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Autore: cartacciabianca    01/09/2009    3 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17° - Burocrazia che evolve

Giorno dell’infezione 409°
Popolazione mondiale infetta: 09,40%


«Rischiavo quasi di dimenticare come ci si sentisse ad andare a letto con qualcuno.
Eppure questo mi sembra un assurdo pretesto dietro al quale nascondere le mie azioni della serata precedente. Non nego affatto l’evidenza: io e il capitano Turner ormai avevamo una relazione, perché la nostra non poteva dirsi una notte di solo sesso. Durante le tre settimane trascorse ad allenarmi intensivamente fino ad arrivare a quella sera, non aveva fatto altro che pensare se fosse giusto o sbagliato quello che stavo facendo, i sentimenti che stavo provando, domandandomi per di più se lui provasse la stessa cosa nei miei confronti. Quei sorrisi, quei baci avevano solamente verificato e accertato tutto quanto, facendomi sentire un po’ più… normale.
Mi apprestavo a fronteggiare l’essere più pericoloso del pianeta col solo scopo di eliminarlo, e continuavo a ripetermi che perciò non avevo alcun diritto di trattarmi bene a sole poche ore dal definitivo rientro in “guerra”.
Eppure… trovai altrettanto assurdo questo pensiero.»

Quando mi risvegliai, trascinata al mondo dall’assenza di sonno, aprii gli occhi e mi ritrovai a guardare fuori dalla finestra della stanza, dove le tende erano rimaste un poco socchiuse e lasciavano entrare in camera un raggio di sole. Il fascio di luce si allungava sul pavimento e poi risaliva i piedi del letto arrivando sino alla mia gamba scoperta per metà fuori dalle lenzuola, che si erano attorcigliate attorno ad essa. Avevo la testa poggiata sulle braccia sistemate in una posa semi conserta, una mano a penzoloni fuori dal materasso e i capelli che potevo ben immaginare in che stato fossero: arruffati fino all’ultimo ciuffo, scomposti, così aggrovigliati che mettevo paura. Ero effettivamente nuda sotto le coperte, ma il solo pensiero mi fece sorridere, riportandomi la mente alle piacevoli ultime ore. Mi stiracchiai, allungando il mio corpo e sistemandomi più comoda a pancia all’aria, col seno nascosto dalle lenzuola. Voltai di poco la testa e mi accorsi solo allora di essere del tutto sola nella stanza.
Sul materasso accanto a me, dove le coperte erano del tutto assenti e potevo vedere solo un cuscino sprimacciato, Cole non aveva lasciato nient’altro che non fosse il suo profumo. Mi issai sulle braccia mentre una ciocca di capelli mi cadeva davanti al viso e sbuffai. Il bello fu pensare che non mi ero neppure accorta di quando se n’era andato, e questo mi mandava su tutte le furie, come se i miei sensi vigili da Angelo si fossero appannati.
Passandomi una mano tra i capelli mi guardai attorno, e a parte i miei e i suoi vestiti spariti dalla mia vista, attirò la mia attenzione la mia uniforme da Angelo che qualcuno aveva ripiegato per bene sopra la scrivania. Erano scomparse anche le cartelle e le fotografia della discussione di ieri, ma non ci badai poi tanto.
Mi alzai dal letto portando con me le lenzuola, e mi avvicinai al tavolo.
Ero sicura che fosse stato lui a prendersi cura di me in quel modo, lasciando accanto alla mia uniforme ripiegata e pulita, con tanto di pantaloncini, scarponcini, calzini e biancheria, un foglietto sul quale riconobbi la sua calligrafia.

Martin ti sta ancora cercando,
ma è furioso come un toro!
Vestiti, ci vediamo a mensa
p.s. sei dolcissima quando “dormi”

Ubbidii, e una volta pronta lasciai la stanza col sorriso sulle labbra.
