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Autore: berlinene    01/09/2009    4 recensioni
… sfuggente… come un sogno, come una breve vacanza. Come Ken…
Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Shun Nitta/Patrick Everett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 2 - Okinawa

Maki e Kojiro vennero a prenderli all’aeroporto. Shun non conosceva la ragazza di Hyuga, l’aveva giusto vista in foto: incontrarla tuttavia gli confermò la buona impressione avuta allora. Non era bellissima, ma aveva un viso aperto e simpatico e un fisico invidiabile, slanciato e muscoloso. Non appena la ragazza li vide, iniziò a sbracciarsi da lontano, poi, quando furono alla sua portata, accolse Shun con una stretta di mano decisa e Ken con una gran pacca sulla spalla seguita da un abbraccio fraterno e caloroso, mentre Kojiro si limitò ad accennare un saluto.
“Sono proprio contenta che siate venuti” disse, facendo l’occhiolino. “Ci divertiremo un sacco insieme… Avete fame? O ci facciamo prima un bel bagno?”
“Immagino debbano almeno passare da casa a lasciare i bagagli, Maki” intervenne Hyuga per la prima volta. La sua voce era calma e dolce, aveva un’aria rilassata, del tutto nuova per Shun.
“È vero, che sciocca! Ok, truppa, passiamo prima da casa!” disse sorridente, facendo strada ad ampie falcate.
La casa di Maki era una villetta a schiera, semplice e graziosa come la sua proprietaria che, senza smettere un attimo di ciarlare di quello che avrebbero fatto durante la settimana, mostrava ora ai due nuovi arrivati la propria stanza.
“C’è un solo letto, ma ho un futon… spero vi vada bene… si tratterà di stenderlo alla sera e toglierlo al mattino, perché come vedete non c’è molto spazio”.
“Va benissimo, figurati. Dormirò io sul futon, non ho problemi” rispose educatamente Ken.
“Benissimo, vedetevela voi…” disse Maki stringendosi nelle spalle. “Vi ho fatto un po’ di posto nell’armadio, potete metterci la vostra roba… sistematevi e cambiatevi, appena siete pronti andiamo in spiaggia. Vi aspetto di sotto”.  Fece una carezza sul petto di Kojiro e scese giù lasciando soli i tre ragazzi.
“Tutto bene il viaggio?” borbottò Hyuga.
“Tutto bene” confermò Ken, senza guardarlo in faccia.
“Il resto?’”
“Tutto bene, famiglia, palestra, nuova squadra, tutto bene” rispose il portiere come a voler esaurire subito gli argomenti, mentre tirava fuori i vestiti dalla borsa, riponendoli ordinatamente nell’armadio. C’era tensione fra i due, Shun la percepiva chiaramente e, per spezzarla, chiese:
“Posso dormire io sul futon, se vuoi” disse rivolto a Ken, “starai più comodo sul letto…”
"Ehi, cosa vuoi insinuare piccoletto?” sorrise finalmente il portiere, “Solo perché ho un paio d’anni più di te non vuol dire che abbia già i reumatismi!”
Hyuga ridacchiò a sua volta, Shun rimase un attimo perplesso: “No, è che sono più piccolo, nel senso, di statura e…”
“Scherzo” rispose il portiere, dandogli un colpetto sulla spalla. “Ma se proprio insisti, il letto lo prendo io”.
“Almeno ci risparmieremo le lagne mattutine” disse Hyuga, fingendo di fissarsi una mano, ma guardando di sottecchi il portiere. Fece appena in tempo a schivare un cuscino, che, lanciato da Ken, finì nel corridoio.
“Stai zitto che sei più vecchio di me… eppoi… mi sa che sarai tu in questi giorni ad avere mal di schiena, casomai…”
Ken fu pronto ad afferrare il cuscino gettatogli da Hyuga e a rispedirlo al mittente che, intanto, era visibilmente arrossito.
“Sbrigatevi” cambiò discorso il cannoniere. “Vi aspetta una lezione di beach soccer”.
Shun trasse dalla borsa dei calzoncini da bagno azzurri che indossò insieme a una maglietta intonata, quindi infilò le ciabatte e si buttò in spalla l’asciugamano. Intanto il portiere aveva preso a sua volta i pantaloncini da bagno, un modello lungo fin sotto il ginocchio, nero. Con un sorriso, Nitta pensò che erano un’ottima soluzione se avevi, come Ken, gambe lunghe ma un po’ magre, d’altronde, constatò infine guardando i suoi a metà coscia, se se li fosse messi lui, le sue sarebbero sembrate ancora più corte di quanto non fossero già.
“Sembro un bamboccio” pensò sconsolato, valutando il suo riflesso nello specchio, “loro invece…”
Guardò Kojiro appoggiato alla porta, canottiera bianca e costume attillato nero a fasciare un corpo possente, muscoloso e abbronzato e poi si voltò verso Ken, in tempo per vedere le natiche piccole e sode sparire sotto il costume, che il portiere legò in vita, lasciandolo poi scivolare un po’ lungo i fianchi stretti. Apparentemente soddisfatto dell’effetto, infilò delle infradito e si gettò l’asciugamano di traverso al torso nudo.
“Devi proprio farlo vedere a tutti, eh? Beh, certo, quando uno ci ha speso dei soldi…”
“Lo sai che l’ho fatto solo per nascondere la cicatrice!”
“Seh, per nascondere una cicatrice di due centimetri sulla scapola non c’era bisogno di tatuarsi mezza spalla… e di andare sempre in  giro seminudo”.
“Ma che palle, Hyuga! Cosa sei, mio padre o la mia fidanzata?”
“Cosa sono io non lo so, tu sei il solito esibizionista del cazzo, Wakashimazu”.
Shun seguì i due giù per le scale, osservando l’oggetto del contendere: un tatuaggio, a onor del vero nemmeno tanto grande, raffigurante un drago stilizzato sulla spalla sinistra di Ken, la stessa che, se non ricordava male, il portiere si era fratturato alcuni anni prima. Sghignazzò fra sé, ripensando allo scambio cui aveva appena assistito. Ora sì che li riconosceva: li aveva sempre visti, con una punta d’invidia, come la coppia di amici per antonomasia.

