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Autore: Parmandil    18/06/2021    1 recensioni
Accertato che la Terra è il loro pianeta d’origine, i Voth – discendenti degli Hadrosauri – ne reclamano la proprietà. Gli Umani devono sloggiare o subiranno il trasferimento forzato. Piuttosto che affrontare una delle specie più potenti della Galassia, l’Unione cede all’ultimatum. Svenduta la Terra ai Voth, non resta che schiacciare gli ultimi difensori. I superstiti della Flotta Stellare devono scegliere: schierarsi col nuovo regime o fuggire col marchio di terroristi. La lunga notte della Guerra Civile è cominciata.
Senza più ordini, né rifugi, né certezze, gli ufficiali della Keter sono abbandonati a se stessi. Braccati dai loro ex colleghi. Divisi da lealtà inconciliabili e dal tradimento che non risparmia amici né parenti. Dai labirinti informatici del planetoide Memory Alpha ai laboratori degli orrori di Elba II, ogni tappa è una discesa agli Inferi. Con spietata efficienza tecnologica, il nuovo regime sta cancellando ogni memoria storica del passato, per creare una nuova società, “libera da tutto ciò che è Umano”. E allora non resta che combattere i mostri creando un nuovo mostro, la Banshee. Perché l’Unione ha scelto il disonore anziché la guerra, e ora li ha entrambi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chakotay, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Epilogo:

Data Stellare 2591.84

Luogo: Elaysia

 

   L’autunno era arrivato presto quell’anno, tingendo le chiome degli alberi con l’usuale tavolozza di colori caldi. Le foglie si staccavano e cadevano al suolo con la lentezza data dalla bassa gravità del pianeta. Il signor Hod, che camminava sul ciglio della strada mentre rincasava dal lavoro, ne afferrò una a mezz’aria, prima che toccasse il suolo. La osservò con nostalgia, notandone la forma a stella e le delicate venature all’interno. Ricordava quando, da piccoli, lui e sua sorella Bina le raccoglievano e poi le usavano per comporre fantasiosi collage. Accadeva prima ancora che si trasferissero, con la famiglia, sull’Enterprise-J: sembrava passato un secolo. Dopo la morte del padre ad Andromeda erano tornati su Elaysia, dove lui era rimasto. Sua sorella, invece, non aveva resistito al richiamo delle stelle. Per lei si era spalancata l’Accademia, poi una rapida carriera nella Flotta Stellare, culminata col comando della USS Keter.

   Poi il baratro.

   Da mesi Yesod Hod non aveva notizie dirette della sorella. Sapeva solo ciò che dicevano i notiziari, ovvero che i Pacificatori non l’avevano ancora scovata. Si augurò che fosse vero. Perché col clima di caccia alle streghe che imperversava in tutta l’Unione, non si aspettava che la lasciassero in vita. Con un sospiro, l’Elaysiano lasciò cadere la foglia secca e affrettò il passo verso casa. Era stata una giornata stressante, in ufficio; adesso voleva solo tornare dalla sua famiglia e riposarsi.

   Raggiunse ben presto il condominio in cui viveva, un edificio dignitoso anche se un po’ anonimo, la cui sagoma massiccia era appena ingentilita dai giardini pensili. Salutò il robo-custode e prese l’ascensore fino al ventiquattresimo piano, dov’era il suo appartamento. Posò rapidamente la mano sul lettore di DNA, che lo riconobbe e gli aprì la porta. Finalmente mise piede in casa.

   «Tesoro, sono tornato!» esclamò.

   Sua moglie non era in vista, ma in compenso ecco sbucare dal salotto un vispo bambino di otto anni. Era Nizak, suo figlio maggiore. «Ciao, papà!» gridò il ragazzino, correndogli incontro. «Sai che oggi a scuola ci hanno insegnato la storia degli Umani?» chiese, eccitatissimo.

   «Degli Umani, eh?» fece Yesod, per nulla rallegrato. «Da quanto so, hanno una storia complicatissima. Non credo che la maestra ti abbia insegnato granché, in un giorno».

