era stipata nell’arena per assistere, ammucchiandosi sugli spalti. Tutti i capicasa avrebbero occupato le prime file, quindi anche lei e i suoi amici. I meravigliosi vantaggi di chi comandava, poter assistere meglio a due che avrebbero cercato di farsi del male a vicenda. Si sedette con Lisa e Tommy alla sua destra, che si stavano ancora tenendo per mano – aveva già detto che erano adorabili? – e Rosa alla sua sinistra.

«Ho visto sia Buck che Konnor allenarsi nell’arena» le stava dicendo la co-capocasa di Apollo. «Buck è grosso, punta molto sulla forza fisica e la brutalità. Konnor, d’altra parte, ha il vantaggio della rapidità. Sarà uno scontro interessante. Ovviamente farò il tifo per tu novio, figlia dei fiori.»

Alyssa continuava felice e serena ad accettare scommesse su chi avrebbe vinto, sempre rifiutandosi di dire chi fosse la sua scelta per non influenzare gli altri, e gli altri capicasa sghignazzavano e facevano battute sullo scontro. Stephanie sentiva i nervi a fior di pelle. Si fidava di Konnor, sapeva che avrebbe vinto, ma questo non la esonerava dall’avere paura che Buck facesse qualcosa di pericoloso. Giurò a sé stessa che se gli avesse torto anche solo un capello di troppo, sarebbe scesa dagli spalti e lo avrebbe sepolto vivo. 

Doveva mancare ormai poco all’incontro quando Edward li raggiunse, sedendosi accanto a Rosa con un sospiro pesante. «Continuo a subire interrogatori, non ne posso più» scherzò con un sorrisetto, anche se sembrava che qualcosa lo turbasse. 

Steph avrebbe voluto chiedergli di cosa avesse parlato con Rachel e Chirone, ma l’arrivo di Buck, accompagnato da Jane, catturò l’attenzione di tutti. 

La figlia di Afrodite teneva la testa bassa e sembrava non voler incrociare lo sguardo di nessuno, un altro comportamento anomalo da parte sua. Di solito amava essere al centro dell'attenzione. Al contrario, Buck avanzò con fierezza, agghindato di tutto punto per l’occasione: indossava una panoplia completa di bronzo celeste, con tanto di elmetto che lasciava a malapena intravedere i suoi occhi piccoli e incattiviti e il suo ghigno divertito, con un alto pennacchio rosso fuoco. 

In una mano stringeva con forza l’impugnatura della sua arma, una grossa scure con la lama di un’ascia da una parte e la testa di un martello dall’altra, un esemplare che i figli di Efesto avevano forgiato decenni prima come replica della stessa arma appartenuta ad un antico guerriero greco. 

Un’arma perfetta per uno che prediligeva la forza bruta, proprio come aveva detto Rosa.

Poi, entrò Konnor accompagnato da Seth. Si era messo indosso lo stesso equipaggiamento che aveva snobbato quella sera, la sera in cui la loro avventura aveva avuto inizio: la cotta di maglia e le protezioni per le braccia, gomiti e ginocchia. Anche lui aveva un elmetto, anche se non era sfarzoso come quello di Buck, e stringeva il manico della sua spada di bronzo nera come il carbone. 

La folla cominciò a scaldarsi, tifando e fischiando chi gradivano di più e di meno. Stephanie si accorse che tra i figli di Ares presenti non tutti stavano tifando per Buck: alcuni stavano incitando il capocasa, altri invece erano in silenzio, a studiare Konnor.

Un piccolo satiro camminò in mezzo all’arena, frapponendosi tra i due sfidanti che nel frattempo si erano messi ai lati opposti del cerchio di terra battuta. 

«Va bene, va bene angioletti, datevi tutti una calmata.» Il coach Hedge alzò le mani, cercando di placare il pubblico ma senza successo. Ci pensò Seth a farsi avanti, schiarendosi la voce. Come per magia, tutti tacquero. 

«Prego coach Hedge, a lei gli onori» lo invitò il figlio di Nemesi, con un inchino. 

Naturalmente, il satiro pensò di essere stato lui a far scendere il silenzio, perché gonfiò il petto inorgoglito. «Bravi angioletti, rispettate i vostri veterani. Dunque, oggi assisteremo allo scontro tra questi due figli di Ares per decretare il posto di capocasa. Da una parte abbiamo lo sfidante, Konnor Murray!»

Konnor rimase immobile, mentre veniva inondato dalla reazione mista del pubblico. Alcuni lo stavano tifando, come i suoi amici, molti altri invece gli stavano gridando di essere spacciato. 

«E poi, il detentore dell’attuale titolo di capocasa, Buck O’Neale!» 

Un’altra reazione mista, questa volta molto più rumorosa. Il capocasa sogghignò, tendendo l’orecchio verso il pubblico per incitarlo a fare di meglio, ottenendo grida molto più forti, sia di sdegno, che di approvazione. Cominciò a flettere i muscoli delle braccia e a gridare. Si indicò il petto, sollevando l’ascia/martello. «Lo vedete questo?! Questo è quello che nessuno di voi perdenti sarà mai!»

