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Autore: DhakiraHijikatasouji    13/06/2021    0 recensioni
Siamo in tempo di guerra, anno 1916. Nessuno però sa che sotto un bunker una donna sta partorendo e un bambino alla luce sta dando. Questo cucciolo però non sa che dovrà crescere affrontando un’orribile infanzia da orfano dove scoprirà la sua vera natura che in tutto il racconto non riuscirà a negare a sé stesso. Soprattutto quando incontrerà l’aspirante artista Bill Kaulitz. E lì riuscirà a capire tutti i ritratti del mondo…del loro mondo.
INCEST NOT RELATED
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Kapitel 15


Berlin, 24 Dicembre 1960

Nessuno realmente era a conoscenza di cosa era successo in tutti quegli anni esattamente. Nessuno davvero era in grado di comprendere ciò che aveva stravolto il mondo fino a portarlo a quel punto. La seconda guerra mondiale era la rappresentazione di quello che l'umanità era disposta a perdere e di ciò che in effetti avevano perso, perché nel momento che si è intenzionati a sterminarci, tutti abbiamo perso qualcosa, chi una persona, chi la dignità, chi la voglia di vivere...Tom aveva perso tutte quelle in un colpo solo, e la testa gradualmente.
Anno dopo anno, Marleen si faceva sempre più grande. Aveva vissuto l'esperienza della guerra come un romanzo di formazione lungo meno di una pagina, ciò che l'aveva fortificata e costretta a crescere in fretta. Però per lei l'avvenimento più duro era stato il deterioramento di suo padre. Lei, una donna di ormai quasi 27 anni, e lui, un uomo di 44 che sembrava averne il doppio quando cercavi di parlargli. Diceva cose sconclusionate, oppure la coccolava come se ancora fosse la bimbetta che aveva cresciuto in quel mondo allo scatafascio. A Berlino aveva cominciato a girare la voce che Tom la molestasse, per il suo carattere possessivo e perché alla sua età, la figlia non aveva mai avuto un fidanzato, ma Marleen si sforzava di non prestarvi ascolto. Lei amava suo padre, nonostante questo. Era l'uomo più importante della sua vita, quello che aveva attaccato al muro chi gli aveva detto che non potevano prenderla a scuola per questioni che lei, essendo troppo piccola, non aveva ben compreso; quello che rinunciava al suo pezzo di pane quotidiano purché lei andasse a letto sazia; quello che quando la vedeva triste si inventava qualsiasi specie di gioco o di storia per farla ridere. Già, Tom era il tipico papà che nasconde il suo dolore alla figlia, quando in pratica le piange davanti senza ritegno. Marleen era in grado di vedere, molto più di quanto lui potesse immaginare. Quando Tom si faceva la barba davanti allo specchio, la figlia altro non vedeva che l'apparizione di una maschera pirandelliana sul suo volto. Poi le prendeva la mano e le diceva: "Sono pronto, possiamo andare" e lei era costretta a rivangare che non era necessario che la accompagnasse a lavoro, dato che aveva la macchina da ormai sette anni. Certo, non era facile dirgli così, perché le sembrava di ricordargli, giorno dopo giorno, quanto la sua mente si stesse disfacendo. Ancora voleva accompagnarla a scuola, voleva che lo abbracciasse e che gli dicesse "Ci vediamo questo pomeriggio", voleva che corresse tra le sue braccia mostrandogli un disegno nuovo oppure parlandogli della lezione del giorno. Non era riuscito a capacitarsi del fatto che fosse praticamente una donna, giovane, ma pur sempre adulta. Era da poco che lavorava come dottoressa in un ambulatorio. Aveva abbandonato l'idea dell'artista che l'aveva contraddistinta fin da ragazzina. A 17 anni aveva realizzato che il mondo non era fatto di tele, ma di realtà che non poteva dipingere, che non sarebbe stata in grado di raccontare, talmente erano inguardabili. Nessuno avrebbe voluto un dipinto che ricordava l'enorme dolore di quegli anni, così si era iscritta alla facoltà di medicina e si era diplomata con il massimo dei voti.

- Grazie, dottoressa Trümper-

- Mi raccomando, segua la dieta che le ho prescritto e si rimetta presto-

- La ringrazio ancora...e buon Natale!-

- Sì...buon Natale- Rispose con un lieve sorriso a contornarle le labbra. La signora si voltò un'ultima volta e poi lasciò il suo studio. Marleen sospirò, lasciandosi sgraziatamente cadere appoggiandosi allo stipite della porta. Era stato un giorno davvero pesante e non aveva davvero il cuore di pensare alle feste. Oggi era la Vigilia, il 24 Dicembre. Poteva vedere i bambini correre per le strade innevate e colpirsi con le palle di neve a tradimento, le madri che cercavano di tenerli a bada mentre intrattenevano un discorso tra di loro, gli uomini a leggere il giornale al bar di fronte. Sorrise sinceramente. Erano delle belle immagini di vita quotidiana, una vita che lei credeva di non possedere.

- Giornataccia, eh?- Alzò lo sguardo davanti a sé e arrossì leggermente quando dall'altra parte del corridoio vide il suo collega, il dottor Elias Wagner, un cardiologo. Certo è che poteva essere bravo con i cuori quanto voleva, ma ancora non era riuscito a capire che Marleen gli andava dietro da quando era entrata a lavorare lì. Elias possedeva i capelli neri come lei, ma gli occhi così azzurri che parevano lastre di ghiaccio, e Marleen rabbrividiva ogni volta come se potesse toccarle sul serio.

- Sì, ma per fortuna adesso si torna a casa- E che fortuna, pensò. Se a lavoro le persone pretendevano che lei fornisse una risposta per qualsiasi questione le venisse presentata davanti, a casa era lei ad aspettarsi delle risposte da sé stessa per ciò che accadeva a suo padre. Sperava di uscirne il prima possibile da quella situazione. Era come sopravvivere con un'emicrania costante.

- Vuoi che ti accompagno? Ora sta nevicando piuttosto forte- Marleen si stupì di questa sua proposta e il cuore eseguì un doppio salto mortale. Assunse alla svelta un sorriso accomodante e annuì.

- Mi farebbe molto piacere-

- Allora ok- Rispose Elias indietreggiando per rientrare nel suo studio a cambiarsi.

- Ok...- E lei fece altrettanto. Chiusero le porte all'unisono ed entrambi vi si appoggiarono con la schiena tirando un forte respiro. Entrambi si piacevano, ormai da qualche anno, ma Elias non aveva avuto modo di fare la prima mossa, o comunque non gli era mai sembrato il caso. Vedeva Marleen sempre così stanca e afflitta per qualcosa, che temeva non potesse essere mai il momento giusto per parlarle e chiederle di prendere una cioccolata o un caffè insieme. Per ora accompagnarla a casa era già qualcosa di incomparabile, avrebbe passato del tempo in sua compagnia. Non sapeva nulla di lei e questo era ciò che gli dava la voglia di parlarle. Chissà quale era il suo passato...

***

Mesi dopo...

