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Autore: JulesB    03/08/2021    2 recensioni
Bakugo e Midoriya sono eroi professionisti e i loro sentimenti l'uno per l'altro sono ancora presenti, inespressi. Ma qualcosa deve cambiare, la situazione ha bisogno di cambiare. Non senza molte incomprensioni e stupidità. Ma loro sono Kacchan e Deku: andrà tutto bene.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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5
Erano i giorni dall'ultima volta in cui Deku aveva visto Kacchan.

Da quella mattina sfortunata, Izuku aveva provato diverse volte a raggiungere Kacchan, senza successo. Aveva provato a chiamarlo il giorno dopo, ma aveva smesso subito perché era inutile. Quindi Izuku provò a scrivergli per chiedergli cosa fosse successo e se avessero potuto parlarne. Ma, come si era aspettato, Kacchan aveva anche ignorato i suoi messaggi. Izuku aveva smesso di provare a raggiungerlo dopo due giorni. Fu doloroso, e Izuku si stava anche arrabbiando, ma non importava. Se Kacchan avesse voluto parlare con lui, sapeva come raggiungerlo.
 
4
Era il numero di ore che Izuku aveva dormito negli ultimi due giorni.

Il pensiero di ciò che aveva fatto a Kacchan continuava a ronzargli in testa, come una montagna russa. Aveva provato a pensare a qualcos'altro, ma era stato inutile. Quindi Izuku si era messo a lavorare, fino all'esaurimento. Era molto stanco e aveva bisogno di dormire, ma non voleva che la sua mente viaggiasse. Il lavoro sembrava la cosa giusta da fare. Il lavoro sembrava la sua unica soluzione. Aveva parlato con Shoto, che sfortunatamente non poté aiutarlo perché Kacchan sembrava sparito. Izuku, mosso dalla disperazione, aveva anche provato a chiamare Kirishima, che gli aveva solo detto che non sapevano cosa Kacchan avesse in mente. Perché quel testardo egoista biondo esplosivo era così impossibile?

Izuku era frustrato.
 
3
Erano i villain con cui Izuku stava combattendo in quel momento.

Non erano estremamente forti, ma Izuku era esausto ed era difficile per lui combatterli. Aveva bisogno di un aiuto, una spalla forse, ma non aveva tempo di chiamare nessuno. Sperò che qualcuno sarebbe arrivato presto, altrimenti avrebbe miserabilmente perso. I suoi calci e pugni erano molto potenti, in una situazione normale sarebbe stato in grado di sconfiggerli in poche mosse, ma in quel momento i suoi movimenti erano lenti e prevedibili. Izuku li stava combattendo da soli cinque minuti, ma era già coperto di sudore e sporcizia, le nocche delle sue mani erano sbucciate e le sue gambe tremavano per lo sforzo. Cosa era successo al suo separare la sua vita privata dal lavoro? La sua vita sentimentale si era violentemente intromessa in ogni aspetto della sua vita, rendendo tutto amaro.   
 
2
Erano le ultime gocce di pazienza che aveva.

Izuku sentì una risata isterica gorgogliare nella sua gola, e gli uscì come un ghigno maligno, con le labbra appena aperte e gli occhi spalancati. I villains sussultarono per un secondo e smisero di attaccarlo, sentendo che Izuku avesse perso l’ultimo briciolo di sanitò. E, infatti, era vero. La stanchezza, la colpa, i sogni infranti, le speranze perse, la mancanza di sonno lo schiacciarono come una cascata. Con l’ultimo briciolo di forza, Izuku attaccò i suoi nemici con un calcio, ringhiando e digrignando i denti. Okay, ce la poteva fare. Aveva sconfitto nemici più forti, quei tre non erano niente per lui. Izuku sentì le sirene della polizia in avvicinamento, un segno che i rinforzi stavano arrivando. Izuku sentì una potenza elettrica prendere possesso del suo corpo e con un ghigno liberò le sue fruste. Riuscì a catturare un solo di loro, mentre gli altri due mostrarono riflessi più veloci, saltando in tempo. Izuku cadde sulle ginocchia, gli altri due lo attaccarono con il loro quirk.


1
Era l’eroe che arrivò ad aiutarlo.

Kacchan. Izuku lo vide con la coda dell’occhio: un fulmine rosso e nero, e il suo solito e inconfondibile urlo, “morite, insetti!”.

La risata di Izuku eruppe dalle sue labbra, amara e disperata; sembrava un maniaco. Era uno scherzo, vero? Con tutti gli eroi, Kacchan era l’unico disponibile? Il destino si stava prendendo gioco di lui.

Ma Izuku si concentrò sul villain che aveva appena catturato e strinse la presa su di lui, mentre Kacchan combatté contro gli altri. Izuku era ancora inginocchiato, il respiro affannato, con un braccio teso in avanti e l’altro che penzolava al suo fianco, il suo petto si alzava e riabbassava furioso.