Ci volle un po’ prima che il pubblico la smettesse di lanciargli insulti – forse il trovarsi tutti assieme in un gruppo così grande aveva aiutato molti pavidi a trovare il coraggio di dire quello che davvero pensavano di lui. 

«Allora, voglio uno scontro pulito» disse il coach, una volta ritornata la calma. Sollevò le braccia, facendo da barriera tra i due semidei. 

Buck cominciò ad avvicinarsi al fratello all’improvviso, per lanciargli alcune frecciatine: «Sei ancora in tempo per ritirarti, Konnor, non serve che ti umili da solo in questo modo!»

Konnor non rispose, mentre il satiro si sbracciava in mezzo a loro per cercare di allontanare il capocasa. Era chiaro come il sole che Buck non stesse affatto prendendo sul serio la faccenda, forse perché davvero non credeva che Konnor rappresentasse una minaccia. 

Camminò in avanti e indietro, putandogli contro la punta dell’ascia. «Quando avrò finito con te, le arpie dovranno scrostarti dal pavimento! Nemmeno tua madre ti riconoscerà più! Ti converrà andartene al Campo Giove, o ancora meglio, mollare tutto e ritirarti per sempre, perché questa batosta te la ricorderai a vita!»

L’espressione di Konnor non mutò di una virgola. Rimase concentrato al cento percento, come in rare occasioni Steph l’aveva visto. Osservare quei due era come osservare due lati di Ares confrontarsi tra loro: da una parte c’erano l’orgoglio, la fierezza, la freddezza, dall’altra il caos, la sete di gloria e la smania di potere. 

«Stavo dicendo…» proseguì Hedge infastidito, quando il gorilla decise di darsi una regolata. «… voglio uno scontro pulito. Potrete usare tutte le armi che vorrete, ma è proibito mutilare, dilaniare e uccidere.»

«Eh, ci mancherebbe…» mugugnò Thomas, strappando una risatina a Lisa.

«Il vincitore sarà colui che riuscirà a neutralizzare l’avversario, lo farà arrendere o lo renderà in condizione di non poter più continuare.»

Stephanie non capì la differenza tra le tre cose, ma sorvolò. 

«Tenete bene a mente la parte di scontro pulito» concluse Seth, con il suo sorrisetto sadico preconfezionato. «Non mi interessa chi siete, che cosa rappresentate o quante imprese avete completato» lanciò occhiate piuttosto eloquenti a entrambi i semidei. «Se colpirete per uccidere, vi spedirò fuori da questo campo a suon di calci e mi assicurerò che non possiate più rimetterci piede. Tutto chiaro?»

Konnor annuì. Una smorfia attraversò il volto di Buck – Seth riusciva ad intimidire perfino lui – e annuì a sua volta.

Hedge alzò un braccio per quelle che parvero eternità, durante le quali tutti i semidei tennero il fiato sospeso. Sembrò quasi gongolarsi di quella situazione di temporaneo potere su di loro, come se non fosse abituato ad esercitare un simile controllo durante quegli allenamenti a cui nessuno partecipava mai. Infine, abbassò il braccio, dando il via.

I due fratelli camminarono in cerchio, scrutandosi in silenzio, mentre Jane, Seth e Hedge raggiungevano gli spalti. La figlia di Afrodite continuò a tenere la testa bassa e a usare l’imponente statura di Seth come riparo per non farsi vedere troppo. 

Buck sogghignò. «Ultima possibilità, Konnor. Ritirati, scusati per averci voltato le spalle, svolgi per un mese tutti i lavori della capanna Cinque e forse sarai perdonato.»

«Facciamo che invece la do io a te, l’ultima possibilità» ribatté Konnor, riaprendo la bocca dopo minuti interi di silenzio. «Rinuncia al posto di capocasa e chiedi tu scusa a tutti quelli che hai calpestato in questi anni.»

La risposta di Buck fu una risata sguaiata. «Fammi capire bene, Konnor…» Si avventò su di lui, brandendo la scure. «… quando schiacci uno scarafaggio ti fermi a chiedere scusa?!»

Konnor scartò di lato, evitando l’ascia. Rispose dimenando lo spadone, che Buck parò con il piatto della lama. Si fermarono per un istante, per studiarsi. Poi, Konnor saltò all’indietro, roteando la spada e Buck muggì a gran voce, alzando di nuovo l’ascia: lo scontro era iniziato. 

Buck gridò, calando l’ascia come un boia. Konnor saltò, rotolò e schivò, tenendosi il più lontano possibile da quella micidiale arma. Approfittò della sua velocità per correre attorno al fratello, incalzandolo con rapidi attacchi, ma sembrarono tutti inutili. Buck riuscì a pararli od evitarli, e i pochi che andarono segno sbatterono contro l’armatura senza nemmeno scalfirlo. 

La scure scese di nuovo, cozzando contro la spada di Konnor, che strinse i denti. Buck sogghignò, facendo forza, schiacciandolo a terra. Le gambe del ragazzo più piccolo si piegarono, cedendo sotto il peso di quello più grosso. Konnor saltò all’indietro, liberandosi da quella scomoda situazione, e l’ascia di Buck si schiantò al suolo, affondando nel terreno di un paio di centimetri. 

