Cap. 2 - Okinawa
Maki e Kojiro vennero
a prenderli all’aeroporto.
Shun non conosceva la ragazza di Hyuga, l’aveva giusto vista
in foto:
incontrarla tuttavia gli confermò la buona impressione avuta
allora. Non era
bellissima, ma aveva un viso aperto e simpatico e un fisico
invidiabile,
slanciato e muscoloso. Non appena la ragazza li vide, iniziò
a sbracciarsi da
lontano, poi, quando furono alla sua portata, accolse Shun con una
stretta di
mano decisa e Ken con una gran pacca sulla spalla seguita da un
abbraccio
fraterno e caloroso, mentre Kojiro si limitò ad accennare un
saluto.
“Sono proprio contenta che siate venuti” disse,
facendo l’occhiolino. “Ci divertiremo un sacco
insieme… Avete fame? O ci
facciamo prima un bel bagno?”
“Immagino debbano almeno passare da casa a
lasciare i bagagli, Maki” intervenne Hyuga per la prima
volta. La sua voce era
calma e dolce, aveva un’aria rilassata, del tutto nuova per
Shun.
“È vero, che sciocca! Ok, truppa, passiamo prima
da casa!” disse sorridente, facendo strada ad ampie falcate.
La casa di Maki era una villetta a schiera,
semplice e graziosa come la sua proprietaria che, senza smettere un
attimo di
ciarlare di quello che avrebbero fatto durante la settimana, mostrava
ora ai
due nuovi arrivati la propria stanza.
“C’è un solo letto, ma ho un
futon… spero vi vada
bene… si tratterà di stenderlo alla sera e
toglierlo al mattino, perché come
vedete non c’è molto spazio”.
“Va benissimo, figurati. Dormirò io sul futon, non
ho problemi” rispose educatamente Ken.
“Benissimo, vedetevela voi…” disse Maki
stringendosi nelle spalle. “Vi ho fatto un po’ di
posto nell’armadio, potete
metterci la vostra roba… sistematevi e cambiatevi, appena
siete pronti andiamo
in spiaggia. Vi aspetto di sotto”.
Fece
una carezza sul petto di Kojiro e scese giù lasciando soli i
tre ragazzi.
“Tutto bene il viaggio?” borbottò Hyuga.
“Tutto bene” confermò Ken, senza
guardarlo in
faccia.
“Il resto?’”
“Tutto bene, famiglia, palestra, nuova squadra,
tutto bene” rispose il portiere come a voler esaurire subito
gli argomenti,
mentre tirava fuori i vestiti dalla borsa, riponendoli ordinatamente
nell’armadio.
C’era tensione fra i due, Shun la percepiva chiaramente e,
per spezzarla,
chiese:
“Posso dormire io sul futon, se vuoi” disse
rivolto a Ken, “starai più comodo sul
letto…”
"Ehi, cosa vuoi insinuare piccoletto?” sorrise
finalmente il portiere, “Solo perché ho un paio
d’anni più di te non vuol dire
che abbia già i reumatismi!”
Hyuga ridacchiò a sua volta, Shun rimase un attimo
perplesso: “No, è che sono più piccolo,
nel senso, di statura e…”
“Scherzo” rispose il portiere, dandogli un
colpetto sulla spalla. “Ma se proprio insisti, il letto lo
prendo io”.
“Almeno ci risparmieremo le lagne mattutine” disse
Hyuga, fingendo di fissarsi una mano, ma guardando di sottecchi il
portiere.
Fece appena in tempo a schivare un cuscino, che, lanciato da Ken,
finì nel
corridoio.
“Stai zitto che sei più vecchio di me…
eppoi… mi
sa che sarai tu in questi giorni ad avere mal di schiena, casomai…”
Ken fu pronto ad afferrare il cuscino gettatogli
da Hyuga e a rispedirlo al mittente che, intanto, era visibilmente
arrossito.
“Sbrigatevi” cambiò discorso il
cannoniere. “Vi
aspetta una lezione di beach soccer”.
Shun trasse dalla borsa dei calzoncini da bagno
azzurri che indossò insieme a una maglietta intonata, quindi
infilò le ciabatte
e si buttò in spalla l’asciugamano. Intanto il
portiere aveva preso a sua volta
i pantaloncini da bagno, un modello lungo fin sotto il ginocchio, nero.