La polizia arrivò due minuti dopo, ma Kacchan aveva già vinto. Izuku dovette ammettere che Kacchan aveva fatto un ottimo lavoro, era orgoglioso di lui. Izuku sbuffò a quel pensiero, era ancora di parte nonostante fosse arrabbiato con lui. Izuku era senza speranza. Avrebbe dovuto essere arrabbiato con Kacchan, lo era, perché Kacchan lo aveva ignorato per giorni; quindi, perché diavolo stava sorridendo? Una parte di lui era sollevata sapendo che Kacchan stava bene, che era il solito, ma un’altra parte di lui era furiosa perché Kacchan stava bene. Lui era quello che era scomparso, lui era quello che non aveva risposto a nessuna delle sue telefonate; lui era quello disgustato dalla cotta di Izuku. Izuku era così perdutamente innamorato di lui tanto che tutto quello era niente in confronto al fatto che Kacchan fosse lì, accanto a lui? Si sentì nauseato, ma forse era dovuto anche la battaglia e non solo i suoi stupidi sentimenti.

Non appena la polizia arrestò i tre criminali, Izuku lasciò che il suo corpo si rilassasse. Cadde in avanti, con i palmi appoggiati sull’asfalto, con la testa bassa e respiri forti, rumorosi; tutto il suo corpo stava tremando. Izuku chiuse gli occhi e provò a concentrarsi su qualcosa che non fosse Kacchan. E quasi ci riuscì, stava pensando al suo meritato riposo, ma sussultò quando sentì una mano toccargli la spalla.

Kacchan fece un passo indietro mentre Izuku si voltava a fissarlo. Izuku sentì il suo cuore rompersi mentre Kacchan lo guardava attentamente. Izuku non riuscì a decifrare la sua espressione, ma non importava, Izuku non voleva averci niente a che fare.

“Perché non stai dormendo?” chiese Kacchan, ma si rifiutò di avvicinarsi a Izuku. Quasi fosse spaventato da lui.

Izuku inalò a fondo e si alzò, spazzolando via dai pantaloni la sporcizia. Non voleva guardarlo altrimenti quegli occhi rossi l’avrebbero catturato. “Non sono affari tuoi.”
Kacchan ringhiò e incrociò le braccia al petto. “Sono solo preoccupato, stupido nerd.”

Izuku chiuse le mani in due pugni, ma riuscì a controllare il bisogno di picchiarlo. Proprio sulla sua stupida faccia. “Beh, vedi,” iniziò Izuku. Sollevò il mento e intrecciò gli occhi con quelli di Kacchan. Era furioso, ma non voleva dirgli la verità. Izuku non voleva urlargli contro, non voleva confrontarlo. Aveva sperato di affrontare Kacchan, di parlargli di quanto era successo, ma quello non era il momento giusto. Quindi, si morse la lingua e mentì. “Sono molto occupato con il lavoro. Quindi, sì, sono affari che non ti riguardano.”

Izuku lo guardò per qualche secondo, poi lo superò, con l’intenzione di andarsene il prima possibile. Ma Kacchan fu lesto e gli afferrò il polso, trattenendolo tra le sue dita. “Non mentirmi.”

Izuku rise, facendo scivolare la testa all’indietro, esponendo la gola e coprendosi la bocca con la mano libera. Era serio? Dopo tutto quello che aveva fatto? “Lasciami andare o ti picchio.”

Kacchan davvero non capiva perché Izuku fosse così arrabbiato con lui? Aveva perso la memoria? E perché Kacchan era arrabbiato con lui? Avrebbe dovuto essere il contrario.

“Deku.” Il suo nome detto in quel modo fu un avvertimento. Kacchan sembrò tenace, non aveva mai spostato il suo sguardo o lasciato il polso di Izuku.
I secondi passarono, tagliando l’aria come un coltello. Erano soli in quel posto desolato e demolito. Izuku pensò a qualche settimana prima, quando tutto era iniziato: stavano combattendo insieme, fianco a fianco, e quella stessa notte Izuku aveva bevuto così tanto che Kacchan era stato costretto a portarlo a casa. Da quel giorno, tutto era cambiato. E così come era iniziata, sarebbe finita. Izuku non riuscì a non ridere di nuovo, questa volta sprezzante e abbattuto.

“Katsuki,” disse Izuku, e finalmente Kacchan lo lasciò andare. La testardaggine nel suo sguardo si tramutò in incredulità. Izuku sapeva che lo aveva colpito direttamente al cuore perché non lo aveva mai chiamato per nome. Beh, c’era una prima volta per tutto, pensò.

Si guardarono per quella che sembrò un’eternità, ma Izuku fu colui che se ne andò. Diede le spalle a Kacchan e iniziò a incamminarsi. Non era nemmeno a un metro di distanza quando Kacchan lo colpì con un’esplosione, facendolo inciampare. Gli occhi di Izuku si allargarono e si voltò a guardare l’amico. “Sei impazzito?” gridò Izuku.
Il suo cuore batteva furioso nel petto, ma non era un sentimento piacevole a domarlo; era un sentimento doloroso, che lo stava mangiando vivo. La bocca di Izuku era mezza aperta dall’incredulità.

“Sei una testa di cazzo,” disse Kacchan, il suo palmo ancora aperto davanti a lui, puntato verso Izuku.

“Io?” chiese Izuku, puntando il suo dito verso di sé. Kacchan aveva perso la testa. Sicuramente aveva battuto la testa contro un muro, perdendo la memoria a breve termine. “Sei tu che mi hai lasciato da solo! E sai cosa?” Izuku si avvicinò a lui, stringendo la mascella. Alcune vene sul suo collo iniziarono ad essere sempre più visibili, un segno che era molto arrabbiato. “Non so nemmeno perché! Cosa ti ho fatto, eh? Cosa, Kacchan?” Il tono di voce di Izuku nel pronunciare il nome di Kacchan era pieno di dolore.