Konnor ne approfittò per attaccare, sferzando la spada. Buck indietreggiò con un grugnito, schivandola all’ultimo istante e allontanandosi dall’ascia. Venne incalzato ancora e afferrò il polso di Konnor a mezz’aria, immobilizzandolo. Vi fu una breve situazione di stallo, in cui i due fratelli si scrutarono di nuovo, poi Konnor sferrò una gomitata a Buck colpendogli il naso, unica parte del suo volto che era ben visibile da sotto l’elmo. 

Il capocasa di Ares indietreggiò, stordito, mentre sangue scarlatto cominciava a zampillargli dalle narici. Si riscosse quasi subito, tornando a sogghignare. Si strofinò il polso sopra il naso, ripulendosi. «Tutto qui?»

Konnor assottigliò le labbra. Indietreggiò, accennando con la testa all’ascia del fratello, ancora conficcata a terra. Buck capì le sue intenzioni e andò a recuperarla, mentre il ghigno sul suo volto si accentuava. «Avresti dovuto approfittarne, Konnor. Sei proprio uno stupido.»

Afferrò l’ascia e tornò a fronteggiarlo. Konnor non attese un istante di più e si fiondò su di lui, continuando ad incalzarlo. Le lame cozzarono ancora e ancora. Il suono del metallo che tintinnava riempì l’arena, accompagnato dalle grida di incitamento dei semidei sugli spalti. 

Stephanie si accorse solo in quel momento di avere le mani strette di fronte al petto, mentre osservava speranzosa Konnor. I due fratelli mostrarono le loro abilità: conosceva bene quelle di Konnor, aveva assistito al suo scontro con Naito, invece Buck la sorprese, mostrando molti più riflessi e molta più agilità di quanto la sua grossa stazza avrebbe dato a vedere. Senza ombra di dubbio, di fronte a loro si trovavano due tra i combattenti migliori del campo. Due fratelli, figli di Ares, poli opposti: le due facce della stessa medaglia.

«Sei solo un debole» biascicò Buck, quando i due fratelli si trovarono di nuovo faccia a faccia, le lame premute tra loro. Sferrò un calcio nello stomaco a Konnor, facendolo piegare. Roteò l’ascia e lo colpì alla schiena con la parte del martello, schiantandolo a terra. 

Konnor gridò, ritrovandosi steso sul pavimento. Si rimise a fatica sui gomiti, mentre Buck girava attorno a lui osservandolo divertito. Sollevò di nuovo l'ascia dal lato del martello e per un istante l’aria venne risucchiata via da quel luogo. Se l’avesse abbattuta non lo avrebbe ucciso, ma gli avrebbe spezzato la schiena. Stephanie si portò le mani alla bocca inorridita, alzandosi in piedi senza nemmeno rendersene conto. Konnor si riscosse, sferrando al fratello un calcio agli stinchi, facendogli emettere un verso straziante. Si accovacciò per massaggiarsi, mentre il ragazzo più piccolo si girava sulla schiena e gli sferrava un altro calcio, questa volta al petto. Buck indietreggiò e Konnor si rialzò, stringendo le dita sull’elsa della spada. 

Avanzò verso di Buck, che era caduto in ginocchio, stordito. Stephanie vide la sua mano stringersi a pugno, scavando nella terra. Quando fu abbastanza vicino, Konnor sollevò la spada, venendo subito dopo investito dalla manciata di terra che Buck gli gettò in faccia. I semidei esplosero in un boato di versi di protesta, mentre Konnor indietreggiava, cercando di ripulirsi gli occhi. 

«Coach! Quello lo chiama scontro pulito?!» protestò Lisa. 

Il piccolo satiro rispose con un’alzata di spalle. «Non l’ha né dilaniato, né mutilato, né ucciso.»

«COSA?!»

Buck si alzò in piedi, colpendolo allo stomaco con la parte del martello e scaraventandolo di nuovo a terra. Konnor gridò, perdendo la presa dalla spada, e si accasciò coprendosi l’addome. Sputò una chiazza di sangue e fu chiaro che gli avesse appena rotto delle costole nonostante la cotta di maglia.

«Allora, ti arrendi?» domandò Buck, alzando di nuovo l’ascia sopra di lui. 

Konnor non rispose, cercando di strofinarsi la manica sopra gli occhi per pulire i granelli di terra. Buck gli schiacciò l’addome con lo stivale, premendo con forza. Altro sangue scivolò dalle labbra di Konnor, mentre rovesciava la testa all’indietro in un grido lancinante. 

«Coach! Deve fermarli!» gridò Simon alzandosi in piedi. 

Hedge serrò le labbra, sembrando combattuto.

«Provi a intervenire e questa sera ci sarà stufato di capra» sbottò Edward, alzandosi in piedi a sua volta e fissando truce sia Simon che il satiro. I due lo squadrarono atterriti, poi il capocasa di Apollo si portò le mani a cono di fronte alla bocca, in un urlo che sovrastò totalmente il brusio della folla acclamante. «Ehi, Konnor! La finisci o no di giocare?! Puoi fare meglio di così!»

