Capitolo
14: Verso il giorno
Un’estate
dorata cominciava a stendersi sui campi di Gondor, quando il Sovrintendente
cavalcò fuori dai cancelli dei Minas Tirith per rispondere alla chiamata del
suo Re.
Merry,
scudiero di Re Éomer, cavalcava con lui, insieme a una compagnia di uomini
armati e un convoglio di carri, carichi di vettovaglie per l’esercito accampato
a Cair Andros. Fedranth, il grigio stallone di Rohan, portava l’uomo e lo
hobbit verso il luogo dove si sarebbe celebrata la vittoria, così come prima li
aveva portati verso la guerra, e Merry gioì nel montare nuovamente a cavallo in
compagnia dell’amico.
La
lettera di Aragorn aveva dissipato le loro ultime preoccupazioni, assicurandoli
che tutti coloro che amavano erano sopravvissuti alla battaglia, e quelli che
avevano ricevuto ferite stavano guarendo, sotto le cure del Re. Solo un’ombra
oscurava ancora la felicità di Merry: la decisione di Faramir era ancora una
questione aperta.
Merry
sapeva che la cosa non lo riguardava, e non ne aveva fatto parola con nessuno
dei due fratelli sin da dopo la conversazione con Faramir nelle Case di
Guarigione. Ma ora Boromir partiva da Minas Tirith, lasciando il suo incarico
nelle mani del fratello, e per Merry, che pensava soprattutto a Boromir, quella
decisione non poteva essere buona. Aveva osservato Boromir che consegnava lo
scettro bianco del potere nelle mani di Faramir, ma aveva tenuto a freno la
lingua. Ora, mentre si allontanavano dai cancelli, guardò indietro per osservare
l’uomo alto e regale che stava in piedi proprio davanti alle mura - così simile
al fratello eppure così diverso - con tutta la nobiltà di Gondor radunata
dietro di lui, e lo hobbit si sentì prendere dal timore.
Distogliendo
lo sguardo da quella vista, chiese a Boromir, a voce bassa, “Credi che sia
stato saggio affidare il tuo diritto a tuo fratello?”
“È
l’ ordine di Aragorn”, rispose Boromir con semplicità, “e anche il mio
desiderio.”
“Ma
non ha fatto nulla per sostenerti contro Imrahil, e…”
“Basta
così, Merry.”
“Lo
hobbit si guardò attorno per accertarsi che nessuno della scorta avesse sentito
il suo discorso, e scrollò le spalle. “Certo la Guardia saprà tutto della…
della parte del tuo consanguineo nella cospirazione.”
“Forse,
ma ciononostante ti sarei grato se non lo annunciassi ai quattro venti.”
Strinse con un gesto comprensivo il braccio di Merry, e la sua voce perse ogni
traccia di irritazione. “Non temere, piccoletto. Faramir non usurperà il mio
incarico. Qualunque sarà la sua scelta finale, farà il suo dovere come
Sovrintendente con onore, e mi restituirà ciò che è mio al mio ritorno. Non
devi preoccuparti di questo.”
Merry
rifletté per un po’, poi decise che Boromir aveva ragione. Faramir non era tipo
da prendere il potere con il sotterfugio e l’inganno. Se avesse deciso di
rivendicare per sé la Sovrintendenza, lo avrebbe fatto apertamente, davanti al
Re e al Consiglio, e solo perché sentiva che sarebbe stata la cosa giusta.
Ora che
la sua mente era - anche se solo per un po’- libera dalle preoccupazioni, lo
spirito di Merry si sollevò. Erano ancora in vista della città, e la voce
chiara dello hobbit si alzò in un canto, mescolandosi alle voci più profonde
degli uomini che cavalcavano attorno a loro. C’era un’atmosfera festosa nella
compagnia, anche se erano soldati armati per la guerra, e le loro risate
risuonavano come squilli di tromba.
Soltanto
Boromir cavalcava in silenzio, con viso serio e grave. Merry si chiese come
mai, ma non osava intromettersi nei suoi pensieri per chiedergli spiegazioni.
Da quando il messaggero era giunto dall’Ithilien, con l’invito del Re a
raggiungerlo, Boromir era diventato stranamente ombroso e imprevedibile. Una
qualche nuova inquietudine si era abbattuta su di lui, rendendolo un momento
pieno di felicità, e il momento dopo silenzioso e malinconico. In un primo
momento Merry aveva creduto che si trattasse di preoccupazione nel lasciare
Minas Tirith nelle mani di Faramir, ma chiaramente si sbagliava. Qualunque cosa
fosse, sembrava opprimerlo sempre più mano a mano che si avvicinavano
all’Ithilien e a Aragorn.
Verso
mezzogiorno arrivarono a Osgiliath, dove, tra le tristi rovine della città un
tempo grande, li attendeva una nave ormeggiata. Merry si guardò attorno con
curiosità, osservando i ponti distrutti e le strade vuote, piangendo la
desolazione dell'antica città in rovina. Caricarono la nave e levarono
l’ancora, lasciando rapidamente Osgiliath sulle onde del grande Anduin.
Sceso
dalla nave, Merry si ritrovò immerso in un mondo pieno di colori e di simboli
come non ne aveva mai visti prima. Ovunque si vedevano le insegne di qualche
esercito, ma non si trattava di insegne guerra come quelle che Merry aveva
visto fino a quel momento. Qui tutto era gioia, scintillante celebrazione, le
lance erano decorate con ghirlande di fiori, e i volti dei veterani, segnati
dalle cicatrici, erano raggianti.
Araldi
annunciarono il loro arrivo, e una scorta li condusse sul campo dove li
attendevano le Armate dell’Ovest.
La
magnificenza del momento travolse Merry. Non sapeva che gli uomini potessero
apparire così feroci e terribili, e così felici allo stesso tempo. Si strinse
accanto a Boromir, al riparo della sua presenza, e osservò con soggezione il
dispiegamento di uomini davanti a sé.
Tra gli
innumerevoli stendardi che decoravano l’accampamento, Merry riconobbe le
insegne di Dol-Amroth e di Rohan, insieme a dozzine di altre che
rappresentavano i paesi che avevano combattuto sul Pelennor davanti alle porte
di Minas Tirith. Al centro dell’accampamento, sollevato fieramente dal vento,
ondeggiava il grande stendardo di Re Elessar. E sotto di esso, a capo scoperto,
con una cotta di maglia scintillante coperta da un mantello nero di zibellino,
stava in piedi il Re in persona, sorridente.
La
guardia d’onore si fece da parte mentre si avvicinavano ad Aragorn, e Merry
condusse Boromir da solo attraverso lo spiazzo, con le ginocchia che gli
tremavano per la sua temerarietà. Poi il suo sguardo incrociò quello di
Aragorn, e la paura svanì. Egli era il Re di Gondor, ma era anche Grampasso,
Ramingo del Nord, suo amico e guida. Il contegno regale di Aragorn si tramutò
in uno sguardo d’affetto, quando vide il piccolo hobbit, e si fece avanti per
andare incontro ai nuovi arrivati.
“Mio
lord Sovrintendente, mastro Scudiero, vi do il benvenuto.”
Con
grande stupore di Merry, Boromir si inginocchiò davanti ad Aragorn e chinò il
capo. “Mio Re.”
“No,
non farlo.” Aragorn afferrò Boromir per le spalle e lo fece alzare in piedi.
“Non porto ancora la corona di Gondor.”
Aragorn
strinse più forte le braccia di Boromir, e i suoi occhi sorrisero con così
tanto calore da stupire Merry ancora più che l’atto di sottomissione di
Boromir. All’improvviso, obbedendo a uno stesso impulso, i due uomini si
abbracciarono.
“Come
stai, Boromir?” Chiese Aragorn, con la voce che gli tremava per la felicità.
Boromir
esitò per un istante, poi rispose, “Abbastanza bene. E tu?”
Dalle
labbra di Aragorn scaturì una gioiosa risata. Fece un passo indietro,
mantenendo però sempre la presa sulle braccia di Boromir, come se non volesse
interrompere il contatto. “L’Ombra è caduta e la Compagnia è di nuovo riunita!
Come altro potrei stare se non bene?”
Il
sorriso di Boromir vacillò. “Frodo e Sam?”
“Stanno
dormendo, devono recuperare le forze. Non temere per loro.”
“Allora
va davvero tutto bene.”
A
quel punto Aragorn lasciò andare l’amico, e come se fosse stato un segnale, la
folla attorno a loro cominciò ad animarsi. Amici e nobili si fecero avanti.
Aragorn si inginocchiò per abbracciare Merry, e, prima che avesse il tempo di
alzarsi di nuovo in piedi, Pipino li investì con un turbinio di velluto nero,
maglia d’argento e incontenibile entusiasmo. Subito dietro Pipino vennero
Legolas, Gimli, e un Gandalf insolitamente gioviale. Tutto era gioia e grida di
benvenuto. In quel luogo così verde e sereno, con i suoi amici attorno a sé e
la musica delle risate nell’aria, Merry sentì che i lunghi mesi di oscurità
scivolavano via, come il ricordo di un brutto sogno.
Dal suo
accampamento sulla collina boscosa, Elenard osservava l’arrivo del
Sovrintendente nella pianura sottostante. Le armate dell’Ovest erano sparse
lungo il fiume, alcune di esse accampate a Cair Andros sulla riva sud, altre
più lontane, nelle foreste dell’Ithilien. Quando gli arcieri di Morthond erano
stati stazionati così vicino all’accampamento principale, in vista dei
padiglioni dei generali, lo avevano considerato un tributo al loro coraggio in
battaglia e un segno del rispetto che il nuovo Re nutriva per Morthond. Solo
Elenard, divorato dai sospetti e dai sensi di colpa, dubitava che quella
vicinanza fosse davvero un tributo al loro valore.
I
Dùnedain grigiovestiti perlustravano incessantemente l’accampamento. Parlavano
con aria noncurante con i soldati che sedevano accanto ai falò la sera,
ricordando i lunghi anni di guerra che avevano afflitto Gondor, ma ad Elenard
pareva che ascoltassero più di quanto parlassero. Quei Raminghi avevano un modo
particolare di guardare le persone, occhi che vedevano più di quello che
avrebbero dovuto, e facevano domande apparentemente innocenti, che scioglievano
la lingua agli uomini. A Elenard non piacevano affatto, e non si fidava del
loro improvviso interesse verso Morthond. Essi erano gli occhi e le orecchie di
lord Elessar nell’accampamento, e un segnale che il Re sapeva da dove giungeva
la minaccia al suo Sovrintendente.
E
ora il Sovrintendente-Ombra in persona si era unito all’esercito, portando con
sé l’unica creatura nella Terra di Mezzo, che, oltre allo sfortunato Hirluin,
poteva riconoscere Elenard. Il mezzuomo.
Il
mezzuomo lo aveva visto in viso, aveva persino incrociato la lama con lui. Il
mezzuomo poteva testimoniare contro di lui e condannarlo a una morte da
traditore.
Gli
occhi di Elenard rimasero fissi sulla piccola figura che camminava a fianco del
Sovrintendente, e i suoi pugni si serrarono con rabbia impotente. Per un
momento ebbe l’impulso di estrarre il suo arco e mettere a tacere quella
creatura con una freccia in gola, vendicandosi, guadagnando qualche momento in
cui essere relativamente al sicuro. Ma quel pensiero svanì così rapidamente
come era venuto, e la sua rabbia scemò.
Il
mezzuomo aveva mandato a monte il suo tentativo di togliere la vita al
Sovrintendente, ma lo aveva fatto in tutta innocenza, per amore del suo
signore. Elenard non poteva condannarlo per questo. Né avrebbe ucciso a sangue
freddo una creatura innocente per salvarsi la vita. Poteva anche essere un
assassino e un traditore, ma non aveva ancora perduto tutto il suo onore. Aveva
alzato la spada contro il figlio di Denethor nella ferma convinzione che fosse
la cosa giusta, e poiché credeva che la presenza del cieco sul campo di
battaglia avesse causato la morte dei figli di Lord Duinhir.