   «Invece ci ha detto tante cose!» rivendicò il ragazzino. «Le vuoi sentire?».

   «Fammi appoggiare le cose e poi ti ascolterò» promise il padre. Depose la valigetta, si sfilò la giacca e sostituì le scarpe con delle comode pantofole.

   «Ciao, amore» gli disse sua moglie Shekina, emergendo dalla camera-ufficio in cui lavorava in smart working. «Hesed si è di nuovo azzuffato col figlio dei Pazlar» avvertì. «L’ho messo in punizione. Se dopo vuoi parlargli, è nella sua camera».

   «Lo farò senz’altro» promise Yesod, dandole un rapido bacio. «Ma prima devo sentire le meraviglie della storia umana».

   L’Elaysiano tornò in soggiorno e si accomodò sul divano. Nizak gli venne davanti, quasi saltellando dall’impazienza. «Forza, dimmi tutto!» lo invitò il padre, ansioso di farlo sfogare, per andare poi a parlare col figlio più piccolo.

   Il ragazzino prese fiato e si concentrò, cercando di ricordare le esatte parole usate dall’insegnante. «Gli Umani sono una specie predatrice e inquinante originaria del pianeta Vothan» cominciò.

   «Frena, frena, professore!» lo bloccò il padre. «Da quel che so, fino a quattro mesi fa si chiamava Terra».

   «Sì, ma ora che sono tornati i Voth gli hanno dato il loro nome» spiegò prontamente il ragazzino.

   «E perché dovremmo privilegiarlo, rispetto all’altro?».

   «Perché i Voth si sono evoluti per primi, milioni di anni fa. Gli Umani sono apparsi dopo».

   «Uhm... però durante l’evoluzione umana i Voth non c’erano. Se n’erano andati» sottolineò Yesod.

   «Sì, ma non si sa il perché. Forse i cambiamenti climatici li avevano costretti ad andarsene» disse Nizak. «Comunque gli Umani sono venuti per secondi. Hanno cominciato subito a farsi la guerra per le risorse, per gli dèi e per altri motivi assurdi. Ogni volta che due popoli entravano in contatto, il più forte schiavizzava il più debole. Sapevi che per millenni la schiavitù è stata legale, sulla Terra?!» chiese, stentando a crederci.

   «Si può dire lo stesso di quasi tutti i pianeti... incluso il nostro» sospirò Yesod, a cui non era sfuggita l’enfasi sugli aspetti deteriori della Storia umana.

   Il ragazzino sgranò gli occhi, ma poi riprese: «La maestra ci ha detto che la storia umana è fatta dalle Crociate, dall’Inquisizione, dal colonialismo e dalle guerre mondiali».

   «Beh, quelli sono gli aspetti peggiori, ma ci sono moltissime altre cose da dire» si accigliò il padre. «Sarebbe come se io ti dicessi che la nostra storia è fatta dalla Guerra dei Tredici Anni. Ci sono stati molti altri eventi, e non tutti tristi, giusto? Abbiamo avuto anche scoperte scientifiche, invenzioni utili, trattati di pace. Per gli Umani vale lo stesso».

   «Beh, sì» ammise Nizak, un po’ confuso. «Dopo l’ultima guerra mondiale, gli Umani hanno scoperto la curvatura e sono andati nello spazio in cerca di risorse. Hanno chiesto aiuto ai Vulcaniani per ricostruire il loro pianeta, poi si sono alleati anche con altre specie, per sconfiggere i Romulani. Così hanno creato la Federazione, che trent’anni fa è diventata l’Unione Galattica. Gli Umani hanno voluto a tutti i costi che la capitale fosse il loro mondo, così si sono arricchiti e hanno imposto le loro regole a tutti. Hanno anche creato la Flotta Stellare, per controllarci e per rubarci le tecnologie. Però adesso ci siamo liberati, finalmente. La Terra è tornata ai Voth e gli Umani hanno smesso di comandare. Però non vogliono perdere il potere, così hanno scatenato la Guerra Civile per ucciderci tutti. Allora la Presidente Rangda ha creato i Pacificatori, per proteggerci. Papà, ti posso chiedere una cosa?».

