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Autore: MaryFangirl    08/11/2021    0 recensioni
Sette anni fa, quando Hanamichi salutò Kaede il giorno prima di partire per gli Stati Uniti, pensò che lo avrebbe rivisto presto. Ma non fu così, perché non ebbe più notizie della volpe.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Non gli piaceva ricevere clienti nel suo appartamento perché non voleva che i suoi vicini scoprissero cosa faceva, ma quella sera Kaede dovette fare un'eccezione. Uno dei suoi clienti migliori, Seijuro, un dirigente di una compagnia di telefonia mobile che si recava spesso a Hiroshima per lavoro, glielo aveva chiesto. Apparentemente in quell'occasione aveva dovuto viaggiare accompagnato e non poteva permettersi un albergo diverso da quello offerto dalla compagnia per incontrarlo.
 
Tuttavia, il loro 'appuntamento' fu un disastro. Per la prima volta dopo molto tempo, Kaede non fu in grado di concentrarsi neanche per un istante su ciò che stava facendo. In un momento fu quasi sul punto di mettersi a piangere. L'ultima discussione con Hanamichi lo aveva sconvolto troppo. Seijuro alla fine si arrabbiò molto, urlandogli di restituire i soldi, e Kaede non poté rifiutarsi. Dopo qualche altro insulto e rimprovero, finalmente Seijuro se ne andò, sbattendo forte la porta quando la chiuse.
 
Quel rumore gli ricordò quello che aveva causato Hanamichi qualche settimana prima.
 
Da allora non aveva più avuto sue notizie.
 
Il mondiale di basket era terminato quel pomeriggio. Da quello che aveva sentito, la Spagna aveva vinto e gli onnipotenti americani non erano andati oltre il bronzo. Kaede si chiedeva se Hanamichi fosse ancora nel paese.
 
Pregava con tutte le sue forze che fosse così. Se solo pensava alla possibilità che Hanamichi fosse già tornato in America e che non lo avrebbe mai più rivisto, si sentiva svenire.
 
Ma anche se non fosse ancora partito, l'avrebbe fatto presto. Sapeva, per averlo sentito in un'intervista, che la madre di Hanamichi era morta, quindi non aveva più familiari nel paese. Forse era ancora in contatto con la sua banda e sarebbe rimasto con loro per qualche giorno, ma non poteva darlo per scontato.
 
Non poteva aspettare un altro minuto, era ora o mai più. Facendo appello a tutto il suo coraggio, Kaede indossò la prima cosa che riuscì ad afferrare e lasciò il suo appartamento in direzione dell'hotel Rihga Royal di Hiroshima, dove la squadra di basket giapponese aveva soggiornato durante il mondiale.
 
x x x
 
Hanamichi finì di fare la valigia in silenzio, così come Furuta. Di fatto, nessuno dei due aveva rivolto la parola all'altro dopo la tremenda discussione che avevano avuto giorni prima, quando Hanamichi era tornato dalla visita a Kaede e questi gli aveva detto che, contrariamente a quanto Furuta aveva affermato, non era sieropositivo. L'unica spiegazione che Furuta aveva dato era che si trattava 'solo di uno scherzo'. Scherzo che Hanamichi, ovviamente, non aveva trovato affatto divertente. Questo, aggiunto al suo ultimo (e peggiore di qualsiasi altro) incontro con Kaede, aveva reso Hanamichi di pessimo umore in quei giorni e completamente intrattabile.
 
Mentre chiudeva la cerniera, qualcuno bussò alla porta della camera. Furuta, che era più vicino, andò ad aprire. Hanamichi non si preoccupò di guardare finché non sentì Furuta pronunciare quel maledetto nome.
 
“Wow, che sorpresa...Satoshi. Sono contento di vederti” il sarcasmo era evidente nella sua voce.
 
Hanamichi sussultò e si voltò immediatamente verso la porta, rendendosi conto che non era un altro scherzo di cattivo gusto di Furuta. C'era davvero Kaede lì, vestito in semplici jeans e una camicia azzurra, con una strana espressione sul suo viso di porcellana.
 