Ora,
la vittoria su colui che era innominabile lo aveva privato di qualunque
possibilità di recuperare il suo onore. Nessuno avrebbe più creduto che Boromir
di Gondor fosse una maledizione per il suo stesso popolo. Nessuno lo avrebbe
ritenuto responsabile del massacro di quegli uomini valorosi sui campi di
Pelennor, o di avere sparso il terrore e l’oscurità su Minas Tirith. Nessuno
avrebbe creduto che Elenard avesse agito secondo la sua coscienza e il suo
dovere, quando aveva tentato di uccidere il Sovrintendente-Ombra.
Chino
presso il fuoco osservando con indolenza le distanti figure del Re e del
Sovrintendente, Elenard meditò su quale sarebbe stato il destino che i due gli
avrebbero riservato. Lo avrebbero giustiziato come un traditore, una fine amara
per un soldato. Se avesse avuto meno orgoglio, o fosse stato meno leale verso
il suo signore e verso la corona di Gondor, avrebbe provato meno vergogna. Ma
allora non sarebbe nemmeno stato in quel luogo, ad aspettare che la spada
scendesse sul suo collo. Sarebbe fuggito, scomparso nelle lussureggianti
foreste dell’Ithilien, e da lì nelle Terre Selvagge, dove un uomo coraggioso e
abile poteva vivere senza Re né signore, senza città né mura di pietra. Avrebbe
rinunciato al suo onore in cambio della vita.
Il viso
di Elenard era teso, quando finalmente si alzò in piedi per sgranchire i suoi
muscoli intorpiditi. Il suo sguardo si posò sulle fila dei soldati e degli
ufficiali sul campo, sulle lance, le cotte di maglia, e gli elmi che
riflettevano gli ultimi raggi del sole morente, e nei suoi occhi c’era un
desiderio, un dolore che rendeva il suo viso ancora più cupo. Si chinò per
raccogliere le sue armi, si mise l’arco sulle spalle, e si voltò. Con passi
lenti, cominciò a salire la collina.
*** ***
***
“Avanti,
amico mio, dimmi”. Aragorn si sporse in avanti per raccogliere l’otre di vino
che era posato accanto a Gimli, e lanciò a Boromir uno sguardo complice.
“Abbiamo parlato a lungo della battaglia, del valore dei soldati, dell’incontro
di Pipino con il troll e delle bellezze naturali dell’Ithilien. Abbiamo
dimenticato qualcosa di importante?”
Boromir
sorrise al tono canzonatorio, ma non disse nulla. Sedeva su uno sgabello da
campo, accanto al fuoco, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia e un boccale
vuoto tra le mani. Il resto della Compagnia, a parte Frodo e Sam, che stavano
ancora dormendo nella tenda di Aragorn, era radunato attorno al fuoco insieme
ai due Uomini. Sedevano per terra o su sgabelli, sorseggiando vino, fumando la
pipa, e guardando il cielo stellato mentre parlavano.
Quel
senso di calore e di cameratismo era molto diverso da quello che avevano
condiviso la notte prima della partenza dell’esercito. Ora non c’era più
tristezza, nessuna partenza imminente a gravare i loro cuori, nessuna Ombra che
li minacciava. Erano immersi in un senso di pace così poco familiare a quelli
tra loro che erano guerrieri. Ma non avevano ancora vinto tutte le battaglie, e
Aragorn non era ancora pronto a riporre la spada.
“Ho
lasciato che ci distraessi con le tue domande, ma la mia pazienza ha un
limite,” disse Aragorn. “Ora è il mio turno di fare domande, e tu dovrai
rispondermi.”
Boromir
continuò a tacere.
“Boromir.”
Il Sovrintendente reagì al tono di comando nella voce di Aragorn, e si voltò
nella sua direzione. Aragorn si allungò per riempirgli il boccale, e aggiunse,
più mitemente. “Non ho dimenticato gli avvertimenti che mi hai mandato nel
dispaccio. E ho notato la freddezza con cui hai salutato Imrahil. Cosa puoi
dirmi di questa cospirazione? Quale minaccia ci troveremo davanti, una volta
tornati a Minas Tirith?”
“Non
hai nulla da temere.”
Aragorn
sbuffò con disgusto. “Ciò che minaccia il mio Sovrintendente minaccia anche me.
O credi forse che voglia restarmene in disparte mentre la nobiltà di Gondor
organizza il mio regno a suo piacimento?”
“E
se avessero ragione, Aragorn?”
“Sarò
io a giudicare. Sarò io a scegliere chi mi starà accanto nel mio regno, e lo
sosterrò.” Aragorn osservò pensierosamente Boromir, chiedendosi che cosa avesse
risvegliato in lui questo dubbio. Certo c’era qualcosa in più che non manovre
politiche di rivali. Con voce bassa, Aragorn disse, “Ora dimmi, che cosa stai
cercando così disperatamente di evitare?”
Boromir
sospirò. Passò distrattamente il boccale tra una mano e l’altra, con lo sguardo
bendato fisso su di esso e il viso teso per la stanchezza. “Avrei preferito
parlarne con te in privato. Non è un discorso piacevole da fare tra amici.”
“Con
chi altri vorresti parlare del tradimento se non con coloro di cui ti fidi?”
“Non
ci sono prove di tradimento. Solo voci e sussurri.”
Gimli
abbatté con forza il pugno sul tavolo, e proruppe, irato, “Voci e sussurri che
tu sono quasi costati la vita, Boromir!”
“Certo,
proprio per questo. Vorresti che io facessi lo stesso a un altro innocente?”
Gandalf
si tolse la pipa dalla bocca e parlò, con voce burbera ma gentile. “Non
giudicheremo nessuno per sentito dire. Conosciamo la differenza tra il sospetto
e la certezza, tra dicerie e realtà. Puoi parlare con noi senza paura.”
Un
silenzio carico d’attesa seguì le sue parole, mentre tutti gli sguardi erano
rivolti a Boromir. L’uomo esitò, ancora incerto, poi si volse verso Aragorn e
disse, bruscamente, “Se le voci sono veritiere, il tradimento viene da coloro
che più amiamo.”
Aragorn
sentì un gelido terrore attanagliargli le viscere. “Continua.”
“Imrahil
ha avvicinato mio fratello e gli ha chiesto di prendere il mio posto come
Sovrintendente di Gondor.”
Pipino
trasalì involontariamente. “No! Il lord Faramir non farebbe mai una cosa del
genere!”
“Sì
che lo farebbe”, mormorò Merry.
Aragorn
lanciò al mezzuomo uno sguardo penetrante, poi si rivolse di nuovo a Boromir.
“Cosa dice Faramir?”
“Non
ha ancora fatto la sua scelta.”
“La
scelta non spetta a lui. Ha forse dimenticato che Gondor ha un re?”
Boromir
scosse il capo. “Non credo che mio fratello andrebbe contro gli ordini del Re.
Imrahil e i suoi alleati non cercano di rimuovermi con la forza, ma di
persuadermi a farmi da parte in favore di Faramir, e Faramir è il loro
portavoce. Se io sono persuaso, sono certi che anche tu lo sarai.”
“Ah.
Comincio a capire.” Aragorn si accigliò, sempre più preoccupato. Se Faramir
stava facendo pressioni a Boromir perché rinunciasse alla sovrintendenza,
Aragorn poteva ben comprendere i nuovi dubbi che lo affliggevano. Per Boromir,
di tutti gli uomini della Terra di Mezzo, solo Aragorn sarebbe stato più difficile
da contraddire di suo fratello. “Per fortuna non cambio le mie decisioni così
facilmente.”
“Non
sottovalutarli, Aragorn. Potrebbero sempre trovare un’argomentazione, o un
portavoce, a cui non potrai controbattere.”
Legolas
si sporse in avanti sullo sgabello, i suoi occhi che brillavano acuti alla luce
del fuoco. “Di che messaggero parli, Boromir? Chi mai potrebbe tradire
Aragorn?”
Boromir
esitò, e il timore di Aragorn si congelò in certezza. Sapeva il nome che
avrebbe udito ancora prima che Boromir lo pronunciasse, ma ciononostante il
colpo fu tremendo. “Halbarad.”
Gli
occhi dell’Elfo si strinsero pericolosamente. “Halbarad…” sibilò.
“Come
lo sai?”, chiese Aragorn, e la sua voce risuonò estranea alle sue orecchie -
aspra e piena di gelida rabbia.
“Non
lo so. Solo la parola di mio fratello mi assicura che Halbarad sia coinvolto.”
rispose Boromir.
“Allora
potrebbe essere un errore. Halbarad potrebbe essere innocente quanto Faramir.”
“Tutti
potrebbero essere innocenti, Aragorn. Non puoi chiamare un uomo traditore solo
perché non è d’accordo con le scelte del suo Re.”
“Ma
puoi chiamarlo traditore quando istiga altri all’omicidio!” ribatté Gimli. “Chi
altri in questo vasto esercito potrebbe spargere paura e discordia meglio di un
Ramingo? Si muovono a piacimento per i vari accampamenti, sono i benvenuti da
sire Aragorn, e ciò che dicono viene creduto dai soldati.”
“Nessuno
oserebbe spargere maldicenze contro il mio Sovrintendente in mio nome!”
proruppe Aragorn.
“Non
ha bisogno di farlo in tuo nome. Non c’è nemmeno bisogno che faccia sapere di
essere un ramingo.
Pensi che sia difficile per Halbarad cambiare il suo mantello, coprirsi il
volto, e scivolare indisturbato tra i ranghi, in mezzo a soldati stanchi e
spaventati, con menzogne mortali sulle sue labbra?”
Boromir
fece per protestare, ma Gandalf lo precedette. “Condanneresti un uomo sulla
base di dicerie, Gimli, figlio di Glòin?”
Fu
Legolas a rispondergli. “Non giudicherò nessuno, e mi ripugna dubitare del
luogotenente di Aragorn, così vicino al nostro re per affetto e parentela. Ma
una cosa vi dirò, e voi ne farete ciò che riterrete più giusto. Non mi sono
sentito a mio agio in compagnia di Halbarad, fin da quando abbiamo lasciato
Minas Tirith. In lui c’è qualcosa che mi preoccupa, e non mi piace il modo in
cui parla di Aragorn. E’ come se il Re di Gondor appartenesse a lui, e
noi fedeli compagni che abbiamo combattuto al suo fianco fin sotto il Cancello
Nero non avessimo parte nella sua vittoria, né diritto al suo affetto o a chiamarlo
amico. C’è un’ombra su di lui, Aragorn. Divento sempre più oscura man mano che
attorno a noi si fa la luce. Non mi fido di lui.”
“Bisognerebbe
sempre seguire il consiglio di un Elfo”, intervenne Gimli, con aria sapiente.
“Grazie
per le tue parole di saggezza, mastro Nano,” disse Gandalf, la sua voce
infinitamente asciutta. Il suo sguardo si posò a turno sui visi turbati e
adirati dei suoi amici, e infine su quello di Aragorn, dove si fermò.
“Bisognerebbe sempre seguire il consiglio di un elfo, quando se ne ha uno a
portata di mano. Ma anche il nostro acuto Legolas non può dirti se Halbarad ti
ha tradito oppure no. Questo dovrai giudicarlo da solo, senza basarti su voci e
dicerie.”
Aragorn
sostenne lo sguardo dello stregone per un lungo momento, cercando invano di
leggere i pensieri di Gandalf e di capire quale fosse la strada migliore. Ma i
suoi occhi, pur se pieni di comprensione, erano imperscrutabili come sempre,
nel viso vecchio e barbuto. Con un sospiro, Aragorn rivolse lo sguardo verso il
fuoco.