   Frastornato da quel profluvio di faziosità e luoghi comuni, Yesod si massaggiò le tempie. «Dì pure, piccolo».

   «Se la Flotta Stellare vuole ucciderci, perché la zia Bina ci lavora ancora? Non dovrebbe passare ai Pacificatori, come hanno fatto tanti altri ufficiali?» chiese il ragazzino, smarrito.

   «Okay, stammi a sentire» disse il padre, facendosi serio. «La Flotta Stellare non vuole ucciderci... e non è mai servita a controllarci. È vero, era troppo umano-centrica; ma questo accadeva tempo fa. Io e la zia siamo vissuti sull’Enterprise-J per qualche anno, e non siamo mai stati maltrattati dagli Umani. L’unica cosa seccante era che i nomi e le scritte erano sempre in inglese, ma d’altra parte bisognava pur scegliere una lingua. Se ne avessero scelta un’altra, magari l’Andoriano, adesso saremmo qui a lamentarci comunque. Io credo che non ci si debba ossessionare per queste cose».

   «Ma adesso la Flotta Stellare si è ribellata! È al servizio dei Separatisti e attacca i nostri pianeti! Verranno a bombardare anche noi?!» chiese il figlio, sempre più spaventato.

   Yesod si rese conto che non era facile rispondere. La Guerra Civile era un argomento troppo complesso per un bambino di otto anni, come anche per la maggior parte degli adulti. Lui stesso non la capiva appieno. Notando un movimento con la coda dell’occhio, l’Elaysiano girò la testa e vide che sua moglie era sulla porta. I loro sguardi s’incrociarono.

   «Mamma, che c’è?» chiese Nizak, stupito dal suo silenzio.

   «Aspetta un momento» disse Yesod, facendogli segno di star fermo. Si alzò e andò a confabulare con la moglie. Parlavano così piano che il figlio non li sentiva, ma notò che erano tesi. In suo padre sembrava prevalere lo sdegno, in sua madre la paura, ma alla fine trovarono un accordo.

   «Allora, che succede?!» tornò a chiedere il ragazzino, temendo d’essere lui la causa di tutto.

   I suoi genitori lo guardarono con insolita gravità. «Dopocena andremo in un posto dove qualcuno, più ferrato di noi, ti racconterà la vera storia della Flotta Stellare» disse Yesod. «Tu però devi promettere che non ne parlerai a nessuno: né ai tuoi amici, né agli insegnanti. Non dirai dove siamo stati, né chi abbiamo ascoltato, e nemmeno chi c’era con noi. È molto importante».

   «Perché?».

   «Perché se la cosa si venisse a sapere, saremmo arrestati» rivelò Shekina, mordendosi il labbro.

   Nizak strabuzzò gli occhi. «Ma perché?! È una cosa proibita?» chiese, tra l’eccitato e lo spaventato.

   «In una società libera e democratica, non lo sarebbe» rispose seccamente Yesod. «Ma la nostra società è cambiata, e fra poco capirai quanto. Allora, prometti di non farne parola con nessuno?».

   «Promesso» disse il bambino, mettendosi la mano sul cuore. «Verrà anche Hesed?».

   «No, lui è troppo piccolo. Lo lasceremo con la tata olografica» disse Shekina. «Tra qualche anno, se tutto va bene, porteremo anche lui».

 

   Yesod andò dal figlio più piccolo, di sei anni, ammonendolo di non azzuffarsi più col figlio dei vicini. «Dopo cena io, la mamma e Nizak andremo a fare una passeggiata» disse. «Tu resterai qui con l’olo-tata» aggiunse, senza specificare se era parte della punizione.

   «Okay, papi» disse Hesed, un po’ mogio.

