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Autore: Cladzky    11/11/2021    2 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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–Allora, ch’è ‘sto troiaio, puttanaccia della madonna?

Cladzky riaprì gli occhi. Un battito di mani fece arretrare quelle disgustose, umide radici dal suo corpo mezzo morto. Quando virò il capo leggermente a sinistra, quasi cadendo fuori dall’abitacolo, vide una figura familiare. Lo aveva incontrato cinquecento metri di quota più in alto, cinque minuti fa, in sella ad una panchina. Era una visione durata un istante, ma di quelle che ti ricordi per sempre. I trifidi s’incamminarono, a fusto basso, sulle loro tre zampe di legno, indietro ai loro vasi.

–La carne dei bucaioli li manda in acidità gastrica. Sii contento ch’altrimenti ti lasciavo a far l’humus. E ora, cortesemente, unn’è che te lo si pigli n’culo aunn’altra parte?– L’uomo s’approssimò al pilota, in mezzo ai detriti della parete sfondata dal suo catorcio, aspirando ogni “C” che potesse nel suo parlato. Cladzky scosse la testa.

–Sapessi guidare– Si lamentò.

–M’allora, coso, mi dici indò tu vai senza manco la patente per anda' a giro con le scarpe?

–Bella domanda. Dove cazzo sto andando?

–Te lo dico io, accidenti al budello de tu ma': te ti lèi da' i' cazzo o te le lèo le zecche di dòsso!– Detto questo procedette a estrarlo dal veicolo scassato con tutta la grazia di un orso. Cladzky ebbe modo, fra uno strattone e l’altro, di notare meglio l’ambiente in cui si trovava, una serra interrata e poco illuminata, cui i Triphidus celestus erano solo una delle tante esposizioni di piante singolari. In un angolo stava una piccola Biollante in forma rosea, in un altro un Peashooter dalla capigliatura leonina, una pianta Piranha che schioccava le fauci nella sua direzione come un mastino e, dove il vegliardo lo stava trascinando nel mezzo della stanza,  dentro un piccolo terrario, stava un bell’Andrew Jr.

–Ecco qualcosa a cui non verrà l’acidità di stomaco– Si rise sotto i baffetti d’Adolfiana memoria il tardo giardiniere, sistemandosi il berretto.

–Nutrimi, Seymour– Lo pregò la venosa e coriacea patata dotata di mandibole.

–T’ho detto di chiamarmi Beppe, pianta velenosa del cristaccio– Ordinò l’uomo, frattanto rimuovendo con un piede dei cocci di vetro del tetto in frantumi. Cladzky, ebbe un sussulto a vedere quella vischiosa bocca di corteccia schiudersi come una caverna di zolfo. Da bravo Brancaleone prima accettava la morte con quel grammo di dignità rimastagli, ma ora, essendone scampato una volta, respirare non gli sembrava una così brutta cosa adesso. Prese a dimenarsi, ma ancora debolmente.

–Non vorrai farmi mangiare da quello scherzo canterino?– Protestò il ragazzo.

–Perché no? Io sono sempre stato per la legittima difesa.

–E questa ti sembra legittima?

–Carne, Beppe!– Reclamava la pianta, vibrando ogni sua fibra vegetale. Cladzky era giunto alla base della vasca in cotto e piena di terriccio sopra cui torreggiava la testa roteante di quella mosturosità carnivora.

–E certo che l’è legittima. Deh, sei entrato in proprietà privata letteralmente con scasso– Puntualizzò il baffuto, indicandogli tutto il macello che aveva compiuto. In effetti l’estremità opposta della serra era completamente inagibile, con il soffitto in schegge e il muro in mattoni polverizzato in calcinacci rossi, lasciando pure entrare un bel po’ detriti del terreno sotto cui era costruita. Il TFO era affossato in tutto questo, sporco di polvere rossa, fango e pure tutte le scritte oscene di poco prima. La pioggia, non certo affievolitasi, scrosciava lungo le fiancate del velivolo.

–Ma io ci sono finito per caso!– Cercò di spiegare il pilota tutto pesto, mentre veniva issato sopra il basamento. La pianta andò in affondo con il capo, cercando di addentarglii l’intera parte inferiore del corpo. Cladzky dovette porre ambo le gambe, sinistra per la mascella, l’altra contro la mandibola, pur di non farle congiungere e perdere quello che aveva dalla cintola in giù.