Rabbia,
dolore, risentimento gli lottavano in petto. Il messaggio di Boromir non lo
aveva sorpreso, ma non per questo il colpo non era stato più facile da
accettare. Come Legolas, Aragorn aveva intuito che qualcosa nel suo
luogotenente era cambiato. Ma a differenza dell'elfo, Aragorn se ne era accorto
fin dall’arrivo dei Dùnedain a Edoras. Da quando aveva raccontato a Halbarad le
sofferenze che aveva patito nei sotterranei di Isengard. Da quando egli stesso
aveva innescato il processo, spendendo parole di lode per un uomo che Halbarad
aveva sempre disprezzato per i suoi natali, e che ora temeva come un rivale.
Aragorn
provò una familiare fitta al cuore, mentre meditava sul difficile compito di
essere re. Ancora una volta, la sua missione per liberare la Terra di Mezzo e
rivendicare il suo trono avevano portato in pericolo mortale coloro che amava.
Non poteva abbandonare la sua missione, né rinunciare a ciò che gli spettava
per nascita, ma non poteva nemmeno ignorare il fatto che Halbarad, come Boromir
prima di lui, stava soffrendo a causa della sua devozione verso l’erede di
Isildur. Se fosse rimasto Grampasso, Ramingo del Nord, se avesse lasciato
Gondor nelle abili mani del suo Sovrintendente, forse avrebbe risparmiato ai
due uomini tutta quella sofferenza.
Scuotendo
il capo per bandire quegli inutili pensieri, Aragorn alzò lo sguardo e vide che
Pipino lo stava fissando. Pipino si fidava di lui, del suo amico Grampasso, per
risolvere quel brutto pasticcio, senza che nessuno di quelli che amava ne soffrisse.
Pipino credeva ancora in lui, e la fiducia dello hobbit non poteva essere
delusa.
Aragorn
decise immediatamente. “Sapremo la verità da Imrahil. È stato lui a parlare con
Faramir, e saprà sicuramente chi è coinvolto. Pipino, vai alla mia tenda e…”
Si
interruppe sorpreso, quando una figura grigiovestita comparve improvvisamente
nel cerchio di luce proiettato dal falò. Nessuno, a parte Legolas, aveva
sentito i passi del Ramingo sul terreno morbido, e il suo arrivo ebbe l’effetto
di una magia, e anche Aragorn ne fu sconcertato.
Il
Ramingo salutò il suo Capitano con un cenno informale e disse, “Duinhir di
Morthond desidera parlare con te, mio signore. Gli ho detto che stavi riposando
e che non volevi essere disturbato, ma ha insistito.”
“Fallo
venire”, rispose prontamente Aragorn, “E manda a dire al Principe Imrahil che
ho bisogno di lui.”
L’uomo
annuì e scomparve nella notte silenziosamente come era venuto. Aragorn si alzò
e girò attorno al fuoco per salutare il Signore di Morthond con la dovuta
cortesia. Contrariamente al silenzioso Ramingo, Duinhir annunciò il suo arrivo
con il tintinnio di cotte di maglia e il calpestio di stivali, e Aragorn non fu
sorpreso di vedere che era accompagnato da una mezza dozzina di uomini. Il
vecchio signore avanzò nel cerchio di luce, alto e orgoglioso, con la mano sul
pomo della spada e il cervo simbolo di Morthond ricamato sul petto, ma c’era
qualcosa di simile alla paura nei suoi occhi. Si fermò lontano da Aragorn e si
inchinò rigidamente.
“Mio
signore. Chiedo perdono per la mia intrusione, ma si tratta di qualcosa che non
poteva aspettare fino al mattino.”
“Non
c'è bisogno di scusarsi, lord Duinhir.” Gli occhi di Aragorn ispezionarono la
scorta dietro di lui, e le parole di benvenuto gli morirono in gola. “Come
posso servirti?”, chiese semplicemente.
“Sono
io che vengo per servire il mio re, e spero, così facendo, di riabilitare il
nome di Morthond.” Con un gesto secco all’uomo dietro di lui, disse, “Mi avevi
affidato un incarico, mio signore. L’ho eseguito.”
La
scorta si aprì, e dai ranghi uscirono due uomini - un soldato e un prigioniero.
Il prigioniero camminava di sua spontanea volontà, obbedendo all’ufficiale che
lo guidava per un braccio, anche se aveva le mani legate, e il suo viso era
tetro e risoluto. Indossava la cotta di maglia e il corpetto in cuoio degli
arcieri di Morthond, con lo stemma del cervo sulla spalla, e si muoveva con la
sicurezza di un veterano. L’ufficiale lo fece cadere in ginocchio davanti ad
Aragorn.
“Quest’uomo
è il sicario che era fuggito, sire Gemma Elfica”, ringhiò selvaggiamente
Duinhir. Fece un cenno a un altro uomo che gli porse una spada sguainata.
Porgendo a sua volta la spada ad Aragorn disse, “Lo consegno alla tua
giustizia, e ti chiedo di guardare a Morthond come a un tuo fedele alleato, in
questa e in tutte le cose.”
Aragorn
accettò la spada, senza distogliere lo sguardo dall’uomo inginocchiato. “Come
lo avete trovato?” chiese a Duinhir.
“Si
è costituito e ha ammesso la sua colpa.” Un mormorio di sorpresa corse
attraverso la Compagnia.
“Non
c’è alcun dubbio che sia stato lui a progettare e a mettere in atto
l’aggressione al Sovrintendente. I dettagli che mi ha dato sul luogo, l’ora e
gli eventi coincidono con ciò che hai detto tu.”
“Voglio
sentirlo da lui”, disse Aragorn.
Un
movimento alle sue spalle catturò la sua attenzione, e Aragorn si voltò,
vedendo Legolas che gli porgeva la sedia. Lo ringraziò con un cenno e si
sedette, assumendo inconsciamente una posa regale e minacciosa, tenendo la
spada del prigioniero di traverso sulle ginocchia. Il resto della Compagnia si
sistemò alle sue spalle e ai lati, come un pubblico formale. Boromir stava in
piedi alla sua destra, con Merry al suo fianco, e Aragorn non poté trattenersi
dal guardare per un istante il suo viso, cercando di cogliere la sua reazione.
Il Sovrintendente aveva un aspetto impassibile che anche Aragorn si augurava di
avere.
Rivolgendo
uno sguardo gelido all’uomo inginocchiato, Aragorn domandò, “Chi sei?”
“Elenard
di Morthond, mio signore.”
“Elenard
di Morthond, è vero che hai tentato di assassinare il Sovrintendente di
Gondor?”
“È
vero.” Elenard spostò lo sguardo su Boromir, e sembrò intuire che il cieco
voleva udire un altro poco la sua voce. Obbediente, continuò. “La notte prima
che marciassimo, io e il mio compagno abbiamo trovato il Sovrintendente in un
giardino, nella parte alta della città. Era solo - indifeso, pensavamo - una
facile preda. Abbiamo tentato, e abbiamo fallito. Quella piccola creatura,” e
indicò verso Merry, “ce lo ha impedito.”
Prima
che chiunque altro potesse parlare, Merry balzò in avanti abbandonando il suo
posto accanto a Boromir, col viso furente e gli occhi che lampeggiavano di
rabbia.
“Codardo!
Io ti conosco! Tu sei il vigliacco che non ha voluto combattere contro di me!
Beh, ora ho una vera spada, e ti insegnerò io cosa accade a chi vuole uccidere
i miei amici! Slegalo, Aragorn, e dagli la sua arma…”
“Pace,
Merry.” Il pacato ordine di Aragorn calmò lo sfogo di rabbia dello hobbit, e lo
fece tornare al suo posto, ma il fuoco della vendetta bruciava ancora negli
occhi di Merry.
“Boromir?
È lui?”
“Sì.”
“Allora
non ci sono dubbi. Sei un vile traditore, Elenard, e hai disonorato il nome del
tuo popolo.”
Elenard
chinò il capo e attese in silenzio.
“Pagherai
con la vita. Non c’è perdono per il tuo crimine, e non ti posso promettere
alcuna pietà. Ma se vuoi morire con una qualche parvenza di onore, o chiedere
perdono per il male che hai commesso, ti concedo di farlo.”
“Non
cerco pietà,” ringhiò Elenard, e per la prima volta, Aragorn udì una nota di
sfida nella sua voce, “ma nemmeno tu puoi privarmi del mio onore. Io sono
fedele al mio signore e alla Corona di Gondor! Non sono un traditore!”
“E
chi governa Gondor in assenza del re?” domandò Aragorn, sentendo la rabbia in
lui crescere pericolosamente. “A chi devi la tua fedeltà, se non a lui? Non
puoi alzare la tua spada contro il Sovrintendente di Gondor e dire che sei
fedele alla Corona di Gondor! Per quello che hai fatto, ti ucciderei volentieri
con le mie mani, e se non fossi un re con dei doveri verso il mio popolo che
chiede giustizia, anche per quelli come te, tu non usciresti vivo da questo
luogo!”
Le
sue parole infuriate risuonarono nel silenzio, e nessuno attorno a lui osò
romperlo, tanto era il peso della sua ira che aleggiava nell’aria. Elenard
continuava a tenere gli occhi bassi e le spalle incurvate, ogni traccia di
sfida scomparsa dal suo contegno. Gli uomini di Duinhir si agitarono
nervosamente, mentre con lo sguardo cercavano la sicurezza della notte oltre il
falò, ritirandosi dai visi immobili e spietati dei compagni del Re.
Aragorn
abbassò lo sguardo sull’uomo prostrato, e si ricordò che questi non era che un
mezzo, una pedina nelle mani del Nemico. Si era consegnato spontaneamente al
suo signore, sapendo che gli sarebbe costato la vita, piuttosto che fuggire
ricoprendosi di infamia, e Aragorn doveva trattarlo con giustizia. Giustizia,
non vendetta. Il dovere prima di tutto.
“Chi
ti ha spinto a fare questo?” chiese, di nuovo calmo e controllato.
Elenard
esitò per un solo momento. “Hirluin, anch’egli di Valle Cepponero.”
“È
l’uomo che teniamo prigioniero a Minas Tirith,” disse Boromir.
Aragorn
annuì, ma non distolse lo sguardo da Elenard. “Ci sono altri?”
“No,
mio signore.”
“Nessuno
vi ha aiutato a progettare il vostro atto o a coprire la vostra fuga?”
“No.”
“Molto
bene, per il momento questa risposta mi basta. Ora, Elenard, ti concedo di
giustificare le tue azioni.”
“Cosa
dovrei dire?” chiese il soldato.
“Dimmi
perché hai tentato di uccidere il mio amico.”
La
minaccia nella voce di Aragorn fece trasalire Elenard, ma l’uomo mantenne il
suo contegno, e rispose con decisione. “Ho fatto ciò che ritenevo giusto per
scacciare il Nemico dalla città e per dare all’esercito una speranza di
vittoria.” Esitò, poi aggiunse, bruscamente, “E per vendicare i miei giovani
signori.”
“I
tuoi signori?” Aragorn guardò Duinhir e vide un’espressione addolorata e
sconvolta sul suo viso. L’anziano signore si voltò per nascondere il suo
turbamento.
“I
figli di Duinhir sono morti innanzi ai cancelli di Minas Tirith, quando il
Sovrintendente-Ombra cavalcava tra noi”, ruggì Elenard.
“Boromir
ha forse ucciso i tuoi signori?”
“Sono
stati gli orchi di Mordor a ucciderli, ma è stata la sua presenza sul campo di
battaglia che ha segnato la loro condanna! Non sarebbero morti, se lui se ne
fosse restato entro le mura della città, con la spada nel fodero e il suo
sventurato volto nascosto, come si addice a un relitto inutile di soldato!”
