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Autore: MrsShepherd    04/12/2021    1 recensioni
Santana e Brittany hanno 35 anni. Santana vive a New York, con Rachel, Kurt e Blaine. Brittany vive in Ohio e ha aperto una scuola di danza con alcuni ex compagni del Glee club. A tenerle unite è la loro figlia Riley, che in questa storia sarà il filo conduttore che porterà le due donne a riavvicinarsi inevitabilmente e a chiarire ciò che dodici anni prima era rimasto sospeso.
Ogni capitolo porterà il titolo di una canzone eseguita dai protagonisti della serie tv. Il testo di ogni canzone rispecchierà il contenuto del capitolo.
Spero che questa fanfiction incentrata su Brittana possa appassionarvi quanto ha appassionato (e sta appassionando) me mentre la scrivo.
Un pensiero va' inevitabilmente a Naya Rivera, che ovunque si trovi, mi ha ispirato a scrivere questa storia.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6: HERE COMES THE SUN
Tutta la positività che Riley aveva immagazzinato nei giorni precedenti si era ormai definitivamente esaurita. Quel giorno, 21 dicembre, sarebbe stato l’ultimo di permanenza a New York prima delle due settimane di vacanze natalizie. Riley era sdraiata a letto, con il piumone che le copriva la testa. Se ne sarebbe stata lì così, a fare niente almeno fino all’ora di pranzo, come il giorno precedente e quello ancora prima. Nonostante non avrebbe più potuto vedere Bette e Finnegan per due intere settimane, non aveva per nulla voglia di sentirli: l’avrebbero trattata in modo diverso. Finn l’avrebbe guardata con occhi da cerbiatto, come si guarda un cane che viene abbandonato in autostrada e Bette avrebbe iniziato a parlare ininterrottamente per evitare che la conversazione finisse sull’argomento bomba: LA SUA ESPULSIONE. Non rivederla più tutti i giorni avrebbe fatto male ad entrambi gli amici, che erano cresciuti insieme come fratelli.
Non voleva nemmeno andare a Lima. Brittany sapeva quello che aveva fatto, Santana glielo aveva sicuramente raccontato in una tra le sue lunghe e private conversazioni telefoniche. La madre aveva provato diverse volte a videochiamare, ma Riley aveva sempre evitato di rispondere. Con che faccia si sarebbe presentata da lei domani? Tutta questa faccenda non le aveva fatto chiudere occhio e il pensiero di essere già là, colpevole e senza premio, le toglieva il respiro. Forse avrebbe potuto salire su un altro treno durante il viaggio e partire per destinazioni sconosciute, ma non voleva creare un ulteriore motivo di dispiacere per Brittany, che in questa storia centrava davvero poco.
Improvvisamente qualcuno le tolse la coperta dal corpo; un’ondata di gelido la pervase fino alla punta delle orecchie.
<< Che modi!>>
<< In piedi su!>> le ordinò Santana: << Hai dormito abbastanza.>>
<< Lasciami qui.>> brontolò la figlia ricoprendosi dalla testa ai piedi: << La valigia la preparo nel pomeriggio.>>
<< No signorina. La valigia la fai adesso.>> le spalancò le finestre: << Puoi anche decidere di non fare nulla e di buttare via la tua vita, ma non ti starò a guardare.>> La donna raccolse un paio di vestiti già messi che Riley aveva gettato a terra e glieli lanciò sul letto. << Stamattina andiamo a fare compere, prenderai tutto il necessario per il viaggio. Ho parlato con tua madre e abbiamo deciso che starai da lei.>>
<< No! Non voglio!>> urlò Riley scoprendosi. Santana non l’ascoltò: << Starai da lei per le vacanze e per tutto l’anno scolastico.>>
<< Cosa?!>>
<< Per quest’anno ti iscriverai alla scuola media di Lima.>>
<< Ma stai scherzando?!>>
<< Affatto. C’è solo una persona che può tenerti testa in questo momento e il suo nome è Sue Sylvester.>>
<< Non mi interessa nulla di Silveste o quel che è…>> disse Riley turbata: << Non posso stare via tutto l’anno. Non ho amici lì!>>
<< Conoscerai nuove persone. Migliori magari.>>
<< E Bette e Finnegan? Non posso lasciarli!>>
<< Oggi pomeriggio andremo da Kurt e Blaine. Ci sarà anche Rachel. Passerai del tempo con loro e gli spiegheremo tutto.>> disse Santana guardando la figlia in preda allo sconforto.
