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Autore: Cladzky    11/12/2021    2 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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–Ora te vedi se non mi devo incazzare– Borbottava Giuly, rigirandosi i capelli castani fra le dita.

–Figurati noi– Gli rispose il rappresentante dei Ghoul di "Essi Vivono" all'altro capo del tavolo, facendo schioccare i denti da teschio –Noi si richiede solo un po' di riconoscenza.

–Se è solo questo…

–Questo e tredici miliardi di rubli come penale.

–Ellamadonna!– Saltò dalla sedia, frullando le ali dalla sorpresa come un colibrì. Quando ritornò seduta si strinse la faccia fra le mani. Manco Gyber poteva permettersi una simile spesa senza finire in bancarotta e la colpa rischiava di essere sua. Beh, colpa era relativo. Non aveva fatto nulla di male dopotutto. Raven seguiva in silenzio, limitandosi a dare pacche sulle spalle alla sbigottita figura, che subito si riprese e incalzò –Ma scusate a voi che vi tocca se qua si progredisce?

–A noi ci tocca che ci rubiate progetti brevettati– Incrociò le braccia il Ghoul e già che c'era poggiò i piedi sul tavolo bello lindo, schioccò le dita e si fece accendere il sigaro da un piccolo WALL•E cameriere, per poi dargli un manrovescio di dorso che gli fece vibrare la testolina come una molla per allontanarlo. Soffiò un cerchio di fumo che si chiuse attorno il collo della stizzita Giuly, per poi limare con il mignolo la cenere dalla punta, facendola cadere in un bicchiere di cristallo –Oh che non lo sai? È stato il mio avo a rivoluzionare il viaggio intergalattico tramite il teletrasbordo.

–Posso dire che suona meglio “teletrasporto”?– Azzardò Raven, alzando l’indice.

–No– Fu il tono secco quanto la faccia bluastra venata di rosso –Ma grazie per aver chiesto il permesso, al contrario di certa gentaglia.

–Ma come potete dire che vi ho rubato questo progetto?– Si esasperò Giuly, sbattendo i pugni sul tavolo e indicando il cielo –Non ci siamo mai visti prima di oggi. Non sapevo neanche che esistesse la tua dimensione prima che mi arrivasse stamane l’ingiunzione dai vostri tribunali. È stata una completa casualità che io abbia sviluppato il trasferimento della materia organica uguale alla vostra. In un multiverso infinito è perfettamente ragionevole, per la legge dei grandi numeri, che due eventi uguali possano avvenire per cause diverse.

–Bah, bubbole– Esclamò il ghoul, piroettando il sigaro fra le dita nervose –Non esistono forme di vita abbastanza sviluppate come la nostra per poter creare simili prodigi della tecnica autonomamente. È chiaro che, dei primitivi quali voi siete, avete plagiato il nostro lavoro.

–Anzitutto un si frigge mia coll'acqua qui, per chi m’avete preso?– Sbottò lei, piegandosi in avanti con tono offeso all’essere chiamata “primitiva” –E poi come avremmo fatto a plagiare il teletrasporto del vostro pianeta se per raggiungere il vostro pianeta ci vuole il teletrasporto, che a detta vostra, non possiamo aver creato da soli?

–Teletrasbordo– La corresse Raven.

–Oh, ma te da che parte stai?– Gli gridò di rimando Giuly, trattenendosi dallo spadellarla in quell’istante.

–Quella che mi diverte di più– Rise la ragazza, lisciandosi lo zigomo appuntito –Ma non temere, credo di aver capito come risolvere la questione.

–Rispondendo ai suoi dubbi– Rispose infine il rappresentante –Ci offendete nel credere che mai ci siamo incrociati priori a stamane. Proprio in virtù della nostra tecnologia noi siamo presenti su una moltitudine incalcolabile di pianeti e sul vostro in particolare almeno dal 1988. Come credete altrimenti che l’ingiunzione vi sia arrivata così prontamente? Vi dirò, anzi, mostrerò di più.

