Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: chiara140    25/09/2021    1 recensioni
-dal testo-
Da quando l'aveva perso all'improvviso a quindici anni, Jean aveva sempre avuto paura di dimenticarlo. Gli avevano strappato via Marco dalle mani, brutalmente, e la scoperta del cadavere dell'unica persona che aveva mai potuto considerare un amico sincero gli aveva provocato uno shock tale che ancora adesso faticava a realizzare cosa fosse successo realmente.
A distanza di anni i dolci e ancora poco maturi tratti dell'amico gli parevano ormai impercettibili, ma sebbene l'avesse lasciato solo da troppo tempo, non poteva e non doveva in alcun modo dimenticarlo.
Perciò ogni notte, ogni singola notte, ovunque stesse e in qualsiasi posto fosse al momento, si armava di un foglio e di una matita consumata e sotto la fioca luce di una laterna poggiata accanto a sè sul tavolo, la cui candela si spegneva sempre troppo in fretta, disegnava.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Da quando l'aveva perso all'improvviso a quindici anni, Jean aveva sempre avuto paura di dimenticarlo. 

Gli avevano strappato via Marco dalle mani, brutalmente, e la scoperta del cadavere dell'unica persona che aveva mai potuto considerare un amico sincero gli aveva provocato uno shock tale che ancora adesso faticava a realizzare cosa fosse successo realmente.

A distanza di anni i dolci e ancora poco maturi tratti dell'amico gli parevano ormai impercettibili, ma sebbene l'avesse lasciato solo da troppo tempo, non poteva e non doveva in alcun modo dimenticarlo.

Perciò ogni notte, ogni singola notte, ovunque stesse e in qualsiasi posto fosse al momento, si armava di un foglio e di una matita consumata e sotto la fioca luce di una laterna poggiata accanto a sè sul tavolo, la cui candela si spegneva sempre troppo in fretta, disegnava.

Amava disegnare: ancor di più se il protagonista di questi, ricchi di dettagli, era l'amato che il Jean quindicenne non aveva ancora realizzato di poter amare. 

Sebbene provasse qualcosa per Mikasa da tanto tempo, Marco era stato il primo ragazzo che avesse mai capito di amare. 
E sebbene l'avesse realizzato troppo tardi, quando ormai la sua calorosa risata e la sua voce dolce erano state dimenticate, non riusciva a togliersi dalla mente quanto si pentisse di essere stato così stupido.

La matita passava lenta sul foglio, cauta e accorta di cogliere ogni minimo particolare del volto, e talvolta guardava i disegni precedenti per essere sicuro di non perdere alcun dettaglio.

Prima passava ai capelli bruni non sempre ordinati, tavolta morbidi e talvolta ispidi, poi era il turno dei suoi occhi pieni di vita e di gentilezza, nei quali ci si immergeva ogni volta, ed infine passava al sorriso genuino che formava delle piccole fossette. 
Per ultimo, punteggiava con la matita il viso a disegnare le sue piccole e sparse lentiggini. 

Sapeva a memoria il punto preciso di ognuna di esse poichè quando non riusciva a dormire, durante gli anni di addestramento, Marco lo invitava a contarle tutte finchè non avrebbe preso sonno. 
Avrebbe potuto distinguerle anche ad occhi chiusi, persino da bendato. 
Quell'innumerevole quantità di lentiggini erano forse i tratti del viso che più adorava disegnare e che aveva sempre amato osservare.

I disegni, fatti ogni notte da quanto non era più con lui, con il tempo avevano formato un plico così alto di fogli che li aveva rilegati con particolare cura con un nastro rosso.

Gli altri compagni lo guardavano sempre un po' storto, poiché ovunque andasse se li portava dietro. 
E quando la nostalgia lo colpiva in modo più forte del solito, soleva sciogliere il nastro e sfogliava ogni disegno scrutandone i dettagli per cercare di capire quale fosse perfetto. 

Quando aveva finito quel rituale li rimetteva in ordine dal primo all'ultimo, guidato dal piccolo segno in matita in alto a sinistra della data della notte in cui l'aveva disegnato.

Ogni volta che scrutava il suo volto tramite la carta, il rimorso di non averlo baciato quando avrebbe potuto farlo lo colpiva dritto al petto e gli provocava una fitta dolorosa.

Tanto più quando aveva rinvenuto una sua lettera, dopo la sua morte, nella quale il ragazzo aveva confessato di provare dei forti sentimenti nei suoi confronti.