Con un
sorriso, Nitta pensò che erano un’ottima soluzione
se avevi, come Ken, gambe
lunghe ma un po’ magre, d’altronde,
constatò infine guardando i suoi a metà
coscia, se se li fosse messi lui, le sue sarebbero sembrate ancora
più corte di
quanto non fossero già.
“Sembro un bamboccio” pensò sconsolato,
valutando
il suo riflesso nello specchio, “loro
invece…”
Guardò Kojiro appoggiato alla porta, canottiera
bianca e costume attillato nero a fasciare un corpo possente, muscoloso
e
abbronzato e poi si voltò verso Ken, in tempo per vedere le
natiche piccole e
sode sparire sotto il costume, che il portiere legò in vita,
lasciandolo poi
scivolare un po’ lungo i fianchi stretti. Apparentemente
soddisfatto
dell’effetto, infilò delle infradito e si
gettò l’asciugamano di traverso al
torso nudo.
“Devi proprio farlo vedere a tutti, eh? Beh,
certo, quando uno ci ha speso dei soldi…”
“Lo sai che l’ho fatto solo per nascondere la
cicatrice!”
“Seh, per nascondere una cicatrice di due
centimetri sulla scapola non c’era bisogno di tatuarsi mezza
spalla… e di
andare sempre in giro
seminudo”.
“Ma che palle, Hyuga! Cosa sei, mio padre o la mia
fidanzata?”
“Cosa sono io non lo so, tu sei il solito
esibizionista del cazzo, Wakashimazu”.
Shun seguì i due giù per le scale, osservando
l’oggetto del contendere: un tatuaggio, a onor del vero
nemmeno tanto grande,
raffigurante un drago stilizzato sulla spalla sinistra di Ken, la
stessa che,
se non ricordava male, il portiere si era fratturato alcuni anni prima.
Sghignazzò
fra sé, ripensando allo scambio cui aveva appena assistito.
Ora sì che li
riconosceva: li aveva sempre visti, con una punta d’invidia,
come la coppia di amici
per antonomasia.
Andarono diretti in
spiaggia, dove fecero subito
il bagno. Quindi pranzarono a un chioschetto e trascorsero il
pomeriggio in
riva al mare, un po’ prendendo il sole, un po’ in
acqua, un po’ giocando a
pallone sulla sabbia. La sera, consumarono una cenetta deliziosa
preparata da
Maki, coadiuvata da un improbabile Hyuga versione chef: Shun sorrise
sotto i
baffi all’inizio, anche se, poi, dovette ammettere che se la
cavava davvero alla
grande!
La cena fu servita nel piccolo giardino: l’aria
frizzante della sera profumava di mare. Il cibo era fresco e delizioso
e, dopo
un pomeriggio sotto il sole, la birra gelata che ti scorreva
giù per la gola,
era un piacere dei sensi. Shun si sprofondò nella sedia,
estraniandosi per un
attimo dalla conversazione. La stanchezza e la birra gli rendevano la
testa
piacevolmente leggera e, come da dietro un vetro, osservava i suoi
compagni.
Maki, che fino ad allora aveva partecipato
attivamente alla conversazione nonostante questa vertesse solo sul calcio, si era alzata agilmente
dalle ginocchia di Kojiro
e stava intimando a Ken di mettere il doposole ora e la protezione il
giorno
dopo “che tu mica hai la pelle di cuoio del tuo amico, guarda
lì sembri già un
peperone”. Shun osservò il portiere opporre una
debole resistenza, poi si sfilò
la maglietta e lasciò che la ragazza gli spalmasse la crema.
Nitta valutò l’espressione dei tre: continuavano a
parlare del più e del meno, non c’era la minima
traccia di gelosia sul
volto di Kojiro, né di imbarazzo su
quello di Ken. D’altra parte non ce ne sarebbe stato motivo:
ogni gesto, ogni
parola di Maki verso il migliore amico del suo ragazzo trasudava
spontaneità e
cameratismo, un affetto fraterno e sincero senza ombra di malizia.