Schioccò le dita e con lampo bianco apparve al fianco del seduto rappresentante una donna ben vestita in uno smoking, probabilmente anche lei a divertirsi come nulla fosse alla festa, prima di essere convocata in quel modo. Giuly aveva l’impressione di averla già vista.

–Ehi– Intervenì convenientemente a livello narrativo Gyber, passando per caso lì a fianco per scortare l’intovagliato Dz a prendersi dei vestiti in prestito dal suo guardaroba –Quella è la postina che è venuta a suonare stamane per consegnarci l’ingiunzione.

–Non dimentichi mai un viso tu?– Chiese stranita Raven, estraendo un ingiallito manuale e andando alla voce di “Mnemomanzia”, chiedendosi se l’avesse sfogliato anche lui.

–Mai, mia cara Tokisaki Kurumi– Sorrise l’antracita per poi sparire nella folla.

–Certo, con i nomi dovresti migliorare– Sbuffò la streghetta.

–E insomma, cosa centra lei in tutto questo?– S’inalterò Giuly, cominciando a credere di essere presa in giro. La donna andò a smanacciare sull’orologio da polso e un’altro lampo invase i loro campi di visione e sparì, o meglio, lasciò al suo posto un’altra visione, un ghoul similare a quello accanto cui stava in piedi, ma comunque ben vestito nello stesso smoking.

–Ci troviamo in questa vostra società da ancora prima che lei nascesse signorina Frost– Rise la rivelata Ghoul.

–E io che speravo di non dover più avere a che fare con dei Changeling– Si massaggiò le tempie la donna alata.

–Non fate la finta tonta– L’accusò il rappresentante –È palese che vi siate immischiata nelle nostre colonie segrete e trafugato le nostre tecnologie, similemente a come era già successo nella Terra alternativa della dimensione Carpenter. Siamo abituati a trattare gente come voi, ma vogliamo fare i gentili per una volta. Vi permetteremo di scusarvi sinceramente e abbandonare ogni ulteriore sviluppo del teletrasbordo e soprattutto di brevettare codesta imitazione.

–Ma vi rendete conto di cosa state chiedendo?– Strabuzzò gli occhi magenta e scosse la testa incredula, mandando da tutte le parti i capelli castani –Il teletrasporto…

–Teletrasbordo– La corresse Raven un’altra volta, prima di subire una terribile concussione sulla glabella da parte di Artemis, lanciata e tornata come un boomerang nelle mani di Giuly. Le spadellate non conoscevano generi, dovette riconoscere la strega, massaggiandosi la fronte da seduta, ma senza rabbia, solo ammirazione per quella mira.

–Come stavo dicendo– Insistè Giuly, abbandonando ogni parvenza di voler scherzare –Rendere disponibile al pubblico il teletrasporto è essenziale per il progresso umano! Pensate a quante persone, morte in ambulanza, potrebbero piuttosto raggiungere l’ospedale senza attesa; pensate alla difficoltà di spostare la materia prima dalla cava al cantiere; Pensate ai rifugiati, costretti ad attraversare chilometri lasciati a loro stessi; senza parlare poi dell’esplorazione spaziale! Riuscirremo a uscire dal sistema solare prima della morte dell’universo. Non sarebbe qualcosa di meraviglioso? Non vi colma il cuore vedere una società fare simili passi verso il futuro?

–Assolutamente no se noi non abbiamo nulla da guadagnarci– La ghoul riassunse la sua forma umana e sparve da saetta, mentre il suo compagno finì il suo sigaro. A Giuly stava crescendo la rabbia e la sete dopo quel discorso inutile. Mosse la mano per bere da un bicchiere in fronte a lei, ma non fece in tempo che un mozzicone di sigaro fumante ci cadde dritto dentro, insozzandolo di tabacco carbonizzato. Alzò gli occhi e vide l’alieno bluastro con un’espressione annoiata.

–Si può sapere quale diavolo sia il vostro problema?– Gracchiò lei, cercando fortemente di non alzarsi e pestarlo sul posto dopo quel gesto così puerile –Con che autorità mi chiedete di interrompere le mie ricerche? Può anche non fregarvene nulla dei benefici alla razza umana, ma con quali prove intendete dimostrare che vi abbiamo rubato i progetti, al di fuori del vostro pregiudizio xenofobico?