Marleen ed Elias avevano cominciato a frequentarsi sempre più spesso da quel momento in poi. Era davvero sorprendente il fatto che bastasse un pizzico di coraggio per dare inizio a qualcosa di così speciale. Marleen si rendeva sempre più conto di cosa volesse dire incominciare ad innamorarsi veramente di qualcuno, provare il dolore al cuore per la sua mancanza e il desiderio di rivederlo il prima possibile. Però il peso sull'anima non lo sentiva solo in assenza di Elias, ma questo aumentava quando lo aveva vicino. Non era colpa sua, fortunatamente comprendeva che Tom non era ancora pronto per conoscerlo e forse non lo sarebbe stato mai. Però Marleen non voleva rinchiudere suo padre in un manicomio solo perché non la lasciava libera, non ci pensava nemmeno lontanamente! Quei posti erano orribili e trattavano le persone con certi problemi come se fossero segatura! Che poi suo padre non ci era nato...matto ci era diventato. Gli avevano tolto tutto! Il diritto ad una famiglia, il primo amore, la libertà, sua sorella e...Bill. Tom non era riuscito ancora a superare il fatto che ormai fosse morto, per questo la sua mente era rimasta ad anni prima, quando Marleen era piccola. Era come se non riuscisse a mollare quegli anni passati. Voleva tenerli stretti perché temeva di vagare in un infinito senza più alcun appiglio, ancora più disperso di adesso. Quei tempi, per quanto brutti, rimanevano l'unica sicurezza nella sua mente. Era tutto ciò che sentiva di sapere, di capire, di aver vissuto realmente! Era quello che gli confermava di aver avuto una vita, di aver provato delle emozioni vere! Marleen non poteva biasimarlo, e ora che Elias era nella sua esistenza in quel senso, poteva comprendere meglio il suo dolore. Quando era tra le braccia di Elias a volte piangeva, perché si immaginava di perderlo e poi a tutto quello sommava il sentimento di Tom. Non sopportava che soffrisse così.

- Così è questa casa tua- Aveva commesso questo errore, ma in quel momento non lo stava percependo come tale. Aveva portato Elias a casa sua per la prima volta dopo mesi. Tom non c'era e non sarebbe dovuto tornare per qualche ora, sicché Marleen aveva calcolato tutto: Elias sarebbe stato fuori prima che Tom se ne potesse accorgere.

- Sì, non è un granché, ma è confortevole- Lei e suo padre vivevano in un appartamento molto modesto, simile a quello che avevano a Schwerin e dove erano rimasti per ben due anni nascondendosi dai nazisti. Deglutì a quel nebbioso ricordo. Nella sua mente, perfino il viso di Bill che dipingeva stava lentamente sbiadendo dopo ben 24 anni. Sospirò. - Ehi...tutto a posto?- Domandò l'uomo accorgendosi del suo malessere. Ella si rese conto di essersi lasciata troppo andare ai ricordi, perciò si tolse quell'espressione dal viso e sorrise.

- Certo, solo...che a volte è complicato-

- Cosa è complicato?-

- Amare...quando sai che stai sbagliando- Elias rimase qualche istante in silenzio riflettendo su quelle parole. Come mai faceva pensieri tanto oscuri? Non era la prima volta.

- E come mai amare è uno sbaglio?-

- So quello che vuoi dire e ti prego di risparmiarmi questi discorsi, Elias. Amare non è uno sbaglio, ma per l'uomo a volte lo è, e sento che noi stiamo facendo un errore-

- Parli di tuo padre?- Annuì leggermente. - E perché siamo noi l'errore se è a lui che dà fastidio?- Elias le prese il viso tra le mani. - E' la stessa cosa di quando una persona ti critica senza un motivo. La critica viene fatta perché ciò che hai detto o fatto dà fastidio a lei, non è una tua imperfezione o qualcosa che manca a te, se tu ci credi veramente. Ci credi a noi due, Marleen?- La ragazza abbassò leggermente lo sguardo. Non sapeva se la loro coppia potesse sopravvivere a tutto. In fondo si stavano frequentando in quel senso particolare da sette mesi e basta. Erano abbastanza per definire un rapporto? Questo si chiedeva. - Marleen?-

- Io...so solo che ti amo- Non glielo aveva mai detto, gli era uscito spontaneo, esattamente come quando Bill aveva chiesto conferme a suo padre e lui gli aveva risposto semplicemente così, sperando in un sì, sperando che fosse abbastanza e che il suo amore avesse ancora un valore. Marleen non sapeva se il suo amore avesse un valore, ma comprese che lo possedeva quando le mani di lui si fecero più fredde, oppure era il suo viso che si era accaldato quando le labbra dell'uomo si erano posate sulle sue. Non era la prima volta che la baciava in quel modo, ma quando succedeva, aveva sempre il potere di farle imporporare le guance, come se fosse stata ancora una ragazzina. Beh, riguardo questo aspetto, lei si sentiva ancora inesperta. Le lacrime cominciarono a inumidire i suoi occhi, il respiro ad accelerare. Le sembrava di non essere libera, di dipendere sempre da un'idea che era completamente contraria a ciò che realmente pensava! Si portò le mani ai bottoni della camicetta che portava, ma quella di Elias le raggiunse prima che potesse fare alcunché.

- Mi fido delle tue parole, non sei costretta a fare niente- Le poggiò una mano sulla guancia umida asciugando l'ennesima lacrima che cadde, ma la ragazza la afferrò riconducendola esattamente dove era prima, avvicinandosi alle sue labbra. Non si stava sentendo obbligata, lo voleva fare e basta. Non ci doveva essere sempre una ragione. Non sapeva se la relazione con Elias sarebbe durata, se sarebbe bastata una piccola difficoltà a far crollare il suo castello di carte. Non poteva prevedere nulla, ma era convinta delle proprie decisioni. La sola di cui si era pentita era stata quella di non essersi fatta ammazzare dai tedeschi nel momento che avevano portato via Bill. Ancora gli mancava terribilmente, voleva solo che quel momento con Elias glielo facesse dimenticare. Desiderava tanto non aver vissuto un passato fino a quell'istante. Durante quel bacio la tensione stava crescendo. C'era la paura e l'eccitazione di essere scoperti o sentiti, ma riuscirono a levarsi i vestiti e a trasferirsi nella camera da letto di lei. Caddero sul materasso ancora con le labbra attaccate, e mentre Elias la baciava delicatamente sul collo, lei stava pian piano dimenticando tutto e poteva dire di essere felice. Non aveva mai fatto tutto quello e forse stava agendo da incosciente, ma era così attratta dalle cose nuove che non poteva farne a meno. Bastava che fosse diverso. Poi se tutto quello l'avrebbe ferita un giorno, ci avrebbe pensato in un secondo momento. Gemette mentre il suo ragazzo scendeva sempre di più e si morse il labbro inferiore. Un turbine di emozioni si stava scaturendo nella sua anima. Aveva paura, aveva voglia e sentiva di amare Elias, di amarlo veramente. - Ti amo da morire- E quelle parole, sussurratele all'orecchio, furono la conferma, il punto fermo che fece smettere alla sua testa di girare. Immerse le mani nei suoi capelli, accarezzandogli la nuca, e sorrise. Era quella la felicità?