Sorrise fra sé il piccolo attaccante e pensò che
sembravano davvero sereni e felici. Sentì come una fitta
dolorosa al petto, che
era al contempo invidia e desiderio di essere parte di quel quadretto,
di non
sentirsi solo come spesso gli capitava.
Quasi in risposta ai suoi pensieri, Maki gli si
fece vicino e si offrì di spalmare anche a lui la lozione
lenitiva. Shun annuì
imbarazzato e si godette la sensazione di quelle manine fresche sulla
pelle
arrossata. Socchiuse gli occhi e all’immagine della ragazza
per un attimo si
sovrappose…
“Mi sa che il piccolo va portato a nanna” disse
Ken sorridendo. “Si sta appisolando”.
“Non è vero!” protestò Nitta,
mascherando a stento
un gigantesco sbadiglio.
“Forse è meglio se ci andiamo tutti,”
intervenne
salomonico Hyuga, stiracchiando la schiena possente,
“domattina ci alziamo
presto per andare a correre”.
“Che cosa?” chiese Ken strabuzzando gli occhi.
“Ti
faccio notare che non sei più il mio capitano e io sono in
vacanza”.
“Ma sì!” incalzò Maki.
“Io e Koji ci facciamo
sempre una corsetta sulla spiaggia al mattino… venite anche
voi!”
“Per me va bene” disse Nitta conciliante. Adorava
correre e, soprattutto, sentirsi parte di quel gruppo.
“E sia… ma che palle, però! Io devo
starmene in
porta mica scorrazzare per il campo…”.
Dopo due giorni tutto
era diventato una rilassante
routine: corsetta sul lungomare al mattino, doccia, colazione sulla
spiaggia e
poi giochi, chiacchiere, tuffi e pallonate sulla sabbia fino a sera.
Quando il
cielo cominciava a tingersi di arancione la
“truppa”, come diceva Maki, tornava
a casa e dopo la doccia cenavano, o nel giardino tranquillo e profumato
di casa
Akamine o in qualche ristorantino sul mare.
Grazie
alle solerti attenzioni di Maki (che aveva questa capacità
innata di
trasformarsi da atleta in mammina in compagna di bagordi senza batter
ciglio)
la pelle di Shun aveva assunto un bel colorito dorato; e grazie alla
frenesia
di Kojiro, sempre in fibrillazione per andare a correre, nuotare o fare
una
partitella, il suo corpo era tornato in perfetta forma, dopo il mese
trascorso
in casa chino sui libri. E poi c’era Ken…
Per quanto maschiaccio, Maki era pur sempre una
fanciulla innamorata del proprio bel calciatore ed era naturale che
ogni tanto lei
e Kojiro cercassero i loro momenti di intimità. Shun li
trovava una coppia
affiatatissima e faceva il tifo per loro. Anche perché
così, poteva stare un
po’ da solo con Ken. Adorava parlare con lui, era simpatico,
gentile e
interessante. Eppure… c’era qualcosa di diverso
rispetto all’anno precedente al
dojo, c’era meno spensieratezza nei suoi gesti e spesso una
sorta di tristezza
velava i suoi penetranti occhi scuri.
Parlavano un sacco anche la sera prima di
addormentarsi, toccando gli argomenti più disparati,
dall’onnipresente calcio,
ai progetti per il futuro, dagli aneddoti sui compagni di nazionale ai
loro
gusti in fatto di cinema, musica e quant’altro. La voce
profonda del portiere, dal
letto di Maki, scendeva verso Shun disteso sul futon, coccolandolo
finché non
si addormentava e, poi, anche nei suoi sogni, continuava a sussurrargli
parole
inintelligibili. Nei sogni lo rivedeva tuffarsi, ora a parare un suo
tiro, ora
nelle onde della mare da cui usciva scuotendo i lunghi capelli
stillanti
goccioline d’arcobaleno. E le gocce si facevano granellini di
sabbia sul corpo
cesellato e abbronzato… E Shun li contava
all’infinito, desiderando di
soffiarli via e baciare quella pelle dorata. Eppoi c’era un
mostro marino che
lo avvolgeva o, forse, era il drago sulla sua spalla e il portiere
stesso, con
indosso il kimono, uccideva il mostro a colpi di karate e poi prendeva
la borsa
sull’armadietto e gliela passava con un sorriso.