–Il pregiudizio xenofobico ci basta e avanza– Ammise candidamente lui –Che valore ha la parola di un umano, alato o meno, contro quella di uno di noi?

–E che valore hanno, allora, i vostri tribunali in questa dimensione? La vostra ingiunzione è solo un pezzo di carta con cui io mi ci pulisco il culo!

–Moderazione– L’ammonì il principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio dal tavolo accanto, prima di tornare al suo drink con consorte.

–I nostri tribunali potrebbero non avere alcuna valenza per voi, ma una bella invasioncina del pianeta penso sia una minaccia più che apprezzabile.

–Ma non direte sul serio?

–Vi sembra che stia scherzando?– Si risentì lui senza senso dell’umorismo, gonfiando il petto e tirandosi i lembi della giacca pronto alla lite –Noi prendiamo molto sul serio le questioni di denaro. Siamo letteralmente la personificazione del capitalismo.

–Ah, sì?– Scattò dalla sedia Giuly –Pensate davvero di poter invadere la terra? Voi? Abbiamo sconfitto Sombra! Abbiamo sconfitto Cthulhu! Abbiamo sconfitto Shadow Blade giusto il giorno l’altro ed eravamo dimezzati! Abbiamo sconfitto anche Satana, per dio! Ci siamo sconfitti anche a vicenda, qualora fosse il lato oscuro di uno di noi o solo per scherzo! Abbiamo sconfitto l’esercito del comandante Anderson, del nostro stesso pianeta! Come può l'esercito del tuo competere?

Mentre parlava, inconsapevolmente, la sua volontà andò a sollevare il liquido del suo bicchiere e comprimerlo, al punto da renderlo solido in un pezzo di stalattite.

–E non siete stanchi di tutta questa violenza?– Rise il ghoul, neppure impensierito, prima di alzarsi. Allo stesso tempo, distratta da quel pensiero, la volontà di Giuly Frost fece cadere la punta di ghiaccio sul tavolo, rimuovendo in tempo la mano prima di inchiodarla sul legno.

–Certo che siamo stanchi!– Controbatté Giuly, seguendolo con lo sguardo –Sono stanca di vedere i miei cari in pericolo, di dover mettere da parte i miei progetti per combattere un’altra guerra, di mettere fine alla vita di altre persone, di rischiare la mia. Perché vi comportate così? Perché siete così leggeri nel proporre un conflitto?

–Perché abbiamo fatto un’analisi dei costi e dei benefici– Fu sincero il Ghoul, andandole vicino. Erano ormai petto contro petto –Noi avremmo tutto da guadagnare in un’intervento armato. Se perdessimo perderemmo solo un pianeta. Ma, se foste voi a perdere, la Lucas Force non esisterebbe più.

–Non possiamo perdere.

–Ci siete andati molto vicini l’ultima volta, anzi…– E un sorriso mostruoso si delineò sul teschio di carne bluastra –Perché chiamarvi ancora Lucas Force, dato che Lucas ormai è…

Ci fu un fendente di Artemis, trasformata in una… spranga di ferro. L’ira di Giuly si era accesa così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di pensare a qualcosa di preciso con cui colpire il ghoul. Ma quest’ultimo era sparito con una mossa sola di polso, un turbine di luce e nessun suono. Maledetto teletrasbordo. Si guardò intorno, solo per ricevere un calcio nelle gengive da parte di uno stivaletto in pelle pitonata. Quando cadde all’indietro lo vide, lì in cima il tavolo, pulirsi la punta del piede con un fazzoletto di seta dal sangue della sua bocca. Se si fosse concentrata abbastanza, perché arrabbiata lo era già, avrebbe potuto agitare gli atomi dei suoi vestiti abbastanza per farli andare in autocombustione, ma un corpo magro si frappose fra i due.

–Non potete invadere la terra per una simile frivolezza– Esclamò Raven, mani sui fianchi.

