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Autore: sallythecountess    24/09/2021    1 recensioni
Continuano le avventure dello stralunato Ian e della sua folle V. Riusciranno questa volta ad affrontare la vita matrimoniale e la prole?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo: Ian in tutte le salse
Ero terribilmente agitato all’idea di dover insegnare qualcosa a qualcuno, proprio io che ero letteralmente un insieme di sbagli accorpati a un mucchio di paroloni. Eppure lo feci: entrai in quel doposcuola e mi spaventai, all’inizio. Poi, però, iniziai a parlare con loro del motivo per cui erano in quel luogo, di chi fossero e lo trovai d’ispirazione. Erano un branco di undici ragazzini, di età miste. Il più grande T. J. Slash aveva diciassette anni e un figlio dell’età delle mie gemelle. Gli serviva il diploma, ma era messo male e mi disse che probabilmente non ce l’avrebbe fatta. Alcuni erano più piccoli, di diverse etnie ma tutti di un’unica estrazione sociale: poverissimi e dimenticati. Il primo pomeriggio che avevo con loro, sforai. Volevo conoscerli uno a uno prima di aiutarli a fare i compiti, così dedicai loro delle ore extra. Molti se ne andarono, ma T.J e il suo amico Santi decisero di restare, perché dovevano preparare un saggio su un libro che avevano letto. Senza capirlo.
Per scelta non vi annoierò con questioni didattiche che non interessano a nessuno in questa storia, quindi tirate un sospiro di sollievo. Non adottai un modo “giovane” per parlare di quel libro, anche perché onestamente non ne conoscevo nessuno, ma glielo spiegai, cercando di usare le mie capacità di satira e sintesi, e funzionò. Quando poi scoprirono che ero il marito di “quella fica di Ariel”, però, parecchi ragazzetti iniziarono ad avercela con me, ma feci finta di nulla e gli dissi solo che chiamarla apertamente “fica” non sarebbe stata una buona idea.
Era stata una buona idea quella del volontariato presso la sua associazione, e lo capii subito. Certo erano strani e spaventosi quei ragazzini, ma mi piaceva un sacco lavorare con loro. Era frustrante a volte, quando Kyle non capiva la differenza tra soggetto e complemento, era fastidioso quando mi prendevano in giro, ed era letteralmente odioso quando cercavano di farmi perdere tempo approfittandosi del mio essere logorroico, ma mi rendeva felice aiutarli.
 Come dicevo Ariel se ne accorse immediatamente, ma dopo la seconda lezione ne ebbe la certezza, quando mi sentì gioire smodatamente perche Santi aveva finalmente colto una metafora nel testo.
“…sembra che qualcuno sia riuscito in una grossa impresa!”
Sussurrò con dolcezza, per poi restare ad ascoltarmi mentre per venti minuti le raccontavo di quanto era stato bravo il mio alunno, sorridendo e basta.
“E quindi sono dei cafoni maschilisti, eh?” chiese, addentando un panino al volo in un posto in cui ci eravamo fermati, dopo la mia seconda lezione. Sapevo che avrebbe voluto dar loro una lezione per averla definita fica, ma le chiesi (o meglio dire la supplicai) di lasciar fare a me e lei riluttante accettò. Il giorno dopo li annoiai talmente tanto con la letteratura romantica e il rispetto per le donne, da spingerli a non dire mai più quella parola in mia presenza. Davvero, eh. Se qualcuno provava a dire qualcosa di offensivo o comunque triviale nei confronti delle donne, gli altri lo rimproveravano mentre io preparavo l’ennesimo sermone. Le due ragazze presenti, però, ne erano entusiaste.
 Nel frattempo io e Arial riprendemmo a uscire insieme, anche se non erano uscite galanti. Mangiavamo insieme dopo la mia lezione, e facevamo due passi chiacchierando di un po’ di cose e poi la salutavo per andare alle riunioni del gruppo di supporto, tutte le sere. Io le avevo ripreso la mano, perché mi veniva naturale, e continuavo a stringerla per lo stesso motivo, ma lei era risentita perché non tornavo a casa, quindi la situazione era abbastanza strana, anche se dolce. Per tutta la settimana continuò quel rituale, e riscoprimmo una certa tenerezza fatta di sguardi, mani che si stringono e sospiri, che non c’era più da qualche mese tra noi. Mi chiese soltanto un’altra volta di tornare a casa, in quella settimana, ma io le dissi della mia regola del mese e di quanto avessi paura di affrettare le cose, e lei scosse solo la testa.
“Però con le bambine sei presente, e non capisco che senso ha fare il padre ha distanza…” mi disse serissima, e lì mi venne un mezzo infarto. Voleva che tornassi per le bambine, non per noi. Mi offesi volevo chiudermi in me stesso e dirle solo “ok”, ma poi decisi di smettere di fare sempre gli stessi errori e dissi apertamente che la mia intenzione era di tornare a casa come marito, non come padre.
