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Autore: beanazgul    20/05/2005    2 recensioni
di PlasticChevy traduzione di: beanazgul aka Adûnaphel Nota: Questa è la traduzione della storia originale in inglese “The Captain and the King”, scritta da PlasticChevy, un’autrice di fanfiction dotata di grande talento. E' ispirata al mondo del Signore degli Anelli, ma si tratta di un’ AU, cioè una versione alternativa del testo di Tolkien, i cui eventi prendono una strada diversa ad Amon Hen....se vi è sempre dispiaciuto vedere Boromir morire alla fine del primo libro/film, allora questa storia fa per voi! Se avrete la pazienza di avventurarvi in questa miriade di capitoli vi assicuro che non ve ne pentirete: vi lascerà senza fiato! PlasticChevy mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla e io ho cercato di fare del mio meglio per rendere giustizia alla sua bravura, anche se è un lavoro molto impegnativo perché la storia è molto complessa e mi rendo conto che una traduzione non è mai all’altezza dell’originale! Disclaimer: Il Signore degli Anelli e tutti i suoi personaggi sono proprietà di J.R.R. Tolkien e dei suoi eredi. Li sto utilizzando solo per divertimento, non per vendita o profitto.
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Aragorn, Boromir, Merry, Saruman
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 14: Verso il giorno

Capitolo 14: Verso il giorno

Un’estate dorata cominciava a stendersi sui campi di Gondor, quando il Sovrintendente cavalcò fuori dai cancelli dei Minas Tirith per rispondere alla chiamata del suo Re.

Merry, scudiero di Re Éomer, cavalcava con lui, insieme a una compagnia di uomini armati e un convoglio di carri, carichi di vettovaglie per l’esercito accampato a Cair Andros. Fedranth, il grigio stallone di Rohan, portava l’uomo e lo hobbit verso il luogo dove si sarebbe celebrata la vittoria, così come prima li aveva portati verso la guerra, e Merry gioì nel montare nuovamente a cavallo in compagnia dell’amico.

La lettera di Aragorn aveva dissipato le loro ultime preoccupazioni, assicurandoli che tutti coloro che amavano erano sopravvissuti alla battaglia, e quelli che avevano ricevuto ferite stavano guarendo, sotto le cure del Re. Solo un’ombra oscurava ancora la felicità di Merry: la decisione di Faramir era ancora una questione aperta.

Merry sapeva che la cosa non lo riguardava, e non ne aveva fatto parola con nessuno dei due fratelli sin da dopo la conversazione con Faramir nelle Case di Guarigione. Ma ora Boromir partiva da Minas Tirith, lasciando il suo incarico nelle mani del fratello, e per Merry, che pensava soprattutto a Boromir, quella decisione non poteva essere buona. Aveva osservato Boromir che consegnava lo scettro bianco del potere nelle mani di Faramir, ma aveva tenuto a freno la lingua. Ora, mentre si allontanavano dai cancelli, guardò indietro per osservare l’uomo alto e regale che stava in piedi proprio davanti alle mura - così simile al fratello eppure così diverso - con tutta la nobiltà di Gondor radunata dietro di lui, e lo hobbit si sentì prendere dal timore.

Distogliendo lo sguardo da quella vista, chiese a Boromir, a voce bassa, “Credi che sia stato saggio affidare il tuo diritto a tuo fratello?”

“È l’ ordine di Aragorn”, rispose Boromir con semplicità, “e anche il mio desiderio.”

“Ma non ha fatto nulla per sostenerti contro Imrahil, e…”

“Basta così, Merry.”

“Lo hobbit si guardò attorno per accertarsi che nessuno della scorta avesse sentito il suo discorso, e scrollò le spalle. “Certo la Guardia saprà tutto della… della parte del tuo consanguineo nella cospirazione.”

“Forse, ma ciononostante ti sarei grato se non lo annunciassi ai quattro venti.” Strinse con un gesto comprensivo il braccio di Merry, e la sua voce perse ogni traccia di irritazione. “Non temere, piccoletto. Faramir non usurperà il mio incarico. Qualunque sarà la sua scelta finale, farà il suo dovere come Sovrintendente con onore, e mi restituirà ciò che è mio al mio ritorno. Non devi preoccuparti di questo.”

Merry rifletté per un po’, poi decise che Boromir aveva ragione. Faramir non era tipo da prendere il potere con il sotterfugio e l’inganno. Se avesse deciso di rivendicare per sé la Sovrintendenza, lo avrebbe fatto apertamente, davanti al Re e al Consiglio, e solo perché sentiva che sarebbe stata la cosa giusta.

Ora che la sua mente era - anche se solo per un po’- libera dalle preoccupazioni, lo spirito di Merry si sollevò. Erano ancora in vista della città, e la voce chiara dello hobbit si alzò in un canto, mescolandosi alle voci più profonde degli uomini che cavalcavano attorno a loro. C’era un’atmosfera festosa nella compagnia, anche se erano soldati armati per la guerra, e le loro risate risuonavano come squilli di tromba.

Soltanto Boromir cavalcava in silenzio, con viso serio e grave. Merry si chiese come mai, ma non osava intromettersi nei suoi pensieri per chiedergli spiegazioni. Da quando il messaggero era giunto dall’Ithilien, con l’invito del Re a raggiungerlo, Boromir era diventato stranamente ombroso e imprevedibile. Una qualche nuova inquietudine si era abbattuta su di lui, rendendolo un momento pieno di felicità, e il momento dopo silenzioso e malinconico. In un primo momento Merry aveva creduto che si trattasse di preoccupazione nel lasciare Minas Tirith nelle mani di Faramir, ma chiaramente si sbagliava. Qualunque cosa fosse, sembrava opprimerlo sempre più mano a mano che si avvicinavano all’Ithilien e a Aragorn.

Verso mezzogiorno arrivarono a Osgiliath, dove, tra le tristi rovine della città un tempo grande, li attendeva una nave ormeggiata. Merry si guardò attorno con curiosità, osservando i ponti distrutti e le strade vuote, piangendo la desolazione dell'antica città in rovina. Caricarono la nave e levarono l’ancora, lasciando rapidamente Osgiliath sulle onde del grande Anduin.

Sceso dalla nave, Merry si ritrovò immerso in un mondo pieno di colori e di simboli come non ne aveva mai visti prima. Ovunque si vedevano le insegne di qualche esercito, ma non si trattava di insegne guerra come quelle che Merry aveva visto fino a quel momento. Qui tutto era gioia, scintillante celebrazione, le lance erano decorate con ghirlande di fiori, e i volti dei veterani, segnati dalle cicatrici, erano raggianti.

Araldi annunciarono il loro arrivo, e una scorta li condusse sul campo dove li attendevano le Armate dell’Ovest.

La magnificenza del momento travolse Merry. Non sapeva che gli uomini potessero apparire così feroci e terribili, e così felici allo stesso tempo. Si strinse accanto a Boromir, al riparo della sua presenza, e osservò con soggezione il dispiegamento di uomini davanti a sé.

Tra gli innumerevoli stendardi che decoravano l’accampamento, Merry riconobbe le insegne di Dol-Amroth e di Rohan, insieme a dozzine di altre che rappresentavano i paesi che avevano combattuto sul Pelennor davanti alle porte di Minas Tirith. Al centro dell’accampamento, sollevato fieramente dal vento, ondeggiava il grande stendardo di Re Elessar. E sotto di esso, a capo scoperto, con una cotta di maglia scintillante coperta da un mantello nero di zibellino, stava in piedi il Re in persona, sorridente.

La guardia d’onore si fece da parte mentre si avvicinavano ad Aragorn, e Merry condusse Boromir da solo attraverso lo spiazzo, con le ginocchia che gli tremavano per la sua temerarietà. Poi il suo sguardo incrociò quello di Aragorn, e la paura svanì. Egli era il Re di Gondor, ma era anche Grampasso, Ramingo del Nord, suo amico e guida. Il contegno regale di Aragorn si tramutò in uno sguardo d’affetto, quando vide il piccolo hobbit, e si fece avanti per andare incontro ai nuovi arrivati.

“Mio lord Sovrintendente, mastro Scudiero, vi do il benvenuto.”

Con grande stupore di Merry, Boromir si inginocchiò davanti ad Aragorn e chinò il capo. “Mio Re.”

“No, non farlo.” Aragorn afferrò Boromir per le spalle e lo fece alzare in piedi. “Non porto ancora la corona di Gondor.”

Aragorn strinse più forte le braccia di Boromir, e i suoi occhi sorrisero con così tanto calore da stupire Merry ancora più che l’atto di sottomissione di Boromir. All’improvviso, obbedendo a uno stesso impulso, i due uomini si abbracciarono.

“Come stai, Boromir?” Chiese Aragorn, con la voce che gli tremava per la felicità.

Boromir esitò per un istante, poi rispose, “Abbastanza bene. E tu?”

Dalle labbra di Aragorn scaturì una gioiosa risata. Fece un passo indietro, mantenendo però sempre la presa sulle braccia di Boromir, come se non volesse interrompere il contatto. “L’Ombra è caduta e la Compagnia è di nuovo riunita! Come altro potrei stare se non bene?”

Il sorriso di Boromir vacillò. “Frodo e Sam?”

“Stanno dormendo, devono recuperare le forze. Non temere per loro.”

“Allora va davvero tutto bene.”

A quel punto Aragorn lasciò andare l’amico, e come se fosse stato un segnale, la folla attorno a loro cominciò ad animarsi. Amici e nobili si fecero avanti. Aragorn si inginocchiò per abbracciare Merry, e, prima che avesse il tempo di alzarsi di nuovo in piedi, Pipino li investì con un turbinio di velluto nero, maglia d’argento e incontenibile entusiasmo. Subito dietro Pipino vennero Legolas, Gimli, e un Gandalf insolitamente gioviale. Tutto era gioia e grida di benvenuto. In quel luogo così verde e sereno, con i suoi amici attorno a sé e la musica delle risate nell’aria, Merry sentì che i lunghi mesi di oscurità scivolavano via, come il ricordo di un brutto sogno.

Dal suo accampamento sulla collina boscosa, Elenard osservava l’arrivo del Sovrintendente nella pianura sottostante. Le armate dell’Ovest erano sparse lungo il fiume, alcune di esse accampate a Cair Andros sulla riva sud, altre più lontane, nelle foreste dell’Ithilien. Quando gli arcieri di Morthond erano stati stazionati così vicino all’accampamento principale, in vista dei padiglioni dei generali, lo avevano considerato un tributo al loro coraggio in battaglia e un segno del rispetto che il nuovo Re nutriva per Morthond. Solo Elenard, divorato dai sospetti e dai sensi di colpa, dubitava che quella vicinanza fosse davvero un tributo al loro valore.

I Dùnedain grigiovestiti perlustravano incessantemente l’accampamento. Parlavano con aria noncurante con i soldati che sedevano accanto ai falò la sera, ricordando i lunghi anni di guerra che avevano afflitto Gondor, ma ad Elenard pareva che ascoltassero più di quanto parlassero. Quei Raminghi avevano un modo particolare di guardare le persone, occhi che vedevano più di quello che avrebbero dovuto, e facevano domande apparentemente innocenti, che scioglievano la lingua agli uomini. A Elenard non piacevano affatto, e non si fidava del loro improvviso interesse verso Morthond. Essi erano gli occhi e le orecchie di lord Elessar nell’accampamento, e un segnale che il Re sapeva da dove giungeva la minaccia al suo Sovrintendente.

E ora il Sovrintendente-Ombra in persona si era unito all’esercito, portando con sé l’unica creatura nella Terra di Mezzo, che, oltre allo sfortunato Hirluin, poteva riconoscere Elenard. Il mezzuomo.

