“Ehy,
ma
stai ancora dormendo? Alzati che è tardi! Ma lo sai o no che
ore sono?”
Sorridendo, già vestita di tutto punto con un lupetto bianco
e una gonna color
camoscio, Kaori si lasciò cadere sul letto, accanto al
compagno, e prese a
fargli il solletico per farlo svegliare. Ryo, mugugnando una protesta
incomprensibile, si voltò dall’altra parte,
nascondendo il capo sotto al
cuscino. “Ryo, dai, svegliati, io ho già ritirato
la posta e sono già andata
alla stazione… e c’è un XYZ nuovo di
zecca! Ho appuntamento col cliente al bar
del Shinsato Hotel oggi pomeriggio, magari potrebbe essere qualcosa di
interessante!”
Ryo
mugugnò
una risposta, anch’essa intellegibile (che però la
donna immaginò volesse dire
qualcosa tipo Lasciami in pace che la
scorsa notte ho fatto tardi con Mick, oppure non
mi interessano le proposte di lavoro da parte degli uomini) e
Kaori alzò gli occhi al cielo, senza però perdere
il suo proverbiale sorriso:
era inutile, Ryo non sarebbe cambiato mai, sarebbe stato a vita un
animale
notturno.
Kaori
gli
tirò via di dosso il sottile lenzuolo, e arrossì,
imbarazzata nonostante ormai
fossero anni che viveva accanto a Ryo, di cui quasi due come sua
compagna di
vita, quando lo trovò nudo come un verme e pronto
all’azione; improvvisamente sveglio e malizioso, lo
sweeper ridacchiò
stupidamente, mentre cercava di abbracciare la sua donna per stamparle
sul viso
degli umidi baci, ma soprattutto di trascinarla su di sé.
“Dai Kaori, guarda,
il mio mokkori si è svegliato, hai visto? Ti ubbidisce come
un cagnolino! Non
lo vuoi premiare?”
“Ma,
ma,
Ryo, adesso…” tentò lei di
divincolarsi, ma sembrava che più lei tentava di
sfuggirgli, più il desiderio del suo partner si faceva
sentire.
“Dai,
Kaori, guarda, si ricorda perfino la prima volta che sei venuta a
svegliarlo, e
vuole dirti cosa voleva farti già allora! Non sei contenta,
eh, eh, eh?” le
disse sghignazzando, allupato. La donna rimase di sasso: per quanto
potesse, a
volte, credere che Ryo potesse essere serio e concentrato…
c’erano dei momenti
in cui tornava ad essere l’infantile ragazzino con
l’erezione facile ed il
desiderio assatanato fuori controllo. Il fatto che poi lui adesso se ne
uscisse
con quella storia dell’averla voluta già allora,
dopo che per anni le aveva
dato del maschiaccio, accusandola di non essere in grado di eccitarlo,
la
faceva andare ancora di più su di giri- e non certo nel
senso positivo della
cosa.
Avvertendo
l’erezione premere contro il tessuto della gonna, Kaori prese
da sotto alla
testa di Ryo il cuscino, e glielo spiaccicò in faccia,
liberandosi dalla sua
morsa, innervosita dalla sua totale mancanza di
professionalità e serietà.
Lasciatolo solo nel letto, la donna prese a sfogliare il pacco della
posta del
giorno, che aveva appoggiato sul materasso: un paio di quotidiani che
avrebbero
letto attentamente più tardi, pubblicità, un paio
di conti da pagare… e poi,
una busta gialla, con affrancatura americana; sembrava avesse fatto
molta
strada, fosse stata sballottata da un piccolo ufficio postale
all’altro, come
ad impedire a chi l’avesse ricevuta di comprendere fino in
fondo da dove fosse
partita.
Poteva
provenire da una sola persona.
Sayuri.