–E allora diremo alle autorità che un pazzo si è lanciato contro la nostra serra e, sempre per caso, ha fatto un volo dall’abitacolo fino in bocca al piccolo Andrew– Non ottenendo risultati spingendo in avanti, il vegliardo dovette voltarsi e piantarsi schiena contro schiena, così da non perdere terreno –Sarai un fulgido esempio per la sicurezza stradale. Indossate sempre la cintura o sarete divorati da una pianta mangiauomini.

Cladzky sentì le sue gambe cedere, tremando sotto la pressione di quelle fauci. Piuttosto che aspettare di spezzarsi le tibie decise di rimuovere il piede da contro  la mandibola e portare anch’esso sul muso della mascella, si diede la spinta con i due arti uniti e, poggiando le mani sul dorso della schiena curva di Beppe per fare perno, fece una capriola all’indietro, ritrovandosi ora faccia a faccia con il terribile canuto, che cadde a gambe all’aria senza più un corpo contro cui spingere. Ancora un poco confuso dall'acrobazia, il ragazzo si chinò per aiutarlo a rialzarsi piuttosto che fuggire.

–Mi spiace per i danni– Cladzky trasse via il signore prima che Andrew potesse afferrargli altro fuorché il berretto. Prese a spolverarlo a rassettargli i vestiti.

–Deh, me li paghi?– Replicò ben poco impressionato.

–Onestamente…– Esitò e tanto bastò perché quello gli torcesse uno dei polsi ancora protesi per sistemargli l’uniforme da botanico, costringendolo a voltarsi e piegandoglielo dietro la schiena. Con l’altra mano lo afferrò per dietro i capelli e lo costrinse a camminare.

–Ma te sì proprio grullo in capo, mahonna crotalo! Vuoi venire a parlarmi di onestà? E che dico al padrone? Che arriva uno, gli sfascia la serra e il suo giardiniere lo ha lasciato andare impunito?

–Ammetto che non mi dispiacerebbe– Gemette il pilota.

–Ma io ti strappo la faccia a morsi. Anzi, non io...– E lo costrinse verso uno dei vasi più piccoli, pieno di muschio. Da qui si protesero, sotto gli occhi sgranati del castano, decine di piccole bocche rosse dentate. Lo stava conducendo verso dei germogli di piante Piranha. Arrivati lì di fronte lo costrinse a piegarsi, spingendogli sulla nuca, ancora saldo sui capelli quasi a strapparglieli.

–Sono sicuro che possiamo trovare un accordo io e il tuo padrone!– Lo implorò Cladzky, cercando, con ogni sua fibra del torso, a sollevare il volto da quella vaschetta piena di gole uggiolanti. I suoi addominali andavano a fuoco da quanto cercava di mettersi dritto. Possibile che stesse perdendo contro un geriatrico come lui? Anche con la mano sinistra libera, afferratasi al bordo del vaso, aveva difficoltà a spingere in verso contrario, da quanto era umido.

–Adesso è irreperibile. Sta dando una dannata festa con i suoi stupidi amici e della stupida musica– Replicò il giardiniere, forzando ancora più la mano.

–Frena, frena!– Gridò il ragazzo, mentre la mano sinistra, ancora libera, ebbe un momento di debolezza, perse la presa e slittò lungo il bordo muschiato del vaso –Conosco il tuo padrone allora.

–E ci credo. Chi è che non conosce Gyber?

Cladzky fece per rispondere, prima di rendersi conto di stare inevitabilmente scivolando con la faccia verso il basso. Per istinto i suoi piedi cercarono un appoggio sopraelevato, pur sapendo che questo non sarebbe servito ad alzare la testa, ancora tenuta sotto la dura mano di Beppe, e così presero a salire sul corpo di quest’ultimo. Prima sulle sue ginocchia piegate per lo sforzo, poi scalandolo fino a inchiodargliele sul petto, mentre la parte superiore si reggeva a malapena sul braccio sinistro tremolante.

–Perché dovrebbe parlare con uno come te?– Riprese il vecchio, risistemandosi per cercare di ribaltarlo direttamente dentro il vaso ora che si era messo in orizzontale –Sei forse un suo amico?