 

Andarono diretti in spiaggia, dove fecero subito il bagno. Quindi pranzarono a un chioschetto e trascorsero il pomeriggio in riva al mare, un po’ prendendo il sole, un po’ in acqua, un po’ giocando a pallone sulla sabbia. La sera, consumarono una cenetta deliziosa preparata da Maki, coadiuvata da un improbabile Hyuga versione chef: Shun sorrise sotto i baffi all’inizio, anche se, poi, dovette ammettere che se la cavava davvero alla grande!
La cena fu servita nel piccolo giardino: l’aria frizzante della sera profumava di mare. Il cibo era fresco e delizioso e, dopo un pomeriggio sotto il sole, la birra gelata che ti scorreva giù per la gola, era un piacere dei sensi. Shun si sprofondò nella sedia, estraniandosi per un attimo dalla conversazione. La stanchezza e la birra gli rendevano la testa piacevolmente leggera e, come da dietro un vetro, osservava i suoi compagni.
Maki, che fino ad allora aveva partecipato attivamente alla conversazione nonostante questa vertesse solo sul calcio, si era alzata agilmente dalle ginocchia di Kojiro e stava intimando a Ken di mettere il doposole ora e la protezione il giorno dopo “che tu mica hai la pelle di cuoio del tuo amico, guarda lì sembri già un peperone”. Shun osservò il portiere opporre una debole resistenza, poi si sfilò la maglietta e lasciò che la ragazza gli spalmasse la crema.
Nitta valutò l’espressione dei tre: continuavano a parlare del più e del meno, non c’era la minima traccia di gelosia  sul volto di Kojiro, né di imbarazzo su quello di Ken. D’altra parte non ce ne sarebbe stato motivo: ogni gesto, ogni parola di Maki verso il migliore amico del suo ragazzo trasudava spontaneità e cameratismo, un affetto fraterno e sincero senza ombra di malizia.
Sorrise fra sé il piccolo attaccante e pensò che sembravano davvero sereni e felici. Sentì come una fitta dolorosa al petto, che era al contempo invidia e desiderio di essere parte di quel quadretto, di non sentirsi solo come spesso gli capitava.
Quasi in risposta ai suoi pensieri, Maki gli si fece vicino e si offrì di spalmare anche a lui la lozione lenitiva. Shun annuì imbarazzato e si godette la sensazione di quelle manine fresche sulla pelle arrossata. Socchiuse gli occhi e all’immagine della ragazza per un attimo si sovrappose…
“Mi sa che il piccolo va portato a nanna” disse Ken sorridendo. “Si sta appisolando”.
“Non è vero!” protestò Nitta, mascherando a stento un gigantesco sbadiglio.
“Forse è meglio se ci andiamo tutti,” intervenne salomonico Hyuga, stiracchiando la schiena possente, “domattina ci alziamo presto per andare a correre”.
“Che cosa?” chiese Ken strabuzzando gli occhi. “Ti faccio notare che non sei più il mio capitano e io sono in vacanza”.
“Ma sì!” incalzò Maki. “Io e Koji ci facciamo sempre una corsetta sulla spiaggia al mattino… venite anche voi!”
“Per me va bene” disse Nitta conciliante. Adorava correre e, soprattutto, sentirsi parte di quel gruppo.
“E sia… ma che palle, però! Io devo starmene in porta mica scorrazzare per il campo…”.

