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Autore: cityoftheflower    15/06/2021    1 recensioni
«È meglio così. Niente rapporti seri, il mio cuore è già impegnato a soffrire per altro. È pericoloso innamorarsi.» spiegò, sostando l’auto di fronte casa.
«Però amare non implica automaticamente soffrire» dissi, chissà se per convincere lui o dissuadere me.
«Eppure spesso è così. Ma non esserne gelosa, se vuoi c'è spazio anche per te» rispose con un sorrisetto irritante che gli si faceva strada tra le labbra piene.
«Lo sai che sei disgusto a volte, vero?»
Lui rise: «dai sto scherzando, è divertente infastidirti! Ma tanto per chiarirci, a te non credo che concederei quel tipo di spazio.» aggiunse tornando improvvisamente serio.
«Perché?»
«Perché saresti un pericolo.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo è un posto piccolo 


Senza rendermene conto, mi sembrava di essere a bordo di una giostra che faceva fatica a salire ma scendeva in picchiata dall’alto di un precipizio rischiando di cadere di sotto ogni volta. Era questa l’unica metafora con la quale riuscivo a descrivere le tre settimane che erano passate dal mio arrivo in Corea, nonostante sembrassero solo cinque minuti. I cinque minuti più difficili di tutta la mia vita.
L’imprevisto dell’alloggio aveva completamente stravolto i piani che avevo ideato per mesi e cercare di adattarsi alla nuova versione era stata dura; i primi giorni di lezione estenuanti e contornati da uno stato d’animo diverso da quello che avevo immaginato. La mia testa continuava a ronzare senza sosta, perché anche se i miei nonni si erano dimostrati parecchio entusiasti – forse anche troppo – di continuare ad ospitarmi, ogni sera tornando a casa mi tormentavo cercando un modo concreto per sdebitarmi.
Inoltre, l’attuale rapporto con mia madre non aiutava di certo a rendere semplice la mia nuova vita dato che nonostante mi avesse spedito tempestivamente la restante parte delle cose che avevo lasciato in America, continuava a rimanere nel suo ostinato silenzio. Del resto, la sua collera non avrebbe dovuto sorprendermi così tanto, considerato che aveva gradualmente perso l’uso della parola miei riguardi man mano che la mia decisione di traferirmi dalla parte del mondo opposta alla sua si era fatta più concreta. L’ultima cosa che mi aveva detto prima di imbarcarmi era stata: «Spero tu sappia cavartela da adesso in poi». Beh, se non altro lo speravo anche io.
Quella mattina entrai in aula in netto anticipo rispetto all’orario della lezione ma come di consueto trovai Lisa ad aspettarmi. Sventolò una mano nella mia direzione dalla terza fila a partire dal basso e io mi limitai a raggiungerla per lasciarmi cadere sulla sedia accanto alla sua.
«Buongiorno» mi accolse con un accenno di sorriso.
«Mi auguro che lo sia» esordii facendola ridere. Se non altro quello era il primo giorno che il sole di Busan spendeva sulla città già dalle prime luci del mattino – proprio come lo ricordavo da bambina – senza che la nebbia dei giorni passati lo precedesse per almeno qualche ora.
Oltre me, Lisa era l’unica studentessa del primo anno ad essere straniera ma nel suo caso era abbastanza facile intuirlo, dal momento che era l’unica del corso ad avere i capelli di un biondo naturale e un paio di grandi oggi azzurri; senza contare il suo curioso modo di parlare mescolando l’inglese e il corano. 
Fare amicizia era stato abbastanza spontaneo da parte di entrambe, forse per il comune senso di spaesamento che condividevamo o quella fastidiosa sensazione di sentirsi una macchia rossa su uno sfondo bianco.