Le
mani
della sweeper presero a tremare, e quasi avesse percepito il dolore e
la paura
della compagna, Ryo si svegliò da quell’apparente
stato di torpore, e le fu
immediatamente accanto, mentre guardava, rattristata, la busta,
incapace di
aprirla, timorosa.
Dopo
quello
che era successo, una volta che le minacce di Sonia si erano rivelate
per ciò
che erano, promesse vuote, lei e Sayuri non si erano più
parlate; sapeva che la
sorella biologica la riteneva, in parte, responsabile di ciò
che era accaduto a
lei e Chris, che se non l’avesse cercata e trovata, se Ryo
non fosse entrato
con prepotenza nelle loro vite, nulla di quello che era accaduto
sarebbe mai
successo, ma la giovane sweeper si rifiutava di vederla
così. Ryo l’aveva
salvata – dalla solitudine, dal senso di
incapacità che aveva provato
nell’istante stesso in cui le aveva detto della morte di
Hide. Le aveva dato
una casa, uno scopo… una famiglia.
“Kaori?”
le
domandò timidamente, sfiorandole la spalla con un dito, un
tocco semplice e
delicato che tuttavia catturò la sua attenzione. Lei scosse
il capo, e con le
lacrime agli occhi aprì la busta.
C’erano
solo due foto, una di un semplice matrimonio, Sayuri vestita con un
abitino
stile boho, davanti ad un municipio
di una piccola città di provincia, forse del mid-west, e una
di lei e Chris con
un neonato, e null’altro; nemmeno un biglietto, nemmeno una
parola, nemmeno una
riga.
“Kaori…”
Ryo sospirò, abbassando la mano e lasciandola cadere
mollemente sul letto. “So
che Sayuri ce l’ha con te perché tutta questa
storia è stata colpa mia. Se tu
volessi… io…. Io lo capirei, tutto qui. Lei
è la tua famiglia e poi, se tu non
fossi al mio fianco, non saresti sempre in pericolo, e la tua vita
sarebbe
molto più semplice…”
Asciugandosi
le lacrime col pugno, e tirando sul naso come una bambina, la giovane
donna
scosse il capo, cercando di sorridere. Cercò il conforto del
corpo solido del
partner, cingendogli la vita con le sue esili braccia, e lui
passò una mano nei
capelli ramati, scompigliandoli, guadandola dolce, come se lei fosse
stasta la
cosa più preziosa del mondo- e per lui, lo era: lo era
sempre stata.
“Ryo,
a me non interessa
vivere una vita semplice se
non posso farlo al tuo fianco. Amo la mia vita,
questa vita e… e amo te. Sayuri potrà
essere la mia famiglia di sangue,
ma la conosco appena. Per me lei è una
sconosciuta.” Gli disse, godendosi
quelle carezze, facendo le fusa come una gattina.
All’improvviso però si
immobilizzò; abbassò gli occhi, ed
arrossì, timida, prendendo a torcersi le
dita nervosamente. “Tu sei
la mia
famiglia- e ormai lo sei da molti anni. E vorrei che tu lo
fossi… per sempre,
se lo vorrai. Se mi
vorrai.”
Sollevandole
il mento con un dito perché si potessero guardare negli
occhi, Ryo alzò un
sopracciglio, sorridendole in modo quasi enigmatico mentre le passava
il
pollice sulle labbra carnose. “Di solito è
l’uomo che fa la proposta, sai?”
“Sì,
ma se
aspetto una proposta da te ho tempo di perdere altri dieci anni! Io
voglio
farla finché sono giovane questa cosa!” Lei gli
fece la linguaccia, scrollando
le spalle, sbarazzina come la ragazzina che aveva incontrato tanti anni
prima:
era inutile, dentro, lei sarebbe sempre rimasta la sua
Sugar… e questo lui non
l’avrebbe cambiato mai, per nessun motivo al mondo. Quella
ragazzina lo aveva
conquistato in un modo che Ryo allora non aveva capito, né
pienamente compreso;
la Kaori sedicenne lo aveva intenerito, quella ventenne lo aveva
eccitato e
sedotto, la giovane donna che era divenuta, innamoratasi di lui, lo
aveva
conquistato, facendo cadere tutti i muri che negli anni Ryo aveva
eretto per
proteggersi. “E poi mica voglio un matrimonio sfarzoso o che
altro, io vorrei…”
fece una pausa, e si morse il labbro cercando la parola giusta.