–Possiamo e lo faremo, se non viene pagata la penale– Rispose il ghoul con nonchalance –E poi a te che importa? Non sei certo di questa terra e inoltre non sei mai stata particolarmente contraria ai massacri.

–Ma sono estremamente contraria al trattare così una persona per la sola colpa di curiosità scientifica. E inoltre la vostra causa non ha motivo di essere.

–Perché dici questo?– Chiese turbato il ghoul, mettendosi seduto sul tavolo a gambe accavallate.

–Perché lei sarà anche intenzionata a condividere questa scoperta con il resto del mondo, ma non è la prima forma di teletrasbordo creatasi al di fuori del vostro pianeta– E detto questo spiccò un balzo, si chiuse a sè le gambe in posizione fetale e, completata una rotazione, quella macchia sfumata assunse la forma di una falce, con un grosso occhio di sclera azzurra alla base della lama, seghettata come un sorriso. Questa, ormai levitando di volontà propria, si trasse indietro per poi ricadere in avanti, tagliando letteralmente il vuoto. Uno squarcio bianco si creò nell’aria con il rumore di carta strappata e, subito, l’arma rubata all’agricoltura, vi sparve dentro, mentre la materia andava a ricucirsi da sè dietro di lei, fino a chiudere ogni spiraglio di vuoto.

–Abracadabra!– Esclamò Raven, apparendogli alle spalle e facendolo saltare dalla paura giù dal tavolo –Ho letteralmente tagliato il tessuto della realtà in cui viviamo. Non è teletrasbordo questo? E ora che faccio, pago una penale anch’io?

–Sarebbe molto cortese– Propose il rappresentante ghoul, rassettandosi i vestiti –Due torti non fanno un giusto.

–Ah sì?– Chiese irritata la strega –Allora cosa intendete fare? Andare in ogni dimensione a chiedere un compenso per ogni singolo utilizzo di teletrasporto?

–Teletrasbordo– La corresse Deadpool apparendole di fianco in un guizzo di polvere di stelle, vestito da mariachi. Dopodiché si tolse la maschera, rivelando il suo volto sfigurato al ghoul bluastro –Ehilà, anche voi preferite andare in giro struccati?

–Ma che diavolo sei venuto a fare qui?– Sbottò Giuly –Non ti rendi conto che abbiamo cose più serie a cui badare che te?

–Prima di tutto sono il giullare di questa storia. Il mio compito è di mettere nel ridicolo tutti i personaggi che si prendono troppo sul serio– Dopodiché fece l’occhiolino a Raven –Permettete un ballo, signorina?

Afferrò una delle bende che le pendeva dai polsi e tirò uno strattone. La violenza di quello srotolamento la fece piroettare su sè stessa fino a farla cadere dal tavolo e, fortunatamente per i suoi riflessi, in braccio a Giuly.

–Tutto a posto?– Chiese quest’ultima premurosa.

–Non nell’orgoglio, “zia”– Ammise lei, sbuffando. 

–E secondo di tutto– Proseguì Deadpool, ormai solo su quel palcoscenico ch’era il tavolo –Sono qui per complicare la trama e ricordarvi che ci sono altri personaggi in questa storia.

–Ti ho trovato, finalmente!– Gridò Alexander Diamond, facendo girare di scatto il mercenario verso di lui, giusto in tempo per ricevere un calcio da dragone volante sul grugno. Ancora con la suola di quella Vans nera in faccia, Deadpool premette il pulsante nella fibbia della cintura e fece sparire entrambi nell’etere, lasciandosi dietro solo zucchero scintillante.

–No, neppure tre torti fanno un giusto– Scosse la testa, sgomento, il ghoul –Considerando che, voi della Lucas Force, avete sviluppato tre forme diverse di teletrasbordo, considerate la vostra penale in egual modo triplicata. Pagate o considerate il pianeta sotto assedio delle nostre forze. Forse riuscirete a respingere questo ennesimo assalto, ma fino a quando la popolazione di questo pianeta sopporterà le sciagure che attirate? Già recentemente hanno dato dimostrazione di non fidarsi più come un tempo. Chissà, forse questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso.