Buck si voltò verso di lui, sogghignando ancora una volta. «Cos’è, stupido cantastorie, per caso ne vuoi un po’ anche t…»

Konnor gli afferrò lo stivale, allontanandolo con un urlo furibondo. Buck spalancò gli occhi, saltellando su una gamba sola mentre Konnor gli teneva fermo il piede, rimettendosi in ginocchio. 

«Chiedi… scusa…» rantolò il più piccolo, il sangue che colava dalla sua bocca.

Buck si dimenò, liberando lo stivale dalla sua presa. Brandì l’ascia e si avventò su di lui. Konnor fu più veloce: roteò, sgusciando dietro al fratello e strinse le braccia attorno alla sua vita, strappandogli un verso sorpreso. 

Urlò con quanta voce aveva in corpo, poi inarcò la schiena; sotto lo sguardo atterrito di tutti, i piedi di Buck si staccarono dal suolo. Konnor sollevò da terra quel ragazzo di almeno trenta chili in più di lui e lo scaraventò all’indietro, oltre la sua testa. Buck gridò a perdifiato, schiantandosi sulla parte più alta della schiena e perdendo la presa dall’ascia. 

«Ma… era un german suplex quello?!» bisbigliò Rosa, atterrita.

Konnor rimase in ginocchio, scrollando la testa e riprendendo fiato. Buck si contorse, mugugnando per il dolore, tendendo le mani verso il soffitto. 

«Chiedi… scusa!» urlò Konnor, mettendosi cavalcioni su di lui. Gli sfilò l’elmetto e gli sferrò un pugno sul naso, facendolo grugnire di dolore. «Chiedi scusa a tutti quelli che hai maltrattato!»

Un altro pugno. «Chiedi scusa ai tuoi fratelli!»

Un altro. «Chiedi scusa a nostro padre!»

Un altro ancora. «Chiedi scusa a me

Le sue nocche affondarono nel volto del fratello per decine di volte, mentre continuava a ripetere quella frase. «Chiedi scusa.»

Afferrò Buck, che gemette, e lo fissò con rabbia e tristezza al tempo stesso, con gli occhi imperlati di lacrime. «Chiedi scusa…»

Buck gli sputò addosso. «Vattene… al Tartaro.»

Il grumo di saliva rossa scivolò lungo la guancia di Konnor, che assottigliò le labbra tremolanti. Quel gesto sembrò fargli molto più male delle costole rotte o della sabbia negli occhi. Sollevò il pugno ormai imbrattato del sangue del capocasa, pronto per il colpo di grazia. 

Gli sguardi dei due fratelli, sporchi, feriti e sanguinanti, si incrociarono di nuovo. 

«Avanti… fallo…» rantolò ancora Buck, con un ultimo ghigno. «Mi odi… no? Fallo. Finiscimi adesso, perché se dovessi rialzarmi… non avrò nessuna pietà.»

Konnor strinse i denti. Lacrime gli solcarono le guance. Poi abbatté il pugno. Vi fu un suono orribile, seguito da un grugnito di Buck. Il capocasa stramazzò a terra, la testa rimbalzò sul pavimento, gli occhi serrati e il naso gonfio. Aveva il volto tumefatto dopo la scarica di pugni di Konnor, una maschera di sangue e lividi viola, neri e blu. Osservandolo, un’espressione di puro dolore attraversò il viso del fratello più piccolo. Serrò le palpebre, scuotendo il capo. «Mi dispiace, Buck. Mi hai costretto a farlo.»

Nessuna risposta. Buck rimase a terra, immobile. Non sembrava nemmeno più cosciente. Non poteva più proseguire.

Konnor aveva vinto.

La folla cominciò ad esultare, alzandosi in piedi sugli spalti. Alcuni si arrabbiarono con Alyssa, che disse di aver puntato proprio su Konnor, mentre il coach Hedge si avviava zampettando di buona leva verso il semidio per proclamarlo vincitore. Sollevò, a fatica per via della statura, il braccio di Konnor. «Buck O’Neal non è più in grado di proseguire! Accogliete tutti il vincitore e nuovo capocasa di Ares, Konnor Murray!»

Gli applausi aumentarono. Le reazioni dapprima miste per lui ora erano quasi tutte positive. Aveva combattuto bene, vendendo cara la pelle, ottenendo l’approvazione del pubblico e oltretutto dando una bella lezione al più grosso bullo del campo. Sarebbe dovuto essere un momento per cui essere felici. Ma Stephanie poté benissimo scorgere la tristezza nello sguardo di Konnor. Le bastò vedere quegli occhi spenti per farle capire che non c’era nulla di cui essere felici, perché non sarebbero mai dovuti arrivare a tanto. 

Da qualche parte, nel corso degli anni, il Campo Mezzosangue aveva preso una piega completamente sbagliata. Si era spaccato a metà, i semidei si erano frammentati e ogni cosa era retrocessa. Anni e anni di duro lavoro fatto dalle generazioni precedenti per unirli tutti erano stati spazzati via, come foglie al vento.

Stephanie osservò Konnor. Lui per primo sapeva che il comportamento di Buck era sbagliato e aveva lavorato duro per cercare di sistemare le cose. E anche dopo avergli dato la lezione che si meritava, era comunque dispiaciuto per colui che, non importava cosa, era comunque suo fratello. I loro sguardi si incrociarono e solo in quel momento lui sembrò trovare di nuovo la forza di sorridere. Un piccolo sorriso nacque anche sul volto di lei. 