   «È pronto!» chiamò Shekina dalla cucina. Fortunatamente non ci voleva molto a preparare la cena, grazie ai replicatori. La famiglia sedette attorno al tavolo e mangiò abbastanza allegramente. Shekina metteva sempre della musica di sottofondo, perché non voleva che Yesod ascoltasse i notiziari, che avrebbero spaventato i bambini. Era meglio informarsi quando i piccoli non potevano sentire. A fine pasto tutti rimisero piatti, posate e bicchieri nel replicatore, dove furono riconvertiti in energia. Dopo di che la coppia si preparò a uscire con il figlio più grande, come promesso.

   «Fai il bravo, mi raccomando!» disse Shekina al secondogenito, dopo averlo affidato all’olo-tata. «A nanna alle nove in punto!» ribadì a quest’ultima.

   «È un ologramma, non può dimenticarselo. Dai, vieni» la richiamò Yesod, che assieme a Nizak era già sulla porta.

   I tre lasciarono l’appartamento e presero l’ascensore. Con enorme sorpresa del bambino, Yesod premette il tasto per scendere sottoterra, nello scantinato. «Ti sei sbagliato!» disse Nizak.

   «No, per niente» rispose il padre. «Non dobbiamo uscire dal condominio».

   «Ma...».

   «Abbi pazienza; fra poco vedrai».

   Giunti al livello più profondo, i tre lasciarono l’ascensore. Percorsero un breve corridoio, in cui si aprivano varie porte. Il bambino sapeva confusamente che lì c’erano dei magazzini, oltre alla centralina di controllo degli impianti condominiali; ma non era mai stato in nessuna di quelle stanze. I genitori procedettero a passo spedito, costringendolo a trotterellare. Yesod era avanti a tutti e contava le porte, per riconoscere quella giusta. Nizak lo seguiva. Alla retroguardia c’era Shekina, che sospingeva il figlio e si volgeva spesso indietro con ansia, a controllare che non li seguisse nessuno.

   «Ci siamo» disse Yesod, fermandosi davanti a una porta. Posò la mano sul lettore genetico, che lo riconobbe e gliela aprì. «Dentro, presto!». Spinse dentro il figlio, lasciò passare anche la moglie e infine entrò lui stesso, dopo un’ultima occhiata al corridoio.

 

   Nizak si guardò attorno meravigliato. Era in uno stanzone semi-abbandonato, come indicavano le pareti scrostate e l’odore di stantio. Qua e là c’erano delle casse, forse contenenti vecchia roba lasciata lì dalle famiglie. Le casse erano state poste in cerchio e venivano usate come sedili improvvisati da una quindicina di persone, lì radunate. Il bambino riconobbe meravigliato che erano tutti inquilini del condominio. Per la precisione erano famiglie con ragazzi della sua età o poco più grandi. Tutti quanti osservavano una donna dai capelli castani, vestita di rosso, che stava ritta in mezzo a loro, con le mani incrociate dietro la schiena. Era una Trill, a giudicare dalle macchie violette che le incorniciavano il viso. Allacciato al braccio portava uno strano congegno metallico, di forma triangolare. Dalla sua posa, e dall’attenzione che le riservavano gli altri, sembrava che fosse lì per tenere un discorso.

   All’ingresso degli Hod, tutte le facce si volsero ansiosamente verso di loro. «Buonasera» disse Yesod, con la stessa naturalezza che se li avesse incontrati casualmente nell’atrio. «Scusate se ci presentiamo così all’improvviso, ma ho pensato che fosse ora di portare mio figlio. A scuola gli hanno detto alcune cose che sarebbe meglio correggere».

   La tensione si allentò. «Siete i benvenuti. Qui avevamo appena cominciato» disse il signor Pazlar, un uomo robusto di mezz’età. Si alzò e venne loro incontro. «Ciao, Nizak. Come stai?» chiese al bambino.