Il mezzuomo lo aveva visto in viso, aveva persino incrociato la lama con lui. Il mezzuomo poteva testimoniare contro di lui e condannarlo a una morte da traditore.

Gli occhi di Elenard rimasero fissi sulla piccola figura che camminava a fianco del Sovrintendente, e i suoi pugni si serrarono con rabbia impotente. Per un momento ebbe l’impulso di estrarre il suo arco e mettere a tacere quella creatura con una freccia in gola, vendicandosi, guadagnando qualche momento in cui essere relativamente al sicuro. Ma quel pensiero svanì così rapidamente come era venuto, e la sua rabbia scemò.

Il mezzuomo aveva mandato a monte il suo tentativo di togliere la vita al Sovrintendente, ma lo aveva fatto in tutta innocenza, per amore del suo signore. Elenard non poteva condannarlo per questo. Né avrebbe ucciso a sangue freddo una creatura innocente per salvarsi la vita. Poteva anche essere un assassino e un traditore, ma non aveva ancora perduto tutto il suo onore. Aveva alzato la spada contro il figlio di Denethor nella ferma convinzione che fosse la cosa giusta, e poiché credeva che la presenza del cieco sul campo di battaglia avesse causato la morte dei figli di Lord Duinhir.

Ora, la vittoria su colui che era innominabile lo aveva privato di qualunque possibilità di recuperare il suo onore. Nessuno avrebbe più creduto che Boromir di Gondor fosse una maledizione per il suo stesso popolo. Nessuno lo avrebbe ritenuto responsabile del massacro di quegli uomini valorosi sui campi di Pelennor, o di avere sparso il terrore e l’oscurità su Minas Tirith. Nessuno avrebbe creduto che Elenard avesse agito secondo la sua coscienza e il suo dovere, quando aveva tentato di uccidere il Sovrintendente-Ombra.

Chino presso il fuoco osservando con indolenza le distanti figure del Re e del Sovrintendente, Elenard meditò su quale sarebbe stato il destino che i due gli avrebbero riservato. Lo avrebbero giustiziato come un traditore, una fine amara per un soldato. Se avesse avuto meno orgoglio, o fosse stato meno leale verso il suo signore e verso la corona di Gondor, avrebbe provato meno vergogna. Ma allora non sarebbe nemmeno stato in quel luogo, ad aspettare che la spada scendesse sul suo collo. Sarebbe fuggito, scomparso nelle lussureggianti foreste dell’Ithilien, e da lì nelle Terre Selvagge, dove un uomo coraggioso e abile poteva vivere senza Re né signore, senza città né mura di pietra. Avrebbe rinunciato al suo onore in cambio della vita.

Il viso di Elenard era teso, quando finalmente si alzò in piedi per sgranchire i suoi muscoli intorpiditi. Il suo sguardo si posò sulle fila dei soldati e degli ufficiali sul campo, sulle lance, le cotte di maglia, e gli elmi che riflettevano gli ultimi raggi del sole morente, e nei suoi occhi c’era un desiderio, un dolore che rendeva il suo viso ancora più cupo. Si chinò per raccogliere le sue armi, si mise l’arco sulle spalle, e si voltò. Con passi lenti, cominciò a salire la collina.

*** *** ***

“Avanti, amico mio, dimmi”. Aragorn si sporse in avanti per raccogliere l’otre di vino che era posato accanto a Gimli, e lanciò a Boromir uno sguardo complice. “Abbiamo parlato a lungo della battaglia, del valore dei soldati, dell’incontro di Pipino con il troll e delle bellezze naturali dell’Ithilien. Abbiamo dimenticato qualcosa di importante?”

Boromir sorrise al tono canzonatorio, ma non disse nulla. Sedeva su uno sgabello da campo, accanto al fuoco, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia e un boccale vuoto tra le mani. Il resto della Compagnia, a parte Frodo e Sam, che stavano ancora dormendo nella tenda di Aragorn, era radunato attorno al fuoco insieme ai due Uomini. Sedevano per terra o su sgabelli, sorseggiando vino, fumando la pipa, e guardando il cielo stellato mentre parlavano.

Quel senso di calore e di cameratismo era molto diverso da quello che avevano condiviso la notte prima della partenza dell’esercito. Ora non c’era più tristezza, nessuna partenza imminente a gravare i loro cuori, nessuna Ombra che li minacciava. Erano immersi in un senso di pace così poco familiare a quelli tra loro che erano guerrieri. Ma non avevano ancora vinto tutte le battaglie, e Aragorn non era ancora pronto a riporre la spada.

“Ho lasciato che ci distraessi con le tue domande, ma la mia pazienza ha un limite,” disse Aragorn. “Ora è il mio turno di fare domande, e tu dovrai rispondermi.”

Boromir continuò a tacere.

“Boromir.” Il Sovrintendente reagì al tono di comando nella voce di Aragorn, e si voltò nella sua direzione. Aragorn si allungò per riempirgli il boccale, e aggiunse, più mitemente. “Non ho dimenticato gli avvertimenti che mi hai mandato nel dispaccio. E ho notato la freddezza con cui hai salutato Imrahil. Cosa puoi dirmi di questa cospirazione? Quale minaccia ci troveremo davanti, una volta tornati a Minas Tirith?”

“Non hai nulla da temere.”

Aragorn sbuffò con disgusto. “Ciò che minaccia il mio Sovrintendente minaccia anche me. O credi forse che voglia restarmene in disparte mentre la nobiltà di Gondor organizza il mio regno a suo piacimento?”

“E se avessero ragione, Aragorn?”

“Sarò io a giudicare. Sarò io a scegliere chi mi starà accanto nel mio regno, e lo sosterrò.” Aragorn osservò pensierosamente Boromir, chiedendosi che cosa avesse risvegliato in lui questo dubbio. Certo c’era qualcosa in più che non manovre politiche di rivali. Con voce bassa, Aragorn disse, “Ora dimmi, che cosa stai cercando così disperatamente di evitare?”

Boromir sospirò. Passò distrattamente il boccale tra una mano e l’altra, con lo sguardo bendato fisso su di esso e il viso teso per la stanchezza. “Avrei preferito parlarne con te in privato. Non è un discorso piacevole da fare tra amici.”

“Con chi altri vorresti parlare del tradimento se non con coloro di cui ti fidi?”

“Non ci sono prove di tradimento. Solo voci e sussurri.”

Gimli abbatté con forza il pugno sul tavolo, e proruppe, irato, “Voci e sussurri che tu sono quasi costati la vita, Boromir!”

“Certo, proprio per questo. Vorresti che io facessi lo stesso a un altro innocente?”

Gandalf si tolse la pipa dalla bocca e parlò, con voce burbera ma gentile. “Non giudicheremo nessuno per sentito dire. Conosciamo la differenza tra il sospetto e la certezza, tra dicerie e realtà. Puoi parlare con noi senza paura.”

Un silenzio carico d’attesa seguì le sue parole, mentre tutti gli sguardi erano rivolti a Boromir. L’uomo esitò, ancora incerto, poi si volse verso Aragorn e disse, bruscamente, “Se le voci sono veritiere, il tradimento viene da coloro che più amiamo.”

Aragorn sentì un gelido terrore attanagliargli le viscere. “Continua.”

“Imrahil ha avvicinato mio fratello e gli ha chiesto di prendere il mio posto come Sovrintendente di Gondor.”

Pipino trasalì involontariamente. “No! Il lord Faramir non farebbe mai una cosa del genere!”

“Sì che lo farebbe”, mormorò Merry.

Aragorn lanciò al mezzuomo uno sguardo penetrante, poi si rivolse di nuovo a Boromir. “Cosa dice Faramir?”

“Non ha ancora fatto la sua scelta.”

“La scelta non spetta a lui. Ha forse dimenticato che Gondor ha un re?”

Boromir scosse il capo. “Non credo che mio fratello andrebbe contro gli ordini del Re. Imrahil e i suoi alleati non cercano di rimuovermi con la forza, ma di persuadermi a farmi da parte in favore di Faramir, e Faramir è il loro portavoce. Se io sono persuaso, sono certi che anche tu lo sarai.”

“Ah. Comincio a capire.” Aragorn si accigliò, sempre più preoccupato. Se Faramir stava facendo pressioni a Boromir perché rinunciasse alla sovrintendenza, Aragorn poteva ben comprendere i nuovi dubbi che lo affliggevano. Per Boromir, di tutti gli uomini della Terra di Mezzo, solo Aragorn sarebbe stato più difficile da contraddire di suo fratello. “Per fortuna non cambio le mie decisioni così facilmente.”

“Non sottovalutarli, Aragorn. Potrebbero sempre trovare un’argomentazione, o un portavoce, a cui non potrai controbattere.”

Legolas si sporse in avanti sullo sgabello, i suoi occhi che brillavano acuti alla luce del fuoco. “Di che messaggero parli, Boromir? Chi mai potrebbe tradire Aragorn?”

Boromir esitò, e il timore di Aragorn si congelò in certezza. Sapeva il nome che avrebbe udito ancora prima che Boromir lo pronunciasse, ma ciononostante il colpo fu tremendo. “Halbarad.”

Gli occhi dell’Elfo si strinsero pericolosamente. “Halbarad…” sibilò.

“Come lo sai?”, chiese Aragorn, e la sua voce risuonò estranea alle sue orecchie - aspra e piena di gelida rabbia.

“Non lo so. Solo la parola di mio fratello mi assicura che Halbarad sia coinvolto.” rispose Boromir.

“Allora potrebbe essere un errore. Halbarad potrebbe essere innocente quanto Faramir.”

“Tutti potrebbero essere innocenti, Aragorn. Non puoi chiamare un uomo traditore solo perché non è d’accordo con le scelte del suo Re.”

“Ma puoi chiamarlo traditore quando istiga altri all’omicidio!” ribatté Gimli. “Chi altri in questo vasto esercito potrebbe spargere paura e discordia meglio di un Ramingo? Si muovono a piacimento per i vari accampamenti, sono i benvenuti da sire Aragorn, e ciò che dicono viene creduto dai soldati.”

“Nessuno oserebbe spargere maldicenze contro il mio Sovrintendente in mio nome!” proruppe Aragorn.

“Non ha bisogno di farlo in tuo nome. Non c’è nemmeno bisogno che faccia sapere di essere un ramingo.
Pensi che sia difficile per Halbarad cambiare il suo mantello, coprirsi il volto, e scivolare indisturbato tra i ranghi, in mezzo a soldati stanchi e spaventati, con menzogne mortali sulle sue labbra?”

Boromir fece per protestare, ma Gandalf lo precedette. “Condanneresti un uomo sulla base di dicerie, Gimli, figlio di Glòin?”

Fu Legolas a rispondergli. “Non giudicherò nessuno, e mi ripugna dubitare del luogotenente di Aragorn, così vicino al nostro re per affetto e parentela. Ma una cosa vi dirò, e voi ne farete ciò che riterrete più giusto. Non mi sono sentito a mio agio in compagnia di Halbarad, fin da quando abbiamo lasciato Minas Tirith. In lui c’è qualcosa che mi preoccupa, e non mi piace il modo in cui parla di Aragorn. E’ come se il Re di Gondor appartenesse a lui, e noi fedeli compagni che abbiamo combattuto al suo fianco fin sotto il Cancello Nero non avessimo parte nella sua vittoria, né diritto al suo affetto o a chiamarlo amico. C’è un’ombra su di lui, Aragorn. Divento sempre più oscura man mano che attorno a noi si fa la luce. Non mi fido di lui.”