Per riportare le cose nel modo in cui sarebbero dovute essere ci sarebbe voluto ancora tempo, ancora molta fatica, ma forse, forse, stavano di nuovo imboccando la strada giusta. Avere Konnor come nuovo capocasa di Ares era un ottimo primo passo verso quella direzione.

Scese dagli spalti, avvicinandosi a lui. Sentiva gli sguardi di tutti puntati su di lei, ma non le importò: quando lo raggiunse, prese il volto di Konnor tra le sue mani e gli sfilò con delicatezza l’elmetto, lasciando che il suo bel viso venisse di nuovo accarezzato dalla luce. Si osservarono negli occhi, senza dire una parola. Il sorriso di Konnor si addolcì e Steph sentì la sua mano avvicinarsi con timidezza alla sua, stringendogliela. 

Aveva vinto, quindi aveva una promessa da mantenere. Tuttavia, Steph decise di aggiungere una postilla al loro accordo. Gettò a terra l’elmetto e gli accarezzò il viso, strofinando il pollice sulle sue labbra per ripulirgliele. Poi, chiuse gli occhi e si avvicinò. Un boato di versi si sollevò alle sue spalle quando le sue labbra catturarono quelle di Konnor.

Stephanie sentì i propri nervi e anche quelli di Konnor sciogliersi in quel bacio che, forse, sarebbe potuto arrivare molto tempo prima. Le braccia del figlio di Ares la avvolsero, tirandola a sé. Schiusero le labbra, stringendosi con più passione. Steph massaggiò il suo volto ruvido per via della barba che stava ricominciando a crescere e le labbra le si arricciarono verso l’alto in un sorriso di pura felicità. Soltanto in quel momento realizzò quanto lo avesse desiderato, nel profondo.

Quando si separarono, i loro sguardi si incrociarono di nuovo. Steph si addolcì, mentre lo accarezzava di nuovo. Konnor l’aveva migliorata, l’aveva spronata, aveva tirato fuori il meglio di lei e non solo. Tutti quanti miglioravano attorno a lui. Era un guerriero, un amico leale, sincero, fedele e non voleva altro che il bene di tutti gli altri. Non aveva nemmeno gioito della sconfitta di Buck, proprio come un vero fratello avrebbe dovuto fare. Tutte le qualità di Ares erano racchiuse in lui. 

E con lui, le cose al campo sarebbero migliorate.

Vi furono applausi e grida di giubilo. I semidei acclamarono il vincitore e la neonata coppia. I due ragazzi osservano la folla, imbarazzati ma sorridenti. Steph vide Lisa e Rosa sollevare il pollice verso di lei e anche Tommy le rivolse un enorme sorriso.

Infine, lo sguardo di Stephanie catturò quello di Edward, l’unico che rimase seduto con un’espressione incolore. Per un momento, il tempo sembrò fermarsi. Osservò quegli occhi castani a lungo, mentre il sorriso svaniva dal suo volto. 

«Un cuore verrà spezzato.»

Quelle erano state le parole di Afrodite. E quello sembrava lo stato d’animo di Edward. Sentì il braccio di Konnor stringerla attorno alle spalle. Anche lui osservò il figlio di Apollo con espressione indecifrabile. L’aria sembrò farsi molto più pesante all’improvviso.

Poi, Edward fece un sorrisetto. Si alzò anche lui e si inchinò in maniera piuttosto teatrale, portandosi una mano al petto e tendendo l’altro braccio verso l’esterno. Si raddrizzò e Stephanie notò il suo sguardo più rilassato e il suo sorriso molto più sincero. A quel punto, anche lei riuscì a sorridere di nuovo, avvolgendo il braccio attorno alla vita di Konnor e stringendosi a lui, sentendosi pervasa da una sensazione di calore e sicurezza che rare volte aveva provato. Osservò di nuovo il figlio di Ares e fece un ampio sorriso, gesto che lui ricambiò.

«Sarai un fantastico capocasa» gli sussurrò, circondandolo con le braccia. 

«Con te al mio fianco non posso fallire» rispose lui, chinandosi di nuovo sul suo viso. 

Stavano per baciarsi ancora una volta, quando il coach Hedge si frappose tra loro. «Basta così, angioletti. Datevi una calmata adesso.»

Entrambi fecero un verso indispettito mentre il piccoletto si faceva largo a tentoni per tenerli separati. «Non siete abbastanza maturi per questo genere di cose. Aspettate ancora un anno o due.»

Fu una delle rare volte in cui Stephanie avrebbe voluto strangolare qualcuno del campo con una radice. Erano abbastanza maturi per rischiare di farsi uccidere dai mostri ma non per baciarsi?!

La sua rabbia sfumò quando si accorse di Edward, Lisa e Thomas che si stavano avvicinando. Konnor sorrise, abbracciando la figlia di Bacco e battendo il pugno con Tommy ed Edward.

«Visto? Un gioco da ragazzi, e non ho neanche un graffio» disse al figlio di Apollo, per poi piegarsi e tossire, stringendosi con forza l’addome per via delle costole rotte. 