 

Dopo due giorni tutto era diventato una rilassante routine: corsetta sul lungomare al mattino, doccia, colazione sulla spiaggia e poi giochi, chiacchiere, tuffi e pallonate sulla sabbia fino a sera. Quando il cielo cominciava a tingersi di arancione la “truppa”, come diceva Maki, tornava a casa e dopo la doccia cenavano, o nel giardino tranquillo e profumato di casa Akamine o in qualche ristorantino sul mare.
Grazie alle solerti attenzioni di Maki (che aveva questa capacità innata di trasformarsi da atleta in mammina in compagna di bagordi senza batter ciglio) la pelle di Shun aveva assunto un bel colorito dorato; e grazie alla frenesia di Kojiro, sempre in fibrillazione per andare a correre, nuotare o fare una partitella, il suo corpo era tornato in perfetta forma, dopo il mese trascorso in casa chino sui libri. E poi c’era Ken…
Per quanto maschiaccio, Maki era pur sempre una fanciulla innamorata del proprio bel calciatore ed era naturale che ogni tanto lei e Kojiro cercassero i loro momenti di intimità. Shun li trovava una coppia affiatatissima e faceva il tifo per loro. Anche perché così, poteva stare un po’ da solo con Ken. Adorava parlare con lui, era simpatico, gentile e interessante. Eppure… c’era qualcosa di diverso rispetto all’anno precedente al dojo, c’era meno spensieratezza nei suoi gesti e spesso una sorta di tristezza velava i suoi penetranti occhi scuri.
Parlavano un sacco anche la sera prima di addormentarsi, toccando gli argomenti più disparati, dall’onnipresente calcio, ai progetti per il futuro, dagli aneddoti sui compagni di nazionale ai loro gusti in fatto di cinema, musica e quant’altro. La voce profonda del portiere, dal letto di Maki, scendeva verso Shun disteso sul futon, coccolandolo finché non si addormentava e, poi, anche nei suoi sogni, continuava a sussurrargli parole inintelligibili. Nei sogni lo rivedeva tuffarsi, ora a parare un suo tiro, ora nelle onde della mare da cui usciva scuotendo i lunghi capelli stillanti goccioline d’arcobaleno. E le gocce si facevano granellini di sabbia sul corpo cesellato e abbronzato… E Shun li contava all’infinito, desiderando di soffiarli via e baciare quella pelle dorata. Eppoi c’era un mostro marino che lo avvolgeva o, forse, era il drago sulla sua spalla e il portiere stesso, con indosso il kimono, uccideva il mostro a colpi di karate e poi prendeva la borsa sull’armadietto e gliela passava con un sorriso.
Fotogrammi del passato si mescolavano folli alle immagini che gli occhi di Nitta rubavano avidi durante quei giorni, giorni rubati a loro volta, tanto sembravano lontani dalla realtà. 