“Lo vorrei anche io, Ian…” aggiunse, fissandomi con un sorriso.
“Allora possiamo solo aspettare un po’?” chiesi, un tantino più tranquillo accarezzandole la guancia, ma lei scosse soltanto la testa ed io rimasi per un attimo di stucco.
“Ian c’è una cosa che devi sapere, ed è che ho bisogno di te come padre, prima che di te marito…”
La strinsi forte, allora, non capendo assolutamente nulla di quello che stava cercando di dirmi. Sussurrai piano che capivo e le chiedevo scusa, perchè probabilmente era stato terribilmente duro per lei gestire le bambine da sola, ma lei scosse la testa e sussurrò appena “no Ian, non volevo dire questo, ma una cosa più importante…”
Non capii, non subito (come sempre) ma lei aggiunse piano “…Olive e Audrey hanno bisogno di te, ma non sono le uniche e…vorrei farti conoscere una personcina”
Ok, avevo capito. Forse. Mi sciolsi, avevo un groppo in gola terribile, ma lei mi porse un video con il cellulare e morii sentendo quel rumore.
“Un cuoricino solo…” bisbigliai appena, ma soffocato dalle lacrime e lei ridacchiando rispose “sì, è la prima cosa che mi sono fatta giurare dal medico!”
Un altro cuoricino, uno che non dovevo deludere questa volta. Rimasi per un attimo a chiedermi come diavolo fosse successo e soprattutto quando, e lei mi spiegò tutto. Era capitato poco prima la morte di mia madre, quando eravamo ancora vicini, ma lei lo aveva scoperto tardi. Pensai solo che ci fosse qualcosa di stranamente poetico in quella storia, perché era interessante che avessi concepito un figlio immediatamente prima del peggior momento della mia vita, sembrava una sorta di regalo della mia mamma, ma non condivisi con lei i miei pensieri.
“…E’ grave quando ti perdi così nella tua testa…” aggiunse un po’ divertita, ma io le dissi piano che avrei voluto saperlo subito, che probabilmente le cose sarebbero state molto diverse e lei annuì alzando un sopracciglio.
“E’ per questo che te l’ho detto appena l’ho scoperto, ma tu eri sbronzo, non te lo sei ricordato, poi mi hai fatto una scenata e io ho rimandato. Quando poi hai detto che non eri in grado di essere il padre di nessuno, ho rimandato ancora. Mi sembrava la cosa giusta da fare, darti tempo, non stressarti…”
Era la cosa giusta, lei aveva rispettato i miei tempi, peccato che io fossi un idiota. Rimasi per un po’ senza parole e lei rispettò quel momento e si sedette accanto a me in silenzio.
“…e sta bene?” le dissi all’improvviso, emergendo dalla marea di idee e pensieri che mi aveva sommerso e lei sorridendo annuì soltanto, con un bellissimo sorriso.
“voi Watt avete le spalle forti…” mi disse ridacchiando, ma io scossi solo la testa, e le dissi che se i nostri figli si sarebbero mai rivelati forti, non era certo per merito mio, che ero un’inutile uomo senza volontà.
“Chiedere aiuto dimostra forza Ian. Rialzarsi dopo una caduta, anche. Riprendere in mano la propria vita dopo mille casini idem. E smettila di vederti sempre così negativamente…” mi disse molto piano, ma io le presi soltanto la mano.
“E tu?”
Sussurrai fissandola e lei scosse solo la testa.
“Fisicamente bene, emotivamente…molto fragile…” rispose, abbassando lo sguardo e in quel momento decisi di abbracciarla.
Restammo abbracciati in silenzio quella sera, per parecchio tempo. Non era una cosa normale tra noi il silenzio, ma non era un brutto segno. Sembrava quasi che quello che ci fosse da dire non potesse essere espresso a parole.
“Mi dispiace Ariel…” tirai fuori, improvvisamente, interrompendo il nostro momento di pace e lei sorrise soltanto.
“Sul serio, sono stato penoso. Ti ho lasciata sola ad affrontare due bambine e una gravidanza, comportandomi come un deficiente. Deve essere stato veramente difficile…”
Le dissi serio e anche costernato, ma lei ridendo rispose “Difficile è allattare due gemelle contemporaneamente mentre ceni. Una cosa complessa, che però con l’abitudine si può fare. Essere incinta, sola con due gemelle e con due nonni rompicoglioni, e con l’uomo che ami in modalità autodistruttiva è più simile alla mia idea di inferno…” spiegò, cercando di essere divertente, ma non risi. Mi segnai mentalmente che mi aveva definito “l’uomo che ami” e stop.