- Marleen!- Improvvisamente la porta si spalancò e i due ragazzi rimasero immobili tra le coperte, il cuore completamente scoppiato nei loro polmoni. Tom era sulla porta, anche lui fermo come una statua di ghiaccio, e li osservava dall'uscio che occhi inclassificabili.

- Papà...- Avrebbe voluto rimproverarlo per non aver bussato, ma percepiva che dentro suo padre stava crescendo una rabbia omicida nei confronti di Elias, che non stava facendo altro che prendersi cura di lei, ma sembrava che Tom non vedesse più alcuna forma d'amore valida se non quella tra sé stesso e sua figlia.

- Chi è lui?- Chiese in tono duro. Marleen stette per rispondere, ma fu Elias ad alzarsi dal letto prima che lei potesse proferire parola. Ella tentò di bloccarlo con lo sguardo, ma il ragazzo non lo colse e si avvicinò lo stesso a Tom, accettando il rischio di star oltrepassando il limite. Infatti Tom lo guardava con un astio evidente, soprattutto perché era senza maglietta, mezzo nudo, nel letto di sua figlia. Che ci faceva un uomo in quelle condizioni con la sua bambina?

- Mi presento, sono Elias Wagner, un collega di sua figlia-

- E questo sarebbe il vostro modo di lavorare insieme?- Chiese Tom con ironia pungente.

- Papà, posso spiegarti...- Tentò di uscire dalle coperte ma lo sguardo di suo padre la congelò.

- Tu non ti muovere di lì!-

- Mi rendo conto che questa non è la situazione migliore per dirglielo, ma io amo sua figlia...- E tutte le parole che vennero dopo, Tom non fu in grado di assimilarle. "Io amo sua figlia" era una frase che non avrebbe mai voluto sentire. Normalmente un genitore avrebbe dovuto essere contento, ma l'amore equivaleva a soffrire e lui non si fidava di quest'uomo. Chi era!? Qualcosa nel suo cervello scattò e una rabbia sopraffece la sua persona. Sganciò un pugno sul viso di Elias, così forte da riversarlo al suolo.

- ELIAS!- Marleen era scesa dal letto senza ascoltare più niente e si era precipitata dal suo ragazzo, che si stava rialzando a fatica con una mano a toccarsi il labbro sanguinante. - Stai bene?-

- Sì...sto bene, tranquilla- Marleen si voltò a guardare suo padre con occhi pieni di qualcosa che non seppe classificare: odio, disprezzo, frustrazione, stanchezza...c'era di tutto in quello sguardo che gli stava rivolgendo.

- Papà, lui è Elias, è il mio fidanzato, la persona con la quale voglio stare e ti prego, smettila di comportarti così!- Disse con le lacrime che le stavano arrossando la sclera.

- Ma io...lo faccio per il tuo bene, io quest'uomo non lo conosco! Potrebbe farti del male ed io non potrò proteggerti!- Quelle parole la stavano facendo piangere ancora di più, come una bambina. Si sentiva come una madre che stava male a rimproverare il figlio, anche se andava fatto perché era giusto che comprendesse!

- Papà...io non ho bisogno della tua protezione, d'accordo?- L'uomo alzò un sopracciglio confuso, poi però assunse un sorriso, di quelli increduli.

- Che storie sono? Io sono tuo padre- Elias aveva afferrato la propria camicia ponendola sulle spalle della ragazza per coprirla, dato che era in intimo davanti al suo genitore. Quel gesto fece scattare lo sguardo di Tom dalla figlia a lui e non seppe dire se aveva apprezzato una cosa del genere. Poi il ragazzo se n'era andato in salotto andando a cercare qualcosa per medicarsi, pensando che fosse meglio lasciarli da soli.

- Lo so, e sei stato bravissimo...-

- Lo sono stato? Ne parli come se adesso non lo fossi più!-

- No, no...papà, ascoltami. Io sono e sarò sempre tua figlia, qualsiasi cosa accada, ma questo non ti dà il diritto di scegliere per me per sempre. Io...ti voglio bene...- Non riuscì ad andare avanti quando vide Tom abbassare lo sguardo. Faceva così solamente quando tentava di nascondersi perché stava per piangere. Esattamente come un bambino.

- Anche io te ne voglio...- E anche la sua voce aveva preso a tremare. - ...da morire- Tirò su con il naso. - Ma tu non vuoi stare con me...preferisci la compagnia di un altro alla mia...e forse è giusto così...- Marleen lo aveva preso e lo aveva abbracciato forte. Poche volte suo padre piangeva, ma sapeva che quando lo faceva, era perché una forte paura albergava nel suo animo. Quella di perderla, esattamente come aveva perso tutte le persone alle quali aveva voluto più bene. - Non mi lasciare-

- No, non lo farò. Starò con te, papà, ok? Adesso basta piangere- Sussurrò amorevolmente accarezzandogli la schiena. Era però delusa da sé stessa, perché non era in grado di fargli capire che l'andare via non sempre voleva dire abbandonare, che lei mai avrebbe smesso di considerarlo suo padre.

***

Berlin, 13 Agosto 1961

Marleen quella mattina di Agosto era rimasta bloccata davanti alla finestra, ipnotizzata a fissare ciò che non aveva mai visto fino ad ora. Come era possibile che in una notte avessero costruito quel muro senza che nessuno se ne accorgesse? Era uno scherzo per caso? Il panico la colse tutta assieme e uscì di casa avvicinandosi alla folla che circondava la costruzione e protestava. C'erano anche dei soldati e questa fu la cosa che la bloccò. Un'immagine le sovvenne alla mente. Bill, circondato da quegli uomini e la folla che lo denigrava, sputandogli e lanciandogli oggetti addosso. Scosse la testa e si immerse anche lei tra le persone, come aveva fatto quando era piccola, convinta che avrebbe trovato una risposta o la morte certa. Retrocedette solo quando un soldato puntò una pistola al cielo e sparò scatenando delle urla.

- INDIETRO! NON AVVICINATEVI O SARÀ PEGGIO PER VOI!- Abbassò l'arma lentamente, puntandola verso la gente, che si stava allontanando, dissolvendosi, esattamente come il soldato aveva detto. Marleen prese la macchina e pensò di andare perlomeno a lavoro. Ci sarebbe stato un punto dove questo muro sarebbe finito, no? Eppure si ritrovò a non trovare uno sbocco per passare dall'altra parte. Quella costruzione grigia la seguiva ovunque andasse, non importava quanto si allontanasse. E ora come avrebbe fatto ad andare a lavorare? C'erano persone per strada che giravano con dei cartelli con su scritto "WEST-BERLIN". Berlino Ovest. Deglutì e fermò la macchina. Questo voleva dire che li avevano imprigionati e adesso erano sotto il dominio dell'Unione Sovietica, esattamente come temevano sarebbe successo. Si bloccò non appena realizzò che Elias era rimasto dall'altra parte. Lui stava a Ost-Berlin e quindi sotto il dominio americano capitalista. Questa situazione stava cominciando a fargli immensamente paura e non le rimase che tornare a casa. Non appena entrò, suo padre stava leggendo il giornale seduto al tavolo.