<< Non voglio farlo.>> sussurrò Riley desiderando di riportare il tempo a quattro giorni prima. Non avrebbe vinto la partita, Renè avrebbe vinto l’atleta d’inverno, ma le sarebbe andata bene lo stesso, purchè fosse rimasta alla Andersen.
<< Proviamo. Per quest’anno…>> le sussurrò Santana cercando nonostante tutto di rassicurarla: << L’anno prossimo si vedrà.>>
<< Non vedi l’ora di liberarti di me.>>
Santana le rispose con un mezzo sorriso non cogliendo la provocazione: << Hai ragione. Così tanto che verrò con te.>>
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Kurt e Blaine le accompagnarono alla stazione. Non si fidavano a lasciarle andare da sole, ne tantomeno a rimanere ad aspettare il treno delle 23. Santana aveva deciso di partire la sera stessa per poter arrivare i 22 in mattinata, lasciare giù la figlia e ritornare a casa. Avrebbe rivisto la sua città e ciò la spaventava parecchio. Aveva seppellito lì troppi ricordi, alcuni belli, ma altri dolorosi e temeva che riviverli tutti sarebbe stato il peggior regalo di Natale di sempre. Sapeva che quando sarebbe tornata a New York, per trascorrere le feste con Kurt e Blaine, la sua nuova famiglia, non avrebbe più avuto così tanta voglia di festeggiare. Magari era l’occasione per passare il Natale da sola e riflettere sulle penose scelte della sua vita.
Era stato un viaggio in macchina strano, carico di silenzio e malinconia. Blaine le aveva chiesto del viaggio e di come si sarebbero sistemate una volta arrivate.
“Come sempre”. Aveva risposta Riley per lei, perché per Santana era come la prima volta. Non metteva piede a Lima da tredici anni. Dopo che si erano sposate e trasferite a New York aveva giurato a se stessa che non avrebbe messo più piede in quella città. Troppi ricordi. Troppo di sé, troppo di lei. In realtà sapeva che la sua paura più grande era quella che una volta lì non sarebbe più voluta tornare a casa. Così si era preparata preventivamente: il contenuto della sua valigia bastava a malapena per un paio di giorni, ma lei sarebbe rincasata la sera stessa. Non era sicuramente un viaggio di piacere quello: lei e Riley avrebbero visto la scuola, sistemato qualche faccenda burocratica e poi se ne sarebbe tornata a New York, più veloce di come era partita. Rachel l’avrebbe ripresa alla stazione. Sarebbero andate in un bar, avrebbero bevuto e pianto un po’ per poi addormentarsi ognuna nel proprio letto vuoto.
Semplice. Indolore.
Quando scesero dall’auto fu tentata di chiedere a Kurt di tornare indietro perché l’improvviso pensiero di quanto Riley le sarebbe mancata la stava quasi facendo desistere. Ancora non aveva realizzato che il giorno successivo sarebbe stato l’ultimo insieme a lei e che poi non si sarebbero viste per un pezzo. Capì immediatamente, senza provarlo sulla sua pelle, come si era sentita Brittany in questi quattro anni di astinenza forzata. Le mancò per un momento la terra sotto i piedi, ma poi si ricordò che aveva deciso di fare tutto questo per un bene superiore, la carriera di Riley.