Traversai il silenzioso salottino comune dell’ex clan di Cole e sfociai in corridoio. Presi l’ascensore, e raggiunsi la mensa senza incontrare un volto sul mio cammino. Cosa assai strana. Dentro la sala fui travolta come al solito dalla confusione di tanta gente riunita in un solo posto. Il profumo di caffè e cornetto era davvero allettante, e la luminosità che entrava dalle ampie vetrate spalancate quasi mi accecava. Si prospettava una stupenda giornata per sbarcare a Manhattan, ma molto probabilmente ce la saremmo presa parecchio comoda vista la “non fretta” che ognuno di noi aveva nel consumare la propria colazione.
Qualcuno alzò un braccio tra la massa di gente che intasava i tavoli, e fu così che individuai nella confusione il mio clan riunito al solito posto. Andai nella loro direzione e una volta che il gioioso sorriso di Cole si specchiò nei miei occhi, mi sedetti al suo fianco.
-Buon giorno!- ridacchiò Lucy sorseggiando the.
Emmett sembrava altrettanto rilassato (strano). –Te la sei presa comoda, eh?- si beffò.
-Sì, credo di sì- arrossii stirandomi i capelli all’indietro.
-Non resta comunque molto tempo- proruppe il capitano distogliendo lo sguardo da me. –La partenza per Manhattan è fissata per questa sera, ma durante la giornata hanno in mente qualcosa di divertente per noi- disse mescolando il suo caffè con un cucchiaino.
-E cioè?- domandò Harry col boccone. Nel suo piatto c’era solo mezzo cornetto.
-In palestra hanno istallato un poligono di tiro- c’informò Cole. –Ci ho fatto un salto questa mattina presto-.
-Grandioso, ma tutto qui?- si stupì Emmett.
Cole lo guardò in cagnesco. –No- sbottò. –Noi andremo lì per riscaldare le armi, ma Emily deve raggiungere Lewis nel suo ufficio- si rivolse a me. –Devono discutere di alcuni…-.
Lucy aggrottò la fronte. –È successo qualcosa?- domandò preoccupata.
Feci un gesto con la mano. –No, assolutamente nulla, non preoccupatevi-.
-Come vuoi. Non prendi niente, Emily?- mi chiese Harry allungandomi una tazza.
-Grazie- dissi sollevandola dal piattino. –Torno subito- mi alzai dal tavolo e andai verso le macchinette in fondo alla sala. Decisi di prepararmi un po’ di latte caldo, e così feci, ma mentre la tazza si riempiva, catturò la mia attenzione la conversazione di un folto gruppo di Angeli ammucchiati attorno ad un tavolo, al centro del quale vi era una ragazza con indosso la fascia da capitano sul braccio sinistro.
-… Stanno mutando, e troppo velocemente- diceva la donna con gli occhi del suo clan e altri puntati addosso. –Martin ha fatto installare il poligono per prepararci a quello che sta crescendo là fuori-.
-Sono pericolosi per noi?- domandò qualcuno.
-Non fatali, se è quello che intendi- rispose la giovane comandante. –Ma alle lunghe possono crearci problemi, e credo che durante la caccia a Mercer possano intralciarci la marcia. Più ne abbattete e meglio è, statene certi- ridacchiò lei.
-Ma davvero basteranno le armi per fermarli?- fece dubbioso qualcun altro.
-Questo non so dirvelo con precisione; sappiate solo difendervi al meglio e tener conto di qual è la vostra unica, vera missione-.
-Zeus sarà nostro, capo!- gioì un ragazzo.
La donna smontò giù dal tavolo. –Chiunque reclamerà il premio della sua testa- sorrise beffarda. –Non potrà che essere un bene per tutti- disse, e richiamando a raccolta il suo clan, abbandonò la mensa.
La mia tazza era ormai piena, ed io ero rimasta come uno stocca fisso con un braccio alzato nel vuoto per tutto quel tempo. Mi riscossi con violenza, afferrai la tazza e mi riavvicinai al mio tavolo sedendo, a sguardo basso, accanto al capitano.
Il mio atteggiamento pensoso, distante mentre attorno i miei compagni di clan ridevano e scherzavano, attirò su di me non poca attenzione.