- Papà, hai visto?-

- Sì...sto leggendo le regole da rispettare-

- Le regole?-

- Noi siamo come delle pedine, Marleen, siamo dei personaggi da muovere su una scacchiera, poco importa se veniamo mangiati- La ragazza rimase a fissarlo lì sulla porta. Come poteva dire queste parole? Non era neanche un minimo preoccupato? Che se lo aspettasse? O che la vedesse come una cosa normale essere controllato? - Non possiamo avere alcun tipo di contatto con l'altra parte, ma ci è consentita la corrispondenza postale. In poche parole, tutto ciò che c'è a Berlino Est non ci riguarda più da oggi in poi-

- Papà, ma come fai ad essere così tranquillo!?- L'uomo sospirò, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a lei con un sorriso calmo sul volto. Marleen non lo sopportava più quel sorriso, come se fosse una bimbetta che faceva le sue stupide deduzioni. Doveva smetterla.

- Finché ho te, non mi interessa di ciò che succede fuori. L'importante è che tu faccia attenzione e che rimanga al sicuro- Tentò di accarezzarle il viso, ma la figlia gli schiaffeggiò la mano via da lei. Che discorsi erano!? La stava privando della libertà! C'erano persone che li avevano come chiusi in gabbia e lui non faceva altro che ripetere che l'importante era averla vicino! ANDAVA TUTTO BENE FINO A CHE ERANO INSIEME! In quel momento non c'era frase più giusta e più sbagliata da pronunciare. Tom rimase colpito da quel gesto, non immaginando che potesse mai succedere.

- IO SONO STANCA, D'ACCORDO!? SONO STANCA DI QUESTA STORIA! PAPÀ, BILL E' MORTO E TU QUESTO LO DEVI ACCETTARE! LE PERSONE NON POSSONO SEMPRE RIMANERTI ACCANTO QUALSIASI COSA ACCADA, PERCHÉ SI CRESCE, SI CAMBIA! DEVI CAPIRE CHE NIENTE PUÒ RIMANERE IMMUTATO! BASTA ILLUDERSI!- Rimase con il fiato ansimante ad osservarlo. L'espressione di suo padre non era cambiata, la osservava con occhi sgranati, come se quella davanti a lui non fosse più sua figlia ma il demonio che aveva preso forma. - Non puoi pretendere che io non viva. Io lo so che tu mi vuoi proteggere, ancora di più da quando Bill è stato catturato e portato nel campo di concentramento, ma...- Tom non aveva più voluto sentire ragioni. L'aveva oltrepassata e se n'era andato via, a chiudersi nella sua stanza, dove non ne uscì per giorni e giorni. E quei giorni...si trasformarono in anni.

***

Berlin, anno 1975

Hallo, meine Liebe.
Denkst du immer noch an mich? Das tue ich, jeden Tag. Da wir gezwungen waren, uns zu trennen, ist kein Tag einzigartig. Sie sind alle gleich. Ich schaue in den Himmel und es scheint mir, dass die Sonne nicht mehr existiert. Es sind immer graue Wolken darüber. Ist es auf deiner Seite auch so? Ich wünschte, ich könnte dich umarmen, dich berühren, dich küssen und dich spüren lassen, wie sehr ich dich vermisse. Wann wird das enden? Es wäre mir egal, wann, aber es würde mir reichen, es zu wissen, damit diese Qual ein Ende hätte. Mein Vater kommt nicht mehr aus dem Zimmer, er redet nicht mit mir. Er hat seit Jahren nicht mehr mit mir gesprochen und ich habe das Gefühl, dass ich mich aufreibe. Ich weiß nicht, ob ich noch lange überleben kann, aber ich schwöre, ich werde stärker werden und bete jede Sekunde auch für dich.
Ich liebe dich.

Marleen.*

Sospirò chiudendo quel foglio per relegarlo all'interno di una busta un po' giallognola. Ora era lei ad avere l'età di suo padre tempo addietro. 41 anni si stavano facendo sentire. Era sempre più donna e ancora, da quella volta che gli aveva urlato addosso, Tom non aveva voluto saperne di rivolgerle la parola. Lei ci aveva provato, ma l'uomo rimaneva nella sua stanza, ad invecchiare nel silenzio di quelle mura. Mangiava raramente e non si fidava più di nessuno, men che meno di lei. Era come se si sentisse tradito e il dolore era talmente forte, che anche il solo vederla lo metteva a disagio, perciò preferiva rinchiudersi. Lei era riuscita a trovare un altro posto di lavoro, era stato un ufficiale ad assumerla come dottoressa e lavorava per loro. Curava le persone che l'avevano ridotta in questo stato, ma non poteva fare altrimenti se non voleva essere fatta fuori in un colpo solo. I russi erano terribili con loro. Più volte, durante una visita, qualcuno di loro si permetteva di allungare le mani, di immetterle sotto la sua gonna e lei doveva stare zitta. Quando succedeva, tentava di mantenere la calma e pensava ad Elias. Il pensiero che avrebbe presto ricevuto una lettera da lui, la faceva resistere. Fino a quella sera.
Aveva voluto fare un extra per avere il giorno dopo un po' più fattibile e perciò aveva finito tardi con l'ultimo paziente. Tornando a casa, dei soldati russi si erano avvicinati, visibilmente ubriachi. Erano in tre e l'avevano accerchiata. Lei logicamente tentò di scappare, ma questi la afferrarono e la portarono nel loro furgoncino. Nessuno la sentì, nonostante le sue grida. Quella notte aveva perso la sua verginità nel modo più macabro possibile. Quando era tornata a casa, sanguinava violentemente...ma non aveva avuto il coraggio di parlare, di andare in quella maledetta stanza e piangere tra le braccia del suo papà. Quelli sapevano tutto di loro, erano a conoscenza del fatto che avesse un padre che era più di qua che di là con la mente, e che non avrebbe potuto fare niente. Ma era anche lei che non voleva regalargli un altro dispiacere. Poi era successo la cosa più orribile. Si era chiusa nel bagno e ne era uscita con il viso pallido e un test di gravidanza positivo. Da quella violenza era rimasta incinta e non era più capace di stare davanti a quegli uomini senza sentirsi minacciata. Era scoperta, incinta, e stuprata. Aveva paura di qualsiasi cosa fosse dietro l'angolo e questo bambino che stava crescendo dentro di lei non aveva alcuna colpa. Ad abortire non ci pensava nemmeno. Era l'unico con cui potesse parlare.

- Io esco...- Aveva biascicato suo padre aprendo finalmente la porta di ingresso dopo tempo immemore. Marleen non lo aveva neanche sentito, stesa sul divano, con gli occhi rossi di lacrime e il ricordo di quella notte impresso nella mente. Solo dopo qualche minuto realizzò che suo padre era uscito e poteva parlargli, poteva confessarle ciò che le era accaduto e provare quel senso di protezione che le era mancato da morire.