“vorrei solo
qualcosa che fosse al contempo un punto di partenza e uno di arrivo.
Qualcosa
di simbolico, ecco.”
Gli
occhi
di Kaori caddero sulla foto del nipote: non sapeva nemmeno come si
chiamasse, e
forse non lo avrebbe saputo mai. Tracciò i lineamenti con
un’unghia,
soffermandosi sugli occhi, così uguali a quelli di Sayuri,
ed ai suoi,
dimentica del mondo intero, anche di Ryo, che continuò ad
accarezzarle i
lineamenti con un tocco delicato ma eccitante allo stesso tempo.
“Sì”
le
disse lui, all’improvviso. Kaori alzò lo sguardo
verso il compagno, che le
sorrideva soddisfatto, un po’ strafottente, molto fiero di
sé, e sbatté le
ciglia di quei suoi grandi occhioni.
“Eh?”
Ancora
una volta, la donna faticava a seguire, e comprendere, i ragionamenti
contorti
del bel Saeba.
“Sì,
ti
sposo. Ci sto.” Le disse, senza perdere un filo di quella
strafottenza, quel
carattere tronfio che lo aveva sempre contraddistinto.
“Cos’è, non ti va già
più? Guarda Kaori che io adesso idea non
la cambio mica più, eh!”
“Ma…
ma io
non parlavo di un vero matrimonio, e poi non
sei tu quello che mi aveva detto che tu
sei un clandestino senza documenti, che sei come morto, e che quindi
non…” Ryo
le mise un dito sulle labbra per zittirla, poi, mollemente, si
lasciò cadere
sul letto, braccia incrociate dietro al capo.
“Vuoi
che non
ci sia in giro qualcuno che non sappia hackerare un registro per
infilarci un
Ryo Saeba di anni…uhm, vediamo… posso arrivare ad
un massimo di trentacinque
anni, questa è la mia ultima offerta!” le disse,
scherzoso.
Kaori
rimase senza parole, e continuò a guardarlo, stupita.
Tuttavia, le labbra le
tremavano per l’emozione, e Ryo, intenerito oltremisura da
quel comportamento,
sentendosi un po’ colpevole per tutte le manchevolezze del
passato, che avevano
causato tanti dubbi alla donna del suo cuore, la strinse forte a se, il
capo di
Kaori appoggiato contro quel cuore che batteva solo per lei.
“Sai, mentre
eravamo a New York, guardavo quei bambini che correvano per strada, e
ho
pensato che io non avevo mai vissuto così, non avevo mai
giocato contento
sapendo che poi sarei tornato a casa da dei genitori che mi avrebbero
coccolato.
Non mi è mancato, perché quando conosci solo la
guerra ti accontenti di quello
che hai, ma… ma ho iniziato a pensare che mi piacerebbe amare qualcuno così. Se tu
vuoi.”
“Ma…
ma io
credevo che…” Kaori non osò finire la
frase, mentre combatteva strenuamente per
combattere le lacrime che, traditrici, minacciavano di lasciare i suoi
occhi. “Insomma,
tu, tu avevi detto che, che non volevi una famiglia, che nel nostro
lavoro non
si possono avere figli…”
Un
figlio
suo e di Ryo: un sogno che Kaori aveva tenuto a lungo celato, che aveva
nascosto in un angolo del suo cuore, una speranza che aveva permesso
riempirle
l’animo solo in rari momenti, quando lui non le era accanto,
per non turbarlo o
farlo sentire in colpa. Che quel sogno potesse divenire comunque
realtà? Che
anche lui lo volesse, dopotutto?