Fotogrammi del passato si mescolavano folli alle
immagini che gli occhi di Nitta rubavano avidi durante quei giorni,
giorni rubati
a loro volta, tanto sembravano lontani dalla realtà.
E in un batter
d’occhio la settimana era passata.
Per l’ultima sera avevano deciso di andare a ballare in un
delizioso localino
sulla spiaggia, uno stabilimento balneare che, calato il sole, fungeva
da
discoteca all’aperto. A cena, tuttavia, Maki sembrava meno
allegra e ciarliera
del solito. Fu Hyuga, premuroso come sempre verso la compagna, a
chiederle se
qualcosa non andava. Lei fu costretta ad ammettere di non sentirsi bene.
“Spero non vi dispiaccia andare da soli per
stasera” borbottò Hyuga, più tardi,
appoggiato alla porta della loro stanza, senza
guardarli in faccia. “In realtà Maki vorrebbe
venissi con voi ma… mi dispiace
lasciarla sola, starei in pensiero e vi rovinerei la
serata…”
“Ma ti pare” rispose Shun con un sorriso. Ken ne
accennò uno a sua volta, ma non disse niente.
In realtà a Nitta non dispiaceva affatto: certo,
Maki era simpatica e alla mano e in coppia con Kojiro erano
tutt’altro che
noiosi o mielosi, ma in discoteca si stava sicuramente meglio fra
ragazzi.
Anche se la faccia di Ken sembrava dire altrimenti.
“Se non ti va…” azzardò il
giovane attaccante, una
volta che quello Hyuga inedito, versione maritino premuroso tanto
esilarante
quanto dolce, li ebbe lasciati soli. Shun non era mica tanto convinto
che fosse
lo stesso con cui da anni giocava in coppia in nazionale.
“No. Abbiamo detto di andare e andiamo.” rispose
secco il portiere. “Almeno avrò portato questi
vestiti per qualcosa” continuò,
abbottonandosi l’elegante camicia grigio perla, salvo poi
ri-slacciare i primi
tre bottoni, gli occhi fissi sulla propria immagine riflessa nello
specchio.
Poi si voltò per vedere quanto i jeans blu scuro donassero
al suo lato B, quindi
li allacciò e mise
“Pronto?”
Pur senza perdersi un movimento dell’elaborata
vestizione del portiere, Nitta si era cambiato a sua volta: pantaloni
sotto il
ginocchio beige e una maglietta nera attillata, che metteva in risalto
il
fisico esile ma tonico; più un paio di scarpe nere a
completare il tutto. Si
passò una mano fra i capelli spettinandoli ad arte e rispose
affermativamente.
Ancora una volta immagini del famoso sogno si affacciarono alla sua
mente, ma
s’impose di non pensarci.
Ken scomparve in bagno per spazzolarsi i capelli e
dare il tocco finale del dopobarba.
“Me ne presti un po’?” chiese Nitta,
insinuatosi
attraverso la porta socchiusa, accennando al profumo.
“Questa è roba da uomini, piccoletto”
gli rispose
Wakashimazu in tono canzonatorio, allungando il braccio in alto per
portare il
flacone dove l’altro non poteva arrivare.
“Guarda che non occorre essere alti per essere
uomini” rispose Shun con un sorriso birichino e una strana
luce negli occhi
espressivi. Rapide le sue mani puntarono al fianco di Ken per fargli il
solletico. Ridendo, l’altro abbassò il braccio e
Nitta, fulmineo, s’impossessò
del dopobarba.
“Vedi, basta saperci fare…”
continuò, alzando un
ditino da saputello.
Ma, inaspettatamente, Ken, afferrandolo per un
braccio, lo fece voltare e lo immobilizzò fra il lavandino e
il proprio corpo.
Shun si ritrovò con la faccia premuta contro la
camicia grigio-perla e il profumo del portiere lo fece fremere.
“Che buono il tuo profumo” disse suo malgrado. Per
fortuna il tessuto aveva attutito la voce.
“Che cosa?” chiese l’altro allentando la
presa.
“Dicevo che questo profumo è buonissimo”
proseguì
Nitta, poi liberò la mano, stappò il flacone del
dopobarba e ne prese un po’.