- Papà!- Si alzò a sedere guardando dietro la spalliera ma di lui nessuna traccia, la porta d'ingresso rimasta socchiusa. Scattò immediatamente in piedi e si vestì ponendosi un cappotto. Pioveva a dirotto, come sempre! - PAPÀ!- Gridò e il fumo bianco le usciva dalla bocca, il panico che straboccava dal cuore come un fiume in piena. Era una figlia smarrita che stava cercando suo padre, aveva bisogno del suo aiuto e lui era scomparso! Iniziò a piangere e cominciò a correre in direzione del muro. Dove accidenti stava andando!? - PAPÀ!- I capelli stavano cominciando ad appiccicarglisi al viso, così come i vestiti, incollati sulla sua pelle. Provava un terribile freddo e sapeva che nelle sue condizioni non avrebbe dovuto sforzarsi fino a quel punto, ma doveva assolutamente parlargli. Lo vide che stava cercando di scavalcare quella costruzione mostruosa. Non poteva avvicinarsi al muro fino a quel punto! Era totalmente dentro la Todesstreifen (NdA. "Zona della morte"). - NO, TORNA INDIETRO!- Lo raggiunse e lo prese per una caviglia.

- LASCIAMI!- Si divincolò e cercò di raggiungere un punto più alto, ma a causa del bagnato, scivolò un po' ferendosi la mano. Gemette di dolore.

- MA CHE COSA VUOI FARE!? E' PERICOLOSO!-

- VADO DA BILL, VOGLIO RAGGIUNGERLO! LUI E' DALL'ALTRA PARTE! IO LO SO!-

- PAPÀ, TI PREGO! HO BISOGNO DI TE!- Gridò, ma un tuono coprì le sue parole. Tom continuò imperterrito a voler andare dall'altra parte. - TORNA INDIETRO!- I polmoni le stavano finendo da quanta forza metteva in quelle urla, ma Tom era determinato. Stava credendo in un sogno che aveva fatto, dove Bill era comparso e gli aveva detto di seguirlo, al di là della parete. Non c'era dubbio che fosse ancora vivo e Tom l'avrebbe raggiunto. - PAPÀ, NON MI LASCIARE, IO...MI DISPIACE, MI DISPIACE!- Solo a quelle parole l'uomo fermò il suo intento e guardò in basso. Era quasi in cima, ma poi osservò il viso in lacrime di sua figlia che lo guardava e si domandò che cosa stesse facendo. Come mai si trovava lì? - Vieni, papà...torniamo a casa, insieme- Gli tese la mano, che l'uomo afferrò senza esitare. Aveva ancora quel tocco gentile e rassicurante, e questo la fece sorridere. - Torniamo a casa- Ma fu un attimo. Tre colpi netti partirono da una canna di fucile e trafissero la schiena di Tom che si sbilanciò e si lasciò cadere al suolo. Marleen sgranò gli occhi. Cosa era successo? Abbassò gli occhi e ai suoi piedi stava il corpo di suo padre, ansimante e sanguinante. - PAPÀ!- Cadde in ginocchio prendendolo tra le sue braccia e afferrandogli una mano. - Papà...-

- Marleen...- Tremava dolorante.

- Resisti, d'accordo? Chiamo qualcuno...e...- Stava piangendo a dirotto, non riusciva neanche a distinguere bene il volto di suo padre...ma capì che le stava sorridendo.

- Era così...che doveva andare...- Esalò a fatica. Mosse una mano tremante e le accarezzò una guancia. - Non porto rancore...io ti voglio bene...qualsiasi cosa accada...sono io che ti chiedo perdono...- Tossì sputando del sangue.

- Papà!-

- Io e Bill non siamo stati...i tuoi genitori per...tanto tempo, però...abbiamo cercato di fare del nostro meglio per...renderti...così come sei e...io sono tanto orgoglioso, Marleen...- Lei non riusciva a rispondergli, troppo colta dai singhiozzi violenti e dalla voglia di urlare, ma una cosa gliela doveva dire.

- Anche io ti voglio bene, papà-

- Lo so...l'ho sempre...saputo- Chinò la testa da un lato e la mano, prima poggiata sul volto della figlia, si abbandonò al suolo. Marleen adesso stava comprendendo suo padre più di qualsiasi altro al mondo. Aveva appena perso tutte le persone che amava. Era rimasta sola. Un suo grido sguarciò il cielo. Non aveva neanche avuto modo di dirgli che aspettava un bambino. E a quel pensiero bloccò le sue lacrime e abbassò lo sguardo sul suo ventre. No, non era sola...aveva ancora lui. Strinse a sé il corpo di Tom, baciandogli una guancia e la fronte. Non era stata in grado di proteggerlo. I ricordi di quando lei era piccola le sovvennero violentemente, di tutte le volte che gli aveva detto che gli voleva bene ingenuamente e adesso solo dopo anni era stata capace di ripronunciarlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo dire ancora e vedere il suo sorriso, perché il suo amore aveva un valore, e quelle pallottole sparate da un soldato che lo aveva colto nel fatto non erano servite a niente. Il loro amore avrebbe vissuto per sempre.

D'un tratto, un colpo alla testa spense il mondo attorno a lei.

***

Quando riaprì gli occhi si rese conto di trovarsi in un ospedale. Vedeva ancora tutto sfocato e sentiva le voci delle persone che erano nella struttura. Aveva un enorme mal di testa e si rese conto di avere una benda che le fasciava la fronte.

- Dio, Marleen. Per fortuna ti sei ripresa- Quando fu in grado di mettere a fuoco la figura di quell'uomo, il suo cuore fece un salto mortale, ma era troppo debole per reagire.

- Elias...- Esalò debolmente. L'uomo sorrise. Era sollevato che si ricordasse di lui. Meno male il colpo alla testa non aveva intaccato la memoria. - Che ci fai qui?- Chiese debolmente.

- Avevano bisogno di un cardiologo in questa struttura, sono arrivato qui giusto ieri. Avevo in mente di venirti a trovare, ma ieri sera...quando ero per strada...ho sentito degli spari e...ti ho vista piangere...e...- Si fermò sospirando. Non era sicuro di poterglielo ricordare.

- Mio padre...dov'è mio padre?- Temeva quella domanda più di qualsiasi altra cosa.

- Marleen...io mi sono avvicinato, ma lo stesso soldato che ha sparato a tuo padre ha colpito successivamente te con la canna del fucile. In quell'istante sono stato in grado di intervenire e ho potuto portarti in salvo, ma tuo padre...lui non ce l'ha fatta- Disse dispiaciuto. Marleen lo fissava come se gli stesse dicendo delle parole incomprensibili. Solo dopo qualche secondo realizzò ciò che era successo. Lei aveva perso suo padre. Tom era morto. Gli occhi le si velarono di lacrime e scoppiò a piangere. Elias la accolse tra le sue braccia, incoraggiandola a sfogarsi e a buttare fuori tutto. - Ho fatto in modo che venisse sepolto degnamente, non gettato in qualche fossa- La ragazza lo ringraziò mentalmente per questo e tentò di calmarsi un poco. - Ti hanno fatto delle analisi e...beh...- La guardò negli occhi tentando di rassicurarla. - Sei incinta, Marleen- A quelle parole lei non riuscì a smettere di piangere, ma annuì ricominciando ancora più forte. - Lo sapevi di già?- Annuì di nuovo. - Che cosa è successo? Ti sei innamorata di un altro e...- Scosse prontamente la testa.