Cole per primo chiese: -Emily, tutto bene?-.
Alzai il mento dal petto guardandolo negli occhi. –Sto bene, ovvio, ma ho sentito un capitano del clan laggiù che parlava di una cosa col suo gruppo che… mi ha lasciata un po’… ecco- mormorai distratta.
Emmett inarcò un sopracciglio. –Di che si tratta?- formulò serio. Lucy al suo fianco si mostrò altrettanto curiosa, e Harry smise improvvisamente di masticare, ingoiando il boccone intero.
Scossi la testa. –No, forse ho fatto solo presunzioni stupide…- borbottai.
-Non hai ancora detto nulla- rise Emmett. –Come fai a dire che è inutile?-.
-Lascia giudicare noi- mi sorrise Cole, e a quel gesto gettai l’ancora.
-Parlavano del Virus- dissi. –E di come sta maturando in fretta. Ma ad un certo punto mi è sembrato che stessero parlando di qualcuno, o qualcosa che potrebbe intralciarci durante la caccia ad Alex, e lì non ci ho visto più- li informai.
Il capitano allontanò la sua tazza di caffè e si mise a braccia conserte. –Dannazione- imprecò sotto voce.
-Ehi- sbottò Emmett. –C’è qualcosa che noi non sappiamo?!- domandò spocchioso.
Turner lo fulminò con un’occhiataccia. –Veramente sì, e non avreste dovuto saperlo fino a quando non fossimo stati tutti nella palestra-.
-Avanti- eruppe Lucy seria. –Ormai devi dircelo, Cole-.
Il capitano annuì. –Sì, è il Virus, come ha presupposto Emily. Sta mutando, e in qualcosa che nelle ultime settimane si è rivelato d’intralcio ai nostri scopi. Sono simili ai cacciatori, ma che col tempo hanno acquisito caratteristiche del tutto nuove; si evolvono velocemente in creature sempre più avanzate e dotate di una mente pensante che ragiona, pianifica, anticipa e capisce senza l’intervento del capo cacciatore. Martin se ne sta occupando, diverse squadre di Angeli sono partite lo scorso weekend, ma se ci tenete a saperlo, su sei membri per clan, ne sono tornati vivi solo la metà- pronunciò composto.
-Perché hanno aspettato tanto a dircelo? Ci saremmo potuti addestrare anche a questo!- eruppi.
-Non è così semplice- sbottò Turner voltandosi verso di me. –Questo pomeriggio al poligono testeranno su di noi un novo farmaco che dovrebbe darci la possibilità di contrastare tali nuovi nemici. Simuleremo per breve i loro spostamenti e i loro attacchi e…-.
Lucy lo interruppe: -Perché il poligono di tiro? Non potevano settare i robot?- chiese confusa.
Cole sospirò. –No, ve l’ho detto, loro…-.
-Qual è il problema ‘sta volta?!- sibilò Emmett.
Il capitano si appoggiò allo schienale della sedia. –Sanno volare, ecco qual è il problema-.
Rimasi senza parole, muta.
-Come volare?- balbettò Harry. –Vuol dire che…-.
-Sì, esatto- proruppe Cole. –Se sanno volare, hanno il libero transito fuori dall’isola! Per questo Martin ha fatto montare il poligono di tiro. Il Virus ha dato ad una forma avanzata di cacciatori la possibilità di volare, hanno sviluppato le ali, non simili e robuste come le nostre da Angelo, ma comunque un buon mezzo per portare il Virus fuori dall’isola ed espanderlo più velocemente nelle altre capitali. Ce ne siamo accorti troppo tardi: ecco com’è arrivato il contagio sull’altra costa!- digrignò.
-Ma allora- feci io. –Il poligono è solo per la difesa. A noi, come squadra d’offensiva, non spetta il compito, giusto?- chiesi.