Aspettarono in silenzio il treno, stretti l’uno all’altro, per il freddo notturno, ma soprattutto per rimanere vicini, ancora per un po’. Kurt aveva voluto tenere Riley tra lui e Blaine. La sua figlioccia se ne sarebbe andata via per nove lunghi mesi e solo al pensiero di non vederla più scorrazzare per la casa con Bette e Finnegan, gli si gelava il cuore. Sapeva bene quanto fosse importante la loro amicizia, quanto siano indissolubili e unici i legami stretti a quell’età. Aveva conosciuto Rachel e Santana solo pochi anni più tardi di loro e ora le considerava come parte della sua famiglia allargata, che comprendeva anche i ragazzi del glee che aveva conosciuto al liceo; non si sentivano proprio tutti i giorni, perché ognuno aveva preso le loro strade, ma sapeva che quando ce ne fosse stato bisogno ci sarebbero stati sempre l’uno per l’altro. Sperava che il destino avesse riservato questo finale anche per Bette, Finnegan e Riley.
Quando il treno arrivò Kurt la strinse ancora di più a sé. Santana allungò un braccio per segnalare la sua presenza e poi prese le valige. Blaine si staccò da Kurt e lo guardò con occhi dolci, poggiando una mano sulla sua spalla: << Coraggio.>>
Aiutarono Santana a caricare le valige e si strinsero a Riley in un abbraccio che sembrava infinito, come le raccomandazioni che Kurt fece alla ragazzina:
<< Fatti rispettare, copriti perché fa freddo, mangia e soprattutto non finire nei guai.>>
<< Va bene.>> aveva risposto Riley confusa.
Poi Kurt si avvicinò a Santana, la cinse in vita e le raddrizzò il colbacco di finta pelliccia: << Chiamaci appena arrivi. E non farti mettere in ginocchio da Sue. >> le sistemò amorevolmente il colletto: << Saluta il professor Shuester e quelli che sono rimasti da parte mia.>>
Presero posto in un vagone solo per loro. Riley si sedette al finestrino e rimase con i palmi aperti premuti contro il vetro. La fronte, appoggiata sulla fredda lamina trasparente era imperlata di piccole goccioline di vapore. Kurt guardò Santana con occhi sinceri carichi di mille significati.
“Coraggio!”
<< Lo so.>> rispose lei dal finestrino senza voce.
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Erano ormai in viaggio da un paio d’ore e ne mancavano ancora una decina per arrivare a Lima. Il treno sfrecciava rapido tra i binari, percorrendo paesaggi sempre meno cittadini e sempre più simili a quella che tredici anni fa Santana avrebbe chiamato “casa”.
Diversi motivi l’avevano spinta ad andarsene: quel luogo gli ricordava Finn, uno dei suoi migliori amici, che aveva perso qualche anno prima della sua partenza. Entrare al McKinley High, ripercorrere i corridoi, l’aula canto, l’auditorium le metteva sempre un po’ di soggezione. Si sentiva catapultata in una realtà distopica che non le apparteneva più. Si ricordò quanto aveva odiato Finn quel giorno che aveva detto davanti a tutti quello che era, chi amava, chi avrebbe dovuto essere. Poi quel video, Santana aveva passato davvero dei momenti infelici: le compagne di squadra l’avevano presa in giro, la madre non le aveva parlato per mesi e sua nonna…
Alma Lopez era sempre stato il suo modello, la sua roccia. Santana l’amava alla follia e la nonna adorava ogni cosa di lei, eccetto la sua “natura”. Quando Santana le aveva confessato di essere lesbica Alma l’aveva cacciata fuori di casa. Non si erano più viste per quattro anni. Brittany e Sue l’avevano convinta a presentarsi al matrimonio e lei aveva partecipato al momento più importante della sua nipotina, anche se con molta riluttanza. Quando seppe che Santana e Brittany aspettavano un bambino però non fu affatto felice. Si presentò a casa in Ohio con un prete, che a detta sua, avrebbe liberato Santana dal demonio che cresceva nel suo grembo. Quando la latina aveva capito cosa la donna volesse realmente fare, la cacciò immediatamente di casa, chiedendo a sua mamma di prendere posizione nei suoi confronti, ma Alma Lopez era pur sempre una donna anziana e malata e Maribel non se l’era sentita di lasciarla sola. In tutto ciò però, la persona che più l’aveva sorpresa fu Brittany. Quel giorno…non l’aveva mai vista così arrabbiata. Aveva letteralmente preso a spintoni il prete fino alla porta di casa sua e avrebbe fatto la stessa cosa anche con Alma, se solo Santana non l’avesse fermata.