- Io...una notte...tre...i soldati...loro...-

- Ehi ehi...prendi un bel respiro, così, brava- Le asciugò le lacrime e solo in quell'istante Marleen notò quanto era cambiato. Erano entrambi un po' più invecchiati, ma Elias non aveva perso il suo fascino, solo che non riusciva più a rabbrividire come un  tempo. - Adesso se vuoi, mi dici tutto-

- E' successo...una notte...stavo tornando a casa da lavoro e tre soldati mi hanno fermata...erano ubriachi...mi hanno condotta ad un furgone dicendo che dovevano perquisirmi...e altre parole sconclusionate...ma mi hanno violentata e...io adesso aspetto il figlio di uno di loro- Elias non poté fare altro che abbracciarla ancora più forte, non era la prima volta che sentiva una storia come quella ma gli dispiaceva enormemente che fosse accaduto proprio a Marleen. - Io non voglio abortire, voglio tenerlo...nonostante questo. Io mi sento così sola- Quelle parole fecero male al cuore di Elias. La solitudine era una brutta bestia e Marleen stava facendo di tutto pur di non finire come suo padre.

- Ora non lo sei più, d'accordo? Ci sono io qui con te e mi prenderò cura di entrambi- Erano le parole che meno si aspettava di sentire e che più desiderava. Non credeva che Elias fosse ancora innamorato di lei dopo tutti quegli anni passati a scriversi lettere sempre meno frequentemente. Non credeva che sarebbe rimasto dopo una rivelazione di quel calibro. Per Marleen era come se gli avesse detto di avere una brutta malattia, perché quel bambino non aveva colpe però era sbagliato poiché sarebbe nato da uno stupro. - Ti ricovererò personalmente e poi ti porterò con me a Berlino Est. Lì tutto è diverso...-

- Ma quanto può essere diverso se comunque siamo rinchiusi?- Era una domanda lecita. La libertà non l'avrebbero trovata da nessuna parte e non sapeva fino a quanto quella situazione sarebbe durata. Sospirò. Era bene che la smettessero con quei discorsi, non le stavano facendo bene nello stato in cui si trovava.

- Adesso ti lascio, è bene che riposi un po'-

- No, rimani con me- Elias doveva lavorare, ma non riuscì a dire di no agli occhi di Marleen.

- D'accordo, a patto che ti addormenti-

- Va bene, ma non lasciarmi- Dopo neanche cinque minuti, Marleen aveva perso i sensi ed Elias si era ritrovato a fissarla imbambolato. Nonostante l'età era ancora una bellissima donna, anzi, non dimostrava nemmeno di essere entrata nei cosiddetti -anta. Forse era la gravidanza a renderla ancora più bella. Era ammirevole da parte sua dire che avrebbe continuato a portare in grembo il frutto di quell'aggressione. Ma in quel tempo che si erano frequentati, il cardiologo era stato in grado di vedere quanto Marleen fosse una donna forte. Sopportare la situazione con il padre, la loro separazione, e ora questo...tutto da sola. Sospirò alzandosi dalla sedia. Si chinò a poggiarle un bacio sulla fronte, poi la lasciò dormire, sperando che non si svegliasse tanto presto da accorgersi che non aveva potuto adempiere alla propria promessa.

***

Berlin, Novembre 1989

28 anni. Erano rimasti in quello stato di reclusione per quasi trent'anni, ma finalmente anche quella era finita. Marleen non osava pensare a suo padre che aveva vissuto la fine della prima guerra, totalmente la seconda, e l'inizio di questa agonia, in più doveva nascondere chi era veramente per paura dei giudizi e delle punizioni. Suo padre era stata una persona valida, ma erano riusciti ad ucciderlo. Però ora era passato tanto tempo da quell'avvenimento. Il piccolo Nathan era nato in una ventosa notte autunnale e nel suo sorriso aveva marchiati dei brutti ricordi che Marleen non avrebbe mai potuto ignorare, ma nonostante ciò lo amava terribilmente. Adesso aveva 14 anni, i capelli castano chiaro e gli occhi dorati, come suo nonno. L'unica cosa che non gli apparteneva era il naso, leggermente alla francese, ma per il resto ricordava in tutto e per tutto suo padre. A volte pensava che Nathan fosse un modo di Tom per farle dimenticare tutto il male, renderlo così simile a lui per non farle pensare più a quella maledetta notte, ma per tenerla al sicuro, per proteggerla. Erano rimasti solo loro due, purtroppo. Andando avanti con gli anni, Elias e Marleen si erano resi conto che erano cambiati troppo rispetto a quando erano più giovani e che non necessitavano più l'uno dell'altra per andare avanti. Tuttavia Elias aveva mantenuto la patria potestà sul piccolo Nathan.

- Nathan-

- Dimmi, mamma- Marleen lo guardò dritto negli occhi, seduti su quella squallida panchina del Treptower park, ad ammirare le costruzioni in marmo bianco, durante quel giorno silenzioso dove solo pochi vecchietti passeggiavano qua e là.

- Ti va di andare a stare da tuo padre per un po'?- Il ragazzino rimase sorpreso di questa richiesta, ma continuò imperterrito a mangiare il suo gelato, che sennò gli colava da tutte le parti.

- E come mai?-

- Perché io devo andare da qualche parte e non so per quanto tempo starò via. Potrebbero essere anni-

- Cosa!? Mamma, che stai dicendo!?- Nathan era ancora troppo piccolo, e non sapeva tutta quanta la verità sulla vita precedente di sua madre, per questo stentava a comprendere quelle parole, e forse lo stava vedendo come un tradimento nei suoi confronti.

- C'è una persona che devo rivedere, una persona molto importante per me. Ho ricevuto un biglietto pochi giorni dopo la caduta del muro ed io devo assolutamente partire-

- Ma perché stare via così tanto? Hai detto "anni"!-

- Perché voglio che quella persona non stia da sola, ha bisogno di me-

- Ma anche io ho bisogno di te!-

- Amore, lo so, ma...tu hai ancora tutta la vita davanti e poi tuo padre è una buona compagnia. Io non voglio che prendi queste mie parole come se ti volessi abbandonare, d'accordo? Ti chiamerò ogni giorno e non te ne accorgerai neanche del tempo che passa, te lo prometto- Nathan era ancora confuso, però era anche vero che in quegli anni aveva imparato ad essere forte, perché mai aveva vissuto un periodo come quello dei suoi primi 14 anni di vita.

- D'accordo, ma mi prometti che mi spiegherai tutto?- Marleen sorrise annuendo e abbracciandolo forte. Nathan era l'unico che riusciva a comprenderla senza che lei dovesse parlare. E ora, mentre lo guardava, con quell'adorabile broncio offeso, capiva che metterlo al mondo era stata la cosa più giusta che avesse potuto fare.