Kacchan indossò ancora una volta la sua maschera impenetrabile, come se niente potesse toccarlo o ferirlo o disturbarlo. Il suo cambio d’umore ebbe come risultato quello di far arrabbiare ancora di più Izuku. E con quello, Kacchan rimase in silenzio e abbassò il braccio.

“Ah, non mi parli ora?” chiese Izuku dato che Kacchan sembrava intenzionato a prolungare il suo silenzio. Izuku sembrava divertito, con un finto sorriso sul volto, ma in realtà era infastidito. “Niente di nuovo.” Quello sembrò colpire Kacchan, perché Izuku lo vide sussultare. Izuku sapeva che sarebbe riuscito a farlo parlare, aveva solo bisogno di trovare il giusto punto da colpire.

Izuku si leccò le labbra secche, poi fece un passo avanti, con un ghigno. “Il gatto ti ha mangiato la lingua, Kacchan?” chiese Izuku, solo per infastidirlo. Da quando Kacchan stava in silenzio? Aveva sempre qualcosa da dire, qualcosa da condividere. Quel comportamento non era il suo.

Izuku si azzardò ad avvicinarsi finché non ci fu più spazio tra di loro. Kacchan era più alto di lui di soli pochi centimetri, ma Izuku fu quello che lo squadrò da testa a piedi. Izuku posò gli occhi in quelli di Kacchan e sogghignò. Infastidì Kacchan punzecchiandolo con il dito, che presto venne sostituito dalla mano (a palmo aperto) e quello che era iniziato come scherno diventò presto una baruffa.

Kacchan faceva un passo indietro a ogni colpo di Izuku, che diventò via via più potente – per quanto la fatica glielo permettesse. Kacchan non provò a rispondere a Izuku, lo lasciò semplicemente fare quello che di cui aveva bisogno. E Izuku lo capì, perché Kacchan non era il tipo di persona che si faceva colpire senza rispondere.
“Perché non fai niente?” chiese Izuku, infastidito. Aveva bisogno di una reazione, aveva bisogno di sapere che a Kacchan ancora importava.

“Non voglio litigare con te,” rispose Kacchan, ma per la seconda volta quel giorno afferrò il polso di Izuku per fermarlo.

“Quindi,” Izuku provò un’ultima mossa disperata per smuovere qualcosa dentro Kacchan. “Cosa abbiamo fatto negli ultimi cinque giorni se non litigare?”

Kacchan serrò la mascella e strinse la presa sul polso di Izuku. Finalmente, pensò Izuku, compiaciuto. Ma si sbagliò, perché Kacchan lasciò andare il polso con un rapido movimento. “Vaffanculo, nerd di merda. Io ho chiuso!”

Kacchan non aspettò una risposta, semplicemente si voltò e se ne andò. Izuku fissò la sua schiena mentre camminava, sbattendo le ciglia incredulo. Impossibile che Kacchan se ne andasse in quel modo. Se Izuku era ancora lì e non a casa sua, era tutta colpa di Kacchan che lo aveva fermato.

Quel problema non poteva restare irrisolto, quindi Izuku ritornò a Kacchan il suo gesto di poco prima: lo colpì sulla schiena, per farlo fermare. Ma questa volta Izuku non voleva parlare, voleva solo colpirlo. Per giorni era stato preoccupato, si era mangiucchiato le unghie fino a strapparsi la pellicina, si era chiesto come stesse il suo amico; per giorni non era riuscito a dormire, incolpandosi per tutto quello che era successo; per giorni, Izuku aveva pianto disperatamente cercando una soluzione. Ora tutte quelle emozioni tristi si erano tramutate in rabbia, che sentì vorticare dentro il suo corpo, anche le sue mani tremavano a quell’inusuale desiderio.

Kacchan voltò la testa verso Izuku e aprì la bocca per parlare, ma Izuku non glielo permise e lo colpì con un pugno, proprio sulla mascella. La testa di Kacchan si piegò all’indietro seguendo il colpo, ma poi la rialzò piano e guardò Izuku. Izuku pensò di aver visto una scintilla di rabbia nei suoi occhi, ma fu così veloce che pensò di essersela sognata.

“Ho detto,” borbottò Kacchan tra i denti, “che io ho chiuso.”

“Ma Kacchan,” disse Izuku, poi mosse ancora il pugno per colpirlo, ma Kacchan fu veloce e lo deviò. “Non ho ancora finito.”

Kacchan fece un salto indietro ma non si allontanò. Izuku lo osservò con attenzione, era stanco. Combattere con Kacchan non rientrava nei suoi piani, i suoi muscoli erano tesi ed era anche senza fiato. Ma, nonostante ciò, Izuku sapeva che la situazione doveva cambiare presto, non potevano andare avanti in quel modo.
“Cosa vuoi, Deku?” chiese Kacchan, sembrava intenzionato a dargli corda. “Vuoi combattere? Allora, combattiamo.”
 