 

 

E in un batter d’occhio la settimana era passata. Per l’ultima sera avevano deciso di andare a ballare in un delizioso localino sulla spiaggia, uno stabilimento balneare che, calato il sole, fungeva da discoteca all’aperto. A cena, tuttavia, Maki sembrava meno allegra e ciarliera del solito. Fu Hyuga, premuroso come sempre verso la compagna, a chiederle se qualcosa non andava. Lei fu costretta ad ammettere di non sentirsi bene.
“Spero non vi dispiaccia andare da soli per stasera” borbottò Hyuga, più tardi, appoggiato alla porta della loro stanza, senza guardarli in faccia. “In realtà Maki vorrebbe venissi con voi ma… mi dispiace lasciarla sola, starei in pensiero e vi rovinerei la serata…”
“Ma ti pare” rispose Shun con un sorriso. Ken ne accennò uno a sua volta, ma non disse niente.
In realtà a Nitta non dispiaceva affatto: certo, Maki era simpatica e alla mano e in coppia con Kojiro erano tutt’altro che noiosi o mielosi, ma in discoteca si stava sicuramente meglio fra ragazzi. Anche se la faccia di Ken sembrava dire altrimenti.
“Se non ti va…” azzardò il giovane attaccante, una volta che quello Hyuga inedito, versione maritino premuroso tanto esilarante quanto dolce, li ebbe lasciati soli. Shun non era mica tanto convinto che fosse lo stesso con cui da anni giocava in coppia in nazionale.
“No. Abbiamo detto di andare e andiamo.” rispose secco il portiere. “Almeno avrò portato questi vestiti per qualcosa” continuò, abbottonandosi l’elegante camicia grigio perla, salvo poi ri-slacciare i primi tre bottoni, gli occhi fissi sulla propria immagine riflessa nello specchio. Poi si voltò per vedere quanto i jeans blu scuro donassero al suo lato B, quindi li allacciò e mise la cintura. Infilò un paio di scarpe da ginnastica bianche e argento, dette un’ultima sistemata al colletto della camicia e alla collanina che portava sotto e infine si voltò e chiese:
“Pronto?”
Pur senza perdersi un movimento dell’elaborata vestizione del portiere, Nitta si era cambiato a sua volta: pantaloni sotto il ginocchio beige e una maglietta nera attillata, che metteva in risalto il fisico esile ma tonico; più un paio di scarpe nere a completare il tutto. Si passò una mano fra i capelli spettinandoli ad arte e rispose affermativamente. Ancora una volta immagini del famoso sogno si affacciarono alla sua mente, ma s’impose di non pensarci.
Ken scomparve in bagno per spazzolarsi i capelli e dare il tocco finale del dopobarba.
“Me ne presti un po’?” chiese Nitta, insinuatosi attraverso la porta socchiusa, accennando al profumo.
“Questa è roba da uomini, piccoletto” gli rispose Wakashimazu in tono canzonatorio, allungando il braccio in alto per portare il flacone dove l’altro non poteva arrivare.
“Guarda che non occorre essere alti per essere uomini” rispose Shun con un sorriso birichino e una strana luce negli occhi espressivi. Rapide le sue mani puntarono al fianco di Ken per fargli il solletico. Ridendo, l’altro abbassò il braccio e Nitta, fulmineo, s’impossessò del dopobarba.
“Vedi, basta saperci fare…” continuò, alzando un ditino da saputello.
Ma, inaspettatamente, Ken, afferrandolo per un braccio, lo fece voltare e lo immobilizzò fra il lavandino e il proprio corpo.
Shun si ritrovò con la faccia premuta contro la camicia grigio-perla e il profumo del portiere lo fece fremere.
“Che buono il tuo profumo” disse suo malgrado. Per fortuna il tessuto aveva attutito la voce.
“Che cosa?” chiese l’altro allentando la presa.
“Dicevo che questo profumo è buonissimo” proseguì Nitta, poi liberò la mano, stappò il flacone del dopobarba e ne prese un po’. Si voltò verso lo specchio, sperando che il portiere non notasse il rossore sul suo volto riflesso.