“…ma Ian, tutti abbiamo i nostri momenti no. L’importante è che sia passato…” aggiunse carina, prendendomi il viso con le mani e io mi presi quelle carezze, appoggiando la guancia sinistra alla sua mano.
“…però puoi tornare a casa, per favore? Se non vuoi stare con me, se non vuoi dormire insieme perché ti sembra presto, a me sta bene, abbiamo molte stanze…”
Concluse, ed io pensai solo “oh” perché per qualche strana ragione non mi piacque quella puntualizzazione. Insomma, ok, non volevo illuderla con la mia sobrietà per poi spezzarle il cuore in seguito, ma se stavo per diventare di nuovo padre le cose non erano più come prima. Adesso non potevo permettermi di bere di nuovo. Dovevo avere almeno un figlio che non mi aveva visto ubriaco, era un imperativo categorico, porca miseria. Perciò potevamo anche tornare insieme, perché non mi sarei mai permesso di riprendere a bere.
“E se, per ipotesi, io volessi stare insieme?” tirai fuori, non so con quale coraggio, e lei mi fissò per un attimo perplessa e rispose “beh per ipotesi, saresti un matto! Mi hai detto che era presto per giorni…”
“Sì, ma capisci che lo scenario non è più lo stesso?” provai a dire, ma lei scosse la testa e rispose triste “non voglio forzarti a fare qualcosa per cui non sei pronto, e ho troppa stima per me stessa per stare con qualcuno che mi vuole solo per mio figlio….”
“ma sei impazzita?” le dissi agitatissimo, interrompendola, ma lei mi mise due dita sulle labbra e sussurrò piano “torna a casa, lavoriamoci, ma per ora direi che siamo ancora nella fase ‘amici’…” e poi mi diede le spalle e salì in macchina.
“Vorrei rientrare stasera. Immagino che sia molto complesso per te con le nausee far fare colazione alle gemelle. Per questo hai perso molto peso…” le dissi, raggiungendola in auto e lei annuì soltanto.
“Un incubo…” commentò con un sorriso, e io annuii soltanto, ma fummo silenziosi per tutto il viaggio. La lasciai in giardino, per andare alla riunione, ma eravamo d’accordo che sarei tornato a dormire a casa quella notte. Ero veramente sottosopra, però. Non volevo essere suo amico, volevo tenerla a letto e accarezzarle la pancia, ma ovviamente l’avevo rifiutata per troppo tempo e lei era sulla difensiva, era normale.
Non ascoltai nulla di quella riunione e continuai a guardare il video che mi aveva mandato, con il mio piccolo cuoricino nuovo. Volevo essere a casa, più di tutto quella sera, e quando raccontai tutto a Loraine e Big Joe mi beccai un ceffone sulla testa, perché “era ovvio che dovessi stare con lei quella sera!”
Raggiunsi casa mia, recuperai la chiave ed entrai. Accesi la luce per attraversare il soggiorno e persi dieci anni di vita, perché beccai due persone impegnatissime a darsi da fare sul mio divano.
 
Capitolo:
 Pensai solo “muoio” ma la persona avvinghiata a Pau era una signorina asiatica e fortunatamente non mia moglie. Ci misi qualche secondo a riprendermi, e mi persi nelle mie considerazioni, ma a qualcuno non piacquero. Sapete che fece quel matto? Mi urlò contro di smettere di fissare sua moglie nuda e andarmene, e lì ve lo dico, rimasi per un attimo frastornato e confuso, ma poi finalmente mi riscossi e ruggii furioso di andarsene e lasciare in pace mia moglie.
“Lasciala in pace tu quella povera Ariel, se poi fissi le mogli degli altri con quella lascivia…” rispose furente e io mi chiesi solo quando avessi dato l’impressione di fissare quella signorina, perché onestamente non avevo neanche notato che fosse senza vestiti. Ritornai al punto di partenza e gli dissi di lasciare in pace mia moglie e lui ripetette che dovevo lasciarla in pace io. Sembrava un western con i pistoleri malati di mente che ripetevano sempre le stesse cose, ma poi uscimmo da quell’empasse quando lui mi gridò “Hai davvero pensato che volessi soffiarti la moglie?”
 Risposi solo che conoscevo il valore della mia compagna, che sapevo quanto poco ci volesse ad innamorarsi di lei e quanto fosse straordinaria, quindi mi sembrava ovvio che lui ne fosse innamorato. Sapete che fece lui? Rise. E non poco, eh. Rise di me in modo cantilenante e fastidioso, e mi spinse a desiderare soltanto di prenderlo a calci ancora di più, e non credevo potesse essere possibile. Poi, però, disse le parole giuste.