Ma a volte si pentiva ancora di più nel sapere che Reiner e Annie, coloro che l'avevano brutalmente ucciso, erano stati da lui perdonati. Sebbene sapesse che non avevano avuto scelta, non riusciva lo stesso a perdonarli fino in fondo.

A volte si estraniava dal mondo, faceva delle passeggiate in solitaria con le orecchie tappate, e ripensava ai momenti che avevano trascorso insieme per riuscire a calmare il suo respiro.

Perciò pure quella notte si ritrovò a disegnarlo. Dato che ormai si ricordava ben poco di lui, si affidava ai ritratti precedenti come riferimento, poiché ormai la sua mente lo stava lentamente dimenticando.

Marco...” sussurrò il suo nome nel buio, la candela consumata fin troppo che non riservava più alcuna luce, e non potè evitare che alcune lacrime cadessero proprio sul suo ritratto. 

Non appena se ne accorse cercò di asciugare con il gomito la goccia d'acqua caduta, impaurito di averlo rovinato, e ciò lo fece singhiozzare ancora più forte e rumorosamente.

Doveva fare silenzio però, per quanto fosse difficile in quei momenti, per evitare di svegliare qualcuno. 
Poteva già ritenersi fortunato se aveva una stanza tutta per sé, almeno per poter disegnare.

Armin a volte veniva a trovarlo in camera, preoccupato per le poche ore di sonno che aveva a disposizione, e lo incitava ad andare presto a dormire. 

Ovviamente tutto ciò non succedeva, almeno fin quando non fosse stato soddisfatto del suo disegno notturno, e per colpa di quella sua mania perfezionista ogni volta combinava una grande quantità di fiammiferi, poiché trovava che la candela sul tavolo si spegnesse troppo in fretta.

Più passavano gli anni, e più il tempo lo distaccava da quei lontani ricordi, che a mala pena riusciva a mettere a fuoco.

Solo una cosa continuava a tormentarlo: i suoi sentimenti.

Sebbene non ricordasse più molto, ciò che aveva provato faticava ad andarsene.
Ma il tormento maggiore era costituito dal rimorso: rimorso di essere stato uno sciocco, di avere detto troppo o troppo poco, di non avergli dedicato necessario, ma sopratutto di non aver reso giustizia a ciò che provava in fondo al cuore.

Magari se gli fossi stato più vicino, lui sarebbe ancora qui con me” si ritrovava a pensare qualche volta.

Ma per quanto desiderasse di poter cambiare le cose, i suoi amici lo riportavano alla realtà. 

I primi giorni dopo la sua morte, questo lo ricordava vividamente, erano stati i peggiori di tutta la sua vita.

L'aveva disegnato, guardando di continuo il primo ritratto di Marco che gli aveva fatto una volta mentre stava dormendo, e ripeteva incessante a Connie e Sasha quando sarebbe tornato indietro.

Rifiutava con tutto sé stesso l'idea di averlo perso, che non fosse più accanto a lui.

Loro gli dicevano sempre che non poteva tornare, perché dalla morte non si ritorna, e lui scuoteva la testa e tra le lacrime affermava che tutto ciò non era vero, che lui non era veramente morto. 
Come se fosse stato solo ferito e sarebbe presto uscito dall'infermeria.

Impiegò almeno due settimane per accettare la sua morte.

Così aveva iniziato a disegnarlo, ogni notte.

Non importavano le ore di sonno perse anche se per due giorni di fila non aveva chiuso occhio: a costo di addormentarsi sul tavolo, lui l'avrebbe fatto sempre.

E mentre lo ritraeva di volta in volta, la convinzione che un giorno si sarebbero reincontrati cresceva sempre più.

Per quanto non fosse mai stato così credente, gli piaceva pensare che le loro anime si sarebbero riviste nella morte e poi mescolate; cosicchè avrebbero potuto trascorrere l'eternità insieme.

Oh se la luna potesse parlare! 

Essa avrebbe potuto confermare l'amore che dopo anni Jean ancora provava in cuor suo per l'amico scomparso. 

Poichè essa era sempre stata compagna del giovane, le notti che i due trascorrevano insieme per cercare di addormentarsi , e aveva scrutato da lontano attraverso qualsiasi finestra Jean che disegnava attento il viso di Marco.

Un giorno, non sapeva quando o dove per l'esattezza, sapeva con certezza che loro due si sarebbero reincontrati.

Quel pensiero non lo abbandonò mai: neppure quando chiuse gli occhi per l'ultima volta, rivolti verso la luna, e ne fu felice perché sapeva che l'avrebbe finalmente ritrovato dopo anni e anni di separazione.