Edward lo affiancò, dandogli alcune pacche sulla schiena. «Oh sì amico, sei il ritratto della salute.»

Entrambi ridacchiarono e osservandoli Stephanie si sentì più tranquilla. Era felice di vedere che avevano iniziato ad andare d’accordo nonostante ci fosse lei di mezzo. O forse, avevano iniziato ad andare d’accordo proprio perché lei aveva finalmente smesso di tenere tutti sulle spine prendendo la sua decisione. 

Voleva bene ad Edward, era un bravo ragazzo, ma sapeva che non era lui la persona giusta per lei. E forse anche lui lo aveva capito, perché sembrava aver accettato di buon grado la sua decisione. Si voltò verso di Steph mentre consolava Konnor e le sorrise un’altra volta, strizzandole l’occhio. 

«Lasciatemi!» muggì Buck all’improvviso, rivolto verso alcuni ragazzi della capanna Sette che stavano cercando di aiutarlo ad alzarsi. Li allontanò con degli spintoni e uno di loro, un esile ragazzino afroamericano di cui Steph non ricordava il nome, ruzzolò a terra come un sacco di patate. 

«Tirati su Jericho» sbottò Jonathan, per poi osservare Buck adirato. «Sei ferito, Buck. Dobbiamo medicarti.»

«Sparisci dalla mia vista, stupido cantastorie» rantolò quell’altro, alzandosi in piedi e barcollandogli accanto, dandogli una spallata. 

Jonathan assottigliò le labbra, senza rispondere. Buck si voltò verso i cinque semidei dell’impresa, lanciando occhiate cariche di veleno verso tutti loro e anche verso i ragazzi negli spalti, che nel frattempo avevano cominciato un piccolo coro: «Na na na na, hey hey, goodbye

Buck ringhiò di rabbia. Jane cercò di avvicinarsi a lui, ma quello allontanò anche lei con una spinta, un gesto che fece sussultare perfino Stephanie. L’unica persona che Buck aveva sempre trattato con una parvenza di rispetto era sempre stata proprio lei, Jane. Vederlo trattarla in quel modo fu molto più sconvolgente di quanto avrebbe potuto pensare. La figlia di Afrodite indietreggiò, sembrando altrettanto scioccata. L’ex capocasa di Ares si allontanò dall’arena con passo spedito, senza più voltarsi. 

Dopo un attimo di incertezza, Jane mosse alcuni timidi passi verso la sua direzione, ma Konnor la chiamò: «Jane.»

Lei si voltò verso di loro, osservandoli come se fossero stati dei miraggi. Non sembrava nemmeno sul loro stesso piano della realtà. Konnor scosse la testa, facendole capire che non doveva seguire Buck, non in quel momento almeno. Jane si massaggiò il braccio con aria afflitta, poi, mentre i figli di Apollo raccattavano Jericho da terra, si avvicinò a Konnor e Stephanie. Non guardò nessuno in faccia. Quando parlò, la sua voce uscì come un soffio di vento: «Quella… quella storia che avete raccontato… quel… quel figlio di Venere… era tutto vero?»

«Sì» rispose subito Konnor. 

La figlia di Afrodite alzò la testa, incrociando lo sguardo di Stephanie. «E tu hai… hai sempre avuto quei poteri?»

Stephanie annuì con un gesto deciso. Cercò la mano di Konnor, che gliela strinse con forza, riuscendo a rassicurarla.

«Perché… perché non ti sei mai difesa, allora?»

«Perché tu non avresti dovuto trattarmi male tanto per cominciare» rispose Stephanie, dura. Jane sembrava sconvolta, forse avrebbe potuto usare un tono più gentile, ma dopo tutto quello che aveva subito per causa sua, non riuscì a cancellare la vena di irritazione nella sua voce. «Avreste dovuto rispettare me e i miei fratelli da sempre, per una vostra decisione, non solo perché avrei potuto zittirvi. Della vostra paura non me ne faccio niente.»

Jane distolse lo sguardo, incassando le parole. Osservò Thomas, quello che lei si era sempre divertita a chiamare nano. La stessa persona che aveva affrontato e sconfitto un gigante, che aveva mostrato un coraggio ineguagliabile, che aveva superato le sue paure e che adesso aveva anche una splendida ragazza al suo fianco. Lisa gli posò una mano sulla spalla, squadrando Jane con astio. La figlia di Afrodite distolse gli occhi anche da loro, spostandoli infine su di Edward, colui che l’aveva fronteggiata senza alcun timore. 

Fece alcuni passi avanti proprio verso di lui, concentrandosi sullo sfregio sul suo volto. «È… è stata davvero Campe?» 

Edward serrò le labbra e annuì. Jane alzò una mano con aria quasi intimorita, avvicinandola alle cicatrici. «P-Posso?» 

Dopo un attimo di esitazione, Edward annuì un’altra volta. La figlia di Afrodite passò le dita sugli sfregi, facendolo irrigidire. Passò con delicatezza il pollice su tutte e tre le lunghe linee rosa, sfiorandogli le labbra. 