Un
mormorio di rabbia si alzò dagli astanti, ma Elenard li ignorò. Per la prima
volta, si rivolse direttamente a Boromir, e ad Aragorn parve che i due uomini
fossero soli, intenti a una battaglia di volontà che non riguardava nessun
altro. “Come hai potuto, tu, veterano di tante guerre, portare su di noi una
tale disgrazia? Come hai potuto gettare la tua oscurità su di noi in un momento
come questo?”
“Che
cosa avresti fatto al mio posto?” domandò Boromir. “Avresti lasciato la tua
spada nel fodero e nascosto il tuo viso, mentre un esercito di orchi si
riversava attraverso i cancelli della città? Io non temo alcuna maledizione,
Elenard. Non ho colpa per la morte dei tuoi signori. Ma se invece avessi
lasciato che la Città Bianca cadesse nelle mani del nemico senza alzare un dito
per proteggerla, allora sì che sarei stato una disgrazia per il mio popolo!”
“Certo,
hai scacciato gli orchi dai cancelli. Ma i segni? I presagi?”
“Quali
presagi? Sauron è caduto, Minas Tirith è libera, e io vivo. Che segno è
questo?”
“È
stato il Re a sconfiggere l’Innominabile. Il sire Gemma Elfica, uscito dalla
leggenda per salvarci dall’Ombra. Non tu, figlio di Denethor.”
Boromir
scosse le spalle. “È vero. Ma non ho nemmeno gettato Gondor nell’oscurità, né
causato la sconfitta dell’esercito dell’Ovest cavalcando con loro. Se davvero
fossi una maledizione non sarei certo un granché.”
La
risposta di Elenard andò persa nell’agitazione dovuta all’arrivo di Imrahil. Il
Principe si avvicinò al fuoco, seguito dalla sua scorta, un Ramingo solitario
che si muoveva senza rumore accanto a lui. Quando i due uomini entrarono nel
cerchio di luce, Aragorn vide che il Ramingo era Halbarad. Il Re lo osservò con
sospetto, incerto se essere lieto o irritato che il suo luogotenente avesse
deciso da sé di unirsi alla riunione, ma non fece alcun commento.
Imrahil
si fermò a qualche passo da Aragorn e dal prigioniero inginocchiato, e il suo
sguardo stupito vagò sui membri del gruppo. “Mi hai mandato a chiamare, mio
signore?”
“Sì.
Grazie per essere venuto così in fretta.”
Imrahil
annuì, e corrugò la fronte quando guardò il prigioniero. “Questo chi è?”
“Il
sicario scomparso.” Imrahil si accigliò ancora di più, e fece un passo avanti.
Stava per parlare, ma Aragorn lo fermò con un gesto della mano.
“Chiedo
la tua pazienza, Imrahil. Quando avrò finito con quest’uomo, ti dirò perché ti
ho mandato a chiamare.”
Imrahil
obbedì, ritirandosi accanto ad Halbarad. Aragorn notò il modo in cui i due si
avvicinarono, in quell’atmosfera carica di tensione. Rivolgendosi a Elenard,
disse, “È chiaro che sei stato solo uno strumento nelle mani di una mente più
subdola e scaltra, e provo pietà per te.”
“Tutti
nell’esercito sanno che la venuta del Sovrintendente-Ombra porterà sconfitta e
oscurità! Chiedetelo a qualunque soldato, attorno a qualunque falò, e vi dirà
la stessa cosa!”
“Lo
so, perché tutti avete prestato ascolto alle stesse maldicenze. Ora ascolta me,
Elenard di Morthond. Non sono forse io il sire Gemma Elfica, uscito dalla
leggenda per salvarvi dall’Ombra?”
“Sì…”
“Allora
prestami ascolto e credi a ciò che dico. Non esiste una tale credenza, non c’è
nessun presagio di sventura. Questa superstizione è stata diffusa tra voi per
alimentare la vostra paura e indebolire la vostra ragione. È una menzogna,
Elenard. Nulla di più. Poiché tu l’hai creduta, hai perduto il tuo onore,
infangato il tuo nome, e ti sei condannato a una fine da traditore.”
Elenard
si inumidì le labbra nervosamente, e lanciò a Boromir uno sguardo furtivo.
“Forse…forse ho dubitato…dopo la nostra vittoria davanti al Cancello Nero.”
“Per
questo ti sei consegnato al Lord Duinhir?”
L’uomo
esitò, poi fece un cenno col capo che passò per un assenso.
Aragorn
si sporse in avanti sul suo scranno. “Guardami.” Riluttante, Elenard sollevò lo
sguardo per incontrare quello del re, e Aragorn lo fissò intensamente negli
occhi, cercando qualche traccia di falsità o di inganno. “Chi ti ha messo in
testa questa menzogna?” domandò a bassa voce.
Elenard
scosse la testa. “Nessuno. Non lo so!”
“Non
sperare di ingannarmi, Elenard. Dimmi chi ha versato questo veleno nelle tue
orecchie.”
“L’ho
sentito dire in tutto l’accampamento. Dalla notte dopo la battaglia, quando si
diffuse la storia della morte dei giovani signori, e dell’incursione del
Sovrintendente fuori dai cancelli… era sulla bocca di ogni soldato!”
Aragorn
continuò a fissarlo ancora per un momento, poi si sedette di nuovo all’indietro
con un sospiro. Osservò il prigioniero pensierosamente, poi posò lo sguardo sui
visi pallidi e tesi che lo circondavano. Duinhir e i suoi uomini sembravano i
più scossi.
“Solo
un’altra domanda. Hai visto estranei nel tuo accampamento quella notte, o prima
che partissimo da Minas Tirith?”
“Certo.”
Elenard lo guardò confuso. “Molti. Eravamo in mezzo a tanti soldati. Uomini di
Anfalas, dell’Ethir, di Lamedon…tutti si muovevano liberamente tra le tende e
parlavano con gli amici.”
“E
c’era qualcuno le cui insegne non conoscevi? O la cui presenza era sospetta?”
“Non
che io ricordi, mio signore.”
“Molto
bene.” Alzandosi dal suo scranno, Aragorn porse la spada di Elenard a Pipino, e
fece il giro attorno al fuoco. Si avvicinò a Duinhir tendendogli la mano. Il
signore di Morthond rispose alla sua stretta con gratitudine. “Mi hai reso un
grande servizio, Duinhir, e ti ringrazio. Ma ho un ulteriore compito da
affidarti.”
“Sarò
lieto di servirti come potrò.”
“Parla
ai tuoi uomini. Trova chi è stato il primo a diffondere la diceria del
Sovrintendente-Ombra, risali alle origini. Chiedi ai signori delle terre
vicine, a quelli che sono accampati attorno a voi, e i cui uomini vagano
liberamente per il vostro accampamento. Non credo che questo vile tradimento
venga da voi, ma è venuto alla luce tra i vostri uomini, e perciò è tra loro
che dobbiamo cominciare a cercare.”
“Farò
tutto ciò che è in mio potere per trovare i traditori, mio signore.”
“So
che lo farai. E ora, ritornate alle vostre tende con i miei ringraziamenti, e
lasciate a me questo disgraziato.”
Duinhir
si inchinò e si voltò per andarsene, con i suoi uomini dietro si lui. Non
appena i loro passi furono svaniti nell’oscurità della notte, la tensione
accanto al fuoco si allentò visibilmente. Legolas e Gimli affiancarono il
prigioniero, posando le mani sulle loro armi con un’aria di calma vigilanza.
Pipino posò con cautela la spada di Elenard sull’erba, poi prese il suo boccale
di vino e si sedette su una sedia vuota per osservare comodamente gli altri.
Anche Gandalf si sedette, ma non trascurò il compito che li aspettava oltre il
tempo necessario per accendersi la pipa.
Boromir
si sarebbe volentieri ritirato in un posto tranquillo lontano dal falò, ad
aspettare, ma Imrahil lo prevenne, posandogli una mano sul braccio e chiedendo,
“E' vero, Boromir? Hanno preso l’assassino e svelato la cospirazione?”
“Sì.”
“Abbiamo
trovato soltanto l’arma, non il traditore”, disse Aragorn, più aspramente di
quanto avesse voluto.
Imrahil
si voltò rapidamente verso di lui. “Che cosa vuoi dire, mio signore?”
Aragorn
ignorò la sua domanda. Ritornando presso il fuoco, si avvicinò al prigioniero,
e per la prima volta, non c’era rabbia nei suoi occhi mentre guardava l’uomo
legato.
Indicando
Imrahil chiese, tranquillamente, “Conosci quell’uomo, Elenard?”
“È
il Principe di Dol Amroth, mio signore. Abbiamo combattuto molte volte sotto lo
stendardo del Cigno.”
L’arciere
chinò la testa in un piccolo inchino a Imrahil. “Mio signore, principe.”
Imrahil
si accigliò , senza rispondere al saluto.
“Hai
mai parlato con lui?”
“No,
signore.”
“Lo
hai mai visto parlare con qualcuno dei tuoi compagni nell’accampamento di
Morthond?”
“No,
signore. Prima di stanotte non lo avevo mai visto che sul campo di battaglia, e
anche lì solo da lontano.”
“Che
follia è mai questa?” domandò il principe.
“Pazienza,
Imrahil. Ho quasi finito.” Spostò lo sguardo dal Principe al Ramingo
silenzioso, che si era tenuto un po’ in disparte, al limite del cerchio di
luce.
“Vieni
avanti, Halbarad.”
Halbarad
si mosse come un’ombra sull’erba, avvicinandosi fino a essere accanto a
Aragorn. Il suo viso era tranquillo e impassibile, i suoi occhi non tradivano
altro che curiosità mentre osservavano Elenard.
“Conosci
quest’uomo?” Chiese Aragorn al prigioniero.
“Certo,
è uno dei vostri Raminghi, mio signore.”
“Lo
hai mai visto nel tuo accampamento?”
“Molte
volte.”
“Davvero?
Quando?”
“Durante
la marcia sulla Terra Nera. I Raminghi vagavano per il nostro accampamento -
cercandomi, così pensavo - e lui è venuto spesso.”
“E
prima di lasciare Minas Tirith?”
“Elenard
osservò attentamente il viso immobile, poi scosse le spalle. “Forse. Non
ricordo.”
Halbarad
non ebbe alcuna reazione, ma Imrahil stava perdendo la calma. Con le guance in
fiamme, spalancò gli occhi e disse, “Dobbiamo ora essere esaminati da un
traditore? Te lo chiedo di nuovo, mio Re, cosa significa tutto ciò?!”
“È
bene che tu ricordi chi sono!” ribatté Aragorn, sfogando un po’ della sua
rabbia. “Stai attento alle condanne che lanci, Principe Imrahil, perché
potrebbero ricadere sul tuo capo! Elenard, tu andrai con questo Elfo e questo
Nano, che ti condurranno dai tuoi carcerieri. Rimarrai sotto stretta
sorveglianza fino a che non raggiungeremo Minas Tirith, e là deciderò il tuo
destino. Non parlerai a nessuno senza il mio permesso, e non tenterai di
fuggire, o sarai ucciso senza pietà. Mi capisci?”
“Sì,
mio signore.”
“Bene.
Legolas, Gimli, portatelo da Éomer. Credo che con gli uomini di Rohan sarà al
sicuro e ben sorvegliato.”
Gimli
proruppe in una breve risata. “Non se Éomer sa di chi si tratta!”
“Voi
direte a Éomer da parte mia che voglio che mi consegni il prigioniero nella
Torre di Guardia, illeso. E ditegli che affido a lui questo compito perché mi
fido di lui completamente. Fallo alzare, Legolas.”
Legolas
prese Elenard per un braccio e lo fece alzare con facilità. L’uomo si inchinò
ad Aragorn, e, dopo un momento di esitazione, anche a Boromir e a Imrahil.