Si voltò verso lo specchio, sperando che il portiere non
notasse il rossore sul
suo volto riflesso.
“Non fraintendermi…” cominciò
Ken all’improvviso.
Nitta si guardò intorno cercando di capire con chi stesse
proseguendo quel
discorso: ma, dato che in giro non c’era nessuno e che il
portiere non aveva
l’auricolare del cellulare, arguì che stesse
parlando con lui.
I grandi occhi di Shun brillavano nell’oscurità
come quelli di un gatto, fissi sul profilo spigoloso del portiere.
Nonostante
avesse preso un po’ di sole in quei giorni, alla luce della
luna la sua pelle
appariva chiara come al solito, quasi luminosa. I suoi occhi erano neri
e
lucidi come la placida e misteriosa superficie opalescente del mare che
fissavano.
“… Maki è una ragazza straordinaria,
una delle più
carine e simpatiche che abbia
La voce si spense e nell’aria non rimase che lo
sciacquio delle onde e l’eco lontana della musica proveniente
dalla pista da
ballo.
Quelle parole colpirono profondamente Shun: solo
ci si era sentito tante volte e
aveva sempre invidiato quel legame speciale fra i due ex giocatori del
Toho.
Non era facile essere uno dei più piccoli della Nazionale,
senza compagni
provenienti dal proprio club a darti manforte, come Sano che aveva
dalla sua
Jito, o Sawada che aveva Hyuga e Ken. Senza contare che era quasi
sempre
titolare e gli altri non gli risparmiavano frecciatine invidiose e
scherzi da
caserma. Aveva smesso di contare le volte che si era dovuto arrampicare
sull’armadietto per riprendersi qualche indumento
misteriosamente finito sopra
al mobile.
Però, una volta se la ricordava bene: in
quell’occasione gli avevano gettato lassù tutta la
borsa ma, mentre studiava
come arrivarci, era stato proprio Ken, con un sorriso, a tirargliela
giù.
Se solo fossero stati tutti più gentili con lui,
avrebbero saputo che di natura non era caparbio e insolente come
doveva, suo
malgrado, mostrarsi, ma allegro e gentile. E anche riconoscente: non
aveva mai
scordato né quello e altri gesti da parte del Karate Keeper
e, adesso, era
probabilmente il momento di ricambiare.
“Fra voi c’era un rapporto
speciale…” esordì
infine, gli occhi fissi sulla sabbia. “Però le
cose cambiano… ci sarà sempre un
posto per te nel suo cuore, ma ora non è
più… soltanto tuo, ecco”. Quasi senza
accorgersene, Nitta, si posò la propria mano su quella di
Ken, carezzandone le
dita lunghe e affusolate.
Quel tocco riscosse Wakashimazu che, però, non si sottrasse:
“Devo esserti sembrato patetico,” disse con un
sorriso un po’ forzato. “Quando
mi prende la sbornia triste sono più insopportabile del
solito”, così dicendo
guardò il bicchiere ancora mezzo pieno che reggeva e lo
gettò con nonchalance
in un cestino a pochi metri. La mano rimasta libera raggiunse
l’altra e insieme
strinsero quella di Nitta, così piccola e paffuta rispetto
alle sue. Con un
balzo si alzò dallo sdraio e, trascinando l’altro,
disse “Andiamo, si era detto
di divertirsi, no?”
Nitta gli trotterellò dietro tentando di tenere il
passo con le lunghe falcate del portiere, un po’ imbarazzato
da quella strana
passeggiata mano nella mano che lo condusse in mezzo alla pista.
Si lasciarono entrambi
andare, guidati dalla musica ritmata, dalle bevute già fatte
e da qualche altra
visitina al bar. Presto le gambe di Shun iniziarono a muoversi da sole,
intorno
c’erano solo immagini sfocate di Ken che si muoveva sinuoso
strusciandosi
quando a una quando all’altra ragazza, ma senza considerarne
davvero nessuna.
Confusamente, si rendeva conto di fare lo stesso. Sentiva mani delicate
e corpi
femminili sfiorarlo, ma fra tutto quel ben di Dio, tornava sempre a
cercare lo
sguardo di Ken, trovandolo.