~
 
Katsuki ce l’aveva messo tutta per tenersi a distanza da Deku, e aveva raggiunto l’obiettivo, anche se Kirishima aveva un’opinione completamente diversa sulla questione. Per cinque giorni era riuscito a ignorare Deku e le sue chiamate, i suoi messaggi, ma quando aveva sentito che Deku era nei guai con tre farabutti, Katsuki aveva deciso impulsivamente di andare ad aiutarlo. Era insolito per Deku non riuscire a sconfiggerli da solo, e Katsuki era quasi preoccupato per lui.

Non appena arrivò nel mezzo della battaglia, Katsuki sentì un nodo in gola nel vedere Deku inginocchiato, ferito e privo di forze. Fu piuttosto chiaro il fatto che Deku non stesse bene, ed era evidente che non era dovuto solo al combattimento, perché in una situazione normale quei tre insetti non avrebbero avuto mezza occasione contro Deku.

E quando ebbe finito con loro, Katsuki aveva deciso di restare per aiutare l’amico. Sapeva che non aveva alcun diritto a restare lì, ma vedere Deku in quel modo, probabilmente per colpa sua, lo aveva ferito. La cosa giusta da fare sarebbe stata andarsene, ma non riuscì a capire cosa lo costrinse a restare e aiutare il suo amico. E quando Deku aveva iniziato ad attaccarlo, in risposta alla sua precedente esplosione, Katsuki non voleva incoraggiarlo. Ma era piuttosto evidente che Deku aveva bisogno di un confronto con lui, quindi Katsuki aveva deciso di dargli corda. Forse in quel modo Deku sarebbe riuscito a rilasciare un po’ della sua tensione e tutto sarebbe finito.

“Che cosa vuoi, Deku?” chiese Katsuki. Se Deku voleva combattere, allora Katsuki non si sarebbe tirato indietro. “Vuoi combattere? Allora, combattiamo.”

Katsuki saltò in alto, aiutandosi con un’esplosione, e alzò il braccio, puntando il palmo della mano verso Deku. Vide Deku alzare la testa per osservare i movimenti di Katsuki, e quando Katsuki finalmente decise di attaccarlo, Deku saltò indietro con tutta la sua forza e deviò il colpo.

Katsuki atterrò perfettamente in piedi, le conseguenze della sua forte esplosione stavano avvolgendo i due eroi in un vortice nero.

Katsuki aspettò che si dissolvesse. “Che succede, nerd?” chiese. Sogghignò e un altro colpo si stava formando nel suo palmo, ma lo controllò perché Katsuki non voleva rilasciarlo. “Non volevi combattere?”

Katsuki guardò con attenzione il suo amico. Non era arrabbiato con Deku, non voleva davvero combattere contro di lui, dato che Deku era esausto, ferito. Non importava quanto Deku si fingesse arrabbiato, Katsuki lo conosceva: Deku era triste e deluso.

“È il solo modo in cui riesco a farti parlare,” disse Deku, non abbassando il suo sguardo. Katsuki non riuscì a capire cosa vi si celasse dietro. “Non ti ricordi i nostri scontri durante i nostri anni alla UA, Kacchan?”

Perché continuava a pronunciare il suo nome in quel modo? Lo stava facendo incazzare, il tono di voce di Deku sembrava sprezzante. “Vuoi parlarmi, nerd?” chiese Katsuki, ma se ne pentì il secondo dopo. Non sapeva cosa dire o come dirlo. Si era fatto una promessa: mai deludere Deku. Diavolo, dato quello che stava succedendo era troppo tardi, vero? Sì, Deku era visibilmente stanco, ma solo perché Katsuki non era messo male come lui, non voleva dire che Katsuki si sentisse meglio. Aveva passato giorni migliori e forse quello era il momento giusto per parlare. Forse.

Katsuki si distrasse per un secondo, stava pensando alla sua prossima mossa, e questo diede a Deku l’occasione di attaccarlo di nuovo. Preso completamente alla sprovvista, Katsuki cadde all’indietro sulla schiena, con Deku seduto a gambe aperte sopra di lui.

“Sì,” disse Deku, e abbassò la testa. Il naso di Deku era a pochi centimetri da quello di Katsuki. “Voglio che tu parli. Perché mi hai lasciato da solo in quello stupido bar?”
Katsuki non riuscì a respirare per colpa di Deku, ma non perché fosse seduto sopra di lui, bensì per il modo in cui lo stava guardando; per il modo in cui i suoi occhi verde smeraldo sembrassero scrutare la sua anima; per il modo in cui le sue lentiggini erano ancora visibili sul suo volto sporco e sudato.

“Io…” Katsuki non riuscì a sentire la sua stessa voce. Quindi, il suo piano non aveva funzionato. Quindi, stava per dire tutto a Deku. “Io…” provò di nuovo Katsuki, ma la sua gola stava bruciando. Non era pronto per tutto quello, Katsuki non era pronto ad aprirsi e a rendersi vulnerabile davanti a Deku. Aveva bisogno di più tempo, solo di un paio di giorni in più per fare i conti con i suoi sentimenti e i suoi pensieri.

“Prenditi il tempo che ti serve,” disse Deku. Si alzò e liberò l’amico, ma non si spostò di molto, perché si sedette a gambe incrociate accanto a Katsuki. Deku si passò una mano tra i capelli e sospirò, senza mai distogliere lo sguardo dal volto turbato di Katsuki, anzi, aspettò pazientemente che lui disse qualcosa. “Non ho fretta.”