We'll meet again

Don't know when

Don't know where

But I know we'll meet again

Some sunny day

2019, Germania

Buongiorno Jean” la dolce voce di Marco risuonò per tutta la cucina e illuminò la stanza ancora avvolta nel buio del mattino presto.

Buongiorno anche a te, Marco” salutò il suo coinquilino, seduto poco composto sulla sedia della cucina mentre beveva un caffè doppio con un goccio di latte.

Egli accennò un mezzo sorriso tra un sorso e l'altro quando si sedette accanto a lui per fare colazione.

I due giovani studiavano all'università di Berlino e condividevano un modesto appartamento lontano dal centro, in una zona piuttosto tranquilla e perciò anche meno costosa.
Si erano conosciuti al liceo, erano stati compagni di banco per molto tempo, e ora erano ancora lì insieme. 

L'idea di condividere un appartamento era stata di Marco, perché non si poteva permettere di spendere troppo, e Jean si era offerto di divere le spese su tutto. 
In realtà il secondo motivo per cui Marco aveva suggerito quell'idea, cosa di cui l'amico era all'oscuro, era per poterlo avere vicino.

Fatta la colazione tra sguardi sospesi ed ermetici sorrisi, si diressero insieme all'università e trascorsero tutta la mattinata a seguire le lezioni. Consumato un pranzo veloce in un bar, i due si separarono.

Jean andò a fare la spesa e Marco, che aveva un esame importante in vista, si rifiugiò nella grande biblioteca della città per studiare.

Rimase lì nel suo tranquillo angolo di paradiso finché non si fece buio, abbastanza tardi poiché era scattata da poco l'ora legale, e tornò finalmente a casa dove trovò l'amico ad aspettarlo.

Marco era troppo stanco per cucinare la cena, dato che aveva studiato tutto il pomeriggio senza mai fare una pausa, e perciò Jean si offrì di farlo lui.

In realtà quel giorno non era il suo turno -si erano divisi i compiti in modo rigoroso- ma lo fece per amore dell'amico.

Sebbene faticassero ad ammetterlo, sia a sé stessi che all'altro, erano innamorati l'uno dell'altro. 
Ma Marco era ancora troppo timido per dichiararsi, cosa strana perché di solito lui non era timido per niente, e Jean era il solito idiota che non aveva ancora capito nulla.

Se qualcuno da fuori li avesse osservati bene, anche solo per cinque miseri minuti, si sarebbe accorto di tutto: gli sguardi che si lanciavano, la reciproca accortezza, i gesti premurosi e le carezze timide che qualche volta si scambiavano, erano più esplicative di quanto non fossero le loro parole in proposito.

I loro sentimenti erano palesi.

In realtà, aveva notato, da tempo Jean si comportava in modo insolito. 

Era più silenzioso, tendeva a perdersi nei propri pensieri più spesso, qualche volta balbettava e i suoi dialoghi con il coinquilino si limitavano a cose sull'università o sulle faccende domestiche.

Per quanto fosse strano, aveva pensato che fosse dovuto a uno strano periodo che stava vivendo in quel momento e non ci aveva dato troppo peso.

Ma quella sera tutto cambiò.

Marco si sedette a tavola sorpreso, era quasi impossibile non notare con quanto sforzo fosse stata apperecchiata. 
Non era da Jean impegnarsi in questo genere di cose, di solito si limitava solo a mettere lo stretto indispensabile per mangiare.

E' un giorno speciale per caso?” chiese Marco, un pochino entusiasta all'idea di cosa quel gesto volesse dire.

L'argenteria nuova, i bicchieri da vino, il centro tavola e sopratutto la candela accesa lasciavano intendere ben altre cose.

Lui rise leggermente, parlando con malizia: “Se ti piace pensarlo, te lo lascio credere”.

Aveva persino spento le luci grandi del soggiorno e fatto partire il vecchio giradischi in modo tale da creare un'atmosfera intima e personale solo per loro due.
Da esso risuonava una lieve melodia, era una di quelle canzoni degli anni cinquanta che a Marco piaceva tanto.

Davvero, è tutto così curato nei minimi dettagli che mi spaventi un po'. Di sicuro vorrai dirmi qualcosa” affermò.

Probabile” rispose ancora enigmatico Jean, con la testa dentro al forno: stava tirando fuori il pollo arrosto che aveva cucinato.

Sviò la conversazione per tutto il tempo, distrendo Marco con chiacchiere sull'università, e solo quando entrambi ebbero finito fece per parlare.

In effetti c'è qualcosa che vorrei dirti, per questo stasera ti ho trattato come un principe”.

Beh se lo facessi tutti i giorni non mi dispiacerebbe affatto”.