“Bisognerebbe sempre seguire il consiglio di un Elfo”, intervenne Gimli, con aria sapiente.

“Grazie per le tue parole di saggezza, mastro Nano,” disse Gandalf, la sua voce infinitamente asciutta. Il suo sguardo si posò a turno sui visi turbati e adirati dei suoi amici, e infine su quello di Aragorn, dove si fermò. “Bisognerebbe sempre seguire il consiglio di un elfo, quando se ne ha uno a portata di mano. Ma anche il nostro acuto Legolas non può dirti se Halbarad ti ha tradito oppure no. Questo dovrai giudicarlo da solo, senza basarti su voci e dicerie.”

Aragorn sostenne lo sguardo dello stregone per un lungo momento, cercando invano di leggere i pensieri di Gandalf e di capire quale fosse la strada migliore. Ma i suoi occhi, pur se pieni di comprensione, erano imperscrutabili come sempre, nel viso vecchio e barbuto. Con un sospiro, Aragorn rivolse lo sguardo verso il fuoco.

Rabbia, dolore, risentimento gli lottavano in petto. Il messaggio di Boromir non lo aveva sorpreso, ma non per questo il colpo non era stato più facile da accettare. Come Legolas, Aragorn aveva intuito che qualcosa nel suo luogotenente era cambiato. Ma a differenza dell'elfo, Aragorn se ne era accorto fin dall’arrivo dei Dùnedain a Edoras. Da quando aveva raccontato a Halbarad le sofferenze che aveva patito nei sotterranei di Isengard. Da quando egli stesso aveva innescato il processo, spendendo parole di lode per un uomo che Halbarad aveva sempre disprezzato per i suoi natali, e che ora temeva come un rivale.

Aragorn provò una familiare fitta al cuore, mentre meditava sul difficile compito di essere re. Ancora una volta, la sua missione per liberare la Terra di Mezzo e rivendicare il suo trono avevano portato in pericolo mortale coloro che amava. Non poteva abbandonare la sua missione, né rinunciare a ciò che gli spettava per nascita, ma non poteva nemmeno ignorare il fatto che Halbarad, come Boromir prima di lui, stava soffrendo a causa della sua devozione verso l’erede di Isildur. Se fosse rimasto Grampasso, Ramingo del Nord, se avesse lasciato Gondor nelle abili mani del suo Sovrintendente, forse avrebbe risparmiato ai due uomini tutta quella sofferenza.

Scuotendo il capo per bandire quegli inutili pensieri, Aragorn alzò lo sguardo e vide che Pipino lo stava fissando. Pipino si fidava di lui, del suo amico Grampasso, per risolvere quel brutto pasticcio, senza che nessuno di quelli che amava ne soffrisse. Pipino credeva ancora in lui, e la fiducia dello hobbit non poteva essere delusa.

Aragorn decise immediatamente. “Sapremo la verità da Imrahil. È stato lui a parlare con Faramir, e saprà sicuramente chi è coinvolto. Pipino, vai alla mia tenda e…”

Si interruppe sorpreso, quando una figura grigiovestita comparve improvvisamente nel cerchio di luce proiettato dal falò. Nessuno, a parte Legolas, aveva sentito i passi del Ramingo sul terreno morbido, e il suo arrivo ebbe l’effetto di una magia, e anche Aragorn ne fu sconcertato.

Il Ramingo salutò il suo Capitano con un cenno informale e disse, “Duinhir di Morthond desidera parlare con te, mio signore. Gli ho detto che stavi riposando e che non volevi essere disturbato, ma ha insistito.”

“Fallo venire”, rispose prontamente Aragorn, “E manda a dire al Principe Imrahil che ho bisogno di lui.”

L’uomo annuì e scomparve nella notte silenziosamente come era venuto. Aragorn si alzò e girò attorno al fuoco per salutare il Signore di Morthond con la dovuta cortesia. Contrariamente al silenzioso Ramingo, Duinhir annunciò il suo arrivo con il tintinnio di cotte di maglia e il calpestio di stivali, e Aragorn non fu sorpreso di vedere che era accompagnato da una mezza dozzina di uomini. Il vecchio signore avanzò nel cerchio di luce, alto e orgoglioso, con la mano sul pomo della spada e il cervo simbolo di Morthond ricamato sul petto, ma c’era qualcosa di simile alla paura nei suoi occhi. Si fermò lontano da Aragorn e si inchinò rigidamente.

“Mio signore. Chiedo perdono per la mia intrusione, ma si tratta di qualcosa che non poteva aspettare fino al mattino.”

“Non c'è bisogno di scusarsi, lord Duinhir.” Gli occhi di Aragorn ispezionarono la scorta dietro di lui, e le parole di benvenuto gli morirono in gola. “Come posso servirti?”, chiese semplicemente.

“Sono io che vengo per servire il mio re, e spero, così facendo, di riabilitare il nome di Morthond.” Con un gesto secco all’uomo dietro di lui, disse, “Mi avevi affidato un incarico, mio signore. L’ho eseguito.”

La scorta si aprì, e dai ranghi uscirono due uomini - un soldato e un prigioniero. Il prigioniero camminava di sua spontanea volontà, obbedendo all’ufficiale che lo guidava per un braccio, anche se aveva le mani legate, e il suo viso era tetro e risoluto. Indossava la cotta di maglia e il corpetto in cuoio degli arcieri di Morthond, con lo stemma del cervo sulla spalla, e si muoveva con la sicurezza di un veterano. L’ufficiale lo fece cadere in ginocchio davanti ad Aragorn.

“Quest’uomo è il sicario che era fuggito, sire Gemma Elfica”, ringhiò selvaggiamente Duinhir. Fece un cenno a un altro uomo che gli porse una spada sguainata. Porgendo a sua volta la spada ad Aragorn disse, “Lo consegno alla tua giustizia, e ti chiedo di guardare a Morthond come a un tuo fedele alleato, in questa e in tutte le cose.”

Aragorn accettò la spada, senza distogliere lo sguardo dall’uomo inginocchiato. “Come lo avete trovato?” chiese a Duinhir.

“Si è costituito e ha ammesso la sua colpa.” Un mormorio di sorpresa corse attraverso la Compagnia.

“Non c’è alcun dubbio che sia stato lui a progettare e a mettere in atto l’aggressione al Sovrintendente. I dettagli che mi ha dato sul luogo, l’ora e gli eventi coincidono con ciò che hai detto tu.”

“Voglio sentirlo da lui”, disse Aragorn.

Un movimento alle sue spalle catturò la sua attenzione, e Aragorn si voltò, vedendo Legolas che gli porgeva la sedia. Lo ringraziò con un cenno e si sedette, assumendo inconsciamente una posa regale e minacciosa, tenendo la spada del prigioniero di traverso sulle ginocchia. Il resto della Compagnia si sistemò alle sue spalle e ai lati, come un pubblico formale. Boromir stava in piedi alla sua destra, con Merry al suo fianco, e Aragorn non poté trattenersi dal guardare per un istante il suo viso, cercando di cogliere la sua reazione. Il Sovrintendente aveva un aspetto impassibile che anche Aragorn si augurava di avere.

Rivolgendo uno sguardo gelido all’uomo inginocchiato, Aragorn domandò, “Chi sei?”

“Elenard di Morthond, mio signore.”

“Elenard di Morthond, è vero che hai tentato di assassinare il Sovrintendente di Gondor?”

“È vero.” Elenard spostò lo sguardo su Boromir, e sembrò intuire che il cieco voleva udire un altro poco la sua voce. Obbediente, continuò. “La notte prima che marciassimo, io e il mio compagno abbiamo trovato il Sovrintendente in un giardino, nella parte alta della città. Era solo - indifeso, pensavamo - una facile preda. Abbiamo tentato, e abbiamo fallito. Quella piccola creatura,” e indicò verso Merry, “ce lo ha impedito.”

Prima che chiunque altro potesse parlare, Merry balzò in avanti abbandonando il suo posto accanto a Boromir, col viso furente e gli occhi che lampeggiavano di rabbia.

“Codardo! Io ti conosco! Tu sei il vigliacco che non ha voluto combattere contro di me! Beh, ora ho una vera spada, e ti insegnerò io cosa accade a chi vuole uccidere i miei amici! Slegalo, Aragorn, e dagli la sua arma…”

“Pace, Merry.” Il pacato ordine di Aragorn calmò lo sfogo di rabbia dello hobbit, e lo fece tornare al suo posto, ma il fuoco della vendetta bruciava ancora negli occhi di Merry.

“Boromir? È lui?”

“Sì.”

“Allora non ci sono dubbi. Sei un vile traditore, Elenard, e hai disonorato il nome del tuo popolo.”

Elenard chinò il capo e attese in silenzio.

“Pagherai con la vita. Non c’è perdono per il tuo crimine, e non ti posso promettere alcuna pietà. Ma se vuoi morire con una qualche parvenza di onore, o chiedere perdono per il male che hai commesso, ti concedo di farlo.”

“Non cerco pietà,” ringhiò Elenard, e per la prima volta, Aragorn udì una nota di sfida nella sua voce, “ma nemmeno tu puoi privarmi del mio onore. Io sono fedele al mio signore e alla Corona di Gondor! Non sono un traditore!”

“E chi governa Gondor in assenza del re?” domandò Aragorn, sentendo la rabbia in lui crescere pericolosamente. “A chi devi la tua fedeltà, se non a lui? Non puoi alzare la tua spada contro il Sovrintendente di Gondor e dire che sei fedele alla Corona di Gondor! Per quello che hai fatto, ti ucciderei volentieri con le mie mani, e se non fossi un re con dei doveri verso il mio popolo che chiede giustizia, anche per quelli come te, tu non usciresti vivo da questo luogo!”

Le sue parole infuriate risuonarono nel silenzio, e nessuno attorno a lui osò romperlo, tanto era il peso della sua ira che aleggiava nell’aria. Elenard continuava a tenere gli occhi bassi e le spalle incurvate, ogni traccia di sfida scomparsa dal suo contegno. Gli uomini di Duinhir si agitarono nervosamente, mentre con lo sguardo cercavano la sicurezza della notte oltre il falò, ritirandosi dai visi immobili e spietati dei compagni del Re.

Aragorn abbassò lo sguardo sull’uomo prostrato, e si ricordò che questi non era che un mezzo, una pedina nelle mani del Nemico. Si era consegnato spontaneamente al suo signore, sapendo che gli sarebbe costato la vita, piuttosto che fuggire ricoprendosi di infamia, e Aragorn doveva trattarlo con giustizia. Giustizia, non vendetta. Il dovere prima di tutto.

“Chi ti ha spinto a fare questo?” chiese, di nuovo calmo e controllato.

Elenard esitò per un solo momento. “Hirluin, anch’egli di Valle Cepponero.”

“È l’uomo che teniamo prigioniero a Minas Tirith,” disse Boromir.

Aragorn annuì, ma non distolse lo sguardo da Elenard. “Ci sono altri?”

“No, mio signore.”

“Nessuno vi ha aiutato a progettare il vostro atto o a coprire la vostra fuga?”

“No.”

“Molto bene, per il momento questa risposta mi basta. Ora, Elenard, ti concedo di giustificare le tue azioni.”

“Cosa dovrei dire?” chiese il soldato.

“Dimmi perché hai tentato di uccidere il mio amico.”

La minaccia nella voce di Aragorn fece trasalire Elenard, ma l’uomo mantenne il suo contegno, e rispose con decisione. “Ho fatto ciò che ritenevo giusto per scacciare il Nemico dalla città e per dare all’esercito una speranza di vittoria.” Esitò, poi aggiunse, bruscamente, “E per vendicare i miei giovani signori.”