Katsuki guardò il cielo blu senza nuvole sopra di lui, cercando di rilassare il suo stesso corpo. Okay, era giunta l’ora. Il giorno della resa dei conti era arrivato. Anni e mesi e giorni e ore gli passarono velocemente nella mente che sentì la testa girare. Il nodo nella sua gola lo appesantiva, ma non aveva senso prolungare quella situazione. Non era ideale, ma andava fato.

“Mi dispiace, Deku,” disse Katsuki, incapace di udire la sua stessa voce. Era come se qualcun altro stesse parlando e lui assistesse impotente. “Non hai fatto niente di sbagliato. Io – io sono entrato nel panico.”

Deku lo stava ancora guardando, Katsuki poteva sentire il suo sguardo su di lui, ma non aveva il coraggio di ricambiarlo. Katsuki aspettò, ma Deku non disse niente. Merda, pensò Katsuki.

“Ho letto il tuo quaderno, ero solo curioso, giuro, e… e ho letto quello che hai scritto su di me.” Katsuki si leccò le labbra, cercando di trovare le parole giuste. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Deku lo anticipò.

“Eri così disgustato da quello che avevo scritto da scappare da me?” il tono di voce di Deku era sconfitto e distante.

Katsuki sentì un dolore al cuore, come se qualcuno lo stesse ripetutamente pugnalando. Deku aveva pensato che Katsuki fosse nauseato? Kirishima aveva ragione: Katsuki era così stupido che era fastidioso. Katsuki non aveva nemmeno pensato alla possibilità che Deku potesse credere che fosse disgustato dai suoi sentimenti, nessuno doveva sentirsi rifiutato in quel modo. Katsuki era stato così stupido e cattivo ed egoista che il pensiero non gli aveva nemmeno sfiorato la mente.

Katsuki si mise a sedere e finalmente intrecciò lo sguardo con quello di Deku. Inconsciamente, Katsuki prese le mani di Deku tra le sue, erano sbucciate e piene di cicatrici, erano secche. “Non sono disgustato, okay? Non azzardarti a pensarlo, neanche per un secondo. Sono stato uno stronzo, lo so, ma non sarò mai, mai, disgustato da te. Non potrai mai fare niente per farmi sentire così.”

Deku annuì e Katsuki poté udire il peso sulle spalle di Deku alleggerirsi. Era come se Deku avesse camminato sulle uova per tutto quel tempo. Katsuki sentì che le sue colpe e i suoi errori, quelli vecchi tanto quanto quelli nuovi, si erano materializzati davanti a lui, manifestati negli occhi di Deku, pieni di sollievo. Improvvisamente, Katsuki alzò le mani di Deku, che ancora stringeva tra le sue, e baciò con gentilezza quelle nocche piene di segni.

“Mi dispiace tanto, Deku,” disse Katsuki. Sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi e a quel punto nient’altro importava. Lasciò che le lacrime scivolassero lungo il suo viso, fermandosi alle sue labbra gonfie. “Sono stato uno stronzo. No, peggio. Non merito il tuo perdono, Deku.”

Katsuki si asciugò qualche lacrima con il dorso della mano. Il suo cuore faceva male, ma non riuscì a fermarsi, non riusciva a non chiedere scusa a Deku. Katsuki non stava parlando solo di quello che aveva fatto qualche giorno prima, ma stava parlando anche delle sue colpe passate. “Ho fatto un sacco di cose brutte nei tuoi confronti. Mi ero giurato che dopo ciò che avevo fatto alle medie non ti avrei mai più ferito, ma eccomi qua.”

Le lacrime continuarono a scendergli lungo le sue guance arrossate, Katsuki non riusciva a fermarle. Forse non voleva neanche, perché si era sentito dispiaciuto per tutto quel tempo che Katsuki aveva bisogno di lasciarle sgorgare. Katsuki aveva bisogno di piangere, bisogno di alleggerire le sue colpe. “Non ti merito al mio fianco,” disse Katsuki ancora, singhiozzando. “Cosa ci fai ancora qui? Con me? Una causa persa. Io–“

“Non è vero.” Deku lo fermò. Dopo tutto quello che aveva fatto, era ancora Deku quello che lo confortava. Katsuki non si meritava lui o il suo amore, o la sua amicizia o qualsiasi altra cosa. “Non sei una causa persa, Kacchan.”

Il suo nome detto in quel modo, da Deku, era una sinfonia dolceamara. “Le persone commettono errori, sempre. Sai qual è la differenza tra te e gli altri?”

Katsuki aprì la bocca per rispondere, ma Deku non glielo permise. Deku gli sorrise, dolcemente, e accarezzò la guancia di Katsuki con le dita, con gentilezza.

“La differenza è che ti importa. La differenza è che tu,” disse Deku, e appoggiò la fronte contro quella di Katsuki, “sei cambiato. Hai capito che quello che avevi fatto era sbagliato e ci hai provato duramente, ogni giorno, a fare di meglio. Da quando hai capito i tuoi errori, tutto quello che hai fatto è chiedermi scusa.”

