#Kinkybutnotreally challenge del gruppo H/C
Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction – GRUPPO NUOVO
Prompt di Bloody Wolf:
CAMERINO
CADUTA
SVENIMENTO
Situazioni dubbie e imbarazzanti in contesto H/C
Il
clima mite s’era ritirato già da un pezzo, lasciando il palcoscenico all’estate
e a un caldo asfissiante, tremendamente umido. L’incessante utilizzo dell’aria
condizionata era l’unico lasciapassare per la sala prove, costantemente
occupata dai ragazzi che si stavano allenando per l’imminente esibizione – una
delle ultime organizzate successivamente al programma di fusione dei due gruppi
di idol. San e Wooyoung erano a conoscenza del fatto che dopo la conclusione
del piccolo tour interregionale sarebbero dovuti tornare alla propria agenzia,
riprendendo ritmi differenti in sale diverse e con altri insegnanti; erano
stati chiari l’uno con l’altro, non avrebbero calato la qualità del lavoro per
stanchezza o leggerezza, così da lasciare un bel ricordo nel cuore dei fan e
soprattutto in quello dei colleghi.
E di Felix.
Essere ospiti non pesava affatto, da subito si erano trovati a loro agio senza
subire ulteriore stress e questo anche grazie alla presenza costante del
piccolo biondino che sbucava ovunque loro fossero. San una volta si confidò con
l’amico riguardo alle continue apparizioni di Felix ma la cosa si concluse lì
con un semplice «gli hai messo gli occhi addosso, per caso?» da parte di
Wooyoung. Il certo che no pronunciato subito, di
corsa, fece germogliare in Woo il sospetto che l’altro potesse effettivamente
nutrire un certo interesse per il collega; non ci vedeva assolutamente niente
di male, San era il suo migliore amico. Il problema di fondo, infatti, non era
quello. Era proprio lui, e il fatto che Felix, dopo l’episodio della ferita al
braccio, continuava a presentarsi con prepotenza nella sua testa.
I rossori, le parole balbettate, la disattenzione improvvisa che coglieva ogni
gesto di una persona solitamente tanto precisa, erano segnali che avevano
incuriosito particolarmente Wooyoung, tanto da portarlo a voler spendere quelle
ultime settimane nel cercare di conoscere l’idol il più possibile. Non voleva
risultare invadente ma era così facile incrociarlo per i corridoi, nelle varie
stanze, in sala relax, ovunque.
«Ehi, piccoletto… dir- direi che per oggi, uff, abbiamo finito, che dici?» San
ansimava per la stanchezza, i palmi delle mani a stringere le ginocchia piegate
al di sotto dei pantaloni di tela grigia, la schiena inarcata che si alzava e
abbassava coi ritmi serrati del respiro.
«La… la smetti di chiamarmi… così?» Le parole di Felix si scontravano in bocca
con la mancanza di fiato, lottando per uscire e creare una frase di senso
compiuto. Annaspava inghiottendo ripetutamente e il bordo della maglietta rossa
improvvisamente sembrò stringersi sulla gola: l’ultima sessione degli
allenamenti si era conclusa due ore prima ma loro si erano trattenuti per
perfezionare una delle parti di punta dello spettacolo, lavorando su una serie
rapida e complessa della coreografia. Il dispendio di energie era stato parecchio,
ma entrambi sapevano quanto sarebbe stato importante concludere nel migliore
dei modi il percorso che li aveva uniti sul palcoscenico.
Una scelta un po’ azzardata forse, dopo tanti estenuanti esercizi.
Felix si sbilanciò in avanti e cadde sulle ginocchia, trattenendosi in
equilibrio soltanto con le mani aperte sul tiepido parquet: San si gettò su di
lui sostenendogli il busto con un braccio e afferrandogli la spalla con
l’altro, il solito sorriso strafottente strappato dal volto con rapida
violenza.
«Tutto bene?» Il moro pareva agitato, più di quanto avrebbe voluto mostrare.
Felix si strofinò l’occhio in malo modo, la vista appannata non aiutava e le
ciglia umide portavano il peso del sudore e non solo, alcune lacrime si stavano
facendo strada senza apparente motivo.