“I tuoi signori?” Aragorn guardò Duinhir e vide un’espressione addolorata e sconvolta sul suo viso. L’anziano signore si voltò per nascondere il suo turbamento.

“I figli di Duinhir sono morti innanzi ai cancelli di Minas Tirith, quando il Sovrintendente-Ombra cavalcava tra noi”, ruggì Elenard.

“Boromir ha forse ucciso i tuoi signori?”

“Sono stati gli orchi di Mordor a ucciderli, ma è stata la sua presenza sul campo di battaglia che ha segnato la loro condanna! Non sarebbero morti, se lui se ne fosse restato entro le mura della città, con la spada nel fodero e il suo sventurato volto nascosto, come si addice a un relitto inutile di soldato!”

Un mormorio di rabbia si alzò dagli astanti, ma Elenard li ignorò. Per la prima volta, si rivolse direttamente a Boromir, e ad Aragorn parve che i due uomini fossero soli, intenti a una battaglia di volontà che non riguardava nessun altro. “Come hai potuto, tu, veterano di tante guerre, portare su di noi una tale disgrazia? Come hai potuto gettare la tua oscurità su di noi in un momento come questo?”

“Che cosa avresti fatto al mio posto?” domandò Boromir. “Avresti lasciato la tua spada nel fodero e nascosto il tuo viso, mentre un esercito di orchi si riversava attraverso i cancelli della città? Io non temo alcuna maledizione, Elenard. Non ho colpa per la morte dei tuoi signori. Ma se invece avessi lasciato che la Città Bianca cadesse nelle mani del nemico senza alzare un dito per proteggerla, allora sì che sarei stato una disgrazia per il mio popolo!”

“Certo, hai scacciato gli orchi dai cancelli. Ma i segni? I presagi?”

“Quali presagi? Sauron è caduto, Minas Tirith è libera, e io vivo. Che segno è questo?”

“È stato il Re a sconfiggere l’Innominabile. Il sire Gemma Elfica, uscito dalla leggenda per salvarci dall’Ombra. Non tu, figlio di Denethor.”

Boromir scosse le spalle. “È vero. Ma non ho nemmeno gettato Gondor nell’oscurità, né causato la sconfitta dell’esercito dell’Ovest cavalcando con loro. Se davvero fossi una maledizione non sarei certo un granché.”

La risposta di Elenard andò persa nell’agitazione dovuta all’arrivo di Imrahil. Il Principe si avvicinò al fuoco, seguito dalla sua scorta, un Ramingo solitario che si muoveva senza rumore accanto a lui. Quando i due uomini entrarono nel cerchio di luce, Aragorn vide che il Ramingo era Halbarad. Il Re lo osservò con sospetto, incerto se essere lieto o irritato che il suo luogotenente avesse deciso da sé di unirsi alla riunione, ma non fece alcun commento.

Imrahil si fermò a qualche passo da Aragorn e dal prigioniero inginocchiato, e il suo sguardo stupito vagò sui membri del gruppo. “Mi hai mandato a chiamare, mio signore?”

“Sì. Grazie per essere venuto così in fretta.”

Imrahil annuì, e corrugò la fronte quando guardò il prigioniero. “Questo chi è?”

“Il sicario scomparso.” Imrahil si accigliò ancora di più, e fece un passo avanti. Stava per parlare, ma Aragorn lo fermò con un gesto della mano.

“Chiedo la tua pazienza, Imrahil. Quando avrò finito con quest’uomo, ti dirò perché ti ho mandato a chiamare.”

Imrahil obbedì, ritirandosi accanto ad Halbarad. Aragorn notò il modo in cui i due si avvicinarono, in quell’atmosfera carica di tensione. Rivolgendosi a Elenard, disse, “È chiaro che sei stato solo uno strumento nelle mani di una mente più subdola e scaltra, e provo pietà per te.”

“Tutti nell’esercito sanno che la venuta del Sovrintendente-Ombra porterà sconfitta e oscurità! Chiedetelo a qualunque soldato, attorno a qualunque falò, e vi dirà la stessa cosa!”

“Lo so, perché tutti avete prestato ascolto alle stesse maldicenze. Ora ascolta me, Elenard di Morthond. Non sono forse io il sire Gemma Elfica, uscito dalla leggenda per salvarvi dall’Ombra?”

“Sì…”

“Allora prestami ascolto e credi a ciò che dico. Non esiste una tale credenza, non c’è nessun presagio di sventura. Questa superstizione è stata diffusa tra voi per alimentare la vostra paura e indebolire la vostra ragione. È una menzogna, Elenard. Nulla di più. Poiché tu l’hai creduta, hai perduto il tuo onore, infangato il tuo nome, e ti sei condannato a una fine da traditore.”

Elenard si inumidì le labbra nervosamente, e lanciò a Boromir uno sguardo furtivo. “Forse…forse ho dubitato…dopo la nostra vittoria davanti al Cancello Nero.”

“Per questo ti sei consegnato al Lord Duinhir?”

L’uomo esitò, poi fece un cenno col capo che passò per un assenso.

Aragorn si sporse in avanti sul suo scranno. “Guardami.” Riluttante, Elenard sollevò lo sguardo per incontrare quello del re, e Aragorn lo fissò intensamente negli occhi, cercando qualche traccia di falsità o di inganno. “Chi ti ha messo in testa questa menzogna?” domandò a bassa voce.

Elenard scosse la testa. “Nessuno. Non lo so!”

“Non sperare di ingannarmi, Elenard. Dimmi chi ha versato questo veleno nelle tue orecchie.”

“L’ho sentito dire in tutto l’accampamento. Dalla notte dopo la battaglia, quando si diffuse la storia della morte dei giovani signori, e dell’incursione del Sovrintendente fuori dai cancelli… era sulla bocca di ogni soldato!”

Aragorn continuò a fissarlo ancora per un momento, poi si sedette di nuovo all’indietro con un sospiro. Osservò il prigioniero pensierosamente, poi posò lo sguardo sui visi pallidi e tesi che lo circondavano. Duinhir e i suoi uomini sembravano i più scossi.

“Solo un’altra domanda. Hai visto estranei nel tuo accampamento quella notte, o prima che partissimo da Minas Tirith?”

“Certo.” Elenard lo guardò confuso. “Molti. Eravamo in mezzo a tanti soldati. Uomini di Anfalas, dell’Ethir, di Lamedon…tutti si muovevano liberamente tra le tende e parlavano con gli amici.”

“E c’era qualcuno le cui insegne non conoscevi? O la cui presenza era sospetta?”

“Non che io ricordi, mio signore.”

“Molto bene.” Alzandosi dal suo scranno, Aragorn porse la spada di Elenard a Pipino, e fece il giro attorno al fuoco. Si avvicinò a Duinhir tendendogli la mano. Il signore di Morthond rispose alla sua stretta con gratitudine. “Mi hai reso un grande servizio, Duinhir, e ti ringrazio. Ma ho un ulteriore compito da affidarti.”

“Sarò lieto di servirti come potrò.”

“Parla ai tuoi uomini. Trova chi è stato il primo a diffondere la diceria del Sovrintendente-Ombra, risali alle origini. Chiedi ai signori delle terre vicine, a quelli che sono accampati attorno a voi, e i cui uomini vagano liberamente per il vostro accampamento. Non credo che questo vile tradimento venga da voi, ma è venuto alla luce tra i vostri uomini, e perciò è tra loro che dobbiamo cominciare a cercare.”

“Farò tutto ciò che è in mio potere per trovare i traditori, mio signore.”

“So che lo farai. E ora, ritornate alle vostre tende con i miei ringraziamenti, e lasciate a me questo disgraziato.”

Duinhir si inchinò e si voltò per andarsene, con i suoi uomini dietro si lui. Non appena i loro passi furono svaniti nell’oscurità della notte, la tensione accanto al fuoco si allentò visibilmente. Legolas e Gimli affiancarono il prigioniero, posando le mani sulle loro armi con un’aria di calma vigilanza. Pipino posò con cautela la spada di Elenard sull’erba, poi prese il suo boccale di vino e si sedette su una sedia vuota per osservare comodamente gli altri. Anche Gandalf si sedette, ma non trascurò il compito che li aspettava oltre il tempo necessario per accendersi la pipa.

Boromir si sarebbe volentieri ritirato in un posto tranquillo lontano dal falò, ad aspettare, ma Imrahil lo prevenne, posandogli una mano sul braccio e chiedendo, “E' vero, Boromir? Hanno preso l’assassino e svelato la cospirazione?”

“Sì.”

“Abbiamo trovato soltanto l’arma, non il traditore”, disse Aragorn, più aspramente di quanto avesse voluto.

Imrahil si voltò rapidamente verso di lui. “Che cosa vuoi dire, mio signore?”

Aragorn ignorò la sua domanda. Ritornando presso il fuoco, si avvicinò al prigioniero, e per la prima volta, non c’era rabbia nei suoi occhi mentre guardava l’uomo legato.

Indicando Imrahil chiese, tranquillamente, “Conosci quell’uomo, Elenard?”

“È il Principe di Dol Amroth, mio signore. Abbiamo combattuto molte volte sotto lo stendardo del Cigno.”

L’arciere chinò la testa in un piccolo inchino a Imrahil. “Mio signore, principe.”

Imrahil si accigliò , senza rispondere al saluto.

“Hai mai parlato con lui?”

“No, signore.”

“Lo hai mai visto parlare con qualcuno dei tuoi compagni nell’accampamento di Morthond?”

“No, signore. Prima di stanotte non lo avevo mai visto che sul campo di battaglia, e anche lì solo da lontano.”

“Che follia è mai questa?” domandò il principe.

“Pazienza, Imrahil. Ho quasi finito.” Spostò lo sguardo dal Principe al Ramingo silenzioso, che si era tenuto un po’ in disparte, al limite del cerchio di luce.

“Vieni avanti, Halbarad.”

Halbarad si mosse come un’ombra sull’erba, avvicinandosi fino a essere accanto a Aragorn. Il suo viso era tranquillo e impassibile, i suoi occhi non tradivano altro che curiosità mentre osservavano Elenard.

“Conosci quest’uomo?” Chiese Aragorn al prigioniero.

“Certo, è uno dei vostri Raminghi, mio signore.”

“Lo hai mai visto nel tuo accampamento?”

“Molte volte.”

“Davvero? Quando?”

“Durante la marcia sulla Terra Nera. I Raminghi vagavano per il nostro accampamento - cercandomi, così pensavo - e lui è venuto spesso.”

“E prima di lasciare Minas Tirith?”

“Elenard osservò attentamente il viso immobile, poi scosse le spalle. “Forse. Non ricordo.”

Halbarad non ebbe alcuna reazione, ma Imrahil stava perdendo la calma. Con le guance in fiamme, spalancò gli occhi e disse, “Dobbiamo ora essere esaminati da un traditore? Te lo chiedo di nuovo, mio Re, cosa significa tutto ciò?!”

“È bene che tu ricordi chi sono!” ribatté Aragorn, sfogando un po’ della sua rabbia. “Stai attento alle condanne che lanci, Principe Imrahil, perché potrebbero ricadere sul tuo capo! Elenard, tu andrai con questo Elfo e questo Nano, che ti condurranno dai tuoi carcerieri. Rimarrai sotto stretta sorveglianza fino a che non raggiungeremo Minas Tirith, e là deciderò il tuo destino. Non parlerai a nessuno senza il mio permesso, e non tenterai di fuggire, o sarai ucciso senza pietà. Mi capisci?”

“Sì, mio signore.”

