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Autore: marinrin    19/08/2021    0 recensioni
[ Genshin Impact | Giallo&Esoterismo | Kaeluc/Luckae (niente esplicito - scelta del lettore) & minor JeanLisa | menzione del bloodbrother oath| Ispirata da Kara No Kyoukai con forti riferimenti a religione ed occulto ]

C'è un ufficio in periferia che non può essere trovato a meno che non lo si cerchi con intensità.
Là, dove l'antica statua dell'arcangelo Michele punta il dito, sorge protetta da una arcaica porta in noce, la misteriosa agenzia investigativa di Lisa Minci.

Mistero, occulto, antiche religioni: una spirale asettica che guida verso lo spettro dell'inspiegabile.
Tre rintocchi echeggiano attraverso le mura scandendo mostruosamente il tempo ed il ritmo ciclico dell'avvenire.
Nel vuoto, lo sbattere delle ali cremisi di una farfalla rompe l'equilibrio, spinta dal desiderio di raggiungere il gufo reale che mira alle stelle; una vista dall'alto.
E tu, stai volando o solo fluttuando?

1998: In un mondo in cui l'Origine del vuoto è compromessa, una sequenza di omicidi scuote l'opinione pubblica.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Diluc Ragnvindr, Hu Tao, Jean Gunnhildr, Kaeya Alberich, Lisa Minci
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: Raccomando ai miei nuovi indomiti lettori di leggere assolutamente le note del primo capitolo per chi non l'avesse fatto.
Lo so che siete brv e già sapete le cose ma è importante ricordarlo onde non ritrovarci con spiacevoli gnigni o grrrrr.
Grazie per iniziare quest'avventura insieme a me! 

L'autrice si scusa per la lentezza ma il computer l'ha mandata a quel paese e quindi ha dovuto rimandare-
Nel compenso, questo capitolo è piuttosto lunghetto.
Come al solito, ogni commento/recensione è super prezioso e stra gradito!
Ti auguro buona lettura, mio indomabile lettore! 
( ✧≖ ͜ʖ≖)



 



 
Omen
presagio


 