–Io...– Ma non riuscì a dirlo. Lui e Gyber non avevano mai interagito chissà quanto, ora che ci pensava. Provò a ripensare a una loro discussione. Una volta gli aveva prestato dei fazzoletti. Molto gentile da parte sua. E…? Forse era solo l’angoscia di avere il viso sfigurato, ma non riusciva a pensare ad alcuna interazione sostanziale fra loro due. Possibile che in tuto quel tempo che si erano conosciuti non si erano mai rivolti la parola chissà quanto? Perché Gyber non gli parlava? O forse non era Gyber a non parlargli. Non potè portare a termine il ragionamento che il collo di una piantina, più affamata delle altre, si protese sopra il nugolo di denti, serrandosi sul suo naso con delle gengive fatte solo di incisivi.

–Porco iddio!– Sbraitò e di conseguenza tutto il corpo s’rrigidì dal dolore, comprese le gambe, che si drizzarono di colpo, beccando il nonnetto sul diaframma e proiettandolo contro un tavolo, sopra cui si ribaltò, mandando all’aria la strumentazione sovrastante e facendolo rotolare dietro il mobile con un tonfo da sacco di carne. Cladzky, ancora dritto come un ciocco di legno, tenuto in aria per la sola forza delle sue bestemmie, ricadde infine a terra. Dolorante, si sentì la punta del naso come dovesse esplodere, ed estrasse dalla tasca un fazzoletto di stoffa per coprirselo. Quando lo allontanò di nuovo notò solo qualche macchia di sangue e delle iniziali ricamate sul bordo. “L.G.”.

–No– Mormorò. Doveva essere davvero un’ottima persona visto che tutti ne parlavano così bene. Uno che aveva fatto la storia, dicevano. Che storia? Boh, non se lo ricordava. Cosa si ricordava di lui? Beh, aveva una villa, questo sì, ma se non vi si trovasse letteralmente accanto probabilmente non avrebbe ricordato neppure quello. Ma che faccia aveva Gyber? Non era possibile. Che si fosse scordato tutto? Eppure qualcosa, per scordarla, bisogna prima saperla. Non si era mai veramente interessato a Gyber? Lo aveva ignorato fino ad oggi? –No vecchio, non sono suo amico.

Un grido da battaglia si propagò nell’aria. Cladzky alzò gli occhi dalla sua autocommiserazione. Un fantasma bianco vestito si levò da dietro il tavolo brandendo una falce scintillante. Che lo spettro del Natale futuro fosse giunto a terminare la sua vita prava? Peggio. Afferrato un lembo del panno di stoffa se lo tolse di dosso nel più teatrale dei mondi, rivelando l’accigliata figura di Beppe, dagli occhi di bragia.

–Stai cominciando a darmi sui nervi, giovincello– Con la lama quasi a raschiare il soffito si lanciò all’inseguimento, facendo il giro del tavolo. Cladzky lo balzò direttamente oltre, arrivando dalla parte opposta e cercando di usarlo come scoglio per tenerlo a distanza.

–Ascolti, mi spiace per tutto, anche di averla investita a bassa quota!

–Quindi sei stato tu!– Ululò con tono accusativo il giardiniere, abbattendo l’arma impropria sul tavolo, con tanta forza da piantare la lama nel legno. Un altro gesto e lanciò via il mobile alle sue spalle –Ti è andata male. È da quando facevo il parà che non ho mai sbagliato un atterraggio.

–Avevate un paracadute?

–No, cado sempre in piedi.

Seguirono un dritto e un rovescio e Cladzky dovesse abbassarsi al primo e saltare il secondo per evitarli, finendo nuovamente contro il terrario aperto di Andrew alle spalle e un pazzo scatenato di fronte. La pianta mosse nuovamente per mordergli il capo, chiudendosi sul casco, mentre la falce cadeva in un fendente sulla sua figura immobilizzata. Per una volta il suo istinto funzionò. Si sganciò direttamente il laccetto, sfilò la testa dalla protezione e si lanciò in avanti, scivolando fra le gambe dell’uomo. Giusto quando si stava rialzando, un sonoro calcio in culo lo mandò a incespicare in avanti senza equilibrio. Solo quando sbatté contro un muro riacquistò il baricentro. E dire che si era appena tolto il casco, contemplò massaggiandosi la pettinatura ormai rovinata, prima di sbatterla contro una mensola sovrastante, divellandola dal muro. Per riflesso incondizionato protese le mani a salvare un vaso dal cadere, ritrovandosi a fissare un viso ligneo che lo fissava a sua volta da sotto un ciuffo d’arbusto. 