-È qui che ti sbagli- mi disse Cole. –La capacità di volare li rende più forti e più difficili da abbattere. Fortunatamente solo una piccola percentuale di queste creature ha sviluppato l’intelletto necessario per poter ragionare con la propria testa e allontanarsi liberamente da Manhattan. Di questa piccola percentuale si occuperà una rispettiva percentuale degli Angeli che costituiranno la difesa della base e dell’ “arma segreta”. L’avete sentito tutti Martin la scorsa volta, no? Ecco. Ma anche noi offensiva, che andremo a caccia di Mercer sull’isola, avremo questo problema. I cacciatori difendono il territorio, azzannano tutto quello che gli capita sotto gli artigli; siete stati addestrati a combattere contro quelli di terra, ma per i nemici volanti vi serviranno tutti quei nuovi equipaggiamenti che vi sono stati assegnati nelle ultime tre settimane. Quali armi da fuoco e potenziamenti. L’ultimo farmaco, quello che andremo a testare nella palestra, è un gioiellino niente male, ve l’assicuro- sorrise.
-E sarebbe?- sbottò Emmett.
-Tra poco lo vedrai da te, non preoccuparti- fece tranquillo il capitano.
Finii di bere il mio latte caldo con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Avevo come un brutto presentimento, e per di più il pensiero che il Virus tramutasse velocemente in qualcosa di sempre più pericoloso divenne quasi una fobia. Ero terrorizzata all’idea che oltre a Mercer, un giorno gli infetti avrebbero potuto trasformarsi in qualcosa di simile a lui. Questo bastava a giustificare le nostre azioni, dandoci solo un motivo in più per scollare il sedere da quel tavolo e affrettare le manovre.
D’un tratto Turner si alzò dalla sedia e guardò verso di me. –Emily, adesso devi andare, e noi altrettanto. Forza- disse, e prendemmo le rispettive strade.
Salutai i miei compagni di clan e feci per avviarmi in corridoio, attraversando l’ingresso della mensa, ma mi sentii poggiare una mano sulla spalla e mi volati di scatto.
-Vacci piano con Lewis, la cosa non gli piace almeno quanto infastidisce te- disse Cole guardando alle mie spalle.
-Lo immagino- mormorai.
-Ascolta- fece avvicinandosi. –Prima che tu vada da Martin, volevo parlarti di quello che è successo ieri e…-.
Lo anticipai, spiccando un balzo in avanti allungandomi sulle punte per sfiorargli le labbra con le mie. –Non c’è bisogno che tu dica nulla…- gli sussurrai soave.
-Perfetto!- sorrise lui. –Era esattamente quello che avevo in mente di dirti!- ridacchiò allegro. –Però, a parte questo, Emily, ci tengo a precisare che sono ancora il tuo capitano- disse, ma accorgendosi della smorfia comparsa sul mio volto a quelle parole si apprestò ad aggiungere: -Non so se mi spiego…-.
-No, infatti- sbottai scettica.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli. –Potrebbe diventare pericoloso, capisci?-.
-No- eruppi sincera mettendomi a braccia conserte.
-Non ti sto chiedendo di dimenticare quello che è successo, assolutamente!- proruppe. –Ma devi tener conto dei pericoli che ci sono là fuori, del fatto che il tasso di mortalità all’interno della base è tornato quello di una volta e…- s’interruppe per una frazione di secondo. –Non fare quella faccia, ti prego- gemé.
-Quale faccia? Questa?- m’indicai. –Questa è la mia faccia, Cole, e sinceramente la mia faccia non capisce di cosa stai parlando!- sibilai forse troppo pungente. –Tasso di mortalità?! Ma di cosa parli?!- feci esasperata.
-Adesso va’ da Martin, che è meglio- borbottò lui dandomi le spalle. –Ne riparliamo più tardi, dato che non mi aspettavo che reagissi in questo modo- si avviò nella direzione opposta alla mia.
-Cole aspetta!- chiamai, ma non si voltò. –Cole, scusami, ti prego!- gridai ancora, ma non mi diede retta. –Cole!- strillai di nuovo. Sull’orlo del baratro tra la resa e la vittoria, provai un’ultima volta.