Era andata più o meno in questo modo: «Ciao, anche tu ti sei appena trasferita?» le avevo chiesto in inglese un giorno di fronte ad un bivio di corridoi.
«Si vede così tanto?» aveva risposto lei affranta «il mio tutor è a lezione, non ricordo come raggiungere la mensa e temo di essermi persa»
«Io ci sto andando proprio adesso. Il mio tutor mi ha segnato i vari percorsi con colori diversi su questa mappa, se ti va puoi seguire la linea gialla insieme a me» dissi mostrandole quel pezzo di carta come fosse una reliquia. Lei rise, decisamente sollevata da quell’incontro fortuito.
«Mi chiamo Lisa Hall, Inghilterra» si presentò porgendomi la mano «Evie Kim, America» risposi ricambiando la stretta sollevata a mia volta. Fino a quel momento non era stato per niente semplice per me approcciare qualcuno anzi, escludendo Namjoon, Lisa era probabilmente l’unica persona con cui avevo avuto una vera interazione sociale.  
«Buongiorno Haneul» la sentii dire ad un certo punto, quando un’altra ragazza prese posto al suo fianco.
«Si fa per dire» commentò quest’ultima incrociando le braccia al petto e sprofondando nella sedia. Tuttavia, Lisa restò serena e indicò nella mia direzione.
«Volevo proprio presentarvi. Ho conosciuto Haneul qualche giorno fa nella lavanderia del dormitorio» mi spiegò «secondo me avete un paio di cose in comune voi due» disse alludendo probabilmente allo stesso tipo di umore che usavamo per ricambiare il suo saluto, prima che passasse alle presentazioni ufficiali.
Haneul fece un mezzo inchino «scusami Evie, ma sono sempre di cattivo umore al mattino. Odio quando qualcuno mi parla appena sveglia» si giustificò.
«Ti capisco. La gente non fa altro che parlare sugli autobus e io devo prenderne uno ogni mattina per venire qui» ribattei con una smorfia.
«Sembra orrendo» rispose lei rivolgendomi un’occhiata così compassionevole che mi fece scoppiare a ridere.
Non passò molto tempo prima che l’aula venisse riempita dal resto degli studenti del corso e il professore facesse il suo ingresso per cominciare la lezione, dando così ufficialmente inizio alla giornata academica che trascorresse come al solito tra i milioni di corridoi, la mensa e le altre lezioni.
Ma nel frattempo compresi il perché Lisa mi avesse presentato quella ragazza, che trovai simpatica e alquanto schietta fin da subito. Avevo scoperto che era un’attivista e che all’interno del campus si batteva per alcuni diritti che avremmo dovuto avere e che secondo lei gli studenti ignoravano, cominciando dal fatto che riteneva una forma di discriminazione assegnare un tutor agli studenti stranieri.
«Inoltre, non tutti i tutor sono come quello che è toccato a voi. Alcuni studenti mi hanno riferito che molti si sono proposti in passato solo per ricevere crediti extra e non fare assolutamente niente.» precisò con ardore appoggiandosi contro il muro del corridoio, accanto alla porta del bagno in cui era entrata Lisa.
Prima che potessi rispondere qualcuno bussò sulla mia spalla: «Ciao, sei Evie, vero?» mi chiese una ragazza quando mi voltai «mi chiamo Misun, il tuo tutor mi ha chiesto di consegnarti questo modulo da firmare.» disse porgendomi un plico di tre fogli.
«Grazie» risposi attonita. Namjoon sembrava conoscere praticamente tutti in quel posto e c’era sempre qualcuno che gli doveva un favore «Tu eri nel comitato di benvenuto, vero? Fai parte anche del gruppo dei rappresentanti degli studenti insieme a Namjoon?» aggiunsi guardandola meglio, lei annuì timida.
«Ci siamo già conosciute, per caso?» mi chiese.
«Non proprio. Il giorno dell’orientamento mi hai dato una mappa» ribattei con riconoscenza.
«Ciao tutor, che succede?» chiese allegra Lisa riemergendo qualche attimo dopo; distrattamente mi chiesi se Namjoon sapesse che Misun era proprio il tutor della mia amica.