Il volto di Katsuki era un disastro: i suoi occhi erano colmi di lacrime, che cadeva ancora come un fiume in piena; se sue labbra erano bagnate e rosse, perché le aveva torturate coi denti; i suoi capelli erano appiccicati alla sua fronte imperlata di sudore.

“Non con le parole, hai ancora del lavoro da fare con quelle,” disse Deku, sorridendo ancora una volta. “Ma con le tue azioni. Ed è quello che conta, per me. Quindi, per favore, non pensare di non meritare il mio perdono. Perché ti ho perdonato molto tempo fa, Kacchan.”

Il cuore di Katsuki si fermò, anche la sua mente smise di funzionare. Deku lo aveva perdonato. Quello significava così tanto che non sentì più nulla ormai. Negli ultimi anni Katsuki aveva provato a mostrare a chiunque di non essere ancora lo stesso vecchio ragazzino delle medie. Conosceva i suoi sbagli, le sue colpe, ma, come aveva detto Deku, non appena le aveva riconosciute aveva fatto tutto quello che poteva per essere una persona migliore. Per lui. Per Deku. E Deku lo conosceva, lo vedeva, lo sentiva. Era un sentimento così caldo che non riuscì a fermare le lacrime. Fu un sollievo.

“Kacchan,” disse ancora Deku, poi lo abbracciò. La testa di Katsuki era nascosta tra le braccia forti di Deku, la sua fronte contro il suo petto, e Katsuki poté sentire il cuore di Deku battere velocemente. “Puoi respirare ora.”

E Katsuki finalmente lo fece. Respirò. Le sue spalle erano più leggere; il peso sul suo petto era sparito. Era come se fosse sempre rimasto sott’acqua: i suoi polmoni bruciavano; la sua vista era sfocata; le sue braccia e le sue gambe continuavano a muoversi per evitare di affogare. Era come se a lungo avesse gridato sott’acqua, mentre i suoi amici lo salutavano dalla riva1. Quello era ciò che sentiva in quel momento. Era stato salvato, ancora, da Deku. Deku c’era sempre stato per lui, senza mai perdere la fiducia. Era così rassicurante che era travolgente.

“Ti amo, Deku,” disse improvvisamente Katsuki.
 
~
 
“Ti amo, Deku.”

Quelle erano le parole che riecheggiavano nelle orecchie di Izuku.

Tutto quello che Izuku riuscì a fare fu stringere di più il suo abbraccio, tenendo Kacchan stretto a sé. Izuku chiuse gli occhi e inspirò a fondo, sentendo il profumo di Kacchan inebriarlo.

Gli ultimi cinque giorni erano stati un incubo, ma Kacchan aveva avuto la capacità di spazzare via tutta la tristezza. Vederlo così fragile, così piccolo tra le sue braccia, era qualcosa che Izuku non si era mai aspettato; era una sensazione dolorosa, ma tuttavia confortante. La sua testa ronzava, come se uno sciame d’api gli stesse volando attorno.

“Ti amo anche io, Kacchan,” sussurrò Izuku, e sentì come se il mondo fosse appena esploso.

Era vero che Izuku aveva perdonato Kacchan mesi prima, addirittura anni; era verro che Izuku pensava che Kacchan fosse un uomo migliore. Izuku si era innamorato del suo generoso, passionale, amorevole amico, anche se quest’ultimo non riusciva a immaginarsi in quel modo.

Izuku promise a sé stesso che avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni ad assicurarsi che Kacchan sapesse di essere una brava persona.

Dopo la confessione di Kacchan, le sue lacrime, Izuku capì la scelta che Kacchan aveva preso quella mattina ingloriosa. Kacchan stava solo cercando di proteggere Izuku dall’essere ferito, dall’essere deluso. Ma Kacchan non sapeva che anche lui meritava di essere amato, come chiunque altro.  E Izuku non aveva bisogno di nessuna protezione. Se qualcuno avesse detto che come coppia non avrebbero funzionato, a Izuku non sarebbe importato perché da quel momento in poi era disposto a fare tutto ciò che era in suo potere per farla funzionare. E Izuku sapeva che anche Kacchan avrebbe fatto lo stesso.

“Kacchan,” disse Izuku, con la voce bassa. Si stavano ancora abbracciando ed erano in un’area pubblica. Izuku moriva dalla voglia di baciarlo, aveva bisogno di sentire le labbra di Kacchan contro le proprie, ma erano esposti e non voleva che il suo amore diventasse di dominio pubblico. “Andiamo a casa.”

Kacchan, ancora nascosto tra le braccia di Izuku, annuì e sollevò il mento. I suoi occhi rossi fissarono quelli verdi di Izuku. “Casa mia è più vicina della tua,” disse Kacchan, e cancellò la traccia delle sue lacrime dalle sue guance con il palmo della mano. “Puoi fare una doccia, se vuoi. Ti presterò dei vestiti.”

Izuku sorrise, non era mai stato nell’appartamento di Kacchan e Kacchan non lo aveva mai invitato prima. “Okay,” rispose Izuku, poi baciò la fronte di Kacchan.
Si alzarono e se ne andarono, nessuno dei due lasciò andare la mano dell’altro. Camminarono fianco a fianco, con le dita intrecciate. Nessuno dei due disse una parola, rimasero in silenzio per tutto il breve tragitto verso l’appartamento di Kacchan, e di tanto in tanto si lanciavano qualche sguardo. Izuku arrossiva ogni volta, ma era piacevole vedere che anche le guance di Kacchan, in quei momenti, si tingevano di un rosa pesca.