 

 Ken era decisamente scazzato, quella sera. Aveva già bevuto un paio di cocktail e non aveva spiccicato parola, né con lui né con alcuna delle belle ragazze semivestite che se lo mangiavano con gli occhi. A un tratto gli aveva proposto, praticamente a gesti, di allontanarsi dalla pista e andarsi a sedere un po’ sugli sdrai vicino al bagnasciuga, biascicando qualcosa circa il caldo e la musica troppo alta. Si sedettero in silenzio, a un metro circa l’uno dall’altro, sorseggiando le loro bevute.
“Non fraintendermi…” cominciò Ken all’improvviso. Nitta si guardò intorno cercando di capire con chi stesse proseguendo quel discorso: ma, dato che in giro non c’era nessuno e che il portiere non aveva l’auricolare del cellulare, arguì che stesse parlando con lui.
I grandi occhi di Shun brillavano nell’oscurità come quelli di un gatto, fissi sul profilo spigoloso del portiere. Nonostante avesse preso un po’ di sole in quei giorni, alla luce della luna la sua pelle appariva chiara come al solito, quasi luminosa. I suoi occhi erano neri e lucidi come la placida e misteriosa superficie opalescente del mare che fissavano.
“… Maki è una ragazza straordinaria, una delle più carine e simpatiche che abbia mai incontrato. Lo so, lo sento che si amano. So anche che se sono suo amico e gli voglio bene non dovrei desiderare che la sua felicità. E lo vedrebbe anche un cieco che Kojiro è felice. E Dio solo sa quanto se lo merita… eppure io… io… non riesco a non essere… geloso, ecco. Non credo ci sia un’altra parola. Per tanti anni siamo stati così uniti e adesso… mi sento… così… solo, ecco”.
La voce si spense e nell’aria non rimase che lo sciacquio delle onde e l’eco lontana della musica proveniente dalla pista da ballo.
Quelle parole colpirono profondamente Shun: solo ci si era sentito tante volte e aveva sempre invidiato quel legame speciale fra i due ex giocatori del Toho. Non era facile essere uno dei più piccoli della Nazionale, senza compagni provenienti dal proprio club a darti manforte, come Sano che aveva dalla sua Jito, o Sawada che aveva Hyuga e Ken. Senza contare che era quasi sempre titolare e gli altri non gli risparmiavano frecciatine invidiose e scherzi da caserma. Aveva smesso di contare le volte che si era dovuto arrampicare sull’armadietto per riprendersi qualche indumento misteriosamente finito sopra al mobile.
Però, una volta se la ricordava bene: in quell’occasione gli avevano gettato lassù tutta la borsa ma, mentre studiava come arrivarci, era stato proprio Ken, con un sorriso, a tirargliela giù.
Se solo fossero stati tutti più gentili con lui, avrebbero saputo che di natura non era caparbio e insolente come doveva, suo malgrado, mostrarsi, ma allegro e gentile. E anche riconoscente: non aveva mai scordato né quello e altri gesti da parte del Karate Keeper e, adesso, era probabilmente il momento di ricambiare.
“Fra voi c’era un rapporto speciale…” esordì infine, gli occhi fissi sulla sabbia. “Però le cose cambiano… ci sarà sempre un posto per te nel suo cuore, ma ora non è più… soltanto tuo, ecco”. Quasi senza accorgersene, Nitta, si posò la propria mano su quella di Ken, carezzandone le dita lunghe e affusolate.
Quel tocco riscosse Wakashimazu che, però, non si sottrasse: “Devo esserti sembrato patetico,” disse con un sorriso un po’ forzato. “Quando mi prende la sbornia triste sono più insopportabile del solito”, così dicendo guardò il bicchiere ancora mezzo pieno che reggeva e lo gettò con nonchalance in un cestino a pochi metri. La mano rimasta libera raggiunse l’altra e insieme strinsero quella di Nitta, così piccola e paffuta rispetto alle sue. Con un balzo si alzò dallo sdraio e, trascinando l’altro, disse “Andiamo, si era detto di divertirsi, no?”
Nitta gli trotterellò dietro tentando di tenere il passo con le lunghe falcate del portiere, un po’ imbarazzato da quella strana passeggiata mano nella mano che lo condusse in mezzo alla pista.
Si lasciarono entrambi andare, guidati dalla musica ritmata, dalle bevute già fatte e da qualche altra visitina al bar. Presto le gambe di Shun iniziarono a muoversi da sole, intorno c’erano solo immagini sfocate di Ken che si muoveva sinuoso strusciandosi quando a una quando all’altra ragazza, ma senza considerarne davvero nessuna. Confusamente, si rendeva conto di fare lo stesso. Sentiva mani delicate e corpi femminili sfiorarlo, ma fra tutto quel ben di Dio, tornava sempre a cercare lo sguardo di Ken, trovandolo.
A un tratto lo perse di vista, poi lo scorse seduto su un divanetto, le braccia distese sulla spalliera, la testa reclinata all’indietro. Facendosi strada nella folla e staccandosi di dosso come fossero sanguisughe le tipe di turno, Nitta lo raggiunse, un po’ barcollante.
“Tutto a posto, Ken?” gli disse, sedendoglisi vicino e passandosi una mano fra i capelli sudati.
L’altro sollevò la testa e rispose: “Sì, ma non ce la faccio più… andiamo a casa?”.