L’Elfo e il Nano lo afferrarono per le braccia e lo condussero lontano dal
fuoco, e Gimli andandosene lanciò un ultimo sguardo minaccioso a Halbarad.
Aragorn
distolse lo sguardo dalle figure che si allontanavano, e vide che Boromir era
rimasto in piedi accanto a lui. Lo sguardo del Re si posò sul viso del
Sovrintendente per un momento, vedendovi tensione e stanchezza, e Aragorn
improvvisamente desiderò di potergli risparmiare ulteriori amarezze, almeno per
quella notte. Vedendo il dolore scolpito in quel viso familiare, capì quanto
profondamente Boromir soffrisse nell’essere la causa di tanta agitazione, e
l’oggetto di tanto disprezzo.
“Non
c’è bisogno che tu resti, Boromir,” disse Aragorn. “Tu e Merry venite da un
lungo viaggio e dovreste riposare.”
Boromir
sorrise senza allegria, facendo apparire il suo viso ancora più teso. “Vorrei
sentire quello che ha da dire il mio consanguineo.” Tese una mano a Merry, che
non era mai più lontano di un passo o due da lui, e il mezzuomo si avvicinò
prontamente. “Sei stanco, Merry? Forse tu e Pipino volete stare un po’
insieme.”
“No.”
Merry mise la sua piccola mano nella grande mano di Boromir. “Anch’io voglio
sentire.”
“Lo
vogliamo tutti,” intervenne Gandalf, bruscamente. “Hai molto da spiegare, Dol
Amroth.”
Imrahil
osservò un viso dopo l’altro, trovando solo sguardi implacabili e visi
contratti, senza comprensione. Il suo viso era innaturalmente pallido, perché
l’indignazione aveva lasciato il posto alla consapevolezza. “Hai parlato con
Faramir”, disse infine, con voce piena di dolore.
“Mi ha
detto della tua cospirazione”, rispose Boromir.
Imrahil
raddrizzò il capo orgogliosamente, irrigidendosi. “Cospirazione? È una parola
dura per una leale alleanza tra uomini per una giusta causa”.
“Chiamala
come vuoi, il fine è il medesimo. Stai cercando si privarmi del mio diritto di
nascita per darlo a mio fratello, andando contro le leggi di successione e il
volere del tuo Re.”
“Non
farò nulla contro il volere del mio Re, ma come suo leale vassallo è mio
diritto e dovere esprimere le mie preoccupazioni a questo riguardo. Se le mie
parole non contano per lui, allora sia. Mi inchinerò al suo volere, in questa
come nelle altre cose. Ma non resterò fermo a guardare senza consigliare la sua
scelta su un argomento così importante come il futuro di Gondor!”
Aragorn
fissava il Principe con uno sguardo fermo e neutrale che sapeva essere
irritante quanto uno scoppio d'ira. “Un bel discorso, Imrahil, ma non risponde
alla domanda riguardo al tradimento.”
“Quale
tradimento?” Aragorn poteva vedere lo stupore oltre il suo orgoglio ferito.
“Che
cosa ho fatto, se non parlare con un mio consanguineo a proposito del bene di
suo fratello?”
“Non
lo so. Che altro hai fatto?”
Imrahil
si agitò, a disagio, ma sostenne lo sguardo di Aragorn senza tirarsi indietro.
“Se hai parlato con Faramir, sapete tutto il mio ruolo in questa storia.”
“Te
lo chiederò apertamente, Principe Imrahil, ed esigo una risposta diretta. Sei
stato tu a diffondere dicerie tra gli eserciti del Sud per incitare gli uomini
a fare del male a Boromir?”
Gli
occhi di Imrahil si spalancarono per lo sconforto. “Non sono stato io”.
“Hai
parlato con qualcuno che ha suggerito una tale azione, o che si vantava di
averlo fatto?”
“No!
Santo cielo, Aragorn, per chi mi hai preso?! Boromir è mio consanguineo! Pensi
che avrei alzato la mano contro di lui, o che avrei permesso a un altro di
farlo?”
“Volevi
privarlo della sua primogenitura.”
“Per
proteggerlo! Per risparmiargli gli orrori sofferti da suo padre!” Rivolgendosi
a Boromir, tese una mano e disse, quasi implorando, “Sai che non avrei mai
fatto una cosa del genere, Boromir! Non puoi crederlo!”
“Non
voglio crederlo,” rispose Boromir, la voce bassa e carica di emozione, “Ma
nulla è stato come io volevo, da quando sono tornato. Sono tornato a casa per
porre la mia spada e la mia vita al servizio di Gondor, come un suo figlio
devoto, solo per scoprire che essa non mi riconosce più.”
Il viso
di Imrahil si fece pallido, e la sua bocca si contrasse. Restò a bocca aperta.
“Ve lo giuro, a entrambi, sul mio onore. Non ho commesso una tale viltà.”
Aragorn
continuò a fissarlo per un momento, esaminando la sincerità dei suoi occhi, poi
annuì brevemente. “Ascolterò le tue preoccupazioni riguardo il mio
Sovrintendente quando terrò Consiglio a Minas Tirith. Fino ad allora, mi
aspetto che tu lo appoggi in tutto e per tutto con onore. Ricorda, mio lord
Principe, che la Corona di Eärnur non è ancora sul
mio capo. Non sono ancora il vostro Re. È a Boromir, Sovrintendente di Gondor,
che devi la tua fedeltà.”
“Non l’ho dimenticato.”
“Molto bene.”
“Posso congedarmi, ora, sire Aragorn?”
“Dimmi solo un’altra cosa. Chi altri fa parte di questa…
alleanza?” Aragorn vide che Imrahil esitava, e lesse il sospetto sul suo viso.
“Ti riterrò innocente dall’accusa di tradimento, Imrahil, così come chiunque
sia con te e agisca in buona fede. Ma qualcuno ha tentato di fare del male a
una persona a cui tengo come a me stesso. Non posso permettere che resti
impunito.”
“Avete il vostro sicario.”
“Sai bene quanto me che Elenard è stato semplicemente
lo strumento di qualcuno di più scaltro. Forse troverò il colpevole tra i tuoi
alleati. Forse no. Ma devo pur cominciare da qualche parte.”
Imrahil considerò le sue parole per un altro momento, poi
finalmente annuì. Diede ad Aragorn molti nomi, rappresentanti di molti nobili
casate di Gondor, e un buon numero di alleati più distanti, compresi Lord
Taleris e Faramir. Quando ebbe finito, lanciò uno sguardo penetrante a Halbarad
e disse, “È stato il tuo luogotenente a venirmi a cercare per convincermi a
parlarne con Faramir.”
“Halbarad?”
“Sì.”
Aragorn non ebbe il coraggio di guardare il ramingo mentre
parlava. Temeva che la sua forza non sarebbe stata sufficiente, e non voleva
perdere la calma di fronte a Imrahil. Tenendo lo sguardo fisso sul principe,
disse, “Grazie per il tuo aiuto.”
Imrahil si inchinò con rigidezza. “Spero che troverete il
colpevole di questo crimine.” Rivolgendosi a Boromir aggiunse, “E spero che tu
capisca la ragione per cui faccio questo, Boromir. Come te, voglio solo
proteggere il mio paese.”
“Non ne discuteremo ora,” rispose Boromir, calmo.
“No, non ora. Vi auguro una buona notte.” Con un altro rigido
inchino rivolto a tutti i membri della Compagnia, si voltò e si allontanò con
fierezza verso l’oscurità oltre il fuoco.
Ancora prima che il Principe fosse fuori portata della sua
voce, Gandalf si alzò in piedi. Sorridendo a Pipino, con il suo solito luccichio
divertito negli occhi, disse, “Vieni, Mastro Took. Andiamo a cercare una panca
dove riposare le nostre stanche membra mentre fumiamo la pipa insieme.”
Pipino scese dalla sedia e mise le mani in tasca. “Ho
lasciato il sacchetto nella tenda.”
“Allora andremo a prenderlo, se hai qualche buona foglia di
Pianilungone da dividere con un vecchio amico.” Lo stregone condusse lo hobbit
verso il limite dello spiazzo illuminato dal fuoco, e mentre passava lanciò ad
Aragorn uno sguardo grave e carico di comprensione. “Merry? Boromir? Volete
unirvi a noi?”
Boromir arruffò i capelli di Merry in un inconsapevole gesto
di affetto, e disse, “Io andrò all’accampamento di Rohan. Credo che Èomer abbia
un posto tranquillo dove farmi dormire, e ho intenzione di passare la notte con
i Rohirrim. E tu Merry?”
“Io verrò con te”, disse Merry. “Il Re mi ha offerto un
posto alla sua tavola e un letto nella sua tenda, se li desidero.”
“Allora andiamo, mastro scudiero.”
Congedandosi a bassa voce da Aragorn, i quattro compagni si
allontanarono rapidamente. Aragorn ne fu grato ma allo stesso tempo
dispiaciuto. Non voleva che assistessero a quello che stava per accadere, ma
avrebbe voluto avere la loro presenza accanto per sostenerlo. Tenne lo sguardo
fisso verso le ombre notturne che li avevano inghiottiti, mentre cercava di
dominare le sue emozioni contrastanti, e di trovare le parole per rivolgersi al
suo consanguineo.
Dietro di lui, Halbarad si mosse, e parlò, con voce calma.
“Devo occuparmi del cambio delle sentinelle.”
“No, non andare!” Aragorn si voltò all’improvviso e vide che
Halbarad non si era mosso. I suoi occhi incontrarono quelli di Aragorn, fieri e
solenni, e sebbene la sua mano fosse posata sull’elsa della spada, non c’era
minaccia nel gesto. Era la posizione di attesa che usava sempre quando
ascoltava gli ordini del suo capitano. Aragorn ricambiò il suo sguardo, senza
cercare di nascondere il suo turbamento.
ra Halbarad, che ora stava in piedi di fronte a lui. Quello era un
uomo che conosceva quanto se stesso - un uomo che aveva combattuto e sofferto
accanto a lui durante i lunghi anni di esilio, che lo aveva aiutato nei momenti
più oscuri della sua vita e non aveva mai vacillato nella sua lealtà. Erano
dello stesso sangue. Condividevano un comune destino e un affetto non comune.
Quando un’ombra cadeva su di uno, anche l’altro la sentiva. E ora, quando
avrebbero dovuto rallegrarsi per quel legame d’affetto, ne erano invece feriti.
Era una tortura per Aragorn pensare che il suo consanguineo
potesse averlo tradito. E che la motivazione di Halbarad fosse stato il suo
amore per il suo re lo rendeva ancora più difficile da sopportare. Era vero che
il Ramingo non aveva ancora fatto nulla per meritare il nome di traditore, per
quanto ne sapeva Aragorn, ma il suo ruolo nella coalizione contro Boromir
dimostrava che era capace di una gelosia e di un rancore che Aragorn trovava
terribili. Anche se Halbarad si fosse dimostrato innocente da ogni torto,
Aragorn non sarebbe più stato capace di guardarlo con la stessa fiducia e lo
stesso amore incondizionato di prima.
Halbarad doveva aver capito il conflitto che lo tormentava,
e certo sapeva come anticipare i suoi pensieri. Un piccolo sorriso apparve sul
suo viso, disturbandone la solennità, senza però raggiungere i suoi occhi
gelidi.
“Vuoi interrogare anche me? Dove mi trovavo in quel momento?
Con chi ho parlato?”
“Devo farlo.” La voce di Aragorn suonò inespressiva alle sue
orecchie. “Devo sapere da che parte stai, Halbarad.”
“Io sto con te, come sempre. Se lo metti in dubbio, allora
non sei più l’uomo che ho seguito per tutta la Terra di Mezzo.”
