Mnestic
pertinente alla memoria
Lo straniero dagli
occhi verdi ricorda perfettamente la
prima volta in cui l’ha vista – abbandonata sul prato, il vestito
bianco
schiuso come una corolla attorno alle gambe snelle, il grembo inondato
di
fiori, le dita graffiate.
Il suo nuovo amico, il vicino dalla mente acuta e i capelli ramati,
si
torce le mani al suo fianco. Quel fratello solitario che si ritrova ha
un’espressione ostile incisa nei lineamenti duri e macina disprezzo ad
ogni
sbuffo.
Irrilevanti.
Lo straniero li ignora – insolitamente silenzioso, insolitamente
calmo,
niente scoppi di risa, niente labbra che si stirano fino a dolere e
niente
denti che azzannano l’aria, solo quel mutismo contemplativo che non gli
è proprio.
Lei sospira. Un respiro svagato, un po’ tremulo. Le sue ciglia
dorate
sbattono piano, il sole le fa scintillare.
Le sue dita sottili si adoperano, ostinate, attorno ai fiori.
Scivolano,
impacciate, sgraziate, su una corona di petali sgualciti. Perdono il
filo e
ricominciano, instancabili – lui si chiede se lei non stia
semplicemente
cercando di ricordare, ricordare come si fa a intrecciare i fiori,
ricordare
come si fa a ritrovare la strada in una realtà fatta di riverberi
infiniti e fruscii
di narcisi bianchi.
Gli occhi verdi dello straniero osservano quei movimenti convulsi con
interesse. Ha inchiodati addosso due paia di sguardi identici – uno
gronda
preoccupazione e l’altro è acuminato di disprezzo, ma l’azzurro è lo
stesso.
Insignificante.
Lei geme, disperata. I narcisi giacciono squarciati tutt’intorno a lei,
le
corolle pallide divelte dallo stelo.
Di quella coroncina che tanto desidera non restano che brandelli –
e quei
gemiti metà singhiozzi metà sussurri che le sfuggono a intermittenza.
“Che cosa ne pensi?”
Albus parla all’improvviso, incapace di reggere la tensione un minuto
di più.
La testa di lei scatta impercettibilmente, e gli occhi dello straniero
brillano, spettrali.
“Che cosa ne pensa? Che cosa ne pensa?” l’indignazione
dell’altro
Silente, del Silente sbagliato, strappa un sorriso ricurvo di
disprezzo
a quelle labbra perfette, “Non è un oggetto, fratello. È nostra
sorella.”
“Aberforth, sai cosa volevo intendere.”
“No, che non lo so.”
Lo straniero ricorda cos’ha pensato, in quell’istante – attenzione,
pericolo.
Lei scuote la testa a scatti, i riccioli biondi saltano come molle
rotte –
ingranaggi impazziti sotto quella cascata di capelli, una bocca
innocente
incurvata all’insù un po’ per caso, il buio si addensa e i narcisi
prendono il
volo, ma nessuno li vede, nessuno può vederli danzare nel buio tranne
lei,
tranne lei.
Lo straniero la guarda, le dita che si inceppano e franano e si torcono
mentre
lei cerca di intrecciare i fiori.
“Non l’hai mai sopportata!”
“Sei ingiusto. Ho lasciato tutto per occuparmi di voi.”
“Ti aspetti anche un ringraziamento per aver fatto il tuo dovere?”
Lei dondola su se stessa, il viso rivolto verso i fiori trucidati sul
suo
grembo, i riccioli biondi incendiati di sole sono quasi dolorosi da
guardare.
Lo straniero dalla faccia allegra pensa che, però, niente sia
doloroso
quanto quello che le si agita sotto la fronte d’avorio, in quella
memoria fatta
di schegge rotte.
I suoi fratelli litigano, Aberforth ferisce con l’oltraggio e Albus si
scherma
con un’indifferenza glaciale che non riesce a dissimulare del tutto il
rimpianto, e le dita di lei si contraggono, sempre più convulsive,
sempre più
sgraziate – gli occhi verdi dello straniero scovano i lividi
sbiaditi sulle
nocche, i graffi irregolari sui palmi.
Lei strappa manciate di erba insieme a qualche corolla, lui la guarda
fare a
pezzi i narcisi con sempre più violenza, il volto da bambola soffuso di
riccioli.
Aberforth ringhia e Albus sibila, e nessuno dei due nota quelle dita
piene di
lividi che artigliano i petali e li torturano.
Pericolo.
Lo straniero le si avvicina, in uno scatto fluido.
Le voci dei Silente si spengono, fulminate, lui sorride appena ma non
si ferma
finché non si trova davanti a lei, col suo vestito macchiato e i suoi
fiori in
rovina e le iridi spente rivolte altrove.
Si piega sulle ginocchia, gli occhi verdi come un’aurora boreale persi
su di
lei.
“Mi sembra perfetta. Lo sei, vero, fiore mio?”
Albus si lascia sfuggire un sospiro d’atroce sollievo e Aberforth
ringhia –
li odia entrambi e l’odio non morirà mai, non nei suoi ricordi affilati
come
coltelli.
“Si chiama Ariana!”
“Ariana, che bel nome” nell’udire quel tono rabbioso, lo straniero si
distende
un sorriso abbacinante sul volto allegro, “Io mi chiamo Gellert.”
La bambina spezzata alza lo sguardo su di lui e sorride, di nuovo
pacifica.
Note
dell’Autrice
Sono davvero felice di tornare a scrivere, e con i miei personaggi
preferiti!
Questa storia presenterà le coppie Albus/Gellert e Gellert/Ariana. La
Grindeldore
è la mia OTP e ci tengo a precisare che in questa storia non rispetto
pienamente le mie idee su di loro, poiché i miei headcanon cambiano
quando nel
quadro si inserisce Ariana, in un ruolo diverso da quello di sorella di
Albus.
La storia è stata scritta seguendo i prompt della lista pumpWord
dell’iniziativa
del #Writober2021, organizzata dal sito Fanwriter.it. Ho scelto soltanto
i primi 9 prompt e,
visto che non intendo proseguire con gli altri, pubblicherò un paio di
volte a
settimana (il venerdì e il martedì), invece di tutti i giorni.
Spero che questa piccola minilong vi piaccia!
Lasciatemi un parere, se vi va.
Mary