Fece per alzarsi ma ricadde all’indietro. Scoppiò a ridere e si portò una mano alla fronte, mentre l’altro braccio si appoggiava sulle spalle di Shun.
“Dio, ho bevuto veramente troppo… temo che avrò bisogno di un aiuto per tirarmi su”.
“Mah, la vedo dura… sei il doppio di me!” rise l’altro.
Comunque, tre o quattro tentativi e svariate crisi di ridarella dopo, ci riuscirono e, appoggiati l’uno all’altro come due ubriachi doc, si avviarono verso casa.
L’aria fresca giovò evidentemente alla lucidità del portiere che smise progressivamente di appoggiare il suo non trascurabile peso sulle spalle minute di Nitta, ma senza smettere di cingerle. Arrivati a casa, Wakashimazu si fiondò in bagno, mentre Nitta, con un ultimo sforzo, collassò sul letto.
Quando Ken tornò in stanza, lo trovò che dormiva come un angioletto di traverso al materasso. Si rese conto di non aver nessuna voglia di prendere il futon e stenderlo, così sollevò l’amico fra le braccia per spostarlo di qualche centimetro e si distese nel posto lasciato libero.
Solo che Shun non dormiva affatto. Si era riscosso dal dormiveglia nell’attimo in cui il compagno l’aveva sollevato – stretto fu la parola che gli si affacciò alla mente – fra le braccia. Il cuore aveva perso un colpo e poi si era messo a battergli fortissimo nel petto, tanto che temeva l’altro potesse udirlo. Aprì gli occhi solo quando lo sentì sdraiarsi e volgergli la schiena, nuda, come sempre.
Lentamente voltò la testa per guardarlo. Dalla finestra la luce della luna rischiarava la stanza e la pelle eburnea di Ken appariva luminosa, mentre il drago tatuato sulla spalla sembrava chiamarlo, come un serpente tentatore.
Per attimi interminabili i grandi, luminosi occhi di Shun fissarono ardenti il soffitto. Trasse alcuni lunghi ma silenziosi respiri, nel vano tentativo di rilassarsi. Ma ogni suo muscolo era in tensione, e si sentiva eccitato. Molto eccitato.
Era ancora vestito di tutto punto, eppure, anche attraverso i vari strati di tessuto, il suo membro sensibilissimo percepì il tocco della mano che vi corse rapida.
Una goccia di sudore gli scese lungo la guancia e il collo. Sempre attento a non fare rumore, si sfilò maglietta e pantaloni, rimanendo in boxer, la sua erezione ben evidente nella luce bianca della luna.
Ok, pensò Nitta, o la va o la spacca, anzi, si corresse, mi spacca la faccia. Ma così non posso andare avanti. Ripensò alle volte in cui Ken gli era stato amico, e agli ultimi giorni: la telefonata, l’invito, il viaggio, quei momenti in spiaggia e poi… quella sera stessa… chissà magari…
Lentamente, badando a non fare il minimo rumore, si mise in ginocchio: contemplò ancora quella schiena muscolosa che confluiva nei fianchi stretti, le natiche piccole e rotonde che si indovinavano sotto i boxer. Poi il suo sguardo risalì lungo quel corpo e di nuovo il drago stilizzato sulla spalla sinistra sembrò fissarlo con occhi inesistenti. Altrettanto inesistenti e incorporee erano le spire di quel rettile, eppure le sentiva chiaramente stringergli il collo, mozzandogli il respiro, e attraendolo verso sé. Solo una parte della sua mente si rendeva davvero conto che, finalmente, le sue labbra sottili erano entrate in contatto con la pelle fresca e profumata del portiere, che, nonostante la doccia, sapeva ancora un po’ di sale.
Ken si voltò. Ma non di scatto, non arrabbiato. Lentamente. Quasi lo stesse aspettando. Quando Nitta riaprì gli occhi, che aveva tenuti chiusi per assaporare appieno il sapore dell’altro, si trovò a fissare quelli di Ken e si accorse che non erano velati di sonno ma vigili e lo sguardo che vi lesse tradiva sì una certa sorpresa, ma era soprattutto infinitamente dolce.
E Nitta non esitò più. Con una mano liberò il volto di Ken dai lunghi capelli, poi la stessa mano corse a sistemare i propri dietro l’orecchio. Quindi si chinò e appoggiò le labbra su quelle del portiere. Per un attimo infinito sue le labbra  rimasero serrate e Shun temette seriamente di aver rovinato tutto. Poi si dischiusero appena e lasciarono che la sua lingua si facesse lentamente spazio. Il giovane attaccante ne leccò lentamente il profilo, poi, timidamente si spinse ad esplorare la bocca, andando ad incontrare la lingua dell’altro. Quando si toccarono una scarica elettrica percorse il corpo di Nitta, che si strinse a quello del portiere, continuando a baciarlo. Sentì le grandi mani carezzargli la schiena minuta, soffermandosi sull’incavo sopra il sedere, apprezzando la curva decisa dei glutei piccoli ma sodi.
Per un tempo che sembrò infinito, le bocche dei due ragazzi rimasero incollate, le lingue che si sfioravano, intrecciavano, separavano per poi cercarsi di nuovo, affannosamente, ineluttabilmente. Sarà stato il sapore di salmastro e di rum o semplicemente il sapore di Ken o forse la paura di incontrare il suo sguardo dopo, di quello che si sarebbero detti o non detti, ma Shun non riusciva a staccarsi.