E sparì, anche lui, in un lampo. Solo allora Giuly si rese conto di star stringendo fra le braccia ancora Raven. Subito la rimise a terra e questa andò ad arrotolarsi la benda sul braccio

–Temo di aver peggiorato le cose– Sospirò la streghetta.

–Non fartene una colpa– Si andò a sedere Giuly, esausta mentalmente. Anche oggi, che sperava in una festa tranquilla per festeggiare la vittoria contro la loro arcinemesi, si era trasformata in una nuova scusa per combattere. Certo, era palese che i ghoul cercassero solo una scusa per una guerra, ma non poteva non pensare che fosse stata lei a fornirglielo. Non vi era modo per dissuaderli o pagare la penale triplicata di trentanove miliardi, quindi l’invasione era inevitabile. Cadere di conflitto in conflitto la stava logorando –Per loro è solo un pretesto. Non gliene importa nulla del teletrasporto o come lo chiamano loro.

–E allora che vogliono? Conquistare la Terra come gli altri?

–Anche. Ma credo che più di tutto gli importi eliminare la Lucas Force.

–Lo sai che non ce la faranno.

Giuly prese un gran respiro.

–Dopo l’ultima volta non ne sono più così sicura.


***


–Questa serata è ancora più strana di quella volta che Drol ha disperso le mie emozioni.

–Oh no– Puntualizzò un simpatico clessidriano, mentre attraversava il corridoio nella direzione opposta per usufruire del bagno, giusto per fare un cameo –Avendo dovuto mettere io a posto il tuo macello posso confermare che quella volta non la batte nessuno.

–Hai ragione– Ricalcolò Gyber, dandosi il pugno a vicenda, per poi proseguire, con appresso Dz.

–Non me la ricordavo così grande la villa– Analizzò quest’ultimo.

–Sto già sistemandomi per un’abitazione più sobria– Rimuginò ad alta voce l’albino, prima di giungere in una gigantesca cabina armadio circolare.

–Questa non sarebbe male da indossare– Sbavò Dz, strusciandosi contro l’armatura dorata del Toro di Rasgado, compattata in un pratico cubo di qualche quintale.

–Quella è solo da esposizione– Lo rimbrottò Gyber, trascinandolo via –O per saccagnarsi di botte in una fascia d’asteroidi generata dall’arena di Re, anche quella è un’eventualità, ma non questa.

Si spostarono a frugare in un’armadio.

–Ascolta, Don– Iniziò Gyber, mentre scartava una divisa da guerriera sailor –Ma dove avevi lasciato i vestiti prima di trasformarti?

Dz calcolò quanto fosse distante l’isola di Sado.

–A 2000 chilometri da qui, su per giù.

–Ti sei fatto tutta la scarpinata nudo?

–Oh, no– Scosse la testa Dz, buttando via il cappello d’Indiana Jones –Giuly mi ha dato uno strappo con il suo teletrasporto. Aveva bisogno di testarlo.

–E non potevi portarti i vestiti dietro?– Alzò un sopracciglio l’antracita, studiando l’elmo di Scipio e relativo libretto delle istruzioni su come cingerlo.

–Vedi, il teletrasporto, per ora, teletrasporta solo la materia organica– Spiegò il kaiju fattosi uomo, mentre tentò di sollevare il turbante di Piccolo Jr, prima di pentirsene e finirvi schiacciato a terra, con quel macigno sullo stomaco.

–Ma quindi– Si sforzò di liberarlo Gyber –Avete viaggiato entrambi nudi?

–Beh– Si rialzò Dz, prima di incrociare gli occhi con il gestore della festa –Per noi kaiju non è mai stato un problema. 

–Oh, lasciamo perdere– Gyber dipanò da sè idee di unioni improbabili e proibite, cambiando direttamente discorso –Hai mai pensato di andare in pensione?

–Come?– Chiese stralunato l’altro, mentre rigirava i sandali di Perseo –Non credo avverrà molto presto. Dopotutto ho appena un paio di millenni e il mio lavoro non genera certo contributi.