“Tu sottovaluti davvero Ariel, se pensi che un uomo possa starle vicino solo per amore o lussuria. Che disgustoso pagliaccio che sei…” ruggì disgustato, e per un attimo rimasi perplesso.
“Tua moglie è una brava persona, cosa che tu non sei. E’ responsabile, cosa che tu non sei, ed è gentile. Aiuta la gente, è intelligente e altruista, ma tu pensi soltanto che un uomo possa volersela scopare. Non riesci a capire che per alcuni, un’amica come tua moglie possa essere una ricchezza…” mi disse severissimo, e mi sentii in colpa. Davvero. Pensai che avesse ragione lui, Ariel aveva moltissimi amici uomini, e che forse non dovevo giungere a conclusioni così affrettate, così mi scusai e li lasciai a continuare, sul divano.
Raggiunsi Ariel in camera, per dirle che ero arrivato e darle la buonanotte, e per un attimo mi tremò il cuore. Erano tutte e tre a letto, a leggere una di quelle noiosissime favole educative di Ariel, ma le gemelle impazzirono rivedendomi.
Lei annuì soltanto, dandomi il permesso di avvicinarmi e mettermi a letto con loro, mentre le gemelle chiedevano a gran voce di continuare la favola di Ruby e Tim. Voi ora vi state chiedendo di che diavolo si tratti, e adesso ve lo spiegherò: prima di dormire giocavamo sempre insieme a inventare una storia. Io davo loro delle parole strane e le guidavo nella composizione, ma le lasciavo anche libere. Era un esercizio per allenare la loro fantasia, ma anche per aiutarle a rilassarsi e a dormire, infatti quella notte crollarono in pochissimo tempo. Rilassava un sacco anche me quel gioco, che spesso mi appisolavo giocando con i loro capelli e annusando il loro profumo.
“Ti ho preparato la stanza che una volta era la mia…” mi sussurrò Ariel piano, con un bellissimo sorriso e io la ringraziai e sbadigliando feci per alzarmi quando lei sussurrò piano “Niente coccole della buonanotte per me?” facendomi sorridere.
“Avevi detto ‘amici’ no?” le sussurrai piano, avvicinandomi al suo lato del letto e lei annuì e disse piano “…e gli amici si abbracciano, sai?” facendomi sorridere.
La strinsi, con tantissima forza, e lei sussurrò solo “mi sei mancato troppo Ian. Persino il tuo odore sul cuscino mi mancava…” spingendomi a baciarla. Fummo entrambi scossi da un brivido per quel bacio, e onestamente fu bellissimo.
 “Hey…” mi sussurrò dopo con un sorriso bellissimo e io risposi solo “Hey” facendola ridere e spingendola a baciarmi ancora.
“Siamo veramente incoerenti…” mi disse dopo un po’ sorridendo, ma io spiegai solo che gli amici si baciano, facendola sorridere.
Fu molto difficile lasciarla lì, soprattutto perché avevo veramente l’impressione che se avessi insistito un po’ sarei riuscito a dormire con lei, ma non volevo forzarla. Decisi di fare il marito perfetto, e riconquistarla, così iniziai a darle di nuovo tutte le piccole attenzioni di prima. Le facevo trovare la colazione pronta, avevo mille premure e lei era felicissima.
 Loraine e Big Joe erano di grande supporto e mi dissero che potevo anche evitare qualche riunione, ma io ne parlai con Ariel perché non volevo saltarne neanche una e lei acconsentì e si offrì di venire con me qualche volta.
“Più avanti amore…” le dissi, accarezzandole il viso, mentre preparava la cena e lei sussurrò piano “…eh ma se mi chiami amore così, non è semplice restare amici…”facendomi sorridere.
“Sei mia moglie Ariel, l’amore della mia vita, la mia fantasia romantica, come pensi che potrei mai essere tuo amico?”le sussurrai piano e lei mi sorrise.
 “…ma so quanto amore c’è voluto per fare l’amica…” facendola sorridere e beccandomi un altro bacio.
“Purtroppo questo amore c’è, c’è sempre stato…” mi rispose, vicinissima alle mie labbra e io le dissi solo “purtroppo?” facendola ridere e spiegare che lei era felice quando era una stronza insensibile.
 Ci avvicinammo quella notte, e dormimmo tutti e quattro insieme. Ariel piano piano tornò a comportarsi da moglie, a coccolarmi e baciarmi sempre, ed io provai ad essere un compagno perfetto, ma ovviamente essendo io, ero al massimo passabile.
Nota:
Ecco qua! So che ve l'aspettavate, sono capitoli che dissemino indizi su questo piccolino. Siete contenti? Vi piace questo riavvicinamento o vi sembra forzato? Vi aspetto!
   
 
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