“Ciao...” mormorò Kaede con una strana voce. Almeno, notò Hanamichi, non c'era alcun segno della terribile tosse che lo aveva tormentato giorni prima. “Sono venuto per parlare con...Sakuragi”
 
Hanamichi si diresse a passi lenti verso la porta. Era ancora furioso con Kaede per come lo aveva trattato l'ultima volta. Per dio, aveva avuto intenzione di farlo pagare. Ma qualcosa nel suo sguardo gli disse che era dispiaciuto, quindi cercò di non sembrare troppo nervoso e indifferente quando gli parlò:
 
“Cosa vuoi?”

“L'ho detto...parlare”, mormorò il ragazzo.
 
Kaede si stava decisamente comportando in modo molto diverso dai giorni precedenti. Hanamichi si rivolse a Furuta:
 
“Furuta, potresti lasciarci soli per un momento?”
 
Furuta stava per dire di no, Hanamichi lo capì, ma lo fulminò in modo tale che alla fine il suo compagno di stanza non osò rifiutare.
 
“Va bene, ma torno tra mezz'ora” brontolò.
 
Rimasti soli, tra i due ex compagni di squadra si formò un silenzio teso. Kaede fissò la valigia chiusa sul letto di Hanamichi. Alla fine, Hanamichi decise con impazienza di sollecitare Kaede a spiegarsi.
 
“Ebbene? Di cosa volevi parlare?”

Ma Kaede era ancora concentrato sulla valigia.
 
“Te ne vai...” riuscì ad articolare, “torni negli Stati Uniti?”

“Sì...” rispose Hanamichi, un po' sorpreso.
 
“Quando?”
 
“L'aereo parte stasera”
 
“Stasera...”
 
Kaede era come intontito, e Hanamichi divenne sempre più impaziente.
 
“Rukawa, vuoi dirmi cosa...?”, non riuscì a finire la frase perché in quel momento Kaede Rukawa scoppiò in lacrime.
 
Hanamichi rimase sconvolto a guardarlo, mentre Kaede, stupito del proprio sfogo, si copriva il viso con una mano cercando di controllarsi.
 
“Rukawa, cosa...?”, non sapeva cosa dirgli. Non aveva mai visto Kaede piangere, nemmeno dopo l'incidente, quella disgrazia che aveva cambiato la vita del suo compagno, quando il medico gli aveva detto che l'infortunio al ginocchio era incurabile e che non solo avrebbe dovuto rinunciare al basket, ma che il dolore sarebbe stato sicuramente cronico.
 
Lo scoppio di pianto di Kaede non si placò; Hanamichi non aveva idea di cosa dire, quindi optò per la reazione più umana: fece un passo verso di lui e lo abbracciò forte.
 
Kaede si lasciò stringere e, dopo un altro paio di singhiozzi, riuscì a parlare abbastanza chiaramente, lasciando Hanamichi stupito con le sue parole.
 
“Per favore, non andare...Sakuragi...non andare...non lasciarmi un'altra volta...”
 
Un brivido corse lungo la schiena di Hanamichi. Era la prima volta che Kaede si mostrava così vulnerabile, ma Hanamichi sapeva che in fondo lo era sempre stato. Lo aveva scoperto non appena aveva avuto modo di conoscerlo meglio: Kaede era freddo e asociale perché era il suo modo di nascondere la timidezza e la personalità fragile. Avrebbe voluto dirgli subito che no, non lo avrebbe mai lasciato, ma ovviamente non era così facile.
 
“Io non voglio lasciarti...” gli mormorò all'orecchio, “ma devo tornare in America...”
 
“Lo so...” singhiozzò Kaede, “ma...vederti andare via di nuovo...non posso...”
 
Hanamichi decise che quello era il momento di chiarire le cose. Con grande sforzo, si staccò da Kaede e lo costrinse ad allontanare la mano e a guardarlo negli occhi.
 
“Quella volta...perché mi hai baciato...?”
 