“Bene. Legolas, Gimli, portatelo da Éomer. Credo che con gli uomini di Rohan sarà al sicuro e ben sorvegliato.”

Gimli proruppe in una breve risata. “Non se Éomer sa di chi si tratta!”

“Voi direte a Éomer da parte mia che voglio che mi consegni il prigioniero nella Torre di Guardia, illeso. E ditegli che affido a lui questo compito perché mi fido di lui completamente. Fallo alzare, Legolas.”

Legolas prese Elenard per un braccio e lo fece alzare con facilità. L’uomo si inchinò ad Aragorn, e, dopo un momento di esitazione, anche a Boromir e a Imrahil. L’Elfo e il Nano lo afferrarono per le braccia e lo condussero lontano dal fuoco, e Gimli andandosene lanciò un ultimo sguardo minaccioso a Halbarad.

Aragorn distolse lo sguardo dalle figure che si allontanavano, e vide che Boromir era rimasto in piedi accanto a lui. Lo sguardo del Re si posò sul viso del Sovrintendente per un momento, vedendovi tensione e stanchezza, e Aragorn improvvisamente desiderò di potergli risparmiare ulteriori amarezze, almeno per quella notte. Vedendo il dolore scolpito in quel viso familiare, capì quanto profondamente Boromir soffrisse nell’essere la causa di tanta agitazione, e l’oggetto di tanto disprezzo.

“Non c’è bisogno che tu resti, Boromir,” disse Aragorn. “Tu e Merry venite da un lungo viaggio e dovreste riposare.”

Boromir sorrise senza allegria, facendo apparire il suo viso ancora più teso. “Vorrei sentire quello che ha da dire il mio consanguineo.” Tese una mano a Merry, che non era mai più lontano di un passo o due da lui, e il mezzuomo si avvicinò prontamente. “Sei stanco, Merry? Forse tu e Pipino volete stare un po’ insieme.”

“No.” Merry mise la sua piccola mano nella grande mano di Boromir. “Anch’io voglio sentire.”

“Lo vogliamo tutti,” intervenne Gandalf, bruscamente. “Hai molto da spiegare, Dol Amroth.”

Imrahil osservò un viso dopo l’altro, trovando solo sguardi implacabili e visi contratti, senza comprensione. Il suo viso era innaturalmente pallido, perché l’indignazione aveva lasciato il posto alla consapevolezza. “Hai parlato con Faramir”, disse infine, con voce piena di dolore.

“Mi ha detto della tua cospirazione”, rispose Boromir.

Imrahil raddrizzò il capo orgogliosamente, irrigidendosi. “Cospirazione? È una parola dura per una leale alleanza tra uomini per una giusta causa”.

“Chiamala come vuoi, il fine è il medesimo. Stai cercando si privarmi del mio diritto di nascita per darlo a mio fratello, andando contro le leggi di successione e il volere del tuo Re.”

“Non farò nulla contro il volere del mio Re, ma come suo leale vassallo è mio diritto e dovere esprimere le mie preoccupazioni a questo riguardo. Se le mie parole non contano per lui, allora sia. Mi inchinerò al suo volere, in questa come nelle altre cose. Ma non resterò fermo a guardare senza consigliare la sua scelta su un argomento così importante come il futuro di Gondor!”

Aragorn fissava il Principe con uno sguardo fermo e neutrale che sapeva essere irritante quanto uno scoppio d'ira. “Un bel discorso, Imrahil, ma non risponde alla domanda riguardo al tradimento.”

“Quale tradimento?” Aragorn poteva vedere lo stupore oltre il suo orgoglio ferito.

“Che cosa ho fatto, se non parlare con un mio consanguineo a proposito del bene di suo fratello?”

“Non lo so. Che altro hai fatto?”

Imrahil si agitò, a disagio, ma sostenne lo sguardo di Aragorn senza tirarsi indietro. “Se hai parlato con Faramir, sapete tutto il mio ruolo in questa storia.”

“Te lo chiederò apertamente, Principe Imrahil, ed esigo una risposta diretta. Sei stato tu a diffondere dicerie tra gli eserciti del Sud per incitare gli uomini a fare del male a Boromir?”

Gli occhi di Imrahil si spalancarono per lo sconforto. “Non sono stato io”.

“Hai parlato con qualcuno che ha suggerito una tale azione, o che si vantava di averlo fatto?”

“No! Santo cielo, Aragorn, per chi mi hai preso?! Boromir è mio consanguineo! Pensi che avrei alzato la mano contro di lui, o che avrei permesso a un altro di farlo?”

“Volevi privarlo della sua primogenitura.”

“Per proteggerlo! Per risparmiargli gli orrori sofferti da suo padre!” Rivolgendosi a Boromir, tese una mano e disse, quasi implorando, “Sai che non avrei mai fatto una cosa del genere, Boromir! Non puoi crederlo!”

“Non voglio crederlo,” rispose Boromir, la voce bassa e carica di emozione, “Ma nulla è stato come io volevo, da quando sono tornato. Sono tornato a casa per porre la mia spada e la mia vita al servizio di Gondor, come un suo figlio devoto, solo per scoprire che essa non mi riconosce più.”

Il viso di Imrahil si fece pallido, e la sua bocca si contrasse. Restò a bocca aperta. “Ve lo giuro, a entrambi, sul mio onore. Non ho commesso una tale viltà.”

Aragorn continuò a fissarlo per un momento, esaminando la sincerità dei suoi occhi, poi annuì brevemente. “Ascolterò le tue preoccupazioni riguardo il mio Sovrintendente quando terrò Consiglio a Minas Tirith. Fino ad allora, mi aspetto che tu lo appoggi in tutto e per tutto con onore. Ricorda, mio lord Principe, che la Corona di Eärnur non è ancora sul mio capo. Non sono ancora il vostro Re. È a Boromir, Sovrintendente di Gondor, che devi la tua fedeltà.”

“Non l’ho dimenticato.”

“Molto bene.”

“Posso congedarmi, ora, sire Aragorn?”

“Dimmi solo un’altra cosa. Chi altri fa parte di questa… alleanza?” Aragorn vide che Imrahil esitava, e lesse il sospetto sul suo viso. “Ti riterrò innocente dall’accusa di tradimento, Imrahil, così come chiunque sia con te e agisca in buona fede. Ma qualcuno ha tentato di fare del male a una persona a cui tengo come a me stesso. Non posso permettere che resti impunito.”

“Avete il vostro sicario.”

“Sai bene quanto me che Elenard è stato semplicemente lo strumento di qualcuno di più scaltro. Forse troverò il colpevole tra i tuoi alleati. Forse no. Ma devo pur cominciare da qualche parte.”

Imrahil considerò le sue parole per un altro momento, poi finalmente annuì. Diede ad Aragorn molti nomi, rappresentanti di molti nobili casate di Gondor, e un buon numero di alleati più distanti, compresi Lord Taleris e Faramir. Quando ebbe finito, lanciò uno sguardo penetrante a Halbarad e disse, “È stato il tuo luogotenente a venirmi a cercare per convincermi a parlarne con Faramir.”

“Halbarad?”

“Sì.”

Aragorn non ebbe il coraggio di guardare il ramingo mentre parlava. Temeva che la sua forza non sarebbe stata sufficiente, e non voleva perdere la calma di fronte a Imrahil. Tenendo lo sguardo fisso sul principe, disse, “Grazie per il tuo aiuto.”

Imrahil si inchinò con rigidezza. “Spero che troverete il colpevole di questo crimine.” Rivolgendosi a Boromir aggiunse, “E spero che tu capisca la ragione per cui faccio questo, Boromir. Come te, voglio solo proteggere il mio paese.”

“Non ne discuteremo ora,” rispose Boromir, calmo.

“No, non ora. Vi auguro una buona notte.” Con un altro rigido inchino rivolto a tutti i membri della Compagnia, si voltò e si allontanò con fierezza verso l’oscurità oltre il fuoco.

Ancora prima che il Principe fosse fuori portata della sua voce, Gandalf si alzò in piedi. Sorridendo a Pipino, con il suo solito luccichio divertito negli occhi, disse, “Vieni, Mastro Took. Andiamo a cercare una panca dove riposare le nostre stanche membra mentre fumiamo la pipa insieme.”

Pipino scese dalla sedia e mise le mani in tasca. “Ho lasciato il sacchetto nella tenda.”

“Allora andremo a prenderlo, se hai qualche buona foglia di Pianilungone da dividere con un vecchio amico.” Lo stregone condusse lo hobbit verso il limite dello spiazzo illuminato dal fuoco, e mentre passava lanciò ad Aragorn uno sguardo grave e carico di comprensione. “Merry? Boromir? Volete unirvi a noi?”

Boromir arruffò i capelli di Merry in un inconsapevole gesto di affetto, e disse, “Io andrò all’accampamento di Rohan. Credo che Èomer abbia un posto tranquillo dove farmi dormire, e ho intenzione di passare la notte con i Rohirrim. E tu Merry?”

“Io verrò con te”, disse Merry. “Il Re mi ha offerto un posto alla sua tavola e un letto nella sua tenda, se li desidero.”

“Allora andiamo, mastro scudiero.”

Congedandosi a bassa voce da Aragorn, i quattro compagni si allontanarono rapidamente. Aragorn ne fu grato ma allo stesso tempo dispiaciuto. Non voleva che assistessero a quello che stava per accadere, ma avrebbe voluto avere la loro presenza accanto per sostenerlo. Tenne lo sguardo fisso verso le ombre notturne che li avevano inghiottiti, mentre cercava di dominare le sue emozioni contrastanti, e di trovare le parole per rivolgersi al suo consanguineo.

Dietro di lui, Halbarad si mosse, e parlò, con voce calma. “Devo occuparmi del cambio delle sentinelle.”

“No, non andare!” Aragorn si voltò all’improvviso e vide che Halbarad non si era mosso. I suoi occhi incontrarono quelli di Aragorn, fieri e solenni, e sebbene la sua mano fosse posata sull’elsa della spada, non c’era minaccia nel gesto. Era la posizione di attesa che usava sempre quando ascoltava gli ordini del suo capitano. Aragorn ricambiò il suo sguardo, senza cercare di nascondere il suo turbamento.

ra Halbarad, che ora stava in piedi di fronte a lui. Quello era un uomo che conosceva quanto se stesso - un uomo che aveva combattuto e sofferto accanto a lui durante i lunghi anni di esilio, che lo aveva aiutato nei momenti più oscuri della sua vita e non aveva mai vacillato nella sua lealtà. Erano dello stesso sangue. Condividevano un comune destino e un affetto non comune. Quando un’ombra cadeva su di uno, anche l’altro la sentiva. E ora, quando avrebbero dovuto rallegrarsi per quel legame d’affetto, ne erano invece feriti.

Era una tortura per Aragorn pensare che il suo consanguineo potesse averlo tradito. E che la motivazione di Halbarad fosse stato il suo amore per il suo re lo rendeva ancora più difficile da sopportare. Era vero che il Ramingo non aveva ancora fatto nulla per meritare il nome di traditore, per quanto ne sapeva Aragorn, ma il suo ruolo nella coalizione contro Boromir dimostrava che era capace di una gelosia e di un rancore che Aragorn trovava terribili. Anche se Halbarad si fosse dimostrato innocente da ogni torto, Aragorn non sarebbe più stato capace di guardarlo con la stessa fiducia e lo stesso amore incondizionato di prima.

Halbarad doveva aver capito il conflitto che lo tormentava, e certo sapeva come anticipare i suoi pensieri. Un piccolo sorriso apparve sul suo viso, disturbandone la solennità, senza però raggiungere i suoi occhi gelidi.