-Capitano Turner!-.
Quella volta si fermò e guardò verso di me, ma fu la tipica occhiata critica che ricevevo durante i primi giorni da matricola nella base. Non tornò indietro, si limitò a fissarmi da lontano così come io fissavo lui, con la sola differenza che nei miei occhi si specchiava lo smarrimento e la paura di chi pensa di essere appena stata scaricata dal suo ragazzo. Ma sapevo che non era così. Avevo capito benissimo di cosa stava parlando: probabilmente a Cole dava fastidio che durante le ore di servizio il nostro fosse un rapporto diverso da quello che lui poteva permettersi con gli altri membri del clan. Anche se la nostra doveva sembrare una famiglia, questo non voleva dire che ciascuno di noi doveva darsi del fratello o sorella a mo’ di convento. Anzi. Anch’io avrei dato di matto se fosse andata realmente in quel modo.
Quindi mi ritrovai d’un tratto nei suoi panni di capitano, con le sue responsabilità, la sua reputazione, e tutti quegli aspetti rigidi e severi che ciascun capo clan deve mostrare di se stesso.
Gli sorrisi, e fu così che lui capì che io avevo capito.

Raggiunsi l’ufficio di Martin e la sua segretaria mi fece subito accomodare all’interno, dicendomi che Lewis mi avrebbe raggiunta tra pochissimo perché delle questioni pratiche l’avevano trattenuto nella palestra più allungo del previsto. Immaginai che fosse all’opera coi suoi soliti monologhi che ipnotizzano gli adepti e così decisi, effettivamente, di prendermela comoda. Mi sistemai meglio sulla poltroncina e aspettai paziente e in silenzio per una decina di minuti. Avevo trovato il corridoio dell’ufficio piuttosto deserto, e di conseguenza l’unico rumore all’interno della stanza era il ticchettio della lancetta dell’orologio che segnava le undici e un quarto del mattino. Fuori dalle vetrate dietro l’ampia scrivania ordinata splendeva un sole estivo in un infinito cielo azzurro. L’isola appariva tranquilla da quella distanza: i palazzi distrutti, certo, una nube di poco rosata che ne sbiadiva i contorni nascondendone le vette, ma a parte questi particolari abituali, la situazione pareva immobile, serena. Un ottimo momento, in conclusione, per cominciare la caccia. Il clima e il vento favorevole ci avrebbero di gran lunga semplificato le manovre, e tanta quiete mi dava motivo di pensare che quest’oggi ad intralciarci il cammino sarebbero interferiti anche meno militari del solito.
Cominciavo ad annoiarmi: mi alzai dalla poltroncina e mi avviai dalla parte opposta della scrivania, accomodandomi al posto di Martin. Strinsi le mani sui braccioli, sprofondai nello schienale e misi le gambe accavallate. Si stava proprio bene, pensai. C’era un moderno computer, la cui tastiera era nascosta in un ripiano apribile della scrivania. Qualche taglia carte, dei libri, delle foto e in fine, uno sconosciuto giornale poiché la sede del New York News fosse andata del tutto distrutta coi bombardamenti.
Un articolo in prima pagina catturò da subito la mia attenzione: c’era un volto ben noto, ovvero quello di Alex, ma nella foto subito accanto comparivano un po’ sbiaditi alcuni di noi Angeli all’opera con dei “virussati” di piccolo taglio. L’articolo era prettamente informativo, dedussi, poiché gran parte di esso spiegava di cosa ci occupavamo noi del progetto “Gabriel”. La data di stampa risaliva a qualche mese fa, e curiosando in alcuni cassetti della scrivania scoprii una collezione di vecchi giornali che riportavano in prima pagina lo steso argomento: il settore Angels.
Martin aveva archiviato foto di paparazzi e quotidiani studiando con attenzione tutti i punti di vista e le prospettive che cadevano su di noi, così da assicurarci un lavoro libero, approvato e sicuro, finanziato oltretutto dal Governo Americano e, per quanto mi riguarda, con contributo della Blackwatch!