<< Brit, calmati! >>
<< Vogliono uccidere il nostro bambino!>> gridava la bionda trascinando il prete verso l’ingresso.
<< Questo figlio è innaturale! >> commentò Alma Lopez in preda al panico per la reazione della ragazza.
<< Io l’ammazzo!>>
<< Senti! È il demonio che parla!>>
<< FUORI!>> aveva urlato Santana. La sua voce aveva trionfato su tutte le atre presenti nella casa.
Il prete chiamato da Alma non ci pensò due volte e scappò immediatamente dalle grinfie di Brittany, mentre la nonna non demordeva.
<< Davvero osi dire questo a tua nonna? Osi buttarmi fuori casa?!>>
<< Sì.>> aveva risposto decisa accompagnandola alla porta.
<< Ti ho cresciuta, sei sangue del mio sangue.>>
<< Anche questo bambino lo è. Possibile che non riesci ad accettarlo?!>> Santana aveva le lacrime agli occhi, ma non avrebbe ceduto di un millimetro. Si toccò la pancia.
<< Non sarà MAI sangue del mio sangue. O ti liberi di quell’essere o ti libererai di me.>>
Brittany le gridò accigliata: << Non può farle questo.>>
<< No.>> la fermò con un braccio Santana decisa: << Se è questo che vuole…così sarà. Non avrai mai a che fare con nostro figlio. E non mi vedrai mai più.>>
Quando la donna era uscita Santana si era accasciata al pavimento, con le mani al volto, piangendo disperata. Brittany si era avvicinata a lei e l’aveva stretta forte.
<< Sta tranquilla Sanny, ci sono io. D’ora in poi sarò io la tua famiglia e potrai sempre contare su di me. Nessuno di loro ti merita. Nessuno di loro merita il tuo amore.>>
<< Andiamocene via da questo posto ti prego.>>
 
 La sua mente ritornò a quel giorno e ripensò per un attimo a cosa sarebbe successo se Riley non fosse mai nata. Le mancò il respiro.
<< Riley!>> la chiamò. Aveva un lato della faccia premuto contro il freddo vetro del finestrino ed era coperta con un piumino grigio chiaro che avevano comprato la mattina stessa. A Lima il tempo era più freddo perché a differenza di New York, lì l’inverno era già arrivato da un pezzo.
<< Riley, dormi?>>
<< No.>> le rispose la figlia con gli occhi ancora chiusi.
<< Provaci.>> le disse la madre sistemandole il piumino.
La ragazzina si raddrizzò e aprì gli occhi: <> Appoggiò sul sedile l’Eastpack viola, ormai privato di tutti i libri scolastici e ne estrasse un mazzo di carte. << Giochiamo?>>
<< A cosa? >> chiese la donna afferrando il mazzo.
<< A quello che vuoi.>>
 
Erano le cinque del mattino e nessuna delle due aveva sonno.
Santana guardò la carta che Riley le aveva dato. Un 5, non un granché considerato che non aveva più carte nere da puntare. Raramente le capitava di perdere e non era abituata a subire le ripercussioni emotive di una sconfitta, anche se era una semplice partita a carte. In quel momento però, più che indispettita era piacevolmente sorpresa. Aveva sempre saputo che Riley era una ragazzina intelligente, ma non l’aveva mai vista all’opera: in una lenta guerra di logorio aveva battuto Santana a 7 e Mezzo, un vecchio gioco che le aveva insegnato sua nonna, del quale era letteralmente la regina indiscussa. Sapeva bluffare e decurtare le puntate di un avversario in poche mosse e per la prima volta in questa partita si era trovata in difficoltà.
<< Punto tutto.>> aveva detto lei guardandola negli occhi in attesa di un segno. Se proprio avesse dovuto perdere, l’avrebbe fatto con onore.