“Quando
sono arrivato qui, c’erano tre tipi di poliziotti: i
corrotti, quelli onesti
che venivano fatti fuori dai corrotti e quelli che non facevano nulla
perché
non pensavano di avere abbastanza potere per cambiare le cose. Ma
adesso… dopo
tanti anni che sono qui, con Saeko e suo padre ai vertici della
Polizia, con il
polipone, Miki e Mick, con le Gatte che sono tornate e hanno fatto un
po’ di
pulizia… le cose sono cambiate. Shinjuku non è
più la stessa di quando sono
arrivato. E forse… forse è il momento che cambi
anch’io.”
Ryo
si
grattò la nuca, distogliendo lo sguardo da Kaori, che
tuttavia avvertiva su di
sé: poteva quasi sentire il battito del cuore della sua
compagna, ne percepiva
l’aura emozionata, colma di affetto, che lo abbracciava e
teneva il suo animo
al sicuro. “Ci ho pensato, e magari potrei, non so, fare come
Jane. O
comportarmi da vero investigatore
privato. O mettermi a fare il taglialegna in qualche sperduto paesino
del
Canada, per me è lo stesso. Non ti prometto rose e fiori,
Kaori, forse non
potrò mai uscire del tutto dal giro, e so di non essere una
persona con cui è
facile avere a che fare, ma ti posso giurare che ti amerò
sempre, e proteggerò
la mia famiglia ad ogni costo… che si tratti solo di noi due
o…o dei bambini
che verranno, ecco. Se li vorrai anche tu.”
“Io….
Non
lo so. Non sono certa che mi piaccia l’idea di lasciare Hide
e tutti gli altri,
però...” La ragazza ammise
a malincuore;
abbassò gli occhi, arrossendo, incapace però di
nascondere il sorriso. “Ti
mentirei se ti dicessi che non ci ho mai pensato, a, ecco, ad un figlio
nostro.”
“Sì,
effettivamente sarebbe un crimine non passare i miei meravigliosi geni
di
Stallone…” lui sogghignò, e lei lo
colpì col cuscino in pieno volto, facendolo
scoppiare a ridere mentre lei gli metteva il broncio e lo additava con
i suoi
soliti nomignoli, porco, pervertito,
vergognoso… tutti deliziosi vezzeggiativi per le
orecchie di Ryo.
E
poi, lui
la trascinò a letto, e tra risate, sospiri, sussurri e
mugolii di piacere
dimenticarono entrambi tutto, per un tempo che fu troppo breve per i
loro
gusti. Ma era comunque abbastanza.
E
comunque,
al domani ci avrebbero pensato prossimamente: forse avrebbe ripreso i
contatti
con la sorella di Kaori, o forse la sua famiglia sarebbe stata
solamente quella
che si era creata negli anni, accanto a Ryo; forse sarebbe diventata la
signore
Saeba, o forse no, forse lei e Ryo avrebbero continuato a fare gli
sweeper o
magari avrebbero cambiato lavoro, magari avrebbero avuto uno o due
figli, che
sarebbero cresciuti con i clan di Mick e Falcon che stavano sfornando
pargoli
con le loro consorti...
Kaori
non
lo sapeva, non c’era certezza del domani, come la vita le
aveva insegnato – e a
lei nemmeno importava più di tanto, era ben felice di
godersi, in tutti i sensi
della parola, quel momento, il suo immediato. Ryo la amava, e questo
era già
abbastanza.
E
comunque,
l’amore del suo partner era già di per
sé una certezza, l’unica di cui a lei
importasse qualcosa: qualsiasi cosa fosse accaduta, i loro cuori non
avrebbero
ceduto mai, avrebbero continuato a battere l’un per
l’altra, anche oltre la
vita se fosse stato necessario.