 
                              «Capisco, quindi hai preso una bella batosta eh, mr. principe azzurro?»
La sua datrice non si trattenne, un sorrisetto rigò le labbra tinteggiate da un bizzarro e sin troppo sgargiante rossetto violaceo: probabilmente si trattava di qualche nuova creazione di magia rosa.
«Suvvia, è stata senza dubbio una semplice ritirata strategica, miss Minci.»
Ribatté ironico.
Lisa prese a sbuffare a metà tra il diletto ed il preoccupato, sebbene non si degnò di voltarsi verso di lui nel processo: l’attenzione della donna era infatti tutta sulla protesi dell’ex braccio appartenente a Kaeya.
Parve divertita più del solito perché la fece rotolare sul tavolo in mogano per qualche secondo, quasi come gatto con un gomitolo di lana, prima di prendere un bisturi tra le mani e incidere nettamente.
Tutta la scrivania era tappezzata di fili e strani aggeggi, la libreria di fianco piena di stravaganti bottiglie dal contenuto discutibile ed un sacco d’altra roba pendente di cui in molti avrebbero preferito evitare di domandare – in ogni caso, non avrebbero ricevuto che folli risposte o intricati enigmi.
Le lenti che indossava riflettevano la luce chiara che pendeva dal soffitto del laboratorio interno: si trovavano nel famigerato ‘lato destro’ cui nessuno poteva assolutamente avvicinarsi senza invito, pena elettroshock.
«Interessante tu sia stato capace di distinguere dei vecchi segni decadenza da quelli più recenti fatti da Diluc.» aggiunse, chinandosi nel lavorare minuziosamente alle connessioni nervose ora scoperte: bastava un singolo sbaglio per mandare a monte un intero pezzo, quindi si capiva facilmente il perché cercasse di spostare l’attenzione il meno possibile «Ufficiale, lei ha decisamente… Occhio.»
Kaeya rise blandamente alla battuta: no, il senso dell’umorismo di Lisa non era per niente migliorato, ma chi era lui per non darle un po’ di corda?
«Non sembra ma quello lì ha una forza non indifferente: devo aver colto bene il suo messaggio perché quando mi sono calato nel chiosco, le farfalle hanno smesso di seguirmi. C’era inoltre una chiesa di stile romanico e dalla porta in pezzi sul finale del sentiero in ciottoli. Non credo debba rinominare il responsabile di un tale scempio verso l’arte.»
La maga mugugnò qualcosa che l’altro non colse, continuando imperterrita nell’analisi dell’avambraccio.
«Quindi presumo sia lì che hai trovato quello strano talismano, vero?» chiese, chinandosi su una delle bambole poste sul pavimento e sollevando una specie di filo scuro incastonato.
Finì per dargli le spalle nel processo.
«Si, ed era decisamente ben nascosto. Non è stato facile da individuare.»
Kaeya, poggiato contro il muro a gambe incrociate, approfittò di qualche attimo di silenzio per toccare l’occhio non coperto, premendovi; le ciocche azzurre caddero morbidamente sul viso ambrato e sulla mogia mano.
Era infernale la sensazione che stava provando, come se l’iride stesse ancora bruciando…
Ed il corpo non era da meno, lento nelle risposte e visivamente spossato nonostante i tentativi di apparire a posto: se non fosse stato per il suo talento nel soverchiare la realtà sarebbe risultato ancora più evidente.
Non c’erano scuse stavolta, aveva decisamente esagerato.
«Stai peggiorando.» spiegò Lisa senza voltarsi, quasi potesse persino percepire un movimento tanto silenzioso – e forse, chissà, era davvero così, Kaeya non se ne sarebbe nemmeno stupito, onestamente.
«E’ solo una questione di tempo. Entrambi siete al vostro limite.»
L’uomo morse il labbro, carezzando infastidito la chioma: ma prima che potesse ribattere, si ritrovò Lisa innanzi con uno specchietto.
«Il tuo viso non risponde più alle giuste espressioni.» aggiunse la strega in un sospiro prima di allontanarsi e prendere posto sulla vecchia sedia di fianco la scrivania; era tremendamente seria.
Aveva usato l’Altro senza consulto né tantomeno aver tolto la benda, con instabilità precaria in bonus a fare da contorno: Lisa pareva averglielo letto in faccia.
La verità era che se qualcosa fosse andato storto, avrebbe rischiato di perdere sé stesso nel processo - e quello poteva tramutarsi in un problema più che oneroso, specialmente senza Diluc nei paraggi.