Quando arrivarono all’appartamento di Kacchan, Izuku restò senza parole. Era più grande del suo, come aveva sospettato, e Izuku per un momento pensò di essere dentro un catalogo Ikea. Tutto era lindo e scintillante, nessun oggetto fuori posto, nemmeno un ninnolo spostato o una giacca abbandonata sul divano in pelle bianca.
“Wow,” disse Izuku, togliendosi le scarpe all’ingresso. “La tua casa è meravigliosa, Kacchan!”

Kacchan sorrise timido e si grattò la nuca. “Grazie,” disse, poi, tenendo ancora Izuku per mano, imboccò un corridoio alla sua sinistra, finché non raggiunse l’ultima porta. “Qui c’è il bagno. Ci sono degli asciugamani puliti nell’armadietto sotto il lavandino e adesso ti porto dei vestiti. tu…” Kacchan lasciò andare la mano di Izuku e gesticolò verso la porta.

Izuku a malapena trattenne un sorriso e annuì, mordendosi la lingua. Prima di spogliarsi ed entrare nella doccia, Izuku aspettò che Kacchan tornasse e, quando entrò nel bagno, lunghi secondi di silenzio si posarono tra loro due.

Quando finalmente fu solo e sotto il getto caldo della doccia, Izuku pensò agli ultimi eventi di quel tardo pomeriggio. Kacchan aveva confessato il suo amore, e Izuku non avrebbe mai creduto che quel momento sarebbe arrivato, ma quando lo sognava, era piuttosto sicuro che non si era mai immaginato quello scenario. Avevano rischiato di combattere per l’ennesima volta, incolpando la fatica e la frustrazione degli ultimi giorni.

Kacchan aveva chiesto il suo perdono, si era inginocchiato davanti a lui, con lacrime e singhiozzi. Izuku tremò nonostante l’acqua calda. Il senso di solitudine e confusione dell’ultima settimana era finalmente sparito. Kacchan lo amava e lui amava Kacchan. Avrebbe dovuto essere tutto in discesa da quel momento, no? Izuku lo dubitò, entrambi avevano ancora molto da imparare, ma già quello era un buon punto di partenza. Soprattutto, nessuno dei due doveva più gestire quei sentimenti da solo.

Izuku uscì dalla doccia e aprì l’armadietto, afferrando un asciugamano. Si asciugò velocemente e si mise i vestiti che Kacchan gli aveva lasciato su uno sgabello vicino al lavandino. Avevano il suo inebriante profumo, dolce e delicato. Izuku sorrise con affetto, ma si risvegliò da quel sogno un momento dopo, imbarazzato.
Izuku lasciò il bagno e ripercorse il corridoio che lo aveva portato lì. Kacchan era in cucina, anche lui si era lavato e cambiato. Quando Kacchan lo notò, gli sorrise incerto. “Ho usato… l’altro bagno,” disse Kacchan, come se avesse dovuto dargli una spiegazione per qualcosa di insolito.

Izuku annuì e sorrise piano, avvicinandosi a lui, ma si fermò ad una distanza di sicurezza. Aveva quasi paura a muoversi in quella casa, di muoversi davanti all’amico, perché una grande confessione pendeva tra di loro. Cosa avrebbe dovuto fare?

“Vuoi qualcosa?” chiese Kacchan, aprendo il frigorifero e nascondendosi dietro la sua porta. “Coca? Birra? Acqua?”

Izuku rise e scosse la testa, anche Kacchan era a disagio come lui. “L’acqua va bene, grazie.”

Kacchan annuì e ritornò silenzioso. Porse a Izuku un bicchiere d’acqua, che prese, e poi Izuku se ne andò in soggiorno. Il sole stava tramontando, i suoi raggi caldi si perdevano tra gli edifici e illuminavano il soggiorno di un colore morbido e scuro. Izuku sedette sul divano e sospirò. La doccia aveva fatto emergere la sua stanchezza, e Izuku si sentì assonnato ed esausto. Sapeva che finalmente sarebbe riuscito a dormire, ma Izuku sperò anche che quel giorno terminasse senza ulteriori imbarazzi e parole in sospeso. Non ne avevano più bisogno.

Kacchan lo raggiunse, ma si fermò a qualche passo da lui. Izuku capì immediatamente che Kacchan non avrebbe parlato, quindi pensò di dargli un piccolo aiuto. Izuku batté la mano sul posto vuoto accanto a lui sul divano, un invito silenzioso a Kacchan di sedersi.

“Mi hai detto che mi ami,” disse Izuku, tra un sorso d’acqua e un altro. Kacchan sussultò a sentire quelle parole, e Izuku pensò che fosse carino. “E ti ho detto che ti amo.” Izuku alzò le sopracciglia e aspettò che Kacchan dicesse qualcosa. Era piuttosto divertente vedere Kacchan così timido.