“Uno di noi è cambiato. Questo è chiaro.” Improvvisamente,
l’amarezza e il dolore riaffiorarono con violenza, facendo perdere il controllo
ad Aragorn, e spingendolo a fare una difficile domanda. “Come hai potuto
tradirmi così, Halbarad? Perché?”
Il viso di Halbarad si irrigidì in una maschera furiosa, e i
suoi occhi fiammeggiarono. “Hai dimenticato di chi è figlio? Hai dimenticato
gli insulti, il disprezzo, il disdegno che hai sofferto per colpa di suo
padre?”
“Boromir non è suo padre!”
“Ma è stato cresciuto da lui! Allevato e viziato, e
incoraggiato da lui nelle sue vili ambizioni! Come puoi guardarlo in viso senza
vedere l’orgoglio di Denethor? Ricordati di Thorongil, non fidarti del figlio
di Denehtor!”
“Lo ricordo, Halbarad. Ma più di tutto, ricordo l’amarezza
che tu hai provato, quando l’ostilità di Denethor costrinse Thorongil a
lasciare Gondor. Ma te lo dissi allora, e te lo ripeto ora, il tempo non era
maturo per la mia venuta. Era giusto lasciare Minas Tirith al suo legittimo
signore e aspettare il momento per conquistare la corona apertamente, sul campo
di battaglia, sconfiggendo il nostro nemico. Ho seguito il consiglio di Gandalf
e non l’ho mai rimpianto.”
“Certo.” La mano di Halbarad si strinse attorno all’elsa
della spada, mentre cercava di dominare la sua rabbia. “Tu hai sempre
considerato il consiglio di Gandalf più di ogni altra cosa.”
“Mi stai dicendo che non ti fidi di Gandalf?”
“Ti sto ricordando che è stato Gandalf a metterti in guardia
contro Boromir.”
“Ti sbagli.”
“Ti ha detto che Boromir era troppo il figlio di suo padre
per ascoltare i consigli dei saggi. Gandalf non ha forse sempre guardato a
Faramir, per il bene di Gondor? Secondo la sua opinione, Faramir è un uomo
saggio, capace di giudizio e di comprensione, mentre Boromir è un uomo
orgoglioso, ambizioso ed egoista!”
“Gandalf ha cambiato la sua opinione. Ma tu… tu non conosci
Boromir! Non sai quello che ha passato e sofferto per conquistare il suo posto
al mio fianco.”
“So solo che tu hai lasciato che la pietà offuscasse il tuo
giudizio.”
na grande rabbia, cieca e furibonda come quella di Halbarad,
si impadronì di Aragorn. Amarezza, dolore, rimpianto - tutto era scomparso,
divorato da quella rabbia. Ma contrariamente ad Halbarad, Aragorn non perse la
calma. Rimase fermo e immobile, il suo viso freddo e duro come il diamante, e la
sua voce bassa e pericolosa. Solo i suoi occhi tradivano la sua emozione.
Scintillavano feroci alla luce del fuoco, e per un terribile momento, Aragorn
sembrò poter fustigare l’altro uomo solo con la forza del suo sguardo,
strappare carne e vestiti per scoprire la sua anima e leggere la sua
colpevolezza.
“Stai dimenticando te stesso, Halbarad.”
Il Ramingo trasalì impercettibilmente, riconoscendo la
pericolosità che si nascondeva nella sua voce calma, ma non cedette. “Non
dimenticherò mai ciò che devo all’Erede di Isildur. Ti servirò fino alla morte,
che tu lo accetti o no, e combatterò finché avrò forza per proteggerti!”
“Se hai spinto i fedeli vassalli di Gondor alla violenza
contro il loro Sovrintendente, allora sei un traditore. Ma non avrai una fine da
traditore.”
Il dubbio balenò negli occhi di Halbarad. “Che cosa intendi
dire?”
Aragorn si avvicinò di un passo, portando con sé la minaccia
silenziosa della sua rabbia. “Tu non morirai insieme a Elenard e Hirluin. Non
arriverai al patibolo. Se scopro che hai tentato di assassinare Boromir, ti
ucciderò io con le mie stesse mani.”
Halbarad deglutì, e la tensione nell’aria fece sembrare il
rumore penosamente forte. “E se non l’ho fatto?”
“Allora non sei un traditore.” Non aggiunse altro, perché
non sapeva cos’altro poteva offrire. Le parole erano state troppo crude, troppo
amare, e la possibilità del tradimento era troppo reale per ammettere un gesto
più amichevole.
“Crederai alla mia parola? O l’amore per il figlio di
Denethor ti ha avvelenato a tal punto da metterti irrimediabilmente contro di
me?
Aragorn sentì il viso contrarsi, e vide una nuova paura negli
occhi di Halbarad. “Dimmi la verità, e io lo saprò.”
“Non ho spinto Elenard all’omicidio”, disse il Ramingo, con
una nota di ostilità nella sua voce che non riuscì a controllare. “Non ho
parlato a nessuno con quell’intenzione, né desidero la morte del legittimo
governante di Gondor. Tutto ciò che ho fatto e che faccio, è per il tuo bene.
Non voglio altro che tu prenda la Corona e che Gondor sia in pace nelle tue
mani.”
Aragorn osservava il suo viso intensamente mentre parlava, e
capì che Halbarad diceva il vero. Non gli sfuggì l’attenta scelta di parole da
parte del Ramingo, e non poté fare a meno di chiedersi quali altre verità, meno
piacevoli, si celavano dietro quelle accorte frasi, ma non disse nulla. Non
aveva prove che Halbarad gli stesse nascondendo qualcosa, e non aveva alcuna
ragione di dubitare di lui se non i suoi stessi dubbi. Per quella notte, le sue
nude verità, per quanto insoddisfacenti, avrebbero dovuto bastare.
“Cosa ne dici, Aragorn?” domandò Halbarad. “Ti ho detto la
verità?”
“Sì.” Aragorn si ritrasse da lui, improvvisamente troppo
stanco per sostenere ancora il suo sguardo. Le parole successive gli si
bloccarono in gola, ma si sforzò di pronunciarle ugualmente. “Ti ringrazio.”
Halbarad non disse nulla per un lungo momento, e Aragorn si
accorse che il suo buon senso stava lottando contro il suo orgoglio ferito,
oscillando tra uno e l’altro. Alla fine il buon senso ebbe la meglio, e il
Ramingo parlò senza tradire alcuna emozione. “Mi occuperò del cambio delle
sentinelle. E poiché tu ritieni che non sia l’arciere il vero nemico, e che un
traditore sia ancora in libertà tra di noi, rinforzerò la sorveglianza alla tua
tenda.”
“Non è necessario. Io sono al sicuro.”
“Non deve accadere alcun male al nostro Re.” Halbarad eseguì
un breve inchino, al quale Aragorn rispose con un cenno del capo, poi si voltò
e se ne andò rapidamente.
Aragorn si lasciò cadere sulla sedia più vicina, e si prese
il viso tra le mani. Restò così, immobile, per un lunghissimo tempo, cercando
la forza di ritrovare il controllo di se stesso. Infine sollevò la testa.
L’incerta luce del fuoco rivelò un viso calmo e rilassato, la stanchezza nei
suoi occhi l’unica cosa che tradiva il costo di quella pace. Si alzò in piedi,
gettò indietro il mantello, e scomparve nella notte.
*** *** ***
Frodo sedeva alla grande tavolata, tra Sam e Gandalf, con un
banchetto regale davanti a sé. Il re in persona presiedeva al gioioso evento,
anche se il suo seggio non era più maestoso né i suoi abiti più ricchi di
quelli degli altri partecipanti. Guardare il viso di Aragorn era guardare il
più grande tra gli uomini. Più di una volta, Frodo si trovò a fissare la regale
figura vestita di nero e di argento, con il diadema sul capo e la verde gemma
elfica al collo, domandandosi dove fosse andato a finire il suo vecchio amico
Grampasso.
Per tutto quel lungo giorno, a Frodo sembrò di vivere in un sogno.
Attorno a lui si affollavano visi familiari, ma tutti erano pieni di una strana
luce e illuminati da una nuova saggezza, e lo guardavano come se fosse stato un
qualche principe uscito da una leggenda, invece che Frodo Baggins della Contea.
Canzoni risuonavano nell’aria, celebrando le lodi di guerrieri, eroi e re. Il
suo nome era quello che più di tutti usciva dalle labbra del menestrello, ma
Frodo ancora non riusciva ad ascoltare quei canti pensando al suo viaggio
oscuro. Ascoltava le canzoni come avrebbe fatto con quelle degli Elfi,
godendone la bellezza e i racconti di gesta lontane - senza avere l’impressione
di esserne parte.
Accanto a lui, Sam ammirava la scena con gli occhi spalancati per
l’ammirazione, e un sorriso imbarazzato sul viso. Caro Sam. Il solo appiglio
con la realtà che aveva in quel fantastico, scintillante sogno. Quando guardava
Sam, Frodo si sentiva di nuovo integro e sano. Se distoglieva lo sguardo troppo
a lungo, una strana leggerezza si impadroniva di lui, facendolo sentire come la
Fiala di Galadriel, svuotato di tutta la sua sostanza e riempito della chiara
luce delle stelle.
Non era una sensazione spiacevole. Era fatta di felicità, assenza
di dolore, e sollievo da un terribile fardello che aveva portato per così tanto
tempo da non riuscire a ricordare il tempo in cui ne era libero. Ora, almeno,
non esisteva più. E con la sua scomparsa era giunta quella sensazione di
leggerezza, di un vuoto che poteva essere riempito solo con la luce. O col
dolore, se il dolore lo avesse raggiunto di nuovo.
Lì, su quel verde campo, circondato da tutta quella gioia, Frodo
non riusciva a concepire la possibilità di altro dolore. Ma la consapevolezza
che sarebbe arrivato di nuovo non lo abbandonava mai del tutto. Il vuoto
lasciato dalla distruzione dell’Anello era nato dal dolore, creato per esso,
uno spazio che sarebbe stato inevitabilmente riempito di nuovo.
Frodo applaudì il cantastorie, e accettò un’altra porzione di cibo
mentre rimproverava scherzosamente Pipino, che stava accanto ad Aragorn con una
fiasca di vino in mano. Tutto sembrava facile e bello. E Frodo si concesse di
accettarlo così come era, finché durava, senza paure o domande. Era tra amici,
e nessun’ombra oscurava il suo cuore.
I suoi occhi si spostarono verso l’estremità opposta del tavolo,
abbracciando tutta la Compagnia che sedeva vicino a lui. Solo un viso non
sorrideva, e Frodo non poté fare a meno di soffermarsi su quel viso, familiare
eppure cambiato più di ogni altro. Boromir sedeva alla destra di Aragorn, ma
non sembrava essere a suo agio. Non sorrideva, mangiava e beveva pochissimo, e
quando nessuno lo coinvolgeva in una conversazione sembrava ritirarsi in se
stesso come se volesse scomparire.
Sulle prime la presenza di Boromir aveva messo in imbarazzo Frodo.
Non poteva dimenticare il modo in cui si erano separati ad Amon Hen. Frodo
sapeva meglio di chiunque altro ciò che l’Anello poteva fare, piegando la mente
e la volontà di coloro che stavano troppo a lungo in sua presenza o davano
ascolto ai suoi sussurri, e non incolpava Boromir per le sue azioni. Ma non
riusciva a sentirsi a suo agio in compagnia dell’uomo, specialmente ora che non
sapeva che effetto avevano avuto su di lui la distruzione dell’Anello e la
guerra che ne era seguita.
Ma col passare del tempo, osservando Boromir, il suo nervosismo
cessò. Tanto per cominciare, Boromir si teneva il più lontano possibile da lui.