***

Si ritrovò a guardare fuori dalla finestra per l'ennesima volta durante tutti quegli anni, ma non fu necessario richiamare tutte le forze per farsi spuntare un sorriso sulle labbra. Forse era la buona volta che gli sarebbe venuto un infarto, ma prima doveva assolutamente riabbracciarla. Andò ad aprire la porta e la trovò con il braccio teso, in procinto di bussare. Era cambiata tantissimo, beh...come anche lui. Ricordava quando l'aveva lasciata, all'età di tre anni, e adesso...era nuovamente davanti ai suoi occhi e non c'era dubbio, aveva contattato la persona giusta.

- Buongiorno...- E anche la sua voce, nonostante i 52 anni che li avevano divisi, era rimasta soave, leggermente squillante, esattamente come la ricordava. La sua piccola Marleen. La vedeva che le tremavano le mani, strette davanti al ventre, non sapeva se alzare lo sguardo oppure no. Marleen, dal canto suo, capiva che doveva avere coraggio. Non poteva aver fatto tutti quei chilometri per niente, la Svizzera non era proprio dietro l'angolo e aveva lavorato sodo per permettersi i soldi per fare quel viaggio. Alzò il viso e incontrò quegli occhi che temeva di aver dimenticato per sempre. Bill era...invecchiato, logicamente, ma c'era di più. Aveva conservato comunque la sua bellezza quasi efebica. Sotto quelle rughe, Marleen riconobbe che era davvero lui, era il suo secondo papà, l'uomo che Tom aveva amato fino alla fine dei suoi giorni. - ...Bill- Al sentirla pronunciare il suo nome, l'uomo sorrise e i suoi occhi si inumidirono un po' di lacrime. Era davvero lei, la sua bambina. Che bella che era, pensò. - Vorrei abbracciarti ma...mi sento così strana- Le sue braccia erano completamente bloccate, non riusciva a muoversi. Il suo cuore invece stava battendo così forte, che aveva paura gli scoppiasse un'arteria. - Tu sei davvero qui...davanti a me. Sei sopravvissuto...- E anche lei non si trattenne dal liberare delle lacrime. Fu Bill a farsi avanti e ad avvolgerla tra le proprie braccia. A quel punto la donna non poté evitare di singhiozzare sempre più forte. Quell'odore, era convinta che non lo avrebbe più sentito. Quel calore sicuro delle sue braccia. Si sentiva come una bambina, come quella bambina che in fondo sapeva di possedere ancora nell'animo. Bill le prese il viso tra le mani asciugandole le lacrime e lasciandole un delicato bacio sulla fronte.

- La mia Marleen- Sussurrò visibilmente emozionato e commosso di averla nuovamente con sé. Entrarono in casa e continuarono ad abbracciarsi. Marleen sperava che non fosse tutto solo un dannato sogno, perché se così fosse stato, il risveglio l'avrebbe condotta ad uno stato di depressione enorme, ma l'emozioni che provava erano troppo vere per non credere che fosse reale. - Sono passati così tanti anni da quel giorno-

- Sì...a volte lo rivivo nei miei incubi-

- Anche io...ma adesso siamo insieme- Bill non aveva alcun legame di sangue con Marleen, non era figlia sua, ma avrebbe mandato a quel paese chiunque avesse osato pronunciare quelle parole, perché la donna che stava stringendo tra le braccia, anche se aveva avuto l'onore di crescerla solo per i primi 3 anni della sua vita, non aveva lasciato il suo cuore neanche un secondo. Forse fare il padre adesso che aveva 76 anni sarebbe stato giudicato come inutile, ma a Marleen serviva un papà. Non perché lei non sapesse cavarsela da sola, ma semplicemente perché da quel massacro erano sopravvissuti solo loro due e stringersi la mano fino alla fine era l'unica cosa giusta che potessero fare. - Voglio mostrarti una cosa- La prese con delicatezza per la mano e Marleen la strinse sicura, lasciandosi guidare in un'altra stanza. Quando Bill andò a scostare le tende, permettendo alla luce di invadere l'ambiente, alla donna mancò letteralmente il fiato. Quelli erano tutti...quadri. Era un enorme stanzone tappezzato di ritratti. Bill si accostò a lei per ammirare il suo lascito al mondo, la sua eredità. - Che cosa ne pensi?-

- Io...non ho parole, davvero- Il moro si avvicinò ai quadri sfiorandone uno con la punta delle dita, sentendo il ruvido della tela scorrere sotto i suoi polpastrelli. Sospirò.

- Ogni quadro in questa stanza rappresenta un momento della nostra vita- La fece avvicinare, tirandola leggermente verso di lui. Marleen era ancora ipnotizzata dalla bellezza di quelle opere. Erano tutte precise e ognuna di loro sembrava contenere un episodio degno di essere raccontato, come le storie narrate davanti ad un falò la sera prima di andare a dormire.

- Che cosa ti è successo dopo che ti hanno catturato? Come hai fatto a sopravvivere?- Chiese con un fil di voce, rubata dalle immagini che stava osservando.

- Credo che non dimenticherò mai le atrocità che ho visto...ma vorrei che rimanessero solo nella mia mente- Marleen comprese il suo desiderio e decise che non gli avrebbe più chiesto niente. Era convinta che andando avanti nella storia, qualcuno sarebbe diventato abbastanza forte per aprire bocca e raccontare quegli orribili avvenimenti. Se Bill non se la sentiva ancora, alla sua veneranda età, doveva essere stata una cosa ancora più inconcepibile di quella del muro.

- Allora parlami di questi quadri- Bill sorrise, annuendo. Era ciò che voleva fare. - Chi è quella?- Indicò abbastanza in alto, dove si trovava un quadro abbastanza grande. Vi era raffigurata una donna incinta, con un abito bianco come una sposa, o come un angelo. Era di profilo e sembrava che stesse camminando, ma era così leggera che pareva volasse.

- E' Saphira...tua madre, quando era incinta di te-

- Mia...madre?- Bill annuì. - E' davvero bella-

- Lei...era la donna più bella che avessi mai visto...fino a che non ti ho preso tra le mie braccia- A quelle parole, Marleen arrossì un poco. Non era abituata a sentirsi dire queste cose, men che meno che gliele dicesse suo padre. Tom non era così spontaneo come Bill, o forse lo era prima di impazzire ed imparare a rinchiudersi in sé stesso. - Se non fosse stato per tua madre, io non sarei qui oggi-

- Che cosa è successo, papà?- E pure quella parola uscì spontanea dalle sue labbra. Non la pronunciava da 14 anni, da quando Tom non c'era più. E Bill provò un leggero tuffo al cuore.

- Vedi...durante il dopoguerra sono fuggito in Svizzera, qui, in questa casa. Ho cominciato a dipingere, ma la "caccia agli omosessuali" non era ancora finita. Degli ufficiali sono venuti qui a perquisirmi per accertarsi che fossi..."normale". Hanno visto questo enorme quadro, come anche altri, e hanno dedotto la cosa più stupida, ma che in quel momento mi ha salvato la vita-

- Cosa?-

- Che mi piacessero le donne dato che ho ritratto tua madre in più di un'opera- Marleen corrugò la fronte. Ma davvero? A volte non si spiegava proprio. Bastava così poco per avere salvi la vita? Sì. Esattamente come bastava poco per essere condannati. - Tua madre ha salvato il mio corpo...e tuo padre il mio cuore- Abbassò lo sguardo, improvvisamente incupito.