–Toh, una mandragola. 

Un urlo lancinante fendette l’aria e, sempre per riflesso incondizionato, alzò le braccia, lanciando la strillante creatura. Il vaso si sbriciolò su una superficie dura e convessa, mentre la radice rimbalzò e finì nel terriccio di una vasca adiacente. Beppe procedette a rimuovere con una mano i residui di terracotta e humus dal viso, mentre Cladzky considerò saggio tenere alzate le mani in segno di resa.

–Ascolti, non voglio litigare!

–Ah, no?– Chiese il giardiniere, schiacciando un bernoccolo fino a farlo scomparire.

–Giuro che non l’ho fatto apposta, neppure quando l’ho investita! E poi che ci faceva uno come… come lei là sopra!?

–Ma potrò andare ando cazzo ne ho voglia o ti devo rendere conto a te? Non ce la faccio più con questo bordello e allora, visto che non posso dire al padrone di levarsi dai coglioni, mi levo io. E con tutte le strade preda al nubifragio che si fa, si resta? No, altrimenti, diocane, entro e faccio un macello che mi si deve portare a San Vittore. Si va in canotto? E certo, avessi qui un canotto sarei in una cabina da spiaggia. E allora si va per aria, si va.

–Su una panchina?– Chiese completamente scombussolato il pilota, prima di ritrovarsi uno squarcio sul petto della tuta, frutto del passaggio troppo vicino d’un’arma da taglio.

–Ma te i cazzi tua mai, deh?– E via di un ridoppio roverso che gli carezzò le terga prima che lui sparisse, con un balzo laterale, sotto il ventre del TFO lì vicino. Beppe fece per chinarsi e seguirlo, quando gli cadde l’occhio su qualcos’altro. Con quel secondo taglio gli aveva reciso la tasca posteriore della tuta sozza, facendogli cascare il portafogli. Lo raccolse, lo rimirò e lo aprì, per il solo gusto di sapere il nome dell’uragano che gli era precipitato nella serra. Ispezionò le varie carte. 

–Vediamo un po’. Cladzky eh? Lo dicevo che eri straniero. E senza cognome poi, come un malvivente. Nato a Parma? Sì, da immigrati forse. E la patente per il disco è bella che scaduta, pirata dei cieli– Era un portafogli piuttosto spazioso. Cominciò a tirare fuori i documenti più strani –Un’ingiunzione di pagamento? Orcaloca, è da quando hai comprato il disco nel 2022 che non ne paghi le rate. La Ford ti farà la pelle e ci suona un tamburo appena ti mette le mani addosso. Comunque sono sorpreso, credevo l’avessi direttamente rubato. Questa foto poi?

Il castano stava al centro dell’immagine, in mezzo a due donne. Erano in divisa da cameriere, compreso lui, con un sorriso appena accennato. Quella a destra andava a fargli le corna dietro la testa. In basso una dedica. “Non dimenticare le tue colleghe”.

–Mecojoni,Giò Stajano!

–Per carità, risparmiami quest’umiliazione. Del mio passato ne ho fin sopra i capelli– S’innervosì il ragazzo, strisciando via da sotto il disco. Un colpo della falce dato d’affondo alla pancia gli tolse il fiato e lo spinse indietro a sedere sul cofano del velivolo.

–Non ho ancora finito– Proclamò Beppe e riprese a leggere le carte –Araldo del pianeta Lithia? E allora io faccio parte dell’ordine dei Tagliapietre. Vedi, tutti possono inventarsi dei titoli a cazzo di cane. E qua abbiamo, cosa, una busta paga da parte di un autofficina? E poi…

Estrasse un’orecchino abbastanza economico. Cladzky saltò in piedi.

–Non so cosa mi trattenga da...– Ricevette subito un altro affondo, stavolta in fronte, da stenderlo sul cofano, per poi procedere a rotolare lungo il piano inclinato fino a terra.