Con sua totale sorpresa, Kaede sorrise. Un sorriso molto lieve, appena una curvatura delle labbra, ma illuminò il suo viso e in particolare il suo sguardo in modo tale che il cuore di Hanamichi perse un battito.
 
“Ancora con questa storia, doaho...? Perché ero innamorato di te, stupido, e pensavo che sarebbe stata l'ultima occasione per provare le tue labbra. Il giorno dopo saresti partito, non avrei dovuto temere le conseguenze...”
 
Hanamichi non si aspettava una spiegazione così sincera. Ciononostante, si riprese in fretta e, accarezzandogli entrambe le guance, gli fece la domanda la cui risposta avrebbe potuto cambiare le loro vite.
 
“E...non lo sei più...?”
 
Kaede lo fissò con i suoi occhi blu, luminosi e arrossati dal pianto.
 
“Non ho smesso di esserlo da quando avevo quindici anni, Hanamichi”
 
Hanamichi deglutì, un po' sopraffatto, ma soddisfatto e felice allo stesso tempo. Kaede lo amava ancora, e Hanamichi amava lui.
 
“In questo caso, lascia che ti dica che il sentimento è reciproco”, gli occhi di Kaede brillarono. “E che verrai con me a Chicago”
 
Un'espressione incredula si formò sul viso di Kaede, che si immobilizzò tra le sue braccia.
 
“Che...?” esclamò.
 
“Ovviamente non ti lascerò qui, tantomeno dopo...”
 
Improvvisamente Kaede non era più tra le braccia di Hanamichi. Si era allontanato e lo stava guardando molto seriamente.
 
“Sakuragi, non posso venire con te negli Stati Uniti”
 
Toccò ad Hanamichi mostrare incredulità.
 
“E perché no? So che parli bene la lingua, la padroneggiavi già al liceo...”
 
“Non è per questo. È perché...non posso trasferirmi in un altro paese così, ok? Qui ho le mie cose, il mio appartamento...”
 
“Vendilo”

“Cosa? No, non posso venderlo, è casa mia...”
 
“Dannazione, Rukawa, è solo un appartamento”
 
“Ma è tutto quello che ho!” esclamò.
 
Comprendendo finalmente l'insicurezza di Kaede, Hanamichi si avvicinò di nuovo e lo abbracciò.
 
“Non è tutto quello che hai. Hai me”
 
Sentì Kaede prendere un respiro profondo, nel sicuro tentativo di non piangere di nuovo.
 
“E se non funziona? E se ti stanchi di me?” chiese Kaede.
 
“Non accadrà” rispose Hanamichi, sollevato dal fatto che Kaede avesse accettato, “ma se così fosse, giuro sui miei genitori, che riposino in pace, che non ti abbandonerò mai. Con o senza di me, ti aiuterei il più possibile a continuare con la tua vita, qui, lì, o dove vuoi”
 
“Non lo so, Sakuragi...”
 
“Hanamichi”

“Eh?”

“Mi hai chiamato Hanamichi prima. E mi è piaciuto. Continua a chiamarmi così, per favore...”
 
Kaede sospirò.
 
“Hanamichi...”
 
Hanamichi si reclinò un po' e lo baciò. Un bacio lungo e senza fretta. Quando si separarono, Hanamichi iniziò ad accarezzare i capelli ora lunghi di Kaede. Voleva solo chiarire un'ultima cosa e decise che era ora.
 
“L'altro giorno, a casa tua...perché ti sei comportato così?” chiese, “se mi ami...perché volevi farmi pagare?”

“Io...non lo so, avevo paura...” replicò Kaede con un filo di voce, “è successo tutto molto velocemente, per un momento ho pensato che ti stessi approfittando di me e...”
 
“Non mi approfitterei mai di te” lo interruppe Hanamichi, “ma è vero che non avrei dovuto saltarti addosso così di colpo. Solo che...dannazione, ero così sollevato di sapere che non eri malato...in quel momento ho capito quanto tu sia importante per me...”
 
Il sorriso di Kaede apparve di nuovo, questa volta con una punta di malizia.
 