- Hai qualche quadro di lui?- Chiese coraggiosamente Marleen, con un nodo alla gola. Bill si sforzò di lasciar trasparire un leggero sorriso. Indicò un quadro che raffigurava un paio di occhi, dipinti con un dolce color oro.

- Ricordo tutto...ma quel dipinto rappresenta ciò che mi colpì la prima volta che lo vidi. L'oro negli occhi di tuo padre- E nella sua mente un film in bianco e nero prese forma, delle diapositive che scorrevano per dar forma alla loro storia, a ciò che erano stati. Forse il loro amore era durato il tempo di una candela accesa, ma Bill non aveva più voluto nessun altro. Tom era la sua persona. 

"Mi chiamo Tom"

Lo ricordava come fosse ieri.

I ritratti del nostro mondo- Sussurrò.

- Eh?-

- Sì, la chiamerò così-

- Intendi questa collezione?- Lo vide annuire. - Papà...vuoi che...tutti possano vederla?- Annuì nuovamente.

- Voglio che sia tu a rendere queste opere pubbliche. Ho voluto contattarti anche per questo- Si voltò a guardarla dritta negli occhi. - Tu hai la capacità di essere un'ottima artista, ancora più di me- Le prese le mani, ma assunse un'espressione confusa quando la vide abbassare gli occhi. - C'è qualcosa che non va?-

- Io...non so se sono in grado di dipingere ancora, di continuare ciò che tu hai fatto. Io ho un figlio, Bill. Si chiama Nathan, ha 14 anni, è ancora troppo piccolo e non lo posso lasciare per sempre. Io voglio rimanere qui con te per tenerti compagnia, per non lasciare che passi questi ultimi anni di vita da solo...così come è successo con mio padre- Ormai era entrata nel discorso, perciò si sentì in dovere di confessarlo. Prese un bel respiro. - Papà, Tom...-

- Lo so- Percepì una sua mano calda sulla guancia bagnata. - Quando la notizia del muro di Berlino è arrivata anche qui, ogni giorno controllavo l'elenco delle persone che morivano uccise dai soldati...e un giorno tra quelli lessi anche il nome di tuo padre. In quell'istante...il mondo...mi è crollato addosso...mi sono sentito...vuoto...- Quella volta fu il turno di Marleen di asciugargli le lacrime. - Realizzare che...avrei potuto rivederlo e invece...l'ho perso per sempre-

- Anche io l'ho pensato. Quando papà morì, io ero incinta di Nathan e credimi, più quel bambino cresce e più gli somiglia. Ho quindi compreso che mio padre non mi ha veramente lasciata e non ha abbandonato nemmeno te. Lui ti ha amato fino all'ultimo, i suoi ultimi pensieri sono stati rivolti a te, il suo gesto disperato! Sbagliato o no, tutto ciò che faceva e diceva era nel tuo nome, papà- Bill sospirò, tentando di riprendere fiato.

- Portami da lui-

-...va bene-

***

Bill non credeva che avrebbe provato nuovamente quella sensazione di vuoto, così forte da schiacciargli l'anima. Su quella lapide c'era scritto "Tom Trümper 1916-1975". Era morto a 59 anni, mentre Bill era ancora in vita. Quel pensiero lo fece sentire male per un attimo e ricominciò a piangere davanti a quella pietra, pensando a quanto era stato sbagliato tutto ciò che avevano vissuto. Perché dovevano ucciderlo? Lui stava tentando di raggiungerlo, e quelli non ci avevano messo neanche un secondo a sparargli. Perché l'odio e l'etica erano più importanti dei sentimenti? Percepì una mano posarsi sulla sua spalla, la afferrò. Forse, tra tutto il marcio, quel mondo era stato capace di regalargli qualcosa di positivo. Voltò lo sguardo, incontrando gli occhi di Marleen, inumiditi e rossi di lacrime come i suoi. La donna pensava che, se proprio i suoi due papà dovevano rivedersi, non era giusto che si trovassero uno sulla terra e l'altro due metri sotto il suolo e chissà quanti sopra il cielo.

- Era così...che doveva andare- In quell'istante Marleen rivide il flash di suo padre, morente tra le sue braccia, che pronunciava le stesse parole. - Si vede che il libro del destino non aveva più pagine per noi o che era finito l'inchiostro- Tom aveva creduto fino all'ultimo al destino, come Bill gli aveva insegnato. Era un rischio che entrambi avevano scelto di correre, perché il destino non è Dio, il destino non può aiutarti, anche se ci credi, il destino è così e tu non puoi fare altro che lasciarti trasportare come una piuma portata dal vento. In poche parole, speri solo che a quello che scrive quel dannato libro non giri storto o che non gli tremi la mano.

- Secondo me lo avete lasciato senza parole- Si palesò la voce di Marleen tra i suoi pensieri e ritrovò il sorriso.

- Sì, può darsi-

- Papà...vorrei sapere cosa è accaduto prima che nascessi- Quella richiesta sorprese non poco il moro. Tom non le aveva detto niente? Certo, come avrebbe potuto farlo? Molto probabilmente anche lui aveva voluto dimenticare tutto ciò che lo aveva ferito. Prese un grande respiro e si sedette per terra. Marleen fece altrettanto, aspettando.

- D'accordo, ti dirò tutto- Lui, che aveva vissuto di peggio, ricordava ogni singolo attimo di quell'agonia e per lei, solo per lei, avrebbe fatto lo sforzo di raccontare. - Ricordo ancora le note che suonavano in quei maledetti anni...-

DAS ENDE!



SPAZIO DELL'AUTRICE
Eccoci. Dopo un anno difficile come questo, siamo giunti alla conclusione di questa storia. Spero che vi sia piaciuta, che vi abbia emozionato e che vi resti nel cuore. E' stato un piacere scriverla per voi. Ci vediamo presto con il continuo e la conclusione de IL FIORE DEI SOGNI, che con questa estate vedrò di portare a termine il prima possibile dato che ho della roba nuova in attesa che sta aspettando solo le mie attenzioni. Grazie per aver letto, votato e commentato.
DhakiraHijikatasouji



Traduzione della lettera di Marleen

"Ciao, amore mio
Mi pensi ancora? Io sì, tutti i giorni. Da quando ci hanno costretti a separarci, nessun giorno è più unico. Sono tutti uguali. Guardo il cielo e mi sembra che il sole non esista più. Ci sono sempre le nuvole grigie a coprirlo. Anche dalla tua parte è così? Vorrei poterti abbracciare, toccare, baciare e farti sentire quanto mi manchi. Quando finirà tutto questo? Non mi importerebbe quando, ma mi basterebbe saperlo, in modo che questa agonia abbia una fine. Mio padre non esce più da quella stanza, non vuole parlarmi. E' da anni che non mi rivolge parola ed io sento che mi sto consumando. Non so se riuscirò a sopravvivere ancora per molto, ma giuro che diventerò più forte e pregherò ogni secondo anche per te.
Ti amo.
Marleen."

 

   
 
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