–Io– Replicò secco l’uomo, rimettendolo a posto. Infine estrasse una tessera. Sgranò gli occhi e lasciò cadere la falce, balbettando e prodigandosi a rialzarlo –Perdonami, non avevo idea che tu…

–Cosa?

L’uomo girò il tesserino. Oddio, si era completamente scordato di portarselo ancora dietro. Avrebbe voluto sotterrarsi per non averlo buttato prima.

–Tu sei iscritto ai fascisti moderati?– Chiese stranito il vecchio –Allora la vostra generazione non è da buttare!

Cladzky avrebbe voluto spiegargli che si trattava di uno sporco ricordo degli anni giovanili, della rabbia sociale, dell’odio mal riposto e del suo spirito rivoluzionario e al contempo reazionario, che si sarebbero poi trasformati nel suo attuale spirito anarchico nei confronti delle istituzioni. Ma perché farlo proprio adesso che la situazione si era risolta in un innocuo tentato omicidio? Annuì.

–Deh, c’è di meglio nel panorama politico di quei bonaccioni ma è un inizio– Contemplò l’uomo.

–Mi sono… uhm, appena interessato alla causa.

–Sono sicuro che diventerà più che un interesse– Gli mise una mano sulla spalla Beppe –Che fai da queste parti, camerata?

–Io… Cercavo di entrare alla festa. È possibile da qui?

–Sicuro, basta seguire il condotto sotterraneo fino al giardino ma, bah, non è posto per gente seria come noi quello– Sbuffò l’uomo –Troppo politically correct. Non puoi dire nulla attorno a loro che si offendono. Niente più frocio, negro, travestito, femminello, una vera censura. E poi lasciano entrare nella villa di tutto e tutti. Sono dei depravati che non ti dico nei rapporti, fra autolesionismo e robe con animali, antropomorfi e non. E poi certe ideologie confuse, così infantili, così orientaliste, prive della base cattolica del nostro paese. Non apprezzano l’arte classica, la buona musica di una volta, proprio degi ignoranti.

–Lo so, è proprio per questo che...– Dovette ragionare in fretta. Cosa poteva garantirgli la sua fiducia e l’ingresso? –Intendo intrufolarmi e sabotare la loro musica. Farò partire dagli altoparlanti “All’armi”, “Giovinezza” e “Faccetta Nera”. Sarà una dimostrazione che la nostra presenza è ovunque e costante nel paese e ce ne sbattiamo della censura.

–Oh, questo sì che è parlare!– Lo lodò l’uomo, portandolo verso una porta che procedette ad aprire a chiave, spiegandogli nel frattempo come raggiungere l’impianto audio –Non ho mai osato fare nulla perché questo lavoro mi serviva, ma farò di tutto per aiutarti purché non si sappia.

La porta venne spalancata, rivelando un corridoio scavato nella pietra, illuminato da poche luci penzolanti dal soffitto che trasudava d’umidità e muffa. Cladzky fece un passo e l’uomo lo seguì. Si voltò repentino.

–No, non venga, debbo farlo da solo– Ordinò il ragazzo. Poi rimuginò un altro poco –La devo ringraziare in un qualche modo signor Beppe. Dica, lei voleva allontanarsi da qui?

–Sicuro– Confermò vigorosamente quello, alzando e abbassando i suoi baffetti –Un salto al baretto di Luigino è quello che mi ci vuole.

–E allora mi ascolti. Quel disco è in ottime condizioni, perché non ne approfitta? Basta che me lo riporti dopo quando dovrò levare le tende.

–Oh, ma te sei il mio salvatore!– E senza altre parole l’uomo corse oltre il terrario di Andrew Jr., ancora intento a masticare il casco, saltò il tavolo ribaltato e infine zompò nell’abitacolo. Gli augurò buona fortuna facendo un bel gestaccio romano, chiuse la carlinga e inserì la retromarcia, scavando il terreno fino ad affiorare in superficie, lasciandosi dietro una scia di motore bruciato da riempire la serra.

–Oh, beh, tanto ormai era da buttare– Si consolò Cladzky, prima di infilarsi in uno dei ricambi del giardiniere, tirare su la zip e sparire nel lungo corridoio. Andrew cominciò a canticchiare fra un boccone e l’altro, con le piante piranha a fargli da coro.


Ma s'io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso.

Mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino, poi sono nato fesso

E quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare

Ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto!

   
 
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