«Hai… hai rischiato di morire…» sussurrò, come in trance. Si allontanò da lui, spostando di nuovo lo sguardo su tutti loro. «Tutti voi… tutti voi… avete rischiato di morire…»

«Beh… credo sia quello che succede quando vai ad affrontare mostri millenari divoravergini» gracchiò Edward, con un’alzata di spalle. 

Jane non sembrò cogliere il sarcasmo. «Avete… rischiato la vita…» ripeté, come cantilenando. 

I cinque si guardarono tra di loro, perplessi. Era come se Jane si fosse appena resa conto che in effetti i semidei andavano al Campo Mezzosangue per prepararsi a quel genere di cose e non per specchiarsi e comportarsi da bulletti.

«Io… io… vi ho… trattati da schifo…» bisbigliò lei. «… e voi… voi avete… rischiato la vita…»

«Ehi.» Edward schioccò le dita di fronte a lei, facendole scappare un grido spaventato. Il figlio di Apollo abbozzò un sorrisetto. «Non sei una che chiede scusa spesso, vero?»

La figlia di Afrodite avvampò e distolse lo sguardo. «N-Non è così… è… è solo che…»

«Tranquilla, ti capisco. Nemmeno per me è facile. Comunque apprezzo lo sforzo. Ti perdono.»

«D-Dici sul serio?» mormorò lei tornando a guardarlo. 

Edward fece di nuovo spallucce. «Hanno perdonato me dopo tutti i casini che ho combinato, sarebbe ipocrita da parte mia non perdonare quattro insulti.»

Jane lo esaminò ancora per qualche istante, in silenzio, il suo piccolo cervello che cercava di capire se Edward la stesse prendendo in giro oppure no. Poi, gli occhi le si riempirono di lacrime e si gettò su di lui. Edward spalancò gli occhi, rimanendo con le braccia spalancate, mentre lei lo stritolava in un abbraccio. 

«Mi… mi dispiaaaaaaaaaaaaaaaaceeeeeee» gridò, affondando la testa contro il suo petto. Scoppiò in quello che avrebbe dovuto essere un pianto, ma a Stephanie ricordò di più il verso di un cervo che veniva investito sulla statale. «BUAAAAAAAAA-HAAAAAAAAAAAAA»

Il figlio di Apollo guardò i propri compagni stralunato. «Che-sta-succedendo?» mimò con le labbra.

Thomas scosse la testa, sconvolto quanto lui. «Non-lo-so.»

Jane pianse. E pianse. E pianse ancora. E ancora, continuando con quel verso che assolutamente poco si addiceva a quella che doveva essere la ragazza più bella e immacolata del campo. Per essere la figlia della dea dell’amore, della bellezza e quant’altro, il suono del suo pianto pareva proprio l’opposto di tutto quello.

Stephanie scartò subito l’ipotesi che fosse finto, comunque: se avesse voluto recitare, Jane non avrebbe mai fatto quel verso da gabbiano strozzato per cui tutti avrebbero potuto prenderla in giro per i mesi a venire. Era sincera. E la cosa la lasciò ancora più di sasso.

«Mi disp.i.a.ce-eee…» dattilografò, staccandosi da Edward, la cui maglietta sembrava essere appena uscita dalla lavanderia, per poi osservare gli altri. 

Si avvicinò a Thomas, ma Lisa si mise di fronte a lui, scuotendo con voga la testa. Un briciolo di sanità Jane ancora doveva averla, perché obbedì. Infine, incrociò lo sguardo di Stephanie. Di nuovo, non l’aveva mai vista così. Aveva associato quel viso a quel ghigno divertito, quell’aria di sprezzante superiorità e battute taglienti. In quel momento, invece, Jane sembrava l’ombra di sé stessa, una ragazza sola, triste, smarrita e spezzata. E soprattutto, sembrava che la stesse implorando con lo sguardo.

La figlia di Demetra roteò gli occhi e un lungo sospiro quasi infastidito le scappò dalla bocca, poi le fece cenno di avvicinarsi. «Dai, vieni qui.»

Jane divenne più luminosa di un raggio di sole. Si avventò su di lei e la stritolò come aveva fatto con Edward. Per essere una il cui sforzo fisico più grande consisteva nel passarsi un pennellino del trucco sopra il volto, aveva una presa di ferro. «Grazie, grazie, grazie quattrocc…» Si interruppe, coprendosi la bocca e guardandola allarmata.

Steph serrò le labbra. «Strike uno» mugugnò, anche se l’espressione spaventata di Jane rischiava di farle scappare un sorrisetto divertito.

La figlia di Afrodite si illuminò di nuovo, abbracciandola ancora. Stephanie si rese conto che profumava di rose e vaniglia. Le diede qualche pacca di incoraggiamento alla schiena, mentre quella continuava a ripetere “grazie” come una mitragliatrice. Infine si staccò da lei, dandole un ultimo grazie, condito da un bacio a stampo sulla bocca.

Non appena Jane posò le labbra sulle sue, Stephanie strabuzzò gli occhi, atterrita. Edward e Thomas spalancarono la bocca, con Lisa che sferrò una gomitata a quest’ultimo. Anche Konnor batté le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di mettere a fuoco. 