–Smettere di combattere intendo– Precisò Gyber –Non ti è passata un po’ la voglia di rischiare la vita contro ogni minaccia. Magari lasciare che ci pensi qualcun’altro?

Dz si fermò, lasciandosi scivolare di mano l’elmo cornuto di Raoul, dritto su un piede. Rispose tra un saltello e un altro.

–Ti dirò, [Ahio!] all’inizio era quasi divertente, [Eek!] ma ultimamente si è fatta sempre più dura [Igh!] e il prezzo di ogni vittoria è aumentato [Ohio] e sono diventato fin troppo familiare con l’idea di morire [Urca!].

–E quindi la smetterai?

–Certo che no!– Rise, quasi nascondendo l’offesa, Dz –Poche persone nascono nel multiverso dotate di doni così grandi. C’è chi sceglie di usarli per sè stessi e chi per la giustizia. Se io mi tirassi indietro non ci sarebbe nessuna garanzia che qualcuno mi sostituirebbe per lottare la giusta causa. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità e tutte quelle robe lì, insomma.

Gyber lo guardò per un momento, con un riflesso strano negli occhi. Poi lanciò via la tunica di Pit da una finestra, tornando alla ricerca.

–Sei un anfibio molto saggio Dz.

–Però– Rimuginò il ragazzo dai capelli blu –Ho come il sospetto che tu stia proiettando, tramite domande, alcuni tuoi dubbi.

Gyber si paralizzò.

–Ti turba se non parliamo più di questo argomento?

Dz aprì la bocca per fargli notare che aveva iniziato lui, ma cambiò subito idea.

–Affatto.

–Mi spieghi perché eviti tuo padre come la peste?

–Beh…– Dz calcolò attentamente cosa dire. Siccome non sapeva mentire decise per una mezza verità –Gli avevo promesso di evitare di mostrare la mia forma kaiju al pubblico. Vedermi nel mezzo di una festa non dev’essere la sua idea di passare inosservato.

–Credi t’abbia visto?

–Santa Mothra, spero di no.

–Che poi mi sono sempre chiesto…

–Cosa?

–Come mai ti chiami Donatozilla? Cioè, Zilla perché tuo padre è Godzilla, d’accordo, ma Donato da dove viene? È piuttosto inusuale per un mostro gigante– Il ragazzo dai capelli bianchi si voltò verso il ragazzo dai capelli blu, che era rimasto in un’espressione attonita. L’origine del suo nome l’aveva indotto in flashback da PTSD.

–Don, tutto bene?– Chiese preoccupato Gyber. Non ottenne risposta. Oh, beh, perlomeno gli aveva trovato un bel completino.


***


–Ehi tu!

–Non di nuovo– Si disse fra sè Cladzky, aspettandosi l’ennesima aggressione. Si voltò, trovandosi di fronte un altro DJ, vestito come lui in bianco e nero. Sorprendentemente non gli arrivò nessun pugno in faccia.

–Ti va di darmi il cambio?– Gli chiese il collega, indicando la pista da ballo degli “Oldies”, deserta e con il gruppo dal vivo che si limitava ad accordare gli strumenti.

–Non è il mio settore– Si scusò l’infiltrato.

–Mia figlia ha avuto un brutto incidente e devo raggiungerla in ospedale– Disse velocemente l’altro.

“Eccallà” Si maledisse il ragazzo castano. Poi si voltò, sentendo un tonfo. Un uomo era appena atterrato con un balzo prodigioso sul tavolino dove Greta Garbo e Marlene Dietrich prendevano un tè allungato col liquore. Altro che uomo, quello era…

–Accetto di buon grado!– Proruppe Cladzky, stringendogli calorosamente la mano e correndo in mezzo alla folla persa in chiacchiere –Forza signori, rallegriamo l’atmosfera!

Kishin si voltò. Quella voce! L’aveva trovato. Cladzky aveva raggiunto il gruppo. Doveva inventarsi qualcosa per creare un po’ di confusione. Gli suggerì qualcosa come fosse la formazione di una squadra da football per poi scivolare in mezzo alla pista, letteralmente dato quanta era lucida.