«Piccoletto, mi stai facendo preoccupare…»
Stava tremando, accovacciato instabilmente sul legno, tentando di sollevarsi
facendo perno sulla rotula, inutilmente.
«Aspetta, ti aiuto ad alzarti.» San era teso, non riusciva a capire cosa stesse
accadendo: affaticamento, problemi di pressione, malessere? Qualunque cosa
fosse, lo stava destabilizzando.
Il primo conato di vomito venne trattenuto a fatica. Felix incespicò un paio di
volte sulle All Star nere prima di correre
scoordinato verso la porta che dava agli spogliatoi, sperando in cuor suo di
raggiungere per tempo il lavandino e rovesciare l’interno liquido dello stomaco
in qualsiasi posto non fosse il pavimento. Riuscì ad aggrapparsi con forza alla
ceramica bianca, i brividi a risalirgli voraci sulle vertebre e provocargli la
pelle d’oca lungo braccia e gambe; gemette malamente, cereo in volto, poi
cedette di nuovo a pochi centimetri dal tappo allentato dello scarico.
Cazzo.
San raggiunse poco dopo l’antibagno dello spogliatoio, sedendosi sulle panchine
di legno che dividevano in due lo stanzone dalle piastrelle ocra consunte dal
tempo e dall’uso: sospirò un paio di volte mentre i singhiozzi di Felix
raggiungevano uno dopo l’altro i suoi timpani, minando il suo equilibrio e
l’istinto che l’avrebbe portato ad abbracciare stretto l’altro e portarselo su
quella stessa panchina, rannicchiato sul proprio petto.
Che stai pensando, proprio adesso? Fa’ qualcosa!
San si issò convinto delle proprie azioni e incurante di eventuali
reazioni, sospinse la porta di legno scuro semiaperta per poi richiudersela
alle spalle con delicatezza.
«Ehi…»
Va’ via…
«Felix…»
Il diretto interessato non sollevò neppure il volto, era ancora rannicchiato
sul lavandino.
«Ti serve qualcosa? Stai bene?» Che domanda del cazzo. Ritenta, si disse.
«Posso fare qualcosa per te?» Già meglio, concluse.
La testa bionda si scosse da destra a sinistra, e da sinistra a destra. Nulla,
avrebbe voluto dire Felix, solo lasciar stare, ma il sapore di succhi gastrici
in bocca era tanto e tale che non riusciva a decidersi a parlare.
«Andiamo in stanza? Ti va?»
Una proposta forse accettabile, e il sì sussurrato alla terza sorsata d’acqua
fredda rubata al rubinetto aperto fu sufficientemente udibile. Il ragazzo sentì
una presa calda premere sull’avambraccio, e una seconda mano stringerlo alla
spalla.
«Lasciati aiutare.»
Serrando occhi e mascella, così fece.
«Ce la fai?» San aveva scaricato il peso di Felix sul braccio, vedendolo
barcollare e incespicare sui suoi stessi passi: aveva recuperato lo smartphone
dalla tasca registrando un rapido messaggio vocale per poi rinsaldare la presa.
Il corridoio pareva infinito, i due stavano superando le porte dei vari
camerini, chiuse a quell’ora: all’esterno la luna sbucava solo in parte da
pesanti nubi scure, cercando un’ultima volta di spiccare in cielo e illuminare
a malapena la notte con lo spicchio che superava di poco il quarto. Gli altri
ragazzi si erano già ritirati dopo aver cenato, come di consuetudine: San
avrebbe scommesso su chi stava già aggrappato ai joypad delle consolle, o a
guardare qualche film, oppure ancora a sorseggiare l’ultimo ritardatario caffè
rigorosamente deca della giornata.
Ma non Wooyoung. No. San conosceva fin troppo bene le sue abitudini, visto che
passavano le serate sempre comunque assieme a ridere, guardare programmi idioti
o video virali sul portatile dell’amico. Incrociò le dita, sperando in un suo
arrivo immediato. Fortunatamente il collega comparve di corsa dall’angolo destro
nella biforcazione, inciampando quasi mentre virava in loro direzione, nel
momento stesso in cui Felix si lasciò andare scontrandosi violentemente col
pavimento duro, abbracciando suo malgrado il buio dietro alle palpebre e il
gelo sotto al cotone dei vestiti.