Da contratto, era pur sempre il famiglio della strega e doveva rispettare il lazzo, quello era ciò che la Minci gli stava segretamente intimando.
Come un bambino colto in fragrante dalla propria madre per una marachella, non poteva ora far altro che abbassare la testa in colpa evidente e fare (o fingere?) ammenda.
Per quanto umiliante, si trattava sempre di una questione di responsabilità: un servizio per un altro servizio; andava bene così.
Lo sguardo comunque, mosso da curiosità, cadde irrimediabilmente sulla protesi.
«Non pensavo si rompesse così facilmente, sa, Miss Minci?» mugugnò -  un tentativo provocatorio di cambiare discorso ed evitarsi un’ennesima paternale.
Lisa, tuttavia, poggiò un braccio lungo proprio fianco, tagliando di netto la conversazione.
«Piuttosto,» lo ignorò «non è da te, essere così impulsivo.»
Il bisturi tintinnò un paio di volte, echeggiando in sala. Kaeya comprese di aver fallito miseramente lo sviare – decisamente non era in forma, di norma sarebbe stato molto più facile.
«Non è passato molto tempo da quel caso, sai meglio di me non dovresti strapazzarti.» aggiunse la datrice, perplessa.
«E questo è uno di quelli particolari, ma immagino tu l’abbia capito da solo.»
Il busto si porse in avanti, cercando tra i cassetti dell’immobile: le dita coperte dai guanti in pelle violetti passarono tra i volumi riposti nel terzo con attenzione, sollevandone infine uno; una copertina sin troppo sobria, notò il ‘famiglio’ incrociando le braccia (o l'avambraccio rimastogli con quello sano, per la precisione).
«In quel posto, il tempo è distorto. È come se fosse invertito: si può dire che i dati vengano intrappolati al loro interno. In pratica, non si sono ancora adeguati alla realtà.» continuò l’uomo; gli appartamenti, quello stesso cortile dall’erba stranamente bassa, le scritte pulite sui campanelli…
Se quelli di Diluc non fossero stati segni realizzati con un’arma intrisa di magia, non li avrebbe visti nemmeno lui.
E ciò spiegava il perché non ci fosse nessun segno particolare nei rapporti della polizia.
«Questo è quello che intendevi dire qualche tempo fa vero, Lisa?»
La maga girò un paio di pagine e solo allora sollevò le iridi smeraldo; sorrideva.
«Dimmi Kaeya, cosa ti viene in mente pensando ad un panorama da un posto elevato?»
«Che stai cercando di dire?»
Lisa si alzò solo per sedersi nuovamente in corrispondenza dello spigolo del tavolo; il libro venne poggiato di fianco.
Si gongolò quasi fosse bambina, picchiettando divertita le dita coperte sulle labbra, quasi a cercare le parole adatte.
«Non è facile da spiegare: c’è chi prova vertigine, chi sconforto, chi potere: ci si sente inermi alle volte, tanto quanto potenti. Ma vedi Kaeya, quella a mostrarsi agli occhi non è che distanza…»
L’agente cercò di seguirla: quando Lisa iniziava i suoi discorsi filosofici, perdersi era estremamente facile; sapeva fosse l’ennesima prova per avere il suo aiuto.
Onestamente, non capiva i maghi: parlavano in indovinelli, blateravano di  potere e nozioni assurde, agivano senza una 'propria' coscienza.
Il confine tra immorale e morale era loro vago, i loro scopi volavano oltre la semplice conoscenza o potere, vibrando in uno spettro che chiamavano spesso 'curiosità' e per cui si immolavano senza minima esitazione o paura.
Non erano né burattini, né burattinai: forse era questo loro adattarsi al potere a renderli così affascinanti e pericolosi.
Chissà che sensazione era, quella di ucciderli - sussurrò qualcosa dentro di sé – inumana, forse?
Kaeya scosse malamente il capo, cercando di tornare alla realtà mentre tentava di ribellarsi all’insieme di folli idee che cominciava a chiamarne attenzione; fastidiose.
«Una lontananza, quindi.»
«Bingo!» comunicò la donna, battendo le mani entusiasta. Gesticolava, il cappello violaceo pareva emettere uno strano tintinnio.
«Vedi, la vista di un panorama dall’alto è mozzafiato, persino se questo è ordinario. Eppure nell’osservarlo si crea come una barriera, una forza di divisione che in psicologia ricorda il dissociarsi. Si tratta d’un divario tra quanto consideriamo nostro mondo e il mondo in quanto tale.» continuò.