“Se vuoi...puoi saltarmi addosso adesso”
 
Dopo un momento di esitazione, Hanamichi ricambiò il sorriso. Lo baciò di nuovo, ora con più fame, e fu ricambiato immediatamente. Poi, poco a poco, lo spinse verso il letto, finché le gambe di Kaede non si scontrarono con esso, infine caddero entrambi sul materasso.
 
In quel preciso momento la porta della stanza si aprì ed entrò Furuta.
 
“Ehi, ehi...quanto devo pagare per lo show?”

Hanamichi, le cui labbra erano premute contro il collo liscio di Kaede, sbuffò. Si alzò con riluttanza e fece cenno a Kaede di fare lo stesso.
 
“Davvero è passata mezz'ora?” chiese Hanamichi sarcastico. Erano passati appena dieci minuti da quando erano rimasti soli.
 
“Secondo il mio orologio, sì” disse Furuta beffardo, “ehi, ma potete continuare, eh? Non fermatevi”

“No, grazie, abbiamo da fare”
 
Kaede lo guardò interrogativamente, ma Hanamichi preferì non parlare davanti al compagno di squadra. Prese per mano Kaede e lo condusse alla porta della stanza.
 
“Dove stai andando?” chiese Furuta, “dobbiamo essere all'aeroporto tra due ore”
 
“E ci saremo, non preoccuparti”
 
Né a Furuta né a Kaede sfuggì che aveva usato il plurale. Furuta non ebbe tempo di fare domande a riguardo perché Hanamichi era già uscito con Kaede, ma non appena ebbe chiuso la porta, la volpe non perse altro tempo.
 
“Come, 'ci saremo', Hanamichi? Vuoi che venga con te a Chicago oggi?”
 
“Ovvio; non ti permetterò di restare qui un giorno in più, potresti cambiare idea”
 
Kaede scosse il capo.
 
“Sei pazzo. Devo fare le valigie, comprare il biglietto...perderemo il volo”
 
“Non importa, prenderemo quello dopo”
 
“Da Hiroshima a Narita, ok, ma...da Narita a Chicago?”
 
“Non preoccuparti, c'è un volo giornaliero alle sei di pomeriggio”
 
Kaede aveva esaurito gli argomenti. All'improvviso si rese conto che Hanamichi gli stava ancora tenendo la mano e arrossì.
 
“Ti dà fastidio?” chiese Hanamichi, seguendo il suo sguardo.
 
“No...per niente” rispose, lasciandosi sfuggire un leggero sorriso.
 
“Bene. Dai, andiamo”, entrambi iniziarono a camminare lentamente lungo il corridoio. “Prenderemo un taxi fino a casa tua e ti aiuterò a fare le valigie. Più tardi, quando sarai già a casa mia, penseremo a come portare il resto delle tue cose. Forse i tuoi genitori potrebbero spedirtele?”
 
Il viso di Kaede si rabbuiò.
 
“Te l'ho già detto, ho litigato con loro anni fa”

“Come mai?”

“Perché ho confessato loro che ero gay e non l'hanno presa esattamente bene”
 
“Capisco...”, Hanamichi finalmente comprendeva perché i genitori di Kaede gli avessero voltato le spalle e non solo non gli avevano pagato l'università, ma lo avevano anche cacciato di casa. Era penoso che nel 21° secolo esistessero ancora genitori così, soprattutto in Giappone. Gli strinse amorevolmente la mano per incoraggiarlo. “Beh, non preoccuparti, penseremo a qualcosa”
 
Hanamichi e Kaede continuarono a marciare senza mai lasciarsi le mani, non solo dirigendosi a casa di Kaede, ma verso una nuova vita per entrambi.
 
 
 
Grazie a chiunque si sia interessato a questa storia breve ma molto bellina che mi è piaciuto tanto tradurre ^^ apprezzerò eventuali recensioni e pareri che vorrete lasciare.
 
Sulla raccolta del Flufftober, so di essere parecchio in ritardo, ma giuro che la concluderò, anche con ottobre passato da un pezzo :P a presto!
  
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