«Dovevo solo consegnare una cosa ad Evie per conto di Namjoon-ssi» sentii l’altra spiegarle mentre leggevo velocemente quello che sembrava un reclamo per un alloggio mancato. Ridacchiai pensando a quel ragazzo che ne sapeva una più del diavolo, alquanto divertita chiesi: «Qualcuno ha una penna?» e Haneul ne tirò fuori una dalla tasca della felpa.
«Devo ridarlo a te?» mi rivolsi a Misun dopo aver posto una firma al margine del terzo foglio, lei si interruppe nel mezzo di una frase arrossendo violentemente.
«No, ti prego. Non posso recapitarlo!» esclamò «non so come tu faccia! Io non riesco nemmeno a guardarlo in faccia» aggiunse coprendosi il viso in fiamme con entrambe le mani.
«Il mio tutor sembra avere un’adorabile cotta per il tuo tutor» annunciò Lisa più entusiasta di quanto fosse lecito, mentre Misun sembrava sprofondare nei suoi stessi palmi.
«Mi sento come se fossi appena entrata in un drama» commentò sottovoce Haneul in maniera inespressiva, facendomi ridere.
«Molte sembrano avere una cotta per il mio tutor da queste parti» le feci presente «comunque Misun, sai dove posso trovarlo allora?» chiesi a voce più alta.
«Si trova in caffetteria, di solito è lì che studia» mi informò lei prontamente e a quanto pareva conosceva bene le abitudini di Namjoon, ma decisi di non soffermarmi oltre in quella discussione.
«Allora ciao a tutte ragazze, ci vediamo lunedì» mi congedai imboccando un corridoio qualsiasi e ripescando la mia piantina a colori per seguire la linea verde che lo stesso Namjoon aveva tracciato.
In caffetteria c’ero stata soltanto una volta da quando ero arrivata ma non potevo negare che fosse un bel posto: la sala era molto moderna e illuminata per lo più dalle grandi vetrate che affacciavano sul cortile principale del campus, il soffitto era decorato da trespoli di piante tra cui pendevano piccoli lampadari ovali dando l’illusione di essere luci fluttuanti.
Namjoon era seduto in un angolo sul fondo della sala a quell’ora semivuota, indossava un paio di occhiali ed era intento a leggere un grosso libro che teneva aperto sul tavolino di fronte. Con quei capelli tinti di grigio e l’espressione appagata mentre sorseggiava il suo caffè senza staccare gli occhi dalle pagine, mi ricordò la solennità con la quale mio nonno leggeva il giornale ogni mattina e per questo provai un prematuro moto d’affetto nei suoi confronti.
«Namjoon, posso disturbarti per qualche secondo?» chiesi quasi sussurrando quando lo ebbi raggiunto. Lui rialzò la testa sorpreso e subito dopo mi rivolse il solito sorriso gentile con le fossette ai lati delle guance.
«Altroché, siediti pure» mi invitò indicando la sedia di fronte alla sua.
«In realtà non posso fermarmi, ti ho semplicemente riportato il modulo che mi hai fatto recapitare da uno dei tuoi segretari» dissi facendolo ridere, per poi far scivolare i fogli sul tavolo nella sua direzione.
«Questo sarcasmo è tipico degli americani?» mi punzecchiò e toccò anche a me ridere «non vuoi prendere nemmeno un caffè con il tuo tutor? È una sorta di ribellione?» aggiunse restando sulla riga dell’ironia.
«Niente del genere, devo andare a Busan oggi» spiegai controllando l’orologio.
«È un impegno importante?» chiese curioso.
«Non lo so ancora. In realtà, ho intenzione di fare semplicemente un giro per cercare un lavoro part-time. Non mi va di stare a casa dei miei nonni gratuitamente» spiegai sbrigativa. Lui parve riflettere per qualche secondo, mi sembrava quasi di vedere gli ingranaggi all’interno della sua mente geniale lavorare maniacalmente in fretta: «Va bene qualsiasi tipo di lavoro?» domandò infine.