Kacchan si sedette accanto a lui, anche se a distanza di sicurezza. “Sì, entrambi abbiamo detto cose,” disse Kacchan, giocando e torturando le sue dita. “E lo intendo davvero, Deku. Io–“

“Lo so, Kacchan,” disse Izuku. Allungò una mano e la mise sopra le dita di Kacchan.

Il suo amico smise di muoverle ed entrambi si guardarono negli occhi. Quel silenzio era diverso, era colmo di comprensione e affetto, di devozione e sì, un po’ di apprensione. “Posso…” Izuku non finì la domanda, sentiva il cuore battergli troppo velocemente nel petto per riuscire a continuare.

Kacchan si morse il labbro inferiore e deglutì, poi si avvicinò a Deku. I loro sguardi non si separarono mai; una scarica elettrica attraversò quei pochi centimetri che ora separavano i loro volti. Izuku cercò di placare il suo cuore e riformulò la domanda. “Posso baciarti?” chiese Izuku.

Kacchan annuì, ma non aspettò la prima mossa di Izuku. Kacchan appoggiò le labbra contro quelle di Izuku e chiuse gli occhi. Izuku sbatté velocemente le palpebre, ma presto si rilassò e chiuse a sua volta gli occhi; le labbra di Kacchan erano secche e quasi pungevano. Izuku osò approfondire il bacio, leccando il labbro inferiore di Kacchan, che aprì appena la bocca, e Izuku colse l’occasione per far scivolare la sua lingua. Kacchan sapeva di menta fresca. Il cuore di Izuku gli rotolò nel petto e si lasciò annegare in quel bacio. Izuku mosse la sua mano libera sul forte braccio di Kacchan, tracciandovi sopra delle linee. I loro corpi si avvicinarono, non c’era più spazio tra loro.

Kacchan mosse una sua mano e affondò le dita nei capelli verdi di Izuku, tirandoli appena, e morse il labbro di Kacchan, trascinandovi sopra i denti. La mano di Kacchan scivolò dai capelli di Izuku fino alla sua nuca, e lo tirarono più vicino. Da dolce e casto, il bacio diventò presto passionale e feroce, quasi disperato.

“Deku,” sussurrò Kacchan contro le labbra di Izuku.

Izuku appoggiò la fronte contro quella di Kacchan e si morse il labbro, che era diventato quasi insensibile. “Mi dispiace,” disse Izuku. Pensò di essere andato troppo oltre, forse Kacchan non era pronto.

“A me no.” Kacchan posò un bacio innocente all’angolo della bocca di Izuku. “Avevo solo bisogno di un po’… d’aria,” disse Kacchan, ridacchiando.

Rimasero in quella posizione, con gli occhi ancora chiusi, per lunghi secondi. Nessuno dei due osò muoversi, entrambi avevano disperatamente bisogno di contatto. Entrambi lo avevano aspettato a lungo, per molto avevano sperato di potersi sentire così vicini come in quel momento. Niente avrebbe potuto separarli, da quel momento in poi nessuno al mondo sarebbe riuscito a togliere loro quel sentimento e quel desiderio bruciante.

“Hai bisogno di dormire, però,” disse Kacchan, aprendo gli occhi.

Izuku sentì lo sguardo di Kacchan su di lui, così lo guardò. Il suo amico (o fidanzato, adesso?) gli stava sorridendo, era come guardare un raggio di sole. “Ma voglio baciarti,” piagnucolò Izuku.

Kacchan rise e spostò qualche ciocca di capelli dalla fronte di Izuku, approfittando di quel gesto per far scivolare la mano sulla guancia di Izuku e accarezzarla. “Non vado da nessuna parte, promesso.”

Si baciarono ancora, questa volta il bacio fu gentile e delicato. Mentre si baciavano, iniziarono lentamente a sdraiarsi sul divano. Le loro gambe erano intrecciate, Izuku era quasi completamente sdraiato sopra il petto di Kacchan.

“Dovremmo uscire per un appuntamento,” propose Izuku tra un bacio e un altro. Si immaginò lui e Kacchan durante un appuntamento, forse un film e poi cena, o forse una camminata sotto il cielo notturno. Ma ad Izuku non importava esattamente dove, gli bastava poter tenere la mano di Kacchan tra la sua e, soprattutto, di poterlo baciare. Proprio come in quel momento.

“Okay,” disse Kacchan dolcemente.

Izuku lasciò un bacio sul pomo d’Adamo di Kacchan e poi appoggiò la testa sul petto di Kacchan. Il suo amico lo baciò sulla testa, tra i capelli, e iniziò a coccolarlo. Izuku chiuse gli occhi e respirò piano. Sentì il sonno impossessarsi di lui sempre di più, ma non importava: era tra le braccia di Kacchan, sicuramente avrebbe dormito come un re.

Izuku era così felice che sentì il suo cuore scoppiare. Era possibile morire di felicità?  










1è una frase della canzone "Funeral", di Phoebe Bridgers.
Questo capitolo è un po' più lungo degli altri, e mi sono fermatx al primo pov di Deku altrimenti avrei continuato a blaterare per un bel po', sperando di non aver tolto nulla alla completezza del capitolo. Non è stato facile scrivere questo capitolo, ci ho messo molte ore, anzi, giorni, e spero davvero che sia un po' soddisfacente. 

Triste notizia, o forse lieta, dipende dai vostri punti di vista, il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo. 

 
   
 
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