Lasciai il giornale così come lo avevo trovato, e altrettanto feci degli altri vecchi articoli riponendoli nei cassetti. Mi alzai dalla sedia di Lewis e tornai ad aspettarlo sulla mia poltroncina.
La porta alle mie spalle si aprì improvvisamente, mi voltai e vidi Martin entrare nello studio tutto di fretta.
-Perdonami, Emily- borbottò andandosi a sedere alla sua postazione. –Sarebbe dovuta essere una cosa veloce, non era mio interesse trattenerti allungo lontana dall’addestramento- si sistemò la cravatta, e finalmente pronto col suo discorso si rivolse a me giungendo le mani sul tavolo.
-Ah- mi stupii. –Perché dopo aver parlato con lei, devo anche andare ad allenarmi?-.
-Ovviamente. Quello che ho già detto ai tuoi compagni in palestra te lo diranno loro quando li raggiungerai, ma per adesso…-.
-Guardi che so già tutto- sbottai.
Martin sgranò gli occhi perplesso. –Di cosa parli?-.
-Il Virus ha evoluto alcuni cacciatori in creature alate. Lo so-.
-Chi te l’ha detto?- pareva una minaccia.
-…Alex ha anche il potere di leggere nella mente?- azzardai sfociando in un sorrisetto beffardo.
-Non prendermi in giro, Walker- eruppe Martin. –Chi te l’ha detto, avanti? E chi altro lo sa?-.
-L’ho scoperto da sola, li ho visti coi miei occhi- pronunciai schiva. –E non lo sa nessun altro-.
-Hmm- fece insicuro se credermi o no. –Mi dovrò accontentare; non abbiamo tempo per queste cose- disse afferrando da un cassetto alcune cartelle. –Suppongo che il capitano Turner non sia riuscito a trovarti la scorsa notte, ed ecco spiegata la tua assenza alla mia convocazione-.
-Sì, mi perdoni, e…-.
-Lascia stare- sbottò lui.
-Va bene, quindi di cosa voleva parlarmi?-.
-Quello che ti ho detto nella nostra ultima conversazione non è affatto cambiato. La tua è ancora una partita singola- proruppe.
-Ma lei, nella mensa!…- ero per ribattere, ma Lewis fece un gesto di stizza con la mano.
-Proprio a questo mi riferivo. Voglio ribadire che qui dentro l’unica col supporto necessario per mettere Alex K.O. sei tu, e nessun altro. Il capitano Turner, in caso di un avvistamento di Mercer, si prenderà l’incarico di allontanare e salvaguardare i componenti del clan, ma tu dovrai restare a fronteggiare Alex. Ricorda: non sei stata forgiata per far altro, sono stato chiaro?-.
-Questo già lo sapevo, signore- ridacchiai isterica sistemandomi comoda.
-Perfetto. Ora: prima che tu vada al poligono voglio farti un piccolo riepilogo delle capacità che tu e Mercer avete in comune-.
-Non ce n’è bisogno- dissi d’un tratto.
L’uomo restò non poco interdetto. –Presuntuosa sei, eh? No, Emily, ce n’è bisogno e come, perciò…-.
-È stato lei a dire che la maggior parte dei miei poteri nasceranno col tempo, così come sono nati a lui! Spontanei, a seconda del pericolo, delle necessità, dell’adrenalina! Non voglio perdere tempo nel suo studio a fare teoria, signore!- dichiarai.
-Le carte sono già in tavola, dunque…- borbottò pensoso Martin. –Questo mi rende assai felice, Angel 1-9-2. Ma convocandoti qui volevo sapere un’altra cosa-.
-Dica- sospirai appoggiandomi allo schienale.
-Devi farmi un rapporto completo del tuo primo ed ultimo scontro con Mercer-.
Sbiancai. –Quello di tre settimane fa, signore?-.
Annuì porgendomi una cartella aperta nella quale trovai ad attendermi un foglio bianco a righe tutto per me da riempire.