«Purché sia legale, va bene tutto» ribattei, lui rise alzando gli occhi al cielo.
«Un mio buon amico gestisce una caffetteria in centro, cercano sempre personale. Ti accompagno?» propose alzandosi dalla sedia e ficcando nello zaino il libro e il plico di documenti che gli avevo restituito.
«C-cosa? Intendi tipo adesso?» balbettai imbarazzata.
«Mi era sembrato di capire che volevi trovarlo in fretta» ribatté divertito.
«Namjoon davvero, non so più come ringraziarti! Sei incredibile! Dovresti diventare il presidente della repubblica coreana!» commentai entusiasta. Quella non era la prima volta che incontrarlo significava risolvere un problema per caso, mi sentivo quasi una persona fortunata.
Lui scoppiò a ridere. «Non sei la prima che me lo dice» disse seguendomi verso l’uscita.
Una volta giunti in centro era ormai tramonto inoltrato, dal finestrino dell’autobus avevo visto il sole trasformarsi in una palla rossa pronta a rimbalzare nelle acque dell’oceano. Avevo sempre amato Busan per tutti quei dettagli che non avevo mai avuto l’occasione di assaporare vivendo in Colorado: come l’aria salmastra che si respirava nelle strade, le immense spiagge brulicanti di bagnanti, il rumore delle onde e il verso dei gabbiani. Ogni volta che guardavo quella città, in cuor mio, sapevo di aver fatto la scelta giusta anche solo per godermi un tramonto sul mare a bordo di un autobus in viaggio sull’autostrada.
«Questa volta ne sono sicuro! Si trova in questa strada» disse Namjoon svoltando alla sua destra mentre continuava a guardarsi intorno come se fosse un turista spaesato.
«Hai un pessimo senso dell’orientamento, comunque» mi permisi di fargli notare continuando a seguirlo, tuttavia divertita dalla frustrazione che gli si leggeva in faccia. Lui, infatti, annuì come per darmi ragione tenendo conto del fatto che aveva sbagliato traversa almeno un paio di volte.
«Eccolo, te lo avevo detto!» annunciò entusiasta, con un enorme sorriso gli si apriva sulla faccia. Poi mi afferrò per un braccio ed affrettando il passo entrò in un ampio spiazzale che fungeva da parcheggio dove di fronte a noi si palesò uno stabile da una lineare forma rettangolare, semplice ma elegante. L’ingresso era adornato da alcuni vasi e la facciata recitava il nome del locale, in inglese: MAGNATE.
Namjoon non perse un attimo di tempo e spinse la porta della caffetteria più esuberante di poco prima. Intuii che doveva essere felice di rivedere il suo amico e quell’atteggiamento da bambinone mi fece sorridere teneramente. Quanti tipi di personalità c’erano dentro di lui?
Lo vidi sbracciarsi già nell’entrata, attirando l’attenzione di qualcuno che gli trotterellò incontro per tuffarsi in un abbraccio fraterno «Namjoon hyung! Che sorpresa!» esclamò e quando lo riconobbi rimasi inchiodata sulla soglia di quel locale incredula e stupefatta.
«Volevo presentarti una mia amica, è da poco arrivata in città e sta cercando un lavoro» spiegò Namjoon ignaro voltandosi verso di me, in modo che anche l’altro si accorgesse della mia presenza. E lui ebbe la mia stessa identica reazione attonita: «Evie?»
«Ciao Jimin» risposi a mezza voce.




Angolo Autrice 

Cari lettori, questa sera sarò molto breve! Volevo solo informarvi che, per chi non lo sapesse, il Magnate esiste davvero a Busan e il proprietario è proprio il padre di Jimin! Infatti dalle foto su internet si vede anche una specie scaffale, come fosse un altarino, dove sono esposti dei capelli di Jimin ahahaha ma per ovvie ragioni è un dettaglio che tralascerò! 
Grazie per aver letto fin qui, alla prossima!

Stay tuned, Anna.

 


 
  
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