“Vuoi interrogare anche me? Dove mi trovavo in quel momento? Con chi ho parlato?”

“Devo farlo.” La voce di Aragorn suonò inespressiva alle sue orecchie. “Devo sapere da che parte stai, Halbarad.”

“Io sto con te, come sempre. Se lo metti in dubbio, allora non sei più l’uomo che ho seguito per tutta la Terra di Mezzo.”

“Uno di noi è cambiato. Questo è chiaro.” Improvvisamente, l’amarezza e il dolore riaffiorarono con violenza, facendo perdere il controllo ad Aragorn, e spingendolo a fare una difficile domanda. “Come hai potuto tradirmi così, Halbarad? Perché?”

Il viso di Halbarad si irrigidì in una maschera furiosa, e i suoi occhi fiammeggiarono. “Hai dimenticato di chi è figlio? Hai dimenticato gli insulti, il disprezzo, il disdegno che hai sofferto per colpa di suo padre?”

“Boromir non è suo padre!”

“Ma è stato cresciuto da lui! Allevato e viziato, e incoraggiato da lui nelle sue vili ambizioni! Come puoi guardarlo in viso senza vedere l’orgoglio di Denethor? Ricordati di Thorongil, non fidarti del figlio di Denehtor!”

“Lo ricordo, Halbarad. Ma più di tutto, ricordo l’amarezza che tu hai provato, quando l’ostilità di Denethor costrinse Thorongil a lasciare Gondor. Ma te lo dissi allora, e te lo ripeto ora, il tempo non era maturo per la mia venuta. Era giusto lasciare Minas Tirith al suo legittimo signore e aspettare il momento per conquistare la corona apertamente, sul campo di battaglia, sconfiggendo il nostro nemico. Ho seguito il consiglio di Gandalf e non l’ho mai rimpianto.”

“Certo.” La mano di Halbarad si strinse attorno all’elsa della spada, mentre cercava di dominare la sua rabbia. “Tu hai sempre considerato il consiglio di Gandalf più di ogni altra cosa.”

“Mi stai dicendo che non ti fidi di Gandalf?”

“Ti sto ricordando che è stato Gandalf a metterti in guardia contro Boromir.”

“Ti sbagli.”

“Ti ha detto che Boromir era troppo il figlio di suo padre per ascoltare i consigli dei saggi. Gandalf non ha forse sempre guardato a Faramir, per il bene di Gondor? Secondo la sua opinione, Faramir è un uomo saggio, capace di giudizio e di comprensione, mentre Boromir è un uomo orgoglioso, ambizioso ed egoista!”

“Gandalf ha cambiato la sua opinione. Ma tu… tu non conosci Boromir! Non sai quello che ha passato e sofferto per conquistare il suo posto al mio fianco.”

“So solo che tu hai lasciato che la pietà offuscasse il tuo giudizio.”

na grande rabbia, cieca e furibonda come quella di Halbarad, si impadronì di Aragorn. Amarezza, dolore, rimpianto - tutto era scomparso, divorato da quella rabbia. Ma contrariamente ad Halbarad, Aragorn non perse la calma. Rimase fermo e immobile, il suo viso freddo e duro come il diamante, e la sua voce bassa e pericolosa. Solo i suoi occhi tradivano la sua emozione. Scintillavano feroci alla luce del fuoco, e per un terribile momento, Aragorn sembrò poter fustigare l’altro uomo solo con la forza del suo sguardo, strappare carne e vestiti per scoprire la sua anima e leggere la sua colpevolezza.

“Stai dimenticando te stesso, Halbarad.”

Il Ramingo trasalì impercettibilmente, riconoscendo la pericolosità che si nascondeva nella sua voce calma, ma non cedette. “Non dimenticherò mai ciò che devo all’Erede di Isildur. Ti servirò fino alla morte, che tu lo accetti o no, e combatterò finché avrò forza per proteggerti!”

“Se hai spinto i fedeli vassalli di Gondor alla violenza contro il loro Sovrintendente, allora sei un traditore. Ma non avrai una fine da traditore.”

Il dubbio balenò negli occhi di Halbarad. “Che cosa intendi dire?”

Aragorn si avvicinò di un passo, portando con sé la minaccia silenziosa della sua rabbia. “Tu non morirai insieme a Elenard e Hirluin. Non arriverai al patibolo. Se scopro che hai tentato di assassinare Boromir, ti ucciderò io con le mie stesse mani.”

Halbarad deglutì, e la tensione nell’aria fece sembrare il rumore penosamente forte. “E se non l’ho fatto?”

“Allora non sei un traditore.” Non aggiunse altro, perché non sapeva cos’altro poteva offrire. Le parole erano state troppo crude, troppo amare, e la possibilità del tradimento era troppo reale per ammettere un gesto più amichevole.

“Crederai alla mia parola? O l’amore per il figlio di Denethor ti ha avvelenato a tal punto da metterti irrimediabilmente contro di me?

Aragorn sentì il viso contrarsi, e vide una nuova paura negli occhi di Halbarad. “Dimmi la verità, e io lo saprò.”

“Non ho spinto Elenard all’omicidio”, disse il Ramingo, con una nota di ostilità nella sua voce che non riuscì a controllare. “Non ho parlato a nessuno con quell’intenzione, né desidero la morte del legittimo governante di Gondor. Tutto ciò che ho fatto e che faccio, è per il tuo bene. Non voglio altro che tu prenda la Corona e che Gondor sia in pace nelle tue mani.”

Aragorn osservava il suo viso intensamente mentre parlava, e capì che Halbarad diceva il vero. Non gli sfuggì l’attenta scelta di parole da parte del Ramingo, e non poté fare a meno di chiedersi quali altre verità, meno piacevoli, si celavano dietro quelle accorte frasi, ma non disse nulla. Non aveva prove che Halbarad gli stesse nascondendo qualcosa, e non aveva alcuna ragione di dubitare di lui se non i suoi stessi dubbi. Per quella notte, le sue nude verità, per quanto insoddisfacenti, avrebbero dovuto bastare.

“Cosa ne dici, Aragorn?” domandò Halbarad. “Ti ho detto la verità?”

“Sì.” Aragorn si ritrasse da lui, improvvisamente troppo stanco per sostenere ancora il suo sguardo. Le parole successive gli si bloccarono in gola, ma si sforzò di pronunciarle ugualmente. “Ti ringrazio.”

Halbarad non disse nulla per un lungo momento, e Aragorn si accorse che il suo buon senso stava lottando contro il suo orgoglio ferito, oscillando tra uno e l’altro. Alla fine il buon senso ebbe la meglio, e il Ramingo parlò senza tradire alcuna emozione. “Mi occuperò del cambio delle sentinelle. E poiché tu ritieni che non sia l’arciere il vero nemico, e che un traditore sia ancora in libertà tra di noi, rinforzerò la sorveglianza alla tua tenda.”

“Non è necessario. Io sono al sicuro.”

“Non deve accadere alcun male al nostro Re.” Halbarad eseguì un breve inchino, al quale Aragorn rispose con un cenno del capo, poi si voltò e se ne andò rapidamente.

Aragorn si lasciò cadere sulla sedia più vicina, e si prese il viso tra le mani. Restò così, immobile, per un lunghissimo tempo, cercando la forza di ritrovare il controllo di se stesso. Infine sollevò la testa. L’incerta luce del fuoco rivelò un viso calmo e rilassato, la stanchezza nei suoi occhi l’unica cosa che tradiva il costo di quella pace. Si alzò in piedi, gettò indietro il mantello, e scomparve nella notte.

*** *** ***

Frodo sedeva alla grande tavolata, tra Sam e Gandalf, con un banchetto regale davanti a sé. Il re in persona presiedeva al gioioso evento, anche se il suo seggio non era più maestoso né i suoi abiti più ricchi di quelli degli altri partecipanti. Guardare il viso di Aragorn era guardare il più grande tra gli uomini. Più di una volta, Frodo si trovò a fissare la regale figura vestita di nero e di argento, con il diadema sul capo e la verde gemma elfica al collo, domandandosi dove fosse andato a finire il suo vecchio amico Grampasso.

Per tutto quel lungo giorno, a Frodo sembrò di vivere in un sogno. Attorno a lui si affollavano visi familiari, ma tutti erano pieni di una strana luce e illuminati da una nuova saggezza, e lo guardavano come se fosse stato un qualche principe uscito da una leggenda, invece che Frodo Baggins della Contea. Canzoni risuonavano nell’aria, celebrando le lodi di guerrieri, eroi e re. Il suo nome era quello che più di tutti usciva dalle labbra del menestrello, ma Frodo ancora non riusciva ad ascoltare quei canti pensando al suo viaggio oscuro. Ascoltava le canzoni come avrebbe fatto con quelle degli Elfi, godendone la bellezza e i racconti di gesta lontane - senza avere l’impressione di esserne parte.

Accanto a lui, Sam ammirava la scena con gli occhi spalancati per l’ammirazione, e un sorriso imbarazzato sul viso. Caro Sam. Il solo appiglio con la realtà che aveva in quel fantastico, scintillante sogno. Quando guardava Sam, Frodo si sentiva di nuovo integro e sano. Se distoglieva lo sguardo troppo a lungo, una strana leggerezza si impadroniva di lui, facendolo sentire come la Fiala di Galadriel, svuotato di tutta la sua sostanza e riempito della chiara luce delle stelle.

Non era una sensazione spiacevole. Era fatta di felicità, assenza di dolore, e sollievo da un terribile fardello che aveva portato per così tanto tempo da non riuscire a ricordare il tempo in cui ne era libero. Ora, almeno, non esisteva più. E con la sua scomparsa era giunta quella sensazione di leggerezza, di un vuoto che poteva essere riempito solo con la luce. O col dolore, se il dolore lo avesse raggiunto di nuovo.

Lì, su quel verde campo, circondato da tutta quella gioia, Frodo non riusciva a concepire la possibilità di altro dolore. Ma la consapevolezza che sarebbe arrivato di nuovo non lo abbandonava mai del tutto. Il vuoto lasciato dalla distruzione dell’Anello era nato dal dolore, creato per esso, uno spazio che sarebbe stato inevitabilmente riempito di nuovo.

Frodo applaudì il cantastorie, e accettò un’altra porzione di cibo mentre rimproverava scherzosamente Pipino, che stava accanto ad Aragorn con una fiasca di vino in mano. Tutto sembrava facile e bello. E Frodo si concesse di accettarlo così come era, finché durava, senza paure o domande. Era tra amici, e nessun’ombra oscurava il suo cuore.

I suoi occhi si spostarono verso l’estremità opposta del tavolo, abbracciando tutta la Compagnia che sedeva vicino a lui. Solo un viso non sorrideva, e Frodo non poté fare a meno di soffermarsi su quel viso, familiare eppure cambiato più di ogni altro. Boromir sedeva alla destra di Aragorn, ma non sembrava essere a suo agio. Non sorrideva, mangiava e beveva pochissimo, e quando nessuno lo coinvolgeva in una conversazione sembrava ritirarsi in se stesso come se volesse scomparire.

Sulle prime la presenza di Boromir aveva messo in imbarazzo Frodo. Non poteva dimenticare il modo in cui si erano separati ad Amon Hen. Frodo sapeva meglio di chiunque altro ciò che l’Anello poteva fare, piegando la mente e la volontà di coloro che stavano troppo a lungo in sua presenza o davano ascolto ai suoi sussurri, e non incolpava Boromir per le sue azioni. Ma non riusciva a sentirsi a suo agio in compagnia dell’uomo, specialmente ora che non sapeva che effetto avevano avuto su di lui la distruzione dell’Anello e la guerra che ne era seguita.