-Ma signore- dissi io afferrando la pena che sempre lui mi passò. –Perché sta diventando tutto così burocratico qui dentro?- domandai cominciando a scrivere.
-Il Governo Americano non solo finanzia il nostro operato, ma lo gestisce e lo controlla, Emily, perciò…- sospirò lui. –Se non ti dispiace- indicò il foglio.
-D’accordo…- sospirai.
Feci il rapporto come mi aveva chiesto, compilando prima quella pagina bianca di tutto ciò che ricordavo del mio incontro-scontro con Mercer. Non specificai di aver rivelato a Zeus il nome del nostro capo e mi dedicai alla richiesta di informazioni personali che ordinò Martin di lasciar scritte sempre sulla stessa cartella. Rimasi allungo in quello studio a firmare carte che mi prefissavo di leggere con attenzione e dedizione, ben attenta a grovigli politici nei quali non volevo mica incappare.
Quando ebbi finito, feci per alzarmi dalla poltrona poggiando le mani sui braccioli, ma poi, d’un tratto, mi ricordai di un leggero particolare al quale non avevo dato molto peso in quegli ultimi giorni, ma che mi premeva terribilmente discutere con Lewis.
-Signore- chiamai.
-Sì?-.
-Qualche giorno fa, durante il suo discorsetto alla mensa, saltò fuori l’argomento di una… “arma segreta”- dissi.
Il vecchio si sistemò più comodo dietro al tavolo. –Sono informazioni riservate, queste-.
-Ma io sono speciale- sorrisi. –Ci sarebbe questo e altro che potrei sapere, no?-.
-Ti sbagli. Ai miei occhi siete tutti uguali, a quelli di Alex no. E adesso va’, l’allenamento al poligono ti attende- indicò la porta alle mie spalle.
-Signore- eruppi. –Esigo sapere di cosa si tratta-.
-In un qualche modo credo che tu lo sappia già-.
-Bhé, si sbaglia!- sibilai.
Martin si allungò verso di me e assottigliò il tono di voce. –Ti sei chiesta come i nostri Alchimisti abbiamo fatto così tante scoperte ultimamente?-.
Scossi la testa.
-Posso dirti solo che abbiamo un nuovo alleato, se così può esser chiamato, che conosce tanto bene i punti di forza di Alex quanto quelli di debolezza…- sussurrò. –Un uomo che gli è stato accanto abbastanza allungo da poterci svelare molte cose interessanti che hanno fatto dei nostri scienziati delle potenti armi contro Zeus…- fece una pausa, aspettando la mia reazione, ma io tacqui. –Assieme a quest’uomo abbiamo anche qualcun altro che ci è e ci sarà particolarmente utile, vedrai…-.
-Non capisco, chi…-.
-Infatti non devi capire, almeno non ancora. Adesso va’-.
Quella volta ubbidii: uscii dallo studio e mi avviai rielaborando più volte le parole di Martin, cercando di comprenderne il significato. Ma arrivai in palestra che ero tornata al punto di partenza: io ero l’unica cosa che poteva fermarlo veramente, e Lewis avrebbe affidato a me qualsiasi genere di arma per farlo.

Trovai il poligono parecchio interessante: ricordai che addestramenti del genere erano riservati alle matricole dei primi mesi in caserma, perciò avevo già parecchio dimestichezza con le armi e bersagli. Ma quella volta fu del tutto diversa dalle passate: i bersagli erano mobili e aerei. Montati su tante grosse ciambelle galleggianti, si spostavano da parte a parte della palestra assumendo curiose formazioni. Il nostro scopo era ovviamente quello di centrare il punto più interno del bersaglio, ma risultò comunque un’ardua sfida persino per i nostri sensi sviluppati.
Il farmaco che m’iniettarono prima di gettarmi nel caos della palestra, lo avvertii subito, avviluppava la precisione e la sensibilità che avevo delle mie pistole e la resistenza del mio corpo ad eventuali “proiettili amici volanti”.