 
Ma, alla fine, il momento giunse.

 
Allontanò la testa, stringendo piano per un ultimo attimo quelle labbra fra i denti. Poi dovette lasciarle andare. La bocca scivolò lungo il mento di Ken, leggermente ruvido per la barba che stava rispuntando, poi scesero giù lungo il collo, tornando verso la spalla da cui erano partite. Poi Shun piegò la testa e, col respiro affannato, gli appoggiò la guancia sul petto, stringendosi forte al corpo del portiere. Aveva gli occhi aperti ma fissi sulla parete opposta.
E ora? Cosa sarebbe successo? Poteva semplicemente restare con la faccia affondata in quel corpo fresco e odoroso per sempre? No, avrebbe dovuto guardarlo in faccia, a un certo punto.
Tremò al pensiero di ciò che vi avrebbe scorto.
Come in risposta ai suoi dubbi, una mano grande lo accarezzò dolcemente sulla testa. Al contrario di lui, il portiere respirava regolarmente e anche il battito del suo cuore era normale. 
Inspirando a fondo Nitta si fece coraggio e si tirò su. Il volto di Ken era piegato verso di lui. L’attaccante cercò di leggerne l’espressione, ma era imperscrutabile. Di sicuro non c’era sorpresa, né paura o biasimo. Sembrava che volesse tranquillizzarlo, consolarlo. Per un attimo gli ricordò l’espressione che aveva dopo che si erano scontrati in campionato, quando non era riuscito a fargli gol e, alla fine della partita, lacrime di rabbia gli avevano riempito gli occhi. Lui gli aveva messo la mano sulla spalla e sorridendo gli aveva detto “Forza”.
Adesso, aveva lo stesso sguardo. Diceva: “Non c’è niente di male, Shun”.
Fece quello che, forse, avrebbe voluto fare anche allora.
Si accoccolò contro il suo petto e si strinse a lui, mentre l’altro gli carezzava leggero la testa e la schiena.
Shun sentì il proprio cuore rallentare fino a battere all’unisono con quello di Ken, anche il respiro si fece regolare come il suo. Sempre più regolare e profondo. Sistemò il capo nell’incavo della clavicola. Ancora per qualche attimo percepì l’odore di quella pelle e la consistenza dei pettorali su cui poggiavano la guancia e le dita.

Poi si addormentò.

   
 
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