   «Io... bene» rispose lui, sempre più confuso. «Ma cosa fate qui? Chi è lei?» chiese, indicando la Trill.

   «Mi chiamo Lela Dax» rispose l’interpellata. «Chiedimi ciò che vuoi».

   «Intendeva chi sei veramente» puntualizzò Pazlar.

   «Ah, certo» si scusò la Trill. Raddrizzò la schiena e si schiarì la voce. «Sono una TOE: Testimone Olografica d’Emergenza. La mia banca dati contiene tutte le memorie del Simbionte Dax, copiate mediante il mind uploading prima della sua morte. Ovviamente non sono l’unica: esistono migliaia di mie copie, che vengono contrabbandate in tutta l’Unione».

   «Quindi sei un ologramma?» chiese Nizak, confuso e un po’ intimorito.

   «Ma certo. Questo è il mio Emettitore Autonomo, che mi permette di manifestarmi anche in ambienti privi di proiettori olografici» spiegò la TOE, sfiorandosi il congegno triangolare allacciato al braccio.

   «E che ci fai qui?» volle sapere il bambino.

   «Poco dopo l’inizio della guerra, un Umano di nome Smirnov è venuto da me» spiegò Yesod, accucciandosi sui talloni per portare il suo volto alla stessa altezza di quello del figlio. «Ha detto di venire dalla Keter e di avere un dono da parte della zia Bina. Mi ha dato quell’Emettitore col programma del TOE, pregandomi di farne delle copie e diffonderle il più possibile. Ho fatto come chiedeva, ma ho conservato l’Emettitore originale. Lo tengo qui, a disposizione delle famiglie di cui mi fido» spiegò, accennando ai presenti. «Ogni sera chi vuole può venire a interrogarlo».

   «Ma... perché? A cosa serve?» chiese Nizak, sempre più stupito.

   «È un testimone, quindi ci racconta i suoi ricordi» spiegò il padre. «Vedi, i Simbionti Trill vivono molti secoli, passando da un Ospite all’altro. Ogni Ospite accede alle memorie di quelli che l’hanno preceduto, quindi può ricordare fatti accaduti molto prima della sua nascita. Ma quando anche il Simbionte muore, e prima o poi accade, tutte quelle memorie sono perdute per sempre. E c’è di peggio. Negli ultimi tempi l’Unione sta requisendo i Simbionti, con la scusa che sono malati, ma si vocifera che in realtà li uccida. Anche il dottor Smirnov me l’ha confermato. Così la memoria del passato sta morendo. Perciò la zia Bina ha fatto sì che i ricordi di Dax fossero registrati su questa matrice olografica».

   «Possiamo interrogarlo sulle sue vite e l’ologramma risponderà, raccontandoci com’erano la Federazione e la Flotta Stellare nei secoli passati» aggiunse Shekina.

   «Che bisogno c’è di chiederlo a lui? Ci sono l’Enciclopedia Federale e i video-libri di storia» obiettò Nizak.

   «Questo è il problema» sospirò Yesod. «Da quando è cominciata la Guerra Civile, l’Enciclopedia e i video-libri vengono riscritti continuamente, per mettere in cattiva luce gli Umani e la Flotta Stellare. Anche quello che t’insegnano a scuola purtroppo non è più affidabile».

   «Ma perché?!».

   «Perché vogliono farci odiare e temere il nemico» spiegò il padre. «Ma questo ologramma è un testimone che può raccontarci ciò che hanno visto gli Ospiti di Dax. Non sei curioso di sentire i suoi racconti?».

   «Io... s-sì» disse il bambino, osservando il TOE con timore, ma anche con interesse.

   «Allora vieni» disse Yesod, rialzandosi. Prese il figlio per mano e si accomodò con lui su una cassa. Shekina sedette con loro, tenendo il bambino nel mezzo. Anche il signor Pazlar tornò ad accomodarsi. Tutti si concentrarono sull’ologramma che stava al centro dello spiazzo, aspettando pazientemente che qualcuno la interrogasse.