Ma col passare del tempo, osservando Boromir, il suo nervosismo cessò. Tanto per cominciare, Boromir si teneva il più lontano possibile da lui. Era rimasto accanto ad Aragorn durante le cerimonie formali della giornata, e ora sedeva al suo fianco, ma quando era possibile cercava di restare in disparte, lasciando Frodo libero di divertirsi in pace, senza doversi preoccupare del suo stato d’animo, e lasciando tempo al mezzuomo di osservarlo.

Più osservava Boromir, più Frodo si rendeva conto che quello non era lo stesso uomo che lo aveva aggredito ad Amon Hen. Non era solo per la benda di tessuto nero che gli copriva gli occhi - per la quale sulle prime Frodo aveva provato orrore, ma che ora lo rattristava immensamente - anche tutto il suo modo di essere era cambiato. Se Frodo non lo avesse compreso così bene avrebbe potuto credere che l’Ombra lo tenesse ancora in suo potere, tanto sembrava scuro e chiuso in se stesso, ma Frodo non si lasciò ingannare. Sapeva riconoscere il dolore quando lo vedeva. E credeva di conoscere la causa di quel dolore.

Era seduto a tavola, osservando Boromir con aria pensierosa, quando Sam si agitò inquieto accanto a lui ed emise una sorta di brontolio. Frodo si voltò verso di lui, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa.

"Qualcosa non va, Sam?"

Sam lanciò uno sguardo cupo verso la fine del tavolo. “Sembra un grande corvo nero. Se ne sta seduto lì accigliato. Mi fa passare l’appetito”.

"Chi?"

"Padron Boromir. Il Sovrintendente, dovrei dire. Non mi piace, padron Frodo, e lo dirò anche a Grampasso, se me lo chiede. Cosa che non farà mai.”

Frodo abbozzò un sorriso. “No, non lo farà, e non credo che tu debba dirgli niente del genere. Boromir non ha nulla che non va, Sam, non più di me o di te. Tutti noi abbiamo camminato un po’ troppo a lungo per strade oscure, e alcuni di noi hanno dimenticato com’è la luce del sole. Ma lo ricorderemo.” I suoi occhi indugiarono sul viso di Boromir, e ripeté, piano, “Lo ricorderemo.”

Sam emise un altro brontolio. “Io dico solo che farà meglio a non avvicinarsi troppo a voi, o dovrà fare i conti con me”.

“Mi dispiace che tu la pensi così, perchè andrò io stesso a parlare con lui, se si presenta l’occasione”.

“No, padron Frodo, adesso non cercate di creare scompiglio! Padron Boromir si sta comportando bene, anche se ha l’aria di chi preferirebbe essere a caccia di orchi. Lasciatelo in pace!”

Frodo non potè trattenersi dal ridere. “É me che stai cercando di proteggere, o lui?”

“Non ho dimenticato ciò che ha fatto, anche se voi sembrate averlo fatto”.

“Non l’ho dimenticato”. Frodo sorseggiò il suo vino e gettò un altro sguardo all’uomo silenzioso. “Ma ora lo capisco meglio”.

Sam commentò con uno sbuffo e ricominciò a mangiare. Frodo rivolse la sua attenzione a Gandalf e alla storia che stava raccontando a Pipino, e per un po’ non pensò più a Boromir. Non fu sorpreso quando il Sovrintendente si alzò per lasciare il tavolo molto presto. Il banchetto non era ancora finito, i menestrelli stavano ancora cantando le loro storie di imprese valorose, quando Boromir spostò la sedia e si alzò. Merry apparve immediatamente al suo fianco, e insieme lasciarono il padiglione.

Frodo non disse nulla, anche se continuò a guardarli finché la tenda non li nascose alla sua vista. Quando Merry ritornò, solo, Frodo fu tentato di chiedergli dove fosse andato Boromir, ma dubitava che Merry glielo avrebbe detto. C’era un legame di affetto tra lo hobbit e l’uomo che Frodo non riusciva a capire completamente. Veniva prima del dovere di Merry verso il suo sovrano, Éomer, dal quale si era congedato con appena una parola quando Boromir aveva avuto bisogno di lui. Merry non avrebbe mai fatto nulla contro la volontà di Boromir. E chiaramente l’uomo non voleva conversare con Frodo in privato, quindi Merry non gli avrebbe certo detto dove trovarlo. Avrebbe dovuto andarlo a cercare da solo, al momento opportuno.

Lentamente, i partecipanti al banchetto lasciarono i loro tavoli per sedere sull’erba all’aria parta, sotto il cielo dell’Ithilien. Cominciarono a girare otri e fiasche di vino. I menestrelli ricevettero da bere e ricominciarono a cantare da capo le loro canzoni. Le parole scorrevano come il vino, e molte voci si unirono al canto dei menestrelli.

Frodo lasciò che Sam lo conducesse dove era radunato il resto della Compagnia. Si sedette insieme agli altri hobbit, ascoltando Gandalf, insolitamente espansivo, che raccontava i giorni gloriosi di Moria, quando Nanosterro scintillava alla luce di innumerevoli torce e risuonava della musica di mille martelli. Secondo Gimli lo stregone non rendeva pienamente giustizia ai suoi antenati, e lo interrompeva di frequente con eloquenti descrizioni, provocando sommesse risate da parte di Legolas, o qualche risposta acida di Gandalf riguardo al fatto che lui, che aveva visto le sale di Moria al tempo del loro splendore, era meglio qualificato per raccontare la storia che non Gimli figlio di Glóin.

Soltanto quando gli altri furono profondamente rapiti dalla conversazione, Frodo scivolò via. Non voleva che si preoccupassero, e non voleva che Sam lo seguisse, guidato da un mal indirizzato desiderio di proteggerlo. Ma ora Sam stava sonnecchiando sulla sua coppa, con un sorriso soddisfatto sul volto, e Frodo poté allontanarsi indisturbato.

Non dovette andare troppo lontano per trovare quello che cercava. Il padiglione del re era a ridosso dell’estremità settentrionale dell’accampamento, dove la torbiera incontrava i primi gruppi di alberi. Tra quegli stessi alberi, con la schiena appoggiata a un grande tronco, sedeva Boromir, immobile, il suo viso sereno come Frodo non lo aveva mai visto.

Frodo si avvicinò all’uomo che sedeva da solo sull’erba, e si fermò a pochi passi da lui. Aspettò qualche istante, per capire se Boromir si era accorto della sua presenza, poi si schiarì la voce con discrezione. Boromir girò la testa di scatto, il suo viso improvvisamente guardingo.

“Posso unirmi a te?” chiese Frodo.

Boromir si irrigidì, e sembrò ritrarsi dalla presenza dello hobbit come da un fuoco. “Frodo!”

“Voglio parlarti”.

L’uomo si guardò attorno come per cercare un aiuto che non sarebbe arrivato, poi scosse le spalle e tentò di sorridere, goffamente. “Stanno cantando le tue gesta. Non preferisci restare con gli altri ad ascoltare?”

“No”. Frodo si sedette a gambe incrociate accanto a lui, senza attendere il suo permesso. Per un lungo momento nessuno disse nulla, mentre echi della canzone dal menestrello giungevano a tratti fino a loro. Poi Frodo parlò, a bassa voce. “Mi stai evitando”.

“Credo sia meglio così”. L’uomo esitò, poi aggiunse, in tono di scherzo, “Il tuo fedele Sam non ti ha messo in guardia contro di me?”

“Certo. Ma Sam... Sam non può capire veramente.”

Boromir sembrò guardarlo in modo così penetrante che Frodo dimenticò per un attimo la benda che gli copriva gli occhi e i lunghi mesi di oscurità che erano trascorsi dal loro ultimo incontro. “Capire cosa?”

“Che ormai è troppo tardi per proteggermi.” Un mesto sorriso incurvò le labbra di Frodo, colorando anche la sua voce. “Il danno è già stato fatto.”

La luce fiera abbandonò il viso di Boromir, che sembrò ritirarsi in se stesso. In un attimo era di nuovo la figura tormentata che Frodo aveva osservato durante il giorno, avvolto nel dolore nel rimorso, curvo sotto il peso della sua sofferenza. “Sì, il danno è già stato fatto e non può essere cancellato. Ecco perché ho tentato di evitarti”. Voltò la testa per sottrarsi allo sguardo di Frodo. “Questo è il tuo momento, Frodo. Il tuo trionfo. Dovresti essere laggiù a godertelo, invece che offuscarlo con brutti ricordi del passato”.

“Tu non sei un brutto ricordo, Boromir. Tu sei - o almeno eri - un mio amico. Non lo sei più, ora che l’Anello è distrutto?” Vide Boromir trasalire nel sentir nominare l’Anello, e i suoi occhi si fecero tristi. Credeva di capire il motivo dell’imbarazzo che aleggiava tra di loro, e temeva che nessun potere nella Terra di Mezzo avrebbe potuto abbattere quella barriera. Ma doveva tentare. “Ho dovuto distruggerlo”.

Boromir sembrò sorpreso delle sue parole. “Lo so. Tu ci hai salvato dal Nemico. Tu hai fatto una cosa... una cosa che nessun Uomo avrebbe potuto fare.”

“Ma la sua scomparsa è come una ferita che non guarisce mai, come un vuoto che non può essere colmato.” Frodo chinò la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. “Il dolore della sua perdita non mi abbandonerà mai.”

Boromir sollevò una mano per toccarlo, per confortarlo, ma cambiò idea, e lasciò cadere la mano. Frodo lo guardò con comprensione.

“So che l’Anello ha toccato anche te, e se non potrai perdonarmi per averlo distrutto...”

“Perdonarti? Frodo, sono io che ho bisogno di essere perdonato, non tu”.

“No. Non eri tu, quello. Non è colpa tua quello che ha fatto l’Anello”.

“Ero io, e lo sono ancora. Io ti ho allontanato dalla Compagnia, ho mandato te e Sam ad affrontare il pericolo da soli. Io ho tradito te, ho infranto il mio voto, distrutto la Compagnia, e quasi causato la rovina di tutti noi.”

Frodo rise. Sapeva che era strano, dopo la tormentata confessione di Boromir, ma non poté trattenersi. Un grande sollievo lo invase, e una risata che non riuscì a fermare. “La rovina? E’ stata la nostra salvezza!”

Boromir sembrò incupirsi ancora di più. “Sì, ma grazie alla forza e al coraggio di altri”.

"Se io fossi rimasto con la Compagnia non staremmo avendo questa conversazione, perché non ci sarebbe nessuna vittoria da festeggiare, e nemmeno il lusso di decidere chi è colpevole e chi è innocente. E se tu non mi avessi costretto ad andare, non ne avrei mai trovato il coraggio."

"Non importa cosa è successo, Frodo. La colpa di ciò che è accaduto ad Amon Hen pesa su di me."

Frodo guardò quel viso orgoglioso e bello, ora contratto per il dolore e segnato da cicatrici che non sarebbero mai più guarite. Si era spesso chiesto, durante il suo lungo viaggio nell’ombra, che cosa fosse stato di quell’uomo. Non aveva pensato che avrebbe rivisto più nessuno dei suoi amici, e si era rassegnato a non conoscere il loro destino, ma con il crescere del potere dell’Anello nella sua mente, il suo pensiero si era rivolto sempre più spesso a colui che aveva percorso quella strada prima di lui. Ora sapeva che Boromir era sopravvissuto sia alla guerra che al veleno dell’Anello. L’unica ferita che ancora aperta era la colpa del suo tradimento, e soltanto Frodo poteva guarirla.