Jane si staccò da lei come se non fosse successo nulla, lasciandola con il sapore del suo rossetto sulle labbra, e unì le mani di fronte al petto. Osservò tutti loro con un sorriso smagliante, molto diverso da quelli a cui aveva abituato tutto il campo. «Vi prometto che da oggi in poi sarò una persona migliore! Userò la lingua ammaliatrice per fare anch’io del bene, come quel figlio di Venere! Verrò agli allenamenti, alle lezioni di tiro con l’arco, alle esercitazioni, a…»

«Non serve che tu lo faccia» si riprese Stephanie, agitando le mani, colpita da un flash di Jane che si mozzava un braccio da sola mentre provava a maneggiare una spada. «Basta solo che… che ti comporti meglio con gli altri. Ok?»

«Sai, no, la storia di tua madre che è anche la dea dell’amore, dell’amicizia e tutto il resto» fece eco Edward, gesticolando. «Cerca di includere un po' di quella roba lì. Vedrai che andrai alla grande.»

Jane fece un’espressione da pesce lesso degne di quelle di Tommy. Scrutò il figlio di Apollo rimanendo in silenzio, molto intensamente, quasi come se lo stesse osservando davvero per la prima volta. Le guance le si imporporarono di nuovo. «O-Ok…» sussurrò.

«Beh… che dire…» mormorò Konnor, grattandosi una tempia mentre osservava quel bizzarro quadretto. «Suppongo che… tutto è bene quel che finisce bene?»

Stephanie si voltò verso di lui, con un caldo sorriso. «Suppongo di sì.»

I due ragazzi si scambiarono ancora uno di quei sorrisi che durante l’impresa erano diventati il loro punto di riferimento. Stephanie spostò lo sguardo verso i semidei sugli spalti che stavano uscendo dall’arena. Tra di loro vide i suoi fratelli, che la salutarono. Alcuni figli di Ares si avvicinarono per congratularsi con il loro nuovo capocasa e diversi di loro scambiarono anche qualche chiacchera con Tommy ed Edward, che risposero con stupore ma anche con felicità. Seth si aggregò, complimentandosi con Konnor, il cui sorriso svanì alla rapidità della luce. Bastò quel piccolo gesto per farle capire che passare un'ora con il figlio di Nemesi doveva averlo segnato a vita.

L’ultima ad arrivare fu Rosa, che afferrò Konnor per le spalle e cominciò a strattonarlo, gridando quanto fosse stata “cazzuta” la sua “german suplex”. 

«Devi insegnarmela!» Quella di Rosa non sembrò davvero una richiesta, ma un ordine. Konnor rispose con una risata e con la promessa che ne avrebbero riparlato.

Steph ammirò i suoi compagni, uno ad uno, distendendo il suo sorriso. Konnor, Edward, Tommy, Lisa, anche Rosa, Jonathan, Derek e tutti gli altri. Forse il loro campo non era più lo stesso che aveva ospitato gli stessi semidei che avevano affrontato Gea, ma non significava che non avrebbe potuto diventarlo, in futuro. 

C’era tanto lavoro da fare, ma quell’impresa, quei cinque, avevano gettato delle ottime fondamenta. E forse i pericoli non erano ancora finiti, ma non aveva importanza: sarebbero stati pronti.

Dopo la festa promessa da Chirone, naturalmente.


 
 
 
 
 
 
 
Ehilà, amici. Ho passato un bel sabato sera all'insegna della scrittura. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
 
 Voglio solo puntualizzare brevemente alcune cose: non credo che nei libri sia mai stata descritta una sfida tra fratelli per il posto di capocasa, ma magari mi sbaglio. Fatto che sta che io, non avendo nessuna idea di come sarebbe potuta essere, mi sono semplicemente basato sull'istinto e ho proposto uno scenario che sarebbe potuto essere verosimile. Anche se a tratti ho voluto "sporcarlo" un po', mettendoci il pubblico, le entrate e le presentazioni come se fosse stato un incontro di wrestling o MMA hahahaha (non mi ero reso conto di desiderare di scriverne uno finché non l'ho fatto oggi. La scena della (o del) german suplex me la salvo e la metto in una hall of fame o cose del genere). Comunque, sì, al di là delle mie aggiunte, è così che mi immagino una sfida di questo tipo, ma fatemi sapere voi.
 
 Apro una parentesi su Jane per dire che la parte finale l'ho trovata esilarante da scrivere. Non avrei mai pensato di dirlo, ma credo che Jane diventerà la mia prossima bimba. E devo dire che in questi capitoli, anche grazie alla recensione che mi ha lasciato Nanamin, ho imparato ad apprezzare di più Steph. Questo capitolo mi è piaciuto molto da scrivere (sicuramente anche il bacio con Konnor ha aiutato, ora loro due sono i miei nuovi patati).
 
 Ultima nota, per l'arma di Buck ho fatto un po' di ricerche e ho trovato questa Ascia di San Sosti che mi è piaciuta tantissimo. A quanto pare è un'arma che esiste veramente e quindi ho pensato che al campo potessero esserci delle repliche di bronzo celeste.
 
 Ok, ho finito, grazie mille per aver letto, grazie a Roland, Farkas e Nanamin per le recensioni e niente, alla prossima amici!

   
 
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