   «Come dicevo, sono la Testimone Olografica d’Emergenza. La mia banca dati contiene tutte le memorie del Simbionte Dax. Chiedimi pure ciò che vuoi» disse questa, sorridendo incoraggiante al bambino.

   «Io vorrei sapere... quando sei nata» disse timidamente Nizak.

   «Parli del Simbionte, degli Ospiti o della matrice olografica?».

   «Del Simbionte».

   A questa richiesta, l’ologramma incrociò nuovamente le braccia dietro la schiena. «Il Simbionte Dax è nato in data stellare 2018.126 nelle Caverne di Mak’ala, su Trill. All’epoca i Trill avevano da poco scoperto la curvatura e la Federazione non esisteva ancora».

   «E la prima Ospite chi è stata?».

   «Quella che vedi: Lela» rivelò l’ologramma. Dopo di che passò a parlare in prima persona, secondo la sua programmazione. «Sono nata nel 2112 e nel 2168 ho ricevuto il Simbionte. Sono stata una legislatrice, una delle prime donne elette al Consiglio Trill. Vuoi conoscere tutta la mia biografia o hai domande più specifiche?».

   Visto che il bambino esitava, Yesod prese la parola. «Vorremmo che ci parlassi della Flotta Stellare» disse. «So che molti dei tuoi Ospiti ne hanno fatto parte: dicci quali».

   «Volentieri» disse la TOE. «Dei miei dodici Ospiti, ben tre si sono arruolati: Jadzia, Ezri e Ilia. Ma i miei rapporti con la Flotta sono iniziati molto prima, ai tempi di Curzon».

   Così dicendo l’ologramma cambiò aspetto. Adesso era un uomo robusto e stempiato, dai capelli brizzolati. «Io sono Curzon, settimo Ospite di Dax. Fui ambasciatore federale tra la fine del XXIII secolo e la metà del XXIV. Ho collaborato spesso con la Flotta, ad esempio quando negoziammo gli Accordi di Khitomer. Sono stato anche amico e mentore del Capitano Sisko» rivelò.

   Detto questo si trasformò di nuovo. Adesso era una bella donna dai capelli scuri, raccolti in una coda. Indossava l’uniforme scientifica della Flotta Stellare, così com’era ai suoi tempi: nera con le spalle blu. «Io sono Jadzia, ottava Ospite di Dax. Fui ufficiale scientifico su Deep Space Nine e sull’USS Defiant, negli anni tra la fine dell’Occupazione di Bajor e la Guerra del Dominio. Ho esplorato il Quadrante Gamma, mi sono scontrata coi ribelli Maquis, ho combattuto la guerra contro i Klingon e poi quella del Dominio, dove purtroppo ho trovato la fine» disse malinconicamente.

   L’Ospite successiva era ancora una donna, ma più bassa e dal viso più tondo. I suoi capelli erano nerissimi e corti. Indossava ancora l’uniforme scientifica, ma del decennio successivo: le spalle erano viola e il colletto blu. «Io sono Ezri, nona Ospite di Dax. Fui Tenente junior su Deep Space Nine e sulla Defiant nell’ultimo anno della Guerra del Dominio. In seguito passai alla sezione Comando, diventando Capitano dell’USS Aventine. I miei due successori non lavorarono più nella Flotta».

   L’ultima metamorfosi mostrò sempre una donna, ma più alta e dai capelli grigi, raccolti in una crocchia. Gli occhi erano verde acqua. Indossava l’attuale uniforme da Vice-Ammiraglio della Flotta. «Io sono Ilia, dodicesima e ultima Ospite di Dax» si presentò. «Fui Comandante dell’Enterprise-J negli Anni Cinquanta, poi Capitano per altri quindici anni. In seguito sono stata Vice-Ammiraglio, finché diciotto mesi fa mi sono dimessa per protesta in seguito all’abolizione della Prima Direttiva. Dopo la Caduta della Terra sono stata arrestata dai Pacificatori e imprigionata su Elba II, dove ho subito la rimozione forzata di Dax. Anche se l’USS Keter mi ha salvata, le condizioni del Simbionte si sono aggravate, obbligando i medici a impiantarmene uno nuovo e a registrare le memorie di Dax, prima che morisse. Al momento in cui questa matrice olografica è stata programmata, ho ripreso il ruolo di Vice-Ammiraglio presso la Flotta in esilio. Non possiedo informazioni successive a questa data».