Era rimasto accanto ad Aragorn durante le cerimonie formali della giornata, e
ora sedeva al suo fianco, ma quando era possibile cercava di restare in
disparte, lasciando Frodo libero di divertirsi in pace, senza doversi
preoccupare del suo stato d’animo, e lasciando tempo al mezzuomo di osservarlo.
Più osservava Boromir, più Frodo si rendeva conto che quello non
era lo stesso uomo che lo aveva aggredito ad Amon Hen. Non era solo per la
benda di tessuto nero che gli copriva gli occhi - per la quale sulle prime
Frodo aveva provato orrore, ma che ora lo rattristava immensamente - anche
tutto il suo modo di essere era cambiato. Se Frodo non lo avesse compreso così
bene avrebbe potuto credere che l’Ombra lo tenesse ancora in suo potere, tanto
sembrava scuro e chiuso in se stesso, ma Frodo non si lasciò ingannare. Sapeva
riconoscere il dolore quando lo vedeva. E credeva di conoscere la causa di quel
dolore.
Era seduto a tavola, osservando Boromir con aria pensierosa,
quando Sam si agitò inquieto accanto a lui ed emise una sorta di brontolio.
Frodo si voltò verso di lui, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa.
"Qualcosa non va, Sam?"
Sam lanciò uno sguardo cupo verso la fine del tavolo. “Sembra un
grande corvo nero. Se ne sta seduto lì accigliato. Mi fa passare l’appetito”.
"Chi?"
"Padron Boromir. Il Sovrintendente, dovrei dire. Non mi
piace, padron Frodo, e lo dirò anche a Grampasso, se me lo chiede. Cosa che non
farà mai.”
Frodo abbozzò un sorriso. “No, non lo farà, e non credo che tu
debba dirgli niente del genere. Boromir non ha nulla che non va, Sam, non più
di me o di te. Tutti noi abbiamo camminato un po’ troppo a lungo per strade
oscure, e alcuni di noi hanno dimenticato com’è la luce del sole. Ma lo
ricorderemo.” I suoi occhi indugiarono sul viso di Boromir, e ripeté, piano,
“Lo ricorderemo.”
Sam emise un altro brontolio. “Io dico solo che farà meglio a non
avvicinarsi troppo a voi, o dovrà fare i conti con me”.
“Mi dispiace che tu la pensi così, perchè andrò io stesso a
parlare con lui, se si presenta l’occasione”.
“No, padron Frodo, adesso non cercate di creare scompiglio! Padron
Boromir si sta comportando bene, anche se ha l’aria di chi preferirebbe essere
a caccia di orchi. Lasciatelo in pace!”
Frodo non potè trattenersi dal ridere. “É me che stai cercando di
proteggere, o lui?”
“Non ho dimenticato ciò che ha fatto, anche se voi sembrate averlo
fatto”.
“Non l’ho dimenticato”. Frodo sorseggiò il suo vino e gettò un
altro sguardo all’uomo silenzioso. “Ma ora lo capisco meglio”.
Sam commentò con uno sbuffo e ricominciò a mangiare. Frodo rivolse
la sua attenzione a Gandalf e alla storia che stava raccontando a Pipino, e per
un po’ non pensò più a Boromir. Non fu sorpreso quando il Sovrintendente si
alzò per lasciare il tavolo molto presto. Il banchetto non era ancora finito, i
menestrelli stavano ancora cantando le loro storie di imprese valorose, quando
Boromir spostò la sedia e si alzò. Merry apparve immediatamente al suo fianco,
e insieme lasciarono il padiglione.
Frodo non disse nulla, anche se continuò a guardarli finché la
tenda non li nascose alla sua vista. Quando Merry ritornò, solo, Frodo fu
tentato di chiedergli dove fosse andato Boromir, ma dubitava che Merry glielo
avrebbe detto. C’era un legame di affetto tra lo hobbit e l’uomo che Frodo non
riusciva a capire completamente. Veniva prima del dovere di Merry verso il suo
sovrano, Éomer, dal quale si era congedato con appena una parola quando Boromir
aveva avuto bisogno di lui. Merry non avrebbe mai fatto nulla contro la volontà
di Boromir. E chiaramente l’uomo non voleva conversare con Frodo in privato,
quindi Merry non gli avrebbe certo detto dove trovarlo. Avrebbe dovuto andarlo
a cercare da solo, al momento opportuno.
Lentamente, i partecipanti al banchetto lasciarono i loro tavoli
per sedere sull’erba all’aria parta, sotto il cielo dell’Ithilien. Cominciarono
a girare otri e fiasche di vino. I menestrelli ricevettero da bere e
ricominciarono a cantare da capo le loro canzoni. Le parole scorrevano come il
vino, e molte voci si unirono al canto dei menestrelli.
Frodo lasciò che Sam lo conducesse dove era radunato il resto
della Compagnia. Si sedette insieme agli altri hobbit, ascoltando Gandalf,
insolitamente espansivo, che raccontava i giorni gloriosi di Moria, quando
Nanosterro scintillava alla luce di innumerevoli torce e risuonava della musica
di mille martelli. Secondo Gimli lo stregone non rendeva pienamente giustizia
ai suoi antenati, e lo interrompeva di frequente con eloquenti descrizioni,
provocando sommesse risate da parte di Legolas, o qualche risposta acida di
Gandalf riguardo al fatto che lui, che aveva visto le sale di Moria al tempo
del loro splendore, era meglio qualificato per raccontare la storia che non
Gimli figlio di Glóin.
Soltanto quando gli altri furono profondamente rapiti dalla
conversazione, Frodo scivolò via. Non voleva che si preoccupassero, e non
voleva che Sam lo seguisse, guidato da un mal indirizzato desiderio di
proteggerlo. Ma ora Sam stava sonnecchiando sulla sua coppa, con un sorriso
soddisfatto sul volto, e Frodo poté allontanarsi indisturbato.
Non dovette andare troppo lontano per trovare quello che cercava.
Il padiglione del re era a ridosso dell’estremità settentrionale
dell’accampamento, dove la torbiera incontrava i primi gruppi di alberi. Tra
quegli stessi alberi, con la schiena appoggiata a un grande tronco, sedeva
Boromir, immobile, il suo viso sereno come Frodo non lo aveva mai visto.
Frodo si avvicinò all’uomo che sedeva da solo sull’erba, e si
fermò a pochi passi da lui. Aspettò qualche istante, per capire se Boromir si
era accorto della sua presenza, poi si schiarì la voce con discrezione. Boromir
girò la testa di scatto, il suo viso improvvisamente guardingo.
“Posso unirmi a te?” chiese Frodo.
Boromir si irrigidì, e sembrò ritrarsi dalla presenza dello hobbit
come da un fuoco. “Frodo!”
“Voglio parlarti”.
L’uomo si guardò attorno come per cercare un aiuto che non sarebbe
arrivato, poi scosse le spalle e tentò di sorridere, goffamente. “Stanno
cantando le tue gesta. Non preferisci restare con gli altri ad ascoltare?”
“No”. Frodo si sedette a gambe incrociate accanto a lui, senza
attendere il suo permesso. Per un lungo momento nessuno disse nulla, mentre
echi della canzone dal menestrello giungevano a tratti fino a loro. Poi Frodo
parlò, a bassa voce. “Mi stai evitando”.
“Credo sia meglio così”. L’uomo esitò, poi aggiunse, in tono di
scherzo, “Il tuo fedele Sam non ti ha messo in guardia contro di me?”
“Certo. Ma Sam... Sam non può capire veramente.”
Boromir sembrò guardarlo in modo così penetrante che Frodo
dimenticò per un attimo la benda che gli copriva gli occhi e i lunghi mesi di
oscurità che erano trascorsi dal loro ultimo incontro. “Capire cosa?”
“Che ormai è troppo tardi per proteggermi.” Un mesto sorriso
incurvò le labbra di Frodo, colorando anche la sua voce. “Il danno è già stato
fatto.”
La luce fiera abbandonò il viso di Boromir, che sembrò ritirarsi
in se stesso. In un attimo era di nuovo la figura tormentata che Frodo aveva
osservato durante il giorno, avvolto nel dolore nel rimorso, curvo sotto il
peso della sua sofferenza. “Sì, il danno è già stato fatto e non può essere
cancellato. Ecco perché ho tentato di evitarti”. Voltò la testa per sottrarsi
allo sguardo di Frodo. “Questo è il tuo momento, Frodo. Il tuo trionfo. Dovresti
essere laggiù a godertelo, invece che offuscarlo con brutti ricordi del
passato”.
“Tu non sei un brutto ricordo, Boromir. Tu sei - o almeno eri - un
mio amico. Non lo sei più, ora che l’Anello è distrutto?” Vide Boromir
trasalire nel sentir nominare l’Anello, e i suoi occhi si fecero tristi.
Credeva di capire il motivo dell’imbarazzo che aleggiava tra di loro, e temeva
che nessun potere nella Terra di Mezzo avrebbe potuto abbattere quella
barriera. Ma doveva tentare. “Ho dovuto distruggerlo”.
Boromir sembrò sorpreso delle sue parole. “Lo so. Tu ci hai
salvato dal Nemico. Tu hai fatto una cosa... una cosa che nessun Uomo avrebbe
potuto fare.”
“Ma la sua scomparsa è come una ferita che non guarisce mai, come
un vuoto che non può essere colmato.” Frodo chinò la testa, mentre gli occhi
gli si riempivano di lacrime. “Il dolore della sua perdita non mi abbandonerà
mai.”
Boromir sollevò una mano per toccarlo, per confortarlo, ma cambiò
idea, e lasciò cadere la mano. Frodo lo guardò con comprensione.
“So che l’Anello ha toccato anche te, e se non potrai perdonarmi
per averlo distrutto...”
“Perdonarti? Frodo, sono io che ho bisogno di essere perdonato,
non tu”.
“No. Non eri tu, quello. Non è colpa tua quello che ha fatto
l’Anello”.
“Ero io, e lo sono ancora. Io ti ho allontanato dalla Compagnia,
ho mandato te e Sam ad affrontare il pericolo da soli. Io ho tradito te, ho
infranto il mio voto, distrutto la Compagnia, e quasi causato la rovina di
tutti noi.”
Frodo rise. Sapeva che era strano, dopo la tormentata confessione
di Boromir, ma non poté trattenersi. Un grande sollievo lo invase, e una risata
che non riuscì a fermare. “La rovina? E’ stata la nostra salvezza!”
Boromir sembrò incupirsi ancora di più. “Sì, ma grazie alla forza
e al coraggio di altri”.
"Se io fossi rimasto con la Compagnia non staremmo avendo
questa conversazione, perché non ci sarebbe nessuna vittoria da festeggiare, e
nemmeno il lusso di decidere chi è colpevole e chi è innocente. E se tu non mi
avessi costretto ad andare, non ne avrei mai trovato il coraggio."
"Non importa cosa è successo, Frodo. La colpa di ciò che è
accaduto ad Amon Hen pesa su di me."
Frodo guardò quel viso orgoglioso e bello, ora contratto per il
dolore e segnato da cicatrici che non sarebbero mai più guarite. Si era spesso
chiesto, durante il suo lungo viaggio nell’ombra, che cosa fosse stato di
quell’uomo. Non aveva pensato che avrebbe rivisto più nessuno dei suoi amici, e
si era rassegnato a non conoscere il loro destino, ma con il crescere del
potere dell’Anello nella sua mente, il suo pensiero si era rivolto sempre più
spesso a colui che aveva percorso quella strada prima di lui. Ora sapeva che
Boromir era sopravvissuto sia alla guerra che al veleno dell’Anello. L’unica
ferita che ancora aperta era la colpa del suo tradimento, e soltanto Frodo
poteva guarirla.
Posando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani, Frodo
lasciò che la sua voce si abbassasse a un sussurro che solo Boromir poteva
udire. “Posso dirti una cosa che nessun altro conosce? Nessuno tranne Sam?”