«È complicato: la tua ragione, rappresentata dalla tua conoscenza e la tua esperienza, rappresentata dalla tua comprensione, si scontrano. Da loro si genera confusione, il che porta al perdere se stessi e cadere.
per farla breve, la vista non è data da ciò che vedi ma da quello il cervello comprende: la nostra vista è quindi protetta dal buon senso. Gli esseri umani non sono fatti per guardare troppo in alto, aldilà delle loro piccole scatole – finirebbero per perdersi… O almeno, in circostanze normali.»
L’uomo dai capelli blu toccò il mento, pensieroso.
«Quelle farfalle hanno smesso di seguirmi entrando nella chiesa, quasi non potessero vedermi in effetti.»
I tacchi di Lisa echeggiarono sui pavimento lucido.
«Logicamente è stato delimitato un perimetro, anche le forze hanno un loro ordine per funzionare correttamente. Ti ho mai raccontato della leggenda delle streghe di Benevento?»
Il famiglio alzò le spalle.
«Conosco solo rimandi a certi rituali e al Noce. È materia di Diluc, quel genere di storie, ricordo pochi stralci: se non erro, qualcosa relativo all’esoterismo medievale ed al cristianesimo..?»
Quella asserì.
«Vedi, secondo la leggenda, San Barbato fece erigere tre chiese per chiudere il campo di energia magica del Noce ed impedire l’afflusso corrompesse il territorio circostante. Ovviamente ci sono un sacco di falsi storici, ma in base al talismano che hai trovato potremmo trovarci di fronte ad un caso simile. Tutti sono collegati da qualcosa a che fare con l’acqua, dal lago sino al fiume Sabato e alle sue rive.»
Quindi, ripensando a quell’oggetto sradicato con forza dalla parete…
«Il carattere cinese usato sembra spaccato il simbolo dell’acqua. Forse la risposta potrebbe avere un senso se localizzassi le altre chiese.»
La strega annuì soddisfatta prima di voltarsi verso il braccio e rimettersi al lavoro, facendo cadere così un innaturale silenzio.
Era una questione di vita e morte, eppure Lisa appariva totalmente tranquilla, come pura normalità.
Kaeya ne approfittò per fare qualche passo e girovagare in quell’area proibita fatta di disegni, di parti antropomorfe di cui solo Dio sapeva cosa e minuziose caricature umane.
Era impressionante la cura la sua datrice detenesse per il più piccolo oggetto, e nonostante lì non pulisse, nemmeno un briciolo di polvere traspariva sull’oggettistica sparsa o tra le teche.
Una bambola in particolare colse la sua attenzione: gli occhi dorati parevano scrutarlo ed irrimediabilmente vide se stesso; accanto, capelli rossi di un’altra testa di quelle creazioni, coprivano lo sterno.
Che li avesse presi come modelli? Eppure i tratti facciali erano ben diversi.
Prese a toccare inconsciamente le ciocche rosse, beandosi del loro assottigliarsi con le sue dita olivastre; erano morbide come seta…
Non che ne avesse dubbio… Il talento della burattinaia Minci era terrificante.
«Se vi si investono tempo e sforzo anche  bambole e braccia artificiali possono essere create con estremo realismo, vero? Ma se non possiedono un’anima, non sono che contenitori, e questo vale egualmente per gli esseri umani. Un vuoto. Proprio come eri tu in passato.»
Mormorò Lisa, rompendo la quiete; la sua figura era appena illuminata dalla luce – non si era voltata, quasi già avesse previsto dove l’altro si sarebbe fermato: l’intuito della grande artista e creatrice di bambole, probabilmente.
Era stato alle mostre della sua datrice un paio di volte, tutti ne rimanevano sempre estasiati dalla cura magistrale e dal realismo: parevano respirare, sussurrarti di liberarle o anche solo pregare uno sguardo.
C’era solo un pezzo, in effetti,  a cui non faceva mai avvicinare, completamente velato.
Una volta aveva scorto dei capelli biondi, ma se ne era subito allontanato dato lo sguardo non esattamente gentile.
Si diceva fosse il suo pezzo migliore, nessuno oltre lei l’aveva mai visto, ed ora si trovava proprio rinchiuso nella cassa sopra le due; preferì non indagare oltre.