A un tratto lo perse di vista, poi lo scorse seduto
su un divanetto, le braccia distese sulla spalliera, la testa reclinata
all’indietro. Facendosi strada nella folla e staccandosi di
dosso come fossero
sanguisughe le tipe di turno, Nitta lo raggiunse, un po’
barcollante.
“Tutto a posto, Ken?” gli disse, sedendoglisi
vicino
e passandosi una mano fra i capelli sudati.
L’altro sollevò la testa e rispose:
“Sì, ma non ce
la faccio più… andiamo a casa?”.
Fece per alzarsi ma ricadde all’indietro. Scoppiò
a ridere e si portò una mano alla fronte, mentre
l’altro braccio si appoggiava
sulle spalle di Shun.
“Dio, ho bevuto veramente troppo… temo che
avrò
bisogno di un aiuto per tirarmi su”.
“Mah, la vedo dura… sei il doppio di
me!” rise
l’altro.
Comunque, tre o quattro tentativi e svariate crisi
di ridarella dopo, ci riuscirono e, appoggiati l’uno
all’altro come due
ubriachi doc, si avviarono verso casa.
L’aria fresca giovò evidentemente alla
lucidità
del portiere che smise progressivamente di appoggiare il suo non
trascurabile
peso sulle spalle minute di Nitta, ma senza smettere di cingerle.
Arrivati a
casa, Wakashimazu si fiondò in bagno, mentre Nitta, con un
ultimo sforzo,
collassò sul letto.
Quando Ken tornò in stanza, lo trovò che dormiva
come un angioletto di traverso al materasso. Si rese conto di non aver
nessuna
voglia di prendere il futon e stenderlo, così
sollevò l’amico fra le braccia
per spostarlo di qualche centimetro e si distese nel posto lasciato
libero.
Solo che Shun non dormiva affatto. Si era riscosso
dal dormiveglia nell’attimo in cui il compagno
l’aveva sollevato – stretto
fu la parola che gli si affacciò
alla mente – fra le braccia. Il cuore aveva perso un colpo e
poi si era messo a
battergli fortissimo nel petto, tanto che temeva l’altro
potesse udirlo. Aprì
gli occhi solo quando lo sentì sdraiarsi e volgergli la
schiena, nuda, come
sempre.
Lentamente voltò la testa per guardarlo. Dalla
finestra la luce della luna rischiarava la stanza e la pelle eburnea di
Ken
appariva luminosa, mentre il drago tatuato sulla spalla sembrava
chiamarlo,
come un serpente tentatore.
Per attimi interminabili i grandi, luminosi occhi
di Shun fissarono ardenti il soffitto. Trasse alcuni lunghi ma
silenziosi
respiri, nel vano tentativo di rilassarsi. Ma ogni suo muscolo era in
tensione,
e si sentiva eccitato. Molto eccitato.
Era ancora vestito di tutto punto, eppure, anche
attraverso i vari strati di tessuto, il suo membro sensibilissimo
percepì il
tocco della mano che vi corse rapida.
Una goccia di sudore gli scese lungo la guancia e
il collo. Sempre attento a non fare rumore, si sfilò
maglietta e pantaloni,
rimanendo in boxer, la sua erezione ben evidente nella luce bianca
della luna.
Ok, pensò Nitta, o la va o la spacca, anzi, si
corresse, mi spacca
Lentamente, badando a non fare il minimo rumore,
si mise in ginocchio: contemplò ancora quella schiena
muscolosa che confluiva
nei fianchi stretti, le natiche piccole e rotonde che si indovinavano
sotto i
boxer. Poi il suo sguardo risalì lungo quel corpo e di nuovo
il drago
stilizzato sulla spalla sinistra sembrò fissarlo con occhi
inesistenti.
Altrettanto inesistenti e incorporee erano le spire di quel rettile,
eppure le
sentiva chiaramente stringergli il collo, mozzandogli il respiro, e
attraendolo
verso sé. Solo una parte della sua mente si rendeva davvero
conto che,
finalmente, le sue labbra sottili erano entrate in contatto con la
pelle fresca
e profumata del portiere, che, nonostante la doccia, sapeva ancora un
po’ di
sale.
Ken si voltò. Ma non di scatto, non arrabbiato.