Posando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani, Frodo lasciò che la sua voce si abbassasse a un sussurro che solo Boromir poteva udire. “Posso dirti una cosa che nessun altro conosce? Nessuno tranne Sam?”

"Se lo desideri."

"Sì, lo desidero. Tutti quanti stanno cantando canzoni su quello che ho fatto, ma loro non sanno che… in realtà non l’ho fatto. Io non ho distrutto l’Anello, Boromir. Non ne sono stato capace. Quando è giunto il tempo di gettarlo nel fuoco me lo sono messo al dito e l’ho rivendicato come mio. L’Anello mi aveva preso, e se non fosse stato per Gollum, ora lo avrebbe Sauron. Così, ora lo sai, non sei stato l’unico che non ha potuto resistere al suo potere. Hai detto che io ho fatto ciò che nessun uomo avrebbe potuto fare. Ti sbagliavi. È stato Gollum - Gollum e il caso, a distruggere l’Anello, non io. Se tu sei colpevole allora lo sono anch’io. Se tu hai tradito la Compagnia allora l’ho fatto anch’io. Io, Frodo dalle nove dita! Quello di cui parlano le canzoni!
Ti dirò quello che credo, quello che ho sempre creduto, anche ad Amon Hen mentre fuggivo via da te. Io credo che nessuno di noi fosse abbastanza forte da resistere all’Anello. Quelli che gli sono sfuggiti sono solo stati solo così fortunati da allontanarsene prima che si impossessasse di loro. Ecco tutto. Io e te non abbiamo avuto questa fortuna, e ora dobbiamo portare il peso di ciò che ci ha costretto a fare, insieme alla ferita lasciata dalla sua perdita, per il resto dei nostri giorni. E ti dirò un’altra cosa, Boromir". Lo hobbit posò una mano sul suo braccio, e Boromir trasalì per la sorpresa, volgendo il suo sguardo bendato verso Frodo. "Quella ferita è una punizione sufficiente per qualsiasi crimine”.

Boromir sembrò combattere una battaglia con se stesso per un momento, e il suo viso era teso, quando infine mormorò, "Io cerco di sentire i suoi sussurri nella mia mente. Se ne sono andati, e sono felice di essermene liberato. Ma mi sforzo ancora di sentirli. E... mi mancano."

"Lo so. È una terribile solitudine, sentire la mancanza di qualcosa che ti dava così tanto dolore quando era vicina a te. "

"Frodo..." Di nuovo, l’uomo sembrò sforzarsi per pronunciare parole che erano chiuse da una barriera. "Puoi davvero perdonarmi così facilmente?"

"Non c’è nulla di facile in questo, per nessuno di noi. Ma, sì. Io ti perdono."

"Perché tu credi che sia stato l’Anello, e non io, a farti torto?”

"Perché so esattamente come ti sei sentito, quando hai capito cosa avevi fatto e sapevi che non potevi fermarti. E perché so perfettamente come ti senti in questo stesso istante, seduto qui, ad ascoltare me che ti dico che non è stata colpa tua mentre la tua coscienza ti tortura. Non credo che tu abbia bisogno del mio perdono, Boromir, ma so che me lo stai chiedendo. Perciò voglio fare un patto con te. Io ti perdonerò per aver cercato di rubare l’Anello, e tu mi perdonerai per averlo gettato nell’abisso di Monte Fato, lasciandoci entrambi a soffrire per questo."

"Ma non avevi scelta..."

Frodo sogghignò alla perplessità del guerriero, vedendo la comprensione apparire gradualmente sul suo viso. "Allora, siamo d’accordo?"

Boromir sorrise mestamente. "Sì".

"Ne sono felice." Frodo sentì che l’ultimo residuo di tensione abbandonava il suo corpo. Si stirò le menbra stanche e rise sommessamente. "Ora la Compagnia è davvero riunita."

"Dovresti ritornare alle tue canzoni e ai tuoi racconti, prima che si accorgano della tua mancanza."

"Non vuoi venire con me? I Nove viandanti dovrebbero stare insieme in questo giorno, per festeggiare la loro vittoria. "

Boromir rimase seduto in un silenzio pensieroso per un momento, poi improvvisamente sorrise, e il suo viso fu come trasformato. Si alzò in piedi agilmente, muovendosi con l’antica energia e grazia che Frodo ricordava. Anche il suo mantello sembrava volteggiare attorno alle sue spalle in modo diverso. “Molto bene, ma devi promettermi di proteggermi dall’ira di Sam. Non ho la mia spada con me”.

Frodo si alzò in piedi, sorridendo. “Lo farò”.

Esitò, improvvisamente imbarazzato, indeciso sul da farsi. Boromir era in piedi accanto a lui, altrettanto indeciso, e Frodo ebbe l’impressione che avesse paura di toccarlo. Abbandonando il suo nervosismo, Frodo prese la mano di Boromir e cominciò a camminare. Boromir lo seguì, adattandosi alla sua andatura, ma dopo un momento liberò gentilmente la sua mano da quella di Frodo e la posò sulla testa dello hobbit. Procedendo in questo modo, discesero facilmente la lieve pendenza della collina e si diressero verso le tende e i festeggiamenti sotto di loro.

*** *** ***

Le armate dell’Ovest marciarono verso casa in trionfo. Quando infine giunsero in vista delle mura della città, trovarono Minas Tirith adornata in tutta la sua bellezza per accoglierli. Stendardi, fiori e teli di seta scintillante, ricamati con le armi e le insegne dei signori vittoriosi, sventolavano sui suoi bastioni. Persone vestite per la festa si accalcavano lungo le mura e si riversavano fuori dai cancelli – persone di ogni landa del sud e dell’ovest, che erano accorse alla Città Bianca per dare il loro saluto al loro Re – e mentre salutavano i soldati cantavano, e lanciavano fiori sulle strade sulle quali sarebbero passati con le loro armature.

Faramir restava in disparte dalla folla, insieme a Húrin, Custode delle Chiavi, e un gruppo di soldati della Guardia alle sue spalle. Con solennità attesero in mezzo alla confusione dei festeggiamenti che i Capitani che cavalcavano alla testa dell’esercito si avvicinassero.

Infine giunsero, Aragorn a cavallo di Roheryn, vestito di una cotta di maglia nera cinta d’argento, un mantello bianco come la neve sulle spalle e una stella sulla sua fronte. Boromir e Merry cavalcavano Fedranth, seguiti da Éomer, Legolas e Gimli. Venivano poi Pipino, Frodo e Sam, con Gandalf e il Principe di Dol Amroth come scorta. E poi vi erano trenta uomini tutti vestiti di grigio e argento – i Dunedain del Nord.

Mentre il grande esercito si sistemava ordinatamente sui campi di Pelennor con le lance levate e gli elmi lucenti, la piccola compagnia smontò da cavallo e continuò a piedi. Percorsero il vasto spazio vuoto fino a Faramir e ai cancelli distrutti, e al loro arrivo, un silenzio carico di aspettative cadde su tutti i presenti.

Faramir si fece avanti per accoglierli. Tra le mani reggeva il bianco scettro dei Sovrintendenti, e la sua tunica era di seta bianca, rilucente nella luce, senza alcuna insegna. Si inchinò con rispetto davanti ad Aragorn, ma fu a Boromir che si avvicinò. Quando ebbe raggiunto il fratello si inchinò nuovamente, porgendogli il simbolo della sua carica.

"Bentornato, fratello. Ho eseguito i tuoi comandi e retto la città fino al tuo ritorno. Ora ti rendo ciò che ti appartiene, Sovrintendente di Gondor”.

Boromir tese la mano, e Faramir gli posò lo scettro tra le dita. “Ti ringrazio per aver avuto cura del nostro popolo e della nostra città”. I fratelli si abbracciarono, e, a bassa voce, Boromir aggiunse, “E ti ringrazio per avermi accolto”.

Quando si separarono, Boromir si rivolse ad Aragorn e si inginocchiò davanti a lui. Tendendo lo scettro tra le mani davanti a lui, parlò. “L’ultimo Sovrintendente di Gondor chiede il permesso di terminare il suo incarico”.

"L’incarico non è finito”, replicò Aragorn, rendendo lo scettro a Boromir e chiudendogli le mani attorno ad esso. “Prendi dalla mano del Re di Gondor ciò che ti appartiene per diritto e per merito. Prendilo, insieme alla mia imperitura gratitudine, Boromir figlio di Denethor, Sovrintendente di Gondor. Alzati, e assumi il tuo incarico”.

Poi, con solenne cerimonia, Aragorn figlio di Arathorn fu incoronato Re di Gondor, per mano di coloro che avevano faticato così tanto per portarlo al trono. Boromir pronunciò un discorso di presentazione al popolo, esortandolo a riconoscere il suo legittimo Re. Faramir prese la corona alata di Eärnur dallo scrigno nero e argento in cui era rimasta per molte generazioni, attendendo quel momento. Frodo prese la corona dalle mani di Faramir e la portò dove Aragorn attendeva in ginocchio, infine Gandalf il Bianco, il più potente degli stregoni, saggio tra i saggi, pose la corona sul capo di Aragorn.

Quando si alzò in piedi ogni voce tacque, e la città rimase in silenzio ammirando il suo Re. Sembrò al popolo di Gondor che le leggende degli antichi Re del Mare tornassero alla vita davanti ai loro occhi, e che la figura in piedi sul campo non fosse soltanto un Uomo, ma uno degli eroi dei tempi antichi, giunto per salvarli dall’Oscurità. Poi il Sovrintendente posò il suo sguardo cieco sul Re, e a tutti quelli che lo guardarono parve che anch’egli potesse vedere la luce che avvolgeva il Re scintillando sul suo nobile viso, splendente come le gemme che adornavano la sua corona.

Sollevando le braccia al cielo, Boromir gridò con voce chiara. “Guardate, il Re!”

A quelle parole ogni tromba risuonò sulle mura della città e il popolo cantò. In mezzo al tumulto, Aragorn fece un cenno per farsi portare i cavalli, e la compagnia montò di nuovo in sella. Tutti si volsero verso i cancelli di Minas Tirith, ma rimasero indietro, lasciando che il Re avanzasse per primo sulla strada.

Aragorn spronò Roheryn avanti di alcuni passi, finché il cavallo si trovò ad avanzare su un tappeto di petali di fiori, poi si fermò, sollevando il capo per guardare la torre che scintillava alta sopra di lui. Vide i vessilli catturati dal vento, sentì le trombe suonare, e osservò le bianche mura che si ergevano maestose dalle pendici del Mindolluin. Un sorriso gli sfiorò le labbra, e si voltò all’indietro.

Tendendo una mano, gridò, “Boromir!”

Il Sovrintendente sembrò perplesso alla chiamata, e non si mosse. Ma Merry, seduto davanti a lui sulla sella, vide il gesto di Aragorn che li invitava ad avvicinarsi, e spronò Fedranth in avanti. Cavalcarono fino al punto dove Aragorn attendeva, e Fedranth si affiancò all’altro cavallo.

Aragorn afferrò il braccio di Boromir. "Le senti? Le trombe stanno suonando”.

Boromir sollevò il capo esattamente come aveva fatto Aragorn, e dalla sue espressione l’amico capì che stava vedendo con la mente le alte torri, i vessilli splendenti e le grandiose mura davanti a loro.

Le dita di Aragorn si strinsero attorno al suo braccio, e nei suoi occhi apparvero lacrime di gioia. “Vieni. Ci stanno accogliendo a casa”.

E insieme, Il Sovrintendente e il Re entrarono cavalcando attraverso i cancelli di Minas Tirith.

Continua...

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