«Cosa pensi dovremmo fare?» Wooyoung camminava in cerchio calpestando
ripetutamente i propri passi in camerino.
Felix era collassato e lui e San lo avevano raccolto da terra per le braccia –
non il modo migliore, ma l’unico a cui avevano pensato in fretta – per poi
lanciarsi sulle porte di fronte, tutte uguali, contrassegnate da un numero in
successione. Al terzo tentativo avevano trovato la porta aperta proprio perché
Wooyoung si portava sempre dietro il mazzo di chiavi della stanza in cui alloggiava
e del camerino dato in dotazione dall’agenzia: meno di dieci metri quadri sistemati
in maniera ordinata, uno specchio a muro, un secondo con annesso un ripiano con
cassetti, un paio di sedie accostate in un angolo e un divanetto a due posti,
confortevole a sufficienza da lasciar ricadere su di esso Felix che respirava
ancora a fatica. Il telo blu scuro del sofà faceva risaltare maggiormente il
suo pallore evidente. San gli tolse le scarpe e sbottonò le tre chiusure della
maglietta del ragazzo, intento poi a giostrarsi con i lacci dei pantaloncini
chiari: stava tentando di sfilarglieli ma gli tremavano le dita.
«Si può sapere che stai facendo?»
Perché lo stai toccando così?
«Senti, Woo, sto togliendo tutti gli impicci possibili, qualsiasi cosa lo
stringa o lo infastidisca va levato. Ha bisogno di spazio per respirare bene,
giusto? Vieni, sfilagli la maglietta dalla testa, piano col collo, ecco, così.»
Felix era in mutande davanti a loro, il fiato corto leggermente meno pressante
di qualche attimo prima, gli occhi a mezz’asta a guardare un punto imprecisato
del soffitto bianco su cui svettavano i faretti a led regolabili.
«Woo, abbassa la luce.»
Obbedì quest’ultimo, giocando con il telecomandino recuperato dentro uno dei
cassetti, a diminuire la gradazione di luce e colore, così da ferire il meno
possibile la pazienza di tutti e gli occhi persi di chi era ancora steso. I due
colleghi si guardarono nel silenzio della stanza.
«Sei arrossito?» San punzecchiò l’amico con un sorriso meno fresco rispetto al
solito, «puoi anche mollarla quella maglia, sai? Non scappa.»
Wooyoung lanciò di scatto il cotone rosso che ancora stringeva tra le mani,
atterrato malamente su una delle sedie presenti. «E tu che hai ancora in mano i
suoi pantaloni? Sembri un maniaco.»
Risero tesi, la situazione non era certo delle migliori.
Il biondo si massaggiò le tempie, sedendosi sul pavimento accanto al divano,
seguito a ruota da San: «mi spieghi cosa è successo? Perché se tra dieci minuti
non migliora, io chiamo l’ospedale.»
L’altro raccontò brevemente dell’allenamento intensivo, dei cedimenti muscolari
e del vomito, per poi passare allo svenimento avvenuto in corridoio giusto al
suo arrivo.
Nessuno parlò più, solo i respiri che lavoravano a ritmi differenti riempivano
la piccola stanza.
Il tempo parve dilatarsi mentre i due trattenevano il bisogno di riempire il
silenzio con una conversazione qualsiasi, troppo impegnati a non voler
disturbare Felix; il petto pareva essersi regolarizzato in quei pochi minuti,
ma preferirono non fare domande e attendere fosse lui a interagire per primo.