«Quando è venuto qui la prima volta, ha aspettato sotto la pioggia anche dopo la mia negazione. All’inizio ho pensato fosse solo un ragazzino riccastro con uno sprazzo di dono, l’avevo intravisto in molte mie esposizioni. Dovetti ricredermi, sai? Non faceva che guardare quelle bambole perché…», qui trattenne un sospiro. «Forse in loro vedeva il tuo volto.»
La mano di Kaeya si fermò di colpo; l’ombra di Lisa contro il muro fu tutto ciò che riuscì a guardare.
«L’avevo avvertito di stare lontano dal complesso Wangshen. Le persone ossessionate dalle bambole non dovrebbero avvicinarsi.»
Kaeya scoccò la lingua.
Non disse altro, lasciò andare la presa e si voltò verso le scale.
Nessuno dei due parlò oltre o insistette: nel corridoio che portava al piano superiore, riuscì a cogliere appena l’inizio di uno strampalato motivetto.
Fu qui si permise un sospiro stanco, mettendo le mani in tasca e valutando la possibilità di scusarsi per il comportamento il giorno successivo. 
Comprendeva di star diventando infantile, da una parte sembrava voler scappare dalle proprie responsabilità, dall’altra non faceva che sentire il peso della colpa addosso.
Se non fosse stato per il loro ennesimo litigare qualche settimana prima, forse nessuno dei due sarebbe finito in quella condizione così spinosa.
La testa gli scoppiava, le voci ora erano molto più forti: cercavano disperatamente di rompere la sua barriera; il confine verso il vuoto era davvero vicino, stavolta.
La luce della luna filtrava di fronte allo studio di Lisa mentre le varie sfere di quarzo rifrangevano sul pavimento: aveva preso la strada per la porta principale ed era perfettamente a conoscenza del perché il suo corpo l’avesse portato lì.
Voleva vederlo, ne aveva bisogno… No. Ne avevano entrambi bisogno, lui e l’Altro.
Buffo: bastò anche semplicemente entrare per sentire il dolore alla testa farsi più fioco.
I capelli vermigli erano sciolti, sparsi sopra il chiaro del divano e Diluc era a dir poco etereo; suonava quasi irreale pensare a quanto invece si nascondesse dietro al viso d’apparenza delicato.
Era vino d’annata in una bottiglia con un’etichetta di succo d’uva.
La sua espressione normalmente sempre stoica e che l’invecchiava terribilmente, aveva lasciato il posto ad una, invece, calma, quasi serena – l’ingelosì terribilmente.
Mentre riposava appariva finalmente della giusta età… Anzi pareva persino più giovane: se fosse stato sveglio, l’avrebbe persino canzonato.
Non poté impedirsi di avvicinarsi, di toccare la chioma cremisi, di perdere le dita in quel rosso mille volte più morbido dei capelli di quella mera bambola.
Fu quando però il corpo cadde sotto la lieve spinta, che Kaeya tornò alla realtà, spezzando quell’incantesimo durato pochi attimi.
Un suggello di emozioni: si sentì come un vaso di pandora nel pieno del caos e l’odiò.
Nella protezione della notte, calò su di lui in un bacio soffice: erano calde come il fuoco, quelle labbra, ma aride.
E lui aveva bisogno di fiamma viva.
Fu ladro mite, prima di sparire oltre l’uscio e tornare nell’appartamento, conscio del tempo che batteva i suoi rintocchi.
Le gocce di pioggia lungo il tragitto non aiutarono il suo umore, la mano rimastagli stringeva il vecchio cellulare: toccò un paio di volte lo schermo, contattando chi di dovere in quella follia; al momento, il nome lampeggiante, era detenuto dall’unica persona che poteva aver accesso liberamente alle chiese per controllare negli anfratti riservati.
Kaeya sapeva di non essere esattamente amato dai chierici e non voleva né poteva rischiare: per quanto si dilettasse a coinvolgere gente negli affari di poco conto, questa volta si trattava di un caso troppo personale e doveva ammetterlo: era stato messo al muro come un topo; quasi umiliante.
Decise di optare per il pullman cittadino stavolta ed evitare il complesso, lasciando lo sguardo cadere sulla movida serale della sua città: era tutto ciò che poteva fare così ridotto.
Tornato all'alloggio, senza dare minimo sguardo all’ambiente preferì buttarsi direttamente nel bagno.
Sotto la doccia, la voce di Diluc registrata nei messaggi del telefono struggeva la sua pace.
“Siamo sempre stati uno.”