Lentamente. Quasi lo stesse aspettando. Quando Nitta riaprì
gli occhi, che
aveva tenuti chiusi per assaporare appieno il sapore
dell’altro, si trovò a
fissare quelli di Ken e si accorse che non erano velati di sonno ma
vigili e lo
sguardo che vi lesse tradiva sì una certa sorpresa, ma era
soprattutto
infinitamente dolce.
E Nitta non esitò più. Con una mano
liberò il
volto di Ken dai lunghi capelli, poi la stessa mano corse a sistemare i
propri
dietro l’orecchio. Quindi si chinò e
appoggiò le labbra su quelle del portiere.
Per un attimo infinito sue le labbra
rimasero serrate e Shun temette seriamente di aver
rovinato tutto. Poi
si dischiusero appena e lasciarono che la sua lingua si facesse
lentamente
spazio. Il giovane attaccante ne leccò lentamente il
profilo, poi, timidamente
si spinse ad esplorare la bocca, andando ad incontrare la lingua
dell’altro.
Quando si toccarono una scarica elettrica percorse il corpo di Nitta,
che si
strinse a quello del portiere, continuando a baciarlo. Sentì
le grandi mani
carezzargli la schiena minuta, soffermandosi sull’incavo
sopra il sedere,
apprezzando la curva decisa dei glutei piccoli ma sodi.
Per un tempo che sembrò infinito, le bocche dei
due ragazzi rimasero incollate, le lingue che si sfioravano,
intrecciavano,
separavano per poi cercarsi di nuovo, affannosamente, ineluttabilmente.
Sarà
stato il sapore di salmastro e di rum o semplicemente il sapore di Ken
o forse
la paura di incontrare il suo sguardo dopo, di quello che si sarebbero
detti o
non detti, ma Shun non riusciva a staccarsi.
Ma, alla fine, il momento giunse.
Allontanò la testa, stringendo piano per un ultimo
attimo quelle labbra fra i denti. Poi dovette lasciarle andare. La
bocca
scivolò lungo il mento di Ken, leggermente ruvido per la
barba che stava
rispuntando, poi scesero giù lungo il collo, tornando verso
la spalla da cui
erano partite. Poi Shun piegò la testa e, col respiro
affannato, gli appoggiò
la guancia sul petto, stringendosi forte al corpo del portiere. Aveva
gli occhi
aperti ma fissi sulla parete opposta.
E ora? Cosa sarebbe successo? Poteva semplicemente
restare con la faccia affondata in quel corpo fresco e odoroso per
sempre? No,
avrebbe dovuto guardarlo in faccia, a un certo punto.
Tremò al pensiero di ciò che vi avrebbe scorto.
Come in risposta ai suoi dubbi, una mano grande lo
accarezzò dolcemente sulla testa. Al contrario di lui, il
portiere respirava regolarmente
e anche il battito del suo cuore era normale.
Inspirando a fondo Nitta si fece coraggio e si
tirò su. Il volto di Ken era piegato verso di lui.
L’attaccante cercò di
leggerne l’espressione, ma era imperscrutabile. Di sicuro non
c’era sorpresa,
né paura o biasimo. Sembrava che volesse tranquillizzarlo,
consolarlo. Per un
attimo gli ricordò l’espressione che aveva dopo
che si erano scontrati in
campionato, quando non era riuscito a fargli gol e, alla fine della
partita, lacrime
di rabbia gli avevano riempito gli occhi. Lui gli aveva messo la mano
sulla
spalla e sorridendo gli aveva detto “Forza”.
Adesso, aveva lo stesso sguardo. Diceva: “Non
c’è
niente di male, Shun”.
Fece quello che, forse, avrebbe voluto fare anche
allora.
Si accoccolò contro il suo petto e si strinse a
lui, mentre l’altro gli carezzava leggero la testa e la
schiena.
Shun sentì il proprio cuore rallentare fino a
battere all’unisono con quello di Ken, anche il respiro si
fece regolare come
il suo. Sempre più regolare e profondo. Sistemò
il capo nell’incavo della
clavicola. Ancora per qualche attimo percepì
l’odore di quella pelle e la
consistenza dei pettorali su cui poggiavano la guancia e le dita.
Poi si addormentò.