   Gli spettatori la guardarono emozionati, specialmente gli Hod, che erano in qualche modo legati alle ultime vicende. Il piccolo Nizak sentì il cuore battergli forte, al pensiero di tutto ciò che poteva scoprire. «Quindi... la Flotta ha fatto delle cose buone?» chiese, sperando in una risposta affermativa. Non avrebbe mai voluto che sua zia partecipasse a un’organizzazione che faceva cose orribili, come gli avevano detto a scuola.

   «La Flotta Stellare ha difeso i mondi federali da innumerevoli minacce» confermò l’ologramma, sempre con l’aspetto di Ilia. «Anche se non tutti i suoi ufficiali sono sempre stati all’altezza degli impegni presi, la Flotta in sé è nata per ragioni umanitarie, oltre che di esplorazione, e non è mai venuta meno a questo ideale. Oggi si possono criticare certe sue scelte, ma non si può negare che la storia federale ne sia stata profondamente plasmata. Miliardi d’individui non sarebbero mai nati, se la Flotta non avesse collegato tanti popoli diversi. Quindi si può amarla o detestarla, ma non ci si può chiamare fuori causa, come se fosse qualcosa che non ci riguarda».

   «E gli Umani? È vero che hanno creato la Flotta per controllarci e per rubarci le tecnologie?» chiese il bambino, sempre più interessato.

   «Neanche per sogno!» rispose l’ologramma con decisione. «Gli Umani crearono dapprima la Flotta Astrale, allo scopo di proteggere la Terra, scoprire e colonizzare nuovi mondi, allearsi con altre specie. Questi obiettivi passarono alla Flotta Stellare quando nacque la Federazione. La Flotta ha sempre protetto i popoli federali, e talvolta anche gli altri, da ogni genere di minaccia, naturale o artificiale. Ha esplorato tutti i Quadranti e talvolta è uscita persino dalla Via Lattea, accrescendo la nostra comprensione dell’Universo. Ha fondato centinaia di colonie, avamposti e stazioni spaziali in cui oggi vivono e lavorano miliardi di persone. Ha fatto ricerca scientifica e favorito la libera condivisione di tecnologie tra le civiltà federali. Ha mediato la pace tra popoli che erano considerati implacabili nemici, permettendo alla Federazione e poi all’Unione di espandersi pacificamente, per libera adesione di nuovi membri. Sebbene gli Umani abbiano dato una forte impronta alla Flotta Stellare, non ne hanno mai abusato... almeno, non più di quanto abbiano fatto le altre specie».

   Nizak era rimasto a bocca aperta. «Ma tu hai conosciuto gli Umani? Hai detto che il Capitano Sisko era tuo amico... racconta!» chiese, con occhi scintillanti di curiosità e di passione per quelle storie mai sentite prima.

   «Volentieri, figliolo» disse l’ologramma, assumendo l’aspetto paterno e rassicurante di Curzon. «Conobbi Benjamin nel lontano 2355, alla Stazione Pelios, quando lui era Guardiamarina. Non avrei mai detto che quel giovanotto avrebbe fatto tanta strada, anche se notai subito che...».

   Il bambino si sporse in avanti, sempre più rapito dalla narrazione. I suoi genitori non lo rimproverarono anche se quella sera rimase alzato fino a tardi, per ascoltare le voci di Curzon, di Jadzia, di Ezri e di Ilia che gli raccontavano di un tempo in cui le cose erano molto diverse da adesso.

 

 

FINE

 

 

   
 
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