Si addormentò con il rumore fastidioso del rubinetto che gocciolava.

 
 
 
 
“Un giuramento lega in eterno.
Il mio destino è il tuo destino.
Il mio sangue è il tuo sangue.
Impresso nelle ossa: proselito.”
Due sedicenni ripetevano le parole impresse sull’ambone; di fronte a loro, una coppa bagnata nell’oro.
“Insieme attraverso le verità del mondo
Scudo e spada.
Fiducia e lealtà.”
 
 

 

 
 
 
 
 
                               Venne svegliato dal trillo del citofono, non sapeva nemmeno che ora fosse onestamente, ma a giudicare dalla poca luce che riuscì a scorgere con la punta dell’occhio dalla finestra, doveva essere sera.
Che avesse dormito un giorno intero? – si domandò. Ed in effetti non poteva escluderlo, acciaccato com’era e letteralmente senza una parte del corpo.
Mugugnò infastidito ponendo il capo tra i cuscini.
Dire la testa gli scoppiasse era decisamente un complimento, dovette resistere all’impulso di arrovellare il tessuto alle orecchie un paio di volte.
Fu solo il fatto del – beh – ‘non avere un braccio’ ad impedirglielo.
Sbuffò e con mal voglia trascinò il suo corpo fuori dal materasso, cercando di apparire presentabile: era pur sempre Kaeya Alberich, anche le apparenze erano un lavoro duro ma importante.
Quando scoprì, comunque, chi fosse alla porta scoprendo guardingo l’occhiello, non riuscì a nascondere una non indifferente sorpresa.
«Il sovraintendente in persona alla mia porta, quale onore miss
Gunnhildr. A cosa devo la visita?» chiese, aprendo quanto bastasse l’infisso da non apparire rude.
Fece attenzione a non scoprirsi troppo: la cugina di Diluc era terribile in quanto ad osservazione…
Il posto non le era certo stato dato per il bel faccino.
Jean sospirò, mano al fianco ed occhi inquisitori; in effetti, non aveva nemmeno indosso la divisa….
Che stesse assistendo ad un evento più unico che raro, Jean in… Vacanza?
«Sir Kaeya.» incalzò quella; Alberich la bloccò prima potesse continuare: una mano appena poggiata sulle labbra.
«Jean non siamo in veste ufficiale, Kaeya va bene. Posso fare qualcosa per te?»
«In realtà ero preoccupata, Amber mi ha riferito non rispondi ai messaggi da giorni, in centrale erano decisamente caotici.»
L’uomo dai capelli blu roteò gli occhi, permettendosi un sospiro tanto spazientito, quanto – stranamente --divertito.
Forse l’idea dell’ufficio in caos non gli spiaceva poi così tanto e Jean parve capirlo perché incrociò le braccia; il sopracciglio biondo ad alzarsi.
«Ma immagino qualcuno come te non possa sprecare tempo con un malato d’influenza o sbaglio?» ammonì l’agente.
«Ti trovo stranamente arzillo in realtà» aggiunse per tutta risposta la donna, calcando molto il tono.
Kaeya sorrise furbo, iniziando una serie di tossicchi programmati poco dopo; mano al cuore, braccio a non reggersi mentre trasformava l’espressione in una contorta da puro dolore.
La sovraintendente probabilmente l’avrebbe fulminato se la sua lingua di fata non avesse trovato il giusto diversivo.
 «Oh!» esclamò infatti, guardando l’orologio. «Le sei, l’ora della medicina – Ah, Jean, non hai un appuntamento con Lisa?»
Un colorito rosso alle gote. «Come-»
«Sono pur sempre un detective, no?»
La 
Gunnhildr scosse la testa; in realtà era molto a tradirla: non solo si trattava di vestiti di tutto punto, ma anche decisamente non del genere che la donna dai capelli biondi indossava usualmente…
Oh, per non parlare del profumo, poi…
Jean si permise un sospiro, estraendo dalla borsa scura che recava con sè un pacco violaceo.
Non aveva nemmeno bisogno di conferme da chi provenisse quel genere di tinta.
«Da parte di Lisa», mugugnò. «E a proposito di Diluc…»
«Non stai facendo tardi?»
La donna morse il labbro in esitazione; che fosse preoccupata glielo si leggeva in faccia.
«La vacanza di lavoro per gli affari della Dawn Winery si sta tirando per le lunghe, Diluc semplicemente tende a non chiamare come al solito: chissà, potrebbe aver trovato piacevole compagni-»
«Kaeya!» esclamò Jean, tirando immediatamente un orecchio al giovane ufficiale.
«Si, è proprio il mio nome» bofonchiò in un piacevole riso mentre finalmente anche le spalle della sovraintendente ora apparivano più rilassate.
Jean era famiglia per lui, quasi una sorella minore: fu felice di trovarla bene.
«Cerca di rimetterti…» aggiunse, mollando la presa e sistemandogli meglio la benda sull’occhio.
Alberich annuì. Un gesto di cortesia prima di salutarsi e rientrare nell'appartamento.






 




 
                                     Prese posto sul letto, iniziando piano a scartare la scatola e accendendo nel mentre una sigaretta.
Il profumo del tabacco si disperse nell'aria riempiendo l'ambiente.
Come da aspettativa, trovò all'interno il nuovo braccio, avvolto in una serie di imbarazzanti nastrini: attaccato, un cartellino dalla fragranza di viole.
“Per ora potrebbe sembrarti scomodo, ma ti ci abituerai in fretta.” Lesse “ Due volte più robusto del precedente, neanche se uno squadrone di elefanti ci passasse sopra si romperebbe.
Spero che con questo braccio il mio piccolo aiutante sia più efficace di prima: trattalo con cura, mon cherie.”
Lisa era sul serio una donna dalle mille sorprese, si ritrovò a pensare mentre lo rigirava con la mano per osservarne bene componenti ed attaccatura.
Doveva essere delicato e non frettoloso con quel genere di oggetti, ma la scaltrezza ed intelligenza erano fortunatamente sempre state sue fidate alleate.
Lo indossò piano, chiudendo le dita e riaprendole per monitorare la reazione dei movimenti.
In effetti era diverso rispetto al precedente in quanto a pesantezza ma i riflessi sembravano abbastanza rapidi.
Ne approfittò, spegnendo il tabacco nella ceneriera sul suo comodino: il fumo prese a salire.
Con un colpo rapido di lama, riuscì a disperderlo in tagli precisi.

 
 





 
note sui significati:
❧  La canzone del capitolo precedente: da dove verrà, chissà? In realtà è un rimando alla canzone cantata da Hu Tao stessa. La versione inglese nel gioco è stata censurata/localizzata (e quando mai!) quindi non appare completa. Per chi gioca con le voci giapponesi, è la canzoncina che spesso canta, al posto di Hilichurls ci sono i coniglietti.
La canzone originale si chiama 10 conigli!

 
 
   
 
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