Riley sorrise: << Anche io.>> spostò tutto il suo cospicuo mazzo di carte a centro del banco: << O tutto o niente.>>
<< Carta.>> le disse Santana. Un 1, bene. Era ancora in gara. Ora era il turno di Riley.
<< Io mi fermo invece.>>
Santana la guardò dritta negli occhi e la bambina sostenne decisa il suo sguardo. Non riusciva a leggere nulla in quelle enormi pozze verde muschio. Che Riley dicesse la verità o mentisse non faceva alcuna differenza. La sua mente viaggiò alla velocità della luce.
Non poteva avere sette e mezzo o l’avrebbe detto. Nemmeno una carta più bassa di quella che Santana avesse sul banco, altrimenti sarebbe stato stupido fermarsi e perdere così rovinosamente. Aveva sicuramente una carta come la sua o più alta, il che avrebbe voluto dire vincere, dato che in questa manche il mazziere era lei. Oppure era tutto un grande bluff e sperava che ci cascasse. Non sapeva che fare.
<< Dammi un'altra carta. >> sospirò la donna mordendosi un labbro.
<< Sicura?>> disse Riley. Perché? Era ancora più confusa.
<< Vai.>>
Un altro 5. Era fuori. Alzò gli occhi al cielo e voltò la carta coperta sul tavolo.
<< Ho vinto allora.>> disse sorridendo la figlia. Prese tutte le carte e le mise in un unico mazzo.
<< Aspetta, fammi vedere la tu carta coperta.>> le disse Santana curiosa. Riley le regalò un sorriso furbetto e voltò la carta. Donna di picche.
<< Stronzetta.>> le sorrise la madre. << Brava, mi hai battuta. Bell bluff.>>
<< Per una volta. Nevicherà a New York!>> disse Riley, la sua risata divenne improvvisamente malinconica. Quanto avrebbe desiderato essere ancora nel suo caldo appartamento vicino a Times Square. Santana cercò di riportare la figlia alla realtà.
<< Allora.>> le disse sbadigliando e stringendosi ancora di più nel plaid color cipria che aveva portato da casa. << Cos’altro hai in quello zaino per il viaggio?>>
<< Questa.>> disse sventolando le parole crociate. << Le facciamo insieme?>>
<< Vai.>>
Riley iniziò con qualche definizione ma si fermò quando si accorse che la madre era scivolata in un sonno profondo. Si sporse verso il tavolino e allungò una mano per spegnere la luce accesa dalla parte della madre. Si accorse che la donna aveva lasciato il cellulare incustodito sul tavolino e presa da un impeto di curiosità lo afferro e iniziò ad esplorarne il contenuto: provò ad andare su WhatsApp, ma le conversazioni erano protette da password. La galleria conteneva più che altro video di allenamenti e fotografie di schemi e coreografie scarabocchiati. Qua e là spuntavano anche fotografie sue, davanti al centro commerciale o ad un caffè, praticamente i loro unici luoghi abituali. Realizzò con rammarico che non avevano nessuna foto delle feste, dato che le trascorreva sempre con Brittany. “Sarà triste per Santana passare tutte le feste da sola.” Pensò, come d’altronde lo era un pochino anche la ragazzina; quando apriva i regali di Natale senza sua madre un po’ le dispiaceva.
Anche Instagram e Facebook non davano informazioni utili sulla vita della donna. Raccontavano più che altro il lavoro da consulente di cheerleader e non quali fossero le sue frequentazioni. Riley voleva a tutti i costi scoprirlo. Non so se fosse stata Renè ad insinuarle il dubbio, oppure sua madre durante la conversazione avvenuta pochi giorni prima, ma qualcosa non le tornava. Magari possedeva anche lei il “terzo occhio da latina” come sua mamma, o magari non ci voleva un’intelligenza sovrumana per capire ce la donna aveva semplicemente trovato un nuovo amore. Doveva vedere per credere e per ora niente dava l’idea che la madre stesse nascondendo una relazione clandestina. Aprì il registro delle chiamate: Kurt, Rachel, Scuola Andersen, Brittany… e Cass. Cass chi? Cassandra forse? Poteva significare mille cose, ma a giudicare la frequenza delle chiamate quella Cassandra (aveva deciso di chiamarla così per ora) era, diciamo, una “cliente abituale”. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo telefono e fece una fotografia al cellulare della madre, poi inviò la schermata a Bette.