Lo invitò a continuare, ma in quel momento Jean fu preso alla sprovvista da un balbettio inaspettato.
Non riusciva proprio a formulare una frase di senso compiuto, forse la paura di un rifiuto l'aveva intimidito.

Sospirò affranto, per quanto succedesse di rado odiava ogni volta che accadeva, e l'amico lo rassicurò subito.

Non fa niente, puoi sempre dirmelo un'altra volta”.

Poi si alzò da tavola e gli porse la propria mano.

“Balliamo?” chiese con un sorriso.

Ma questa canzone è triste” obbiettò il biondo.

Ma è la mia preferita. Per favore” fece uno sguardo supplichevole e Jean non potè non afferare la mano, convinto dalle sue parole, e venne condotto al centro del salotto.

I loro corpi erano stretti, le mani congiunte, i piedi si muovevano in modo automatico a ritmo di musica e la testa di Marco si era appoggiata sulla spalla di Jean.

A Marco piaceva da matti ballare, ma ancora di più se poteva farlo con il suo migliore amico che da tempo serbava un posto speciale nel suo cuore. Sussurrava le parole della canzone imparata ormai a memoria, che giunsero all'oreccio dell'amato e gli provocarono un inaspettato brivido lungo tutta la schiena.

We'll meet again

Don't know when

Don't know where

But I know we'll meet again

Some sunny day

Jean sentiva nel profondo qualcosa di familiare.
Ascoltandola più attentamente si era accorto di quanto quelle parole gli fossero simili, come se in qualche modo si rispecchiasse nel testo della canzone: ma nonostante gli enormi sforzi che impiegò, non riuscì a capire il perchè.

La sua mente vagò confusa, cercando invano di capire cosa c'era alla base di quella sensazione strana.

Jean... perché stai piangendo?” la dolce voce di Marco lo ridestò da quei pensieri e si accorse che delle lacrime stavano scivolando copiose lungo le proprie guance.

Non rispose, poiché nemmeno lui sapeva cosa rispondere, e quindi appoggiò a sua volta il viso nell'incavo del collo dell'amico. 
Il gesto fu così inaspettato per Marco che arrossì con vigore in volto e sorrise beato.

Cosa volevi dirmi di così tanto importante prima?” domandò poi, ma per la seconda volta a Jean non uscì niente dalla bocca.

Allora prova a farmelo capire a gesti” propose.

Era un'ottima e una pessima idea al tempo stesso, ma tanto prima o poi l'avrebbe saputo. 

Per quanto avesse paura, la canzone gli diede la spinta necessaria per compiere quell'insano gesto. 
Sentiva che, se anche quella volta non avesse fatto nulla, l'avrebbe perso di nuovo.

Di nuovo... 

Alzò il viso, le lacrime segnavano ancora il suo volto, e lo guardò dritto negli occhi: lo baciò. 

Gli prese il volto tra le mani in un modo quasi disperato e smise di pensare a come avrebbe reagito.

Dopo qualche secondo si allontanò, rosso in viso, e in un certo senso pentito di averlo fatto.

Marco era evidentmente sorpreso, lo tradiva il suo respiro, ma gli sorrise subito dopo aver realizzato cosa fosse successo.
Contrariamente alle aspettative – del tutto infondate- dell'amico, non si era tirato indietro. Pensava che il suo cuore avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro.

Ti ho sempre amato” sussurrò Jean, così piano che per poco non fu udito. 

“E mi dispiace se ti ho fatto aspettare così a lungo, sono stato uno sciocco ad accorgermene solo quando pensavo di averti perso per sempre”.

Non hai nulla di cui scusarti” si affrettò a dire Marco, cercando di dargli conforto.

Ti amo da così tanto tempo che stavo quasi per accantonare i sentimenti che provo per te dal liceo”.

A quel punto le parole non servirono più, poiché sarebbero state solo inutili.
Jean lo baciò di nuovo, ancora e ancora, finché non espresse tutto ciò che non riusciva a dire.

La pallida e fioca luce della luna filtrava dalla finestra e raggiungeva il salotto buio, dove i due amanti continuarono a ballare ancora per molto fino a che la canzone non terminò.

Se mai fossero stati separati dal destino, questo era ciò che Jean pensava, prima o poi si sarebbero reincontrati. 

Ma in quell'universo non aveva nulla di cui preoccuparsi: il destino era stato benevolo nei loro confronti e aveva stabilito che non li avrebbe separati un'altra volta.


We'll meet again

Don't know when

Don't know where

But I know we'll meet again

Some sunny day

   
 
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