"Se lo desideri."
"Sì, lo desidero. Tutti quanti stanno cantando canzoni su
quello che ho fatto, ma loro non sanno che… in realtà non l’ho fatto. Io non ho
distrutto l’Anello, Boromir. Non ne sono stato capace. Quando è giunto il tempo
di gettarlo nel fuoco me lo sono messo al dito e l’ho rivendicato come mio.
L’Anello mi aveva preso, e se non fosse stato per Gollum, ora lo avrebbe
Sauron. Così, ora lo sai, non sei stato l’unico che non ha potuto resistere al
suo potere. Hai detto che io ho fatto ciò che nessun uomo avrebbe potuto fare. Ti
sbagliavi. È stato Gollum - Gollum e il caso, a distruggere l’Anello, non io.
Se tu sei colpevole allora lo sono anch’io. Se tu hai tradito la Compagnia
allora l’ho fatto anch’io. Io, Frodo dalle nove dita! Quello di cui parlano le
canzoni!
Ti dirò quello che credo, quello che ho sempre creduto, anche ad Amon Hen
mentre fuggivo via da te. Io credo che nessuno di noi fosse abbastanza forte da
resistere all’Anello. Quelli che gli sono sfuggiti sono solo stati solo così
fortunati da allontanarsene prima che si impossessasse di loro. Ecco tutto. Io
e te non abbiamo avuto questa fortuna, e ora dobbiamo portare il peso di ciò
che ci ha costretto a fare, insieme alla ferita lasciata dalla sua perdita, per
il resto dei nostri giorni. E ti dirò un’altra cosa, Boromir". Lo hobbit
posò una mano sul suo braccio, e Boromir trasalì per la sorpresa, volgendo il
suo sguardo bendato verso Frodo. "Quella ferita è una punizione
sufficiente per qualsiasi crimine”.
Boromir sembrò combattere una battaglia con se stesso per un
momento, e il suo viso era teso, quando infine mormorò, "Io cerco di
sentire i suoi sussurri nella mia mente. Se ne sono andati, e sono felice di
essermene liberato. Ma mi sforzo ancora di sentirli. E... mi mancano."
"Lo so. È una terribile solitudine, sentire la mancanza di
qualcosa che ti dava così tanto dolore quando era vicina a te. "
"Frodo..." Di nuovo, l’uomo sembrò sforzarsi per
pronunciare parole che erano chiuse da una barriera. "Puoi davvero
perdonarmi così facilmente?"
"Non c’è nulla di facile in questo, per nessuno di noi. Ma,
sì. Io ti perdono."
"Perché tu credi che sia stato l’Anello, e non io, a farti torto?”
"Perché so esattamente come ti sei sentito, quando hai capito
cosa avevi fatto e sapevi che non potevi fermarti. E perché so perfettamente
come ti senti in questo stesso istante, seduto qui, ad ascoltare me che ti dico
che non è stata colpa tua mentre la tua coscienza ti tortura. Non credo che tu
abbia bisogno del mio perdono, Boromir, ma so che me lo stai chiedendo. Perciò
voglio fare un patto con te. Io ti perdonerò per aver cercato di rubare
l’Anello, e tu mi perdonerai per averlo gettato nell’abisso di Monte Fato,
lasciandoci entrambi a soffrire per questo."
"Ma non avevi scelta..."
Frodo sogghignò alla perplessità del guerriero, vedendo la
comprensione apparire gradualmente sul suo viso. "Allora, siamo
d’accordo?"
Boromir sorrise mestamente. "Sì".
"Ne sono felice." Frodo sentì che l’ultimo residuo di
tensione abbandonava il suo corpo. Si stirò le menbra stanche e rise
sommessamente. "Ora la Compagnia è davvero riunita."
"Dovresti ritornare alle tue canzoni e ai tuoi racconti,
prima che si accorgano della tua mancanza."
"Non vuoi venire con me? I Nove viandanti dovrebbero stare
insieme in questo giorno, per festeggiare la loro vittoria. "
Boromir rimase seduto in un silenzio pensieroso per un momento,
poi improvvisamente sorrise, e il suo viso fu come trasformato. Si alzò in
piedi agilmente, muovendosi con l’antica energia e grazia che Frodo ricordava.
Anche il suo mantello sembrava volteggiare attorno alle sue spalle in modo
diverso. “Molto bene, ma devi promettermi di proteggermi dall’ira di Sam. Non
ho la mia spada con me”.
Frodo si alzò in piedi, sorridendo. “Lo farò”.
Esitò, improvvisamente imbarazzato, indeciso sul da farsi. Boromir
era in piedi accanto a lui, altrettanto indeciso, e Frodo ebbe l’impressione
che avesse paura di toccarlo. Abbandonando il suo nervosismo, Frodo prese la
mano di Boromir e cominciò a camminare. Boromir lo seguì, adattandosi alla sua
andatura, ma dopo un momento liberò gentilmente la sua mano da quella di Frodo
e la posò sulla testa dello hobbit. Procedendo in questo modo, discesero
facilmente la lieve pendenza della collina e si diressero verso le tende e i
festeggiamenti sotto di loro.
*** *** ***
Le armate dell’Ovest marciarono verso casa in trionfo. Quando
infine giunsero in vista delle mura della città, trovarono Minas Tirith
adornata in tutta la sua bellezza per accoglierli. Stendardi, fiori e teli di
seta scintillante, ricamati con le armi e le insegne dei signori vittoriosi,
sventolavano sui suoi bastioni. Persone vestite per la festa si accalcavano
lungo le mura e si riversavano fuori dai cancelli – persone di ogni landa del
sud e dell’ovest, che erano accorse alla Città Bianca per dare il loro saluto
al loro Re – e mentre salutavano i soldati cantavano, e lanciavano fiori sulle
strade sulle quali sarebbero passati con le loro armature.
Faramir restava in disparte dalla folla, insieme a Húrin, Custode
delle Chiavi, e un gruppo di soldati della Guardia alle sue spalle. Con
solennità attesero in mezzo alla confusione dei festeggiamenti che i Capitani
che cavalcavano alla testa dell’esercito si avvicinassero.
Infine giunsero, Aragorn a cavallo di Roheryn, vestito di una
cotta di maglia nera cinta d’argento, un mantello bianco come la neve sulle
spalle e una stella sulla sua fronte. Boromir e Merry cavalcavano Fedranth,
seguiti da Éomer, Legolas e Gimli. Venivano poi Pipino, Frodo e Sam, con
Gandalf e il Principe di Dol Amroth come scorta. E poi vi erano trenta uomini
tutti vestiti di grigio e argento – i Dunedain del Nord.
Mentre il grande esercito si sistemava ordinatamente sui campi di
Pelennor con le lance levate e gli elmi lucenti, la piccola compagnia smontò da
cavallo e continuò a piedi. Percorsero il vasto spazio vuoto fino a Faramir e
ai cancelli distrutti, e al loro arrivo, un silenzio carico di aspettative cadde
su tutti i presenti.
Faramir si fece avanti per accoglierli. Tra le mani reggeva il
bianco scettro dei Sovrintendenti, e la sua tunica era di seta bianca,
rilucente nella luce, senza alcuna insegna. Si inchinò con rispetto davanti ad
Aragorn, ma fu a Boromir che si avvicinò. Quando ebbe raggiunto il fratello si
inchinò nuovamente, porgendogli il simbolo della sua carica.
"Bentornato, fratello. Ho eseguito i tuoi comandi e retto la
città fino al tuo ritorno. Ora ti rendo ciò che ti appartiene, Sovrintendente
di Gondor”.
Boromir tese la mano, e Faramir gli posò lo scettro tra le dita.
“Ti ringrazio per aver avuto cura del nostro popolo e della nostra città”. I
fratelli si abbracciarono, e, a bassa voce, Boromir aggiunse, “E ti ringrazio
per avermi accolto”.
Quando si separarono, Boromir si rivolse ad Aragorn e si
inginocchiò davanti a lui. Tendendo lo scettro tra le mani davanti a lui,
parlò. “L’ultimo Sovrintendente di Gondor chiede il permesso di terminare il suo
incarico”.
"L’incarico non è finito”, replicò Aragorn, rendendo lo
scettro a Boromir e chiudendogli le mani attorno ad esso. “Prendi dalla mano
del Re di Gondor ciò che ti appartiene per diritto e per merito. Prendilo,
insieme alla mia imperitura gratitudine, Boromir figlio di Denethor,
Sovrintendente di Gondor. Alzati, e assumi il tuo incarico”.
Poi, con solenne cerimonia, Aragorn figlio di Arathorn fu
incoronato Re di Gondor, per mano di coloro che avevano faticato così tanto per
portarlo al trono. Boromir pronunciò un discorso di presentazione al popolo,
esortandolo a riconoscere il suo legittimo Re. Faramir prese la corona alata di
Eärnur dallo scrigno nero e argento in cui era rimasta per molte generazioni,
attendendo quel momento. Frodo prese la corona dalle mani di Faramir e la portò
dove Aragorn attendeva in ginocchio, infine Gandalf il Bianco, il più potente
degli stregoni, saggio tra i saggi, pose la corona sul capo di Aragorn.
Quando si alzò in piedi ogni voce tacque, e la città rimase in
silenzio ammirando il suo Re. Sembrò al popolo di Gondor che le leggende degli
antichi Re del Mare tornassero alla vita davanti ai loro occhi, e che la figura
in piedi sul campo non fosse soltanto un Uomo, ma uno degli eroi dei tempi
antichi, giunto per salvarli dall’Oscurità. Poi il Sovrintendente posò il suo
sguardo cieco sul Re, e a tutti quelli che lo guardarono parve che anch’egli
potesse vedere la luce che avvolgeva il Re scintillando sul suo nobile viso,
splendente come le gemme che adornavano la sua corona.
Sollevando le braccia al cielo, Boromir gridò con voce chiara. “Guardate,
il Re!”
A quelle parole ogni tromba risuonò sulle mura della città e il
popolo cantò. In mezzo al tumulto, Aragorn fece un cenno per farsi portare i
cavalli, e la compagnia montò di nuovo in sella. Tutti si volsero verso i
cancelli di Minas Tirith, ma rimasero indietro, lasciando che il Re avanzasse
per primo sulla strada.
Aragorn spronò Roheryn avanti di alcuni passi, finché il cavallo
si trovò ad avanzare su un tappeto di petali di fiori, poi si fermò, sollevando
il capo per guardare la torre che scintillava alta sopra di lui. Vide i
vessilli catturati dal vento, sentì le trombe suonare, e osservò le bianche
mura che si ergevano maestose dalle pendici del Mindolluin. Un sorriso gli
sfiorò le labbra, e si voltò all’indietro.
Tendendo una mano, gridò, “Boromir!”
Il Sovrintendente sembrò perplesso alla chiamata, e non si mosse.
Ma Merry, seduto davanti a lui sulla sella, vide il gesto di Aragorn che li
invitava ad avvicinarsi, e spronò Fedranth in avanti. Cavalcarono fino al punto
dove Aragorn attendeva, e Fedranth si affiancò all’altro cavallo.
Aragorn afferrò il braccio di Boromir. "Le senti? Le trombe
stanno suonando”.
Boromir sollevò il capo esattamente come aveva fatto Aragorn, e
dalla sue espressione l’amico capì che stava vedendo con la mente le alte
torri, i vessilli splendenti e le grandiose mura davanti a loro.
Le dita di Aragorn si strinsero attorno al suo braccio, e nei suoi
occhi apparvero lacrime di gioia. “Vieni. Ci stanno accogliendo a casa”.
E insieme, Il Sovrintendente e il Re entrarono cavalcando
attraverso i cancelli di Minas Tirith.
Continua...
[if !supportEmptyParas] [endif]