“Missione per te: scoprire chi è Cass.”
Non si aspettava che l’amica visualizzasse il messaggio alle 6 del mattino, ma sapeva che lei e Finnegan si sarebbero attivati subito e presto il mistero della misteriosa Cass sarebbe stato svelato.
Fu distratta da un rumore improvviso, qualche valvola del treno aveva soffiato e Santana si era quasi svegliata. Per lo spavento Riley aveva lanciato in aria il cellulare, che però aveva immediatamente ripreso, con una silenziosa acrobazia. Agitata e con il timore di essere scoperta, ripose lo smartphone della madre al suo posto e si alzò lentamente dal suo sedile per sgranchirsi le gambe. Attraversò il corridoio e andò in bagno. Quando tornò, particolarmente schifata per le condizioni igieniche dei servizi, notò che lo scompartimento opposto al suo era vuoto. Si infilò dentro e si piegò verso il finestrino per guardare il paesaggio. Il cielo non era più nero e senza nuvole come poche ore prima, ma violaceo tendente al pesca. Riley o guardò con ammirazione: avrebbe voluto scattare una fotografia per mostrarla a Kurt e Blaine, che amavano i colori rosati alla follia, ma non lo fece. Non sarebbe stata la stessa cosa; quello spettacolo dal vivo era di una rara e straordinaria bellezza, difficile da descrivere e da raccontare.
“Solo gli occhi sanno” pensò la ragazzina estasiata. In quell’istante realizzò una cosa precisa sull’amore. “Il vero amore è come l’alba.”
Rimase qualche minuto a contemplare lo spettacolo, poi decise di tornare nella sua cabina per poter ammirare il sorgere del sole con la madre. Quando rientrò la vide ancora profondamente addormentata, tremante per il freddo. Il paesaggio era cambiato e piccole colline verde foresta, spruzzate di neve sulla cima, avevano sostituito le grigie metropoli dello stato di New York. Riley rabbrividì per il freddo; aprì nuovamente lo zaino e ne estrasse un pesante maglione di lana rossa dalla trama intrecciata. Lo indossò e si sentì subito meglio. Poi andò vicino alla madre e si sistemò sotto il plaid con lei. La strinse forte, conscia che non sarebbero più state insieme fino alla fine delle vacanze estive, per la prima volta da quando era nata.
<< Mi devi promettere una cosa. Anche se saremo lontane, mi scriverai tutti i giorni e avrai sempre un pensiero per me. Bevi tante cioccolate allo Spotlight Diner e mandami tante foto della pista di pattinaggio a Times Square. Non crescere solo in altezza, fai amicizia, mangia sano e non scappare davanti alle novità. Sei una bambina intelligente, coraggiosa e di buon cuore, non scordartelo mai. Stai vicino alla mamma, specialmente quando fa freddo e fuori non c’è il sole. Fa sempre la dura, ma qualche volta ha tanto bisogno che qualcuno l’abbracci. Non dimenticarti di me e quando sarai triste, alza il telefono e chiamami, a qualsiasi ora. Sarai sempre nei miei pensieri. Sei la mia forza e mi rendi felice. SEI MIA FIGLIA.>>
Il vuoto che aveva provato quel giorno. Era solo una bambina, ma non l’avrebbe mai dimenticato. E si era ripromessa di non provare mai più quell’emozione. E invece la vita aveva scelto diversamente.
Si accoccolò ancora di più sotto il braccio della madre, arpionandosi alla sua sottile vita. La respirò a fondo: sapeva di smalto, del caminetto acceso di Kurt, di candele alla vaniglia, sapeva di casa.
Guardò fuori dal finestrino e si godette il sole che faceva capolino tra le verdi radure dello stato dell’Ohio.
   
 
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