Felix sentiva una strana quiete attorno, e una lieve fiacchezza addosso. Le
luci nella stanza creavano uno strano assurdo effetto opacizzato attraverso le
pupille, un miscuglio tra il viola, l’arancio e il giallo; non si pose nemmeno
il problema del perché ci fosse un’atmosfera tale in un posto simile che tra l’altro
non aveva ancora riconosciuto. Tentò di alzare un braccio, lo trovò
intorpidito. Sapeva di aver esagerato nell’allenamento, ma non gli era chiaro
come fosse arrivato lì: ricordava il pavimento della sala prove, il lavandino
degli spogliatoi – quello sì, lo aveva stampato ben nitido in mente – e pure il
lungo corridoio familiare dai muri grigi adiacente alle stanze occupate dai
ragazzi.
Poi il vuoto, un vuoto fastidioso, non propriamente nero.
Felix voleva issarsi sui gomiti e ci provò pure, constatando quanto fosse
comodo il posto dove si trovava steso. Fece fatica, inspirò e si ritrovò a
sentir scricchiolare la schiena: strinse i denti e imprecò, aveva decisamente
esagerato. Puntellato sugli avambracci torse il collo inghiottendo un paio di
volte un sapore pastoso e acido, segnandosi mentalmente di non strafare più. Si
grattò l’addome per poi rendersi conto di stare indossando soltanto le mutande
e rimase ammutolito: dove diavolo erano finiti i suoi vestiti?
Doveva esserci una spiegazione, si disse, dalla bocca un respiro trattenuto per
lo stupore. La testa vorticava, non era saggio per lui mettersi in piedi in
quello stato. Si guardò attorno ancora assonnato, sicuramente aveva dormito e
giudicando il silenzio nella struttura, doveva essere notte inoltrata: era un
camerino, ne era certo, non il suo ma sicuramente in uso. Dovette impegnarsi in
un grande sforzo per voltare il busto e trascinare i piedi scalzi sul pavimento
– pure le scarpe erano sparite – e nell’appoggiare le piante a terra cozzò
contro qualcosa. Trattenne appena un gridolino quando vide due figure accostate
a quello che scoprì solo allora essere un divanetto. Si chinò con cautela
riconoscendo nel ragazzo a destra Wooyoung, appoggiato con la schiena alla base
del sofà, e in quello a sinistra San, scomposto con un braccio buttato sulla
stoffa blu e le gambe spalancate.
Stavano dormendo.
Mormorò qualcosa in modo confuso, tentando di issarsi completamente.
Brutta idea.
Le ginocchia cedettero e cadde sbattendo sulle piastrelle, massaggiandosi il
fondoschiena con vigore. Wooyoung scattò sbattendo le palpebre un paio di volte
prima di ricordare come si chiamasse e dove fosse, per poi ammutolirsi e
stringere convulsamente tra le braccia un Felix ancora fuori fase.
«Ma ch-»
«Mi hai fatto preoccupare da morire, cazzo…!» Woo non sapeva se l’avesse
soltanto pensato o pure detto, non gliene importava granché. Immerse le dita
nei biondi capelli spettinati dell’altro, portando il volto a pochi centimetri
dal suo e pronunciando qualche parola biascicata per il sonno sull’incavo del
collo di lui. Felix non seppe neppure come reagire, impalato come uno
stoccafisso, gli occhi spalancati e una enorme sensazione di calore a
scaldargli il petto e il corpo. La pelle d’oca che avvertiva non era data dal
freddo, quelle labbra stavano mormorando sulla sua pelle e i brividi erano
apparsi automaticamente.
A meno di un metro San voltò il capo nella loro direzione, mangiandosi un paio
di sillabe che nascondevano un qualche significato sconosciuto a tutti e lui
compreso, arricciando il naso e grattandosi lo zigomo arrossato dalla posizione
scomoda: «la finite di pomiciare voi due? Vorrei dormiglieweou…»
e collassò nuovamente.
Felix schiuse completamente le palpebre, le iridi illuminate da quelle parole:
era impietrito, fermo, immobile, ghiacciato… avvertiva con chiarezza il battito
del cuore all’impazzata e avrebbe pure tentato di scostarsi, non fosse stato
per Wooyoung che si era addormentato così come era stato negli ultimi due
minuti, abbracciato stretto a lui, come ad aver paura di lasciarlo andare.
«E adesso?» Sussurrò Felix a se stesso, conscio del fatto che nessun altro lo
avrebbe sentito.