Il frastuono di spari era assordante, nonostante le cuffie in dotazione all’interno dei caschi che ci obbligarono ad indossare. Le ciambelle-bersaglio erano munite di mitragliette altrettanto potenti come le nostre armi; agili e caricate di un programma che le dava l’autorità di venirci addosso fisicamente, contribuivano a rendere la simulazione ancor più vera. I cacciatori con le ali che ci aspettavano a Manhattan non avrebbero guardato in faccia nessuno, e tanto meno non fecero i coordinatori nella saletta oscurata che si presero cura dell’addestramento, trasformandolo in un vero massacro di massa.
Ad un tratto, assieme a quelle ciambelle svolazzanti per aria, nella palestra fece la sua comparsa un robot con la visiera di calibro rosso, ovvero dell’ultimo livello. La voce di Martin al microfono ci avvertì della cosa comunicandoci che si tratta di un modello in collaudo che simulava, come in passato, gli attacchi di Alex Mercer.
Inizialmente la maggior parte degli Angeli si fondarono in massa contro di lui, in una maniera disordinata e grottesca da far paura. Il finto Alex ne uscì integro, e molti dei cadetti vennero scagliati senza difficoltà addosso alle mura della palestra. Lewis, per nulla soddisfatto, scese personalmente in campo e radunò, durante una pausa, i capitani di ciascun clan. Li prese da parte e fece loro un discorsetto che durò una decina di minuti, comunicandogli di tenere maggiore disciplina e ordine all’interno del gruppo.
Quando l’allenamento riprese una metà di noi, esausta, lasciò la palestra, mentre l’altra, all’interno della quale il mio gruppo era rimasto per intero, riuscì a collaudare qualche mossa efficace di gruppo contro una gran parte delle ciambelle volanti che esplosero come fuochi d’artificio.
Il collaudo Mercer venne fatto rientrare, e nella palestra si agitarono ancora per poco combattimenti e spari contro le ciambelle rimaste. Una volta annientate fino all’ultima, restavamo in campo in pochissimi, tra cui io, Cole, Emmett, Lucy e Harry assieme alla ragazza capitano che riconobbi come quella del discorso al suo clan della mattina, seduta sul tavolo con i componenti del suo gruppo seduti attorno. La sua famiglia di Angeli era al completo come la nostra, e così molti altri, tutti risultati, come poi ci disse Martin, selezionati per l’offensiva.
Rinfoderai la pistola ancora fumante nel fodero che portavo legato alla coscia, mi tolsi il casco che misi sotto braccio e riempii i polmoni dell’aria della vittoria. Dopodiché ritirai le ali nella schiena e mi apprestai a raggiungere Lewis che faceva il solito discorso di congratulazioni al centro del campo d’addestramento.
Nel frattempo, alle nostre spalle, gli spazzini-robot vennero a pulire il pavimento dai brandelli di ciambelle volanti esplose durante l’addestramento.
-L’offensiva è forse la squadriglia di cui vado più fiero- arrise Martin gioioso in volto. Quanto gli piaceva vantarsi delle sue capacità di addestratore e responsabile! –L’allenamento che avete passato con successo va a testimonianza delle vostre capacità di combattenti. Sono felice che tutti voi selezionati e volontari per formare la squadra d’attacco abbiate raggiunto lo stesso obbiettivo, e altrettanto contento nell’affidare nelle vostre mani il destino della nostra New York- fece una pausa. –Questa sera alle 21.00 vi attende la partenza per Manhattan. Vi chiedo di trovarvi pronti sul tetto della base almeno una mezz’oretta prima, perciò avete tutto il tempo di fare la dovuta attenzione ai preparativi per la traversata. Chi di voi vorrà affinare le sue capacità sfruttando questo tempo residuo per farlo, sappia che l’accesso in palestra è del tutto libero fino allo scadere del concesso. La mensa resterà altrettanto disponibile, così come le altre aree all’interno della base. Il mio consiglio è: riposate e gioite, miei Angeli, perché l’Inferno vi aspetta- ci sorrise e si avviò fuori dalla sua palestra con la solita scorta di militari appresso.

   
 
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