–Oggi vi presentiamo un classico dei musical, dal grande schermo al palcoscenico, direttamente da “Singin’ in the rain”…– Fu tutto quello che riuscì a dire prima di schiantarsi contro un cameriere, mandando all’aria vassoio e relativa argenteria. Finirono ambo a zuccare e distesi a terra, in un risolino generale.

–Sembra che sia arrivato il mio momento– Sospirò Gene Kelly, saltando in piedi pur con una febbre da cavallo.

–Vi presentiamo– Cladzky fece per alzarsi, prima di mettere un piede sul vassoio e scivolare in avanti, caprioleggiare e miracolosamente atterrare inginocchiato, braccia aperte –”Make ‘em Laugh”!

–Fatti da parte, vecchio mio!– Esclamò l’irlandese Donald O’Connor, dando una pacca a Kelly –Questa è roba seria.

Kishin avanzò verso la pista, sistemandosi per bene la mantellina sulle spalle. Cladzky doveva aver commesso un grave errore di valutazione nel credere di potergli sfuggire mettendosi in mostra. O forse non era affatto un errore e stava tramando qualcosa? Quell’attimo di esitazione bastò che partisse l’attacco del quartetto d’archi e la pista si ripopolasse di vecchi volti noti nei loro anni migliori.

Cladzky, dacché era inginocchiato, saltò in aria, si toccò la punta dei piedi come un ballerino dell'Alexandrov Ensemeble, atterrò da molla accanto a Chaplin e gli rubò la bombetta, nel suo disappunto, ficcandosela in testa. Prese poi a imitare la sua camminata, fra un verso e l’altro.

Make ’em laugh, make ‘em laugh! Don’t you know ev’ry one wants to laugh?

S’inchinò alla folla, senza rendersi conto di essere stato pedinato da Chaplin. Con un rapido movimento del suo bastone da passeggio, gli afferrò la caviglia e, con uno strattone, lo ribaltò in avanti, facendo atterrarre lui a terra e la bombetta in cima al manico. Stavolta fu lui a fare un inchino per congedarsi. Cladzky fece spallucce e continuò.

My dad said “be an actor my son…”

–Permesso– Si fece largo Kishin, cercando di non creare il panico fra i presenti senza manifestare i suoi poteri. Doveva essere una serata tranquilla dopotutto e glielo doveva a Gyber. Una volta scostati Fairbanks e Hughes vide il suo obiettivo, lì in mezzo la pista, rimettersi in piedi con un kip-up e proseguire il pezzo senza guardare dove andava. Ora o mai più. Si silurò in avanti, braccia tese alla preda, quando d’improvviso questa sprofondò. Cladzky era scivolato di nuovo sul vassoio di prima, assumendo una posa da diva per salvare la faccia, mentre il sangue nero…

–Ma dico, le sembra il modo?– S’irritò Paderewski contro la faccia di Kishin che aveva appena perforato il coperchio del suo pianoforte a coda.

–Guardi, non è giornata– Si lamentò il corvino, rimuovendo qualche scheggia di mogano dal volto.

...But be a comical one!– Proseguì Cladzky. Rotolò all’indietro e si mise nuovamente in piedi, cominciando a fare il trenino con Mary Pickford e via a seguire con altre star degli anni d’oro –They'll be standing in lines, For those old honky tonk monkey shines!

D’improvviso, l’uomo alle sue spalle, lo strappò dal trenino e si trovò due occhi verdi, da gatto, abbacinare i suoi, con dei ciuffi grondanti di catrame.

–Permetti un ballo?– Chiese Kishin con un sorrisetto, prima di prenderlo e, senza complimenti, fargli fare un backflip assistito e riprenderlo al volo. Questo fu solo l’inizio di una violenta Danse Apache. Cladzky fu costretto a continuare il pezzo come se fosse parte della scena.

Oh, you could study Shakespear and be quite elite– Cercò aiuto, nel mezzo di un casque, con lo sguardo a Orson Welles.

And you could charm the critics and have nothing to eat– E stavolta guardò Jean Vigo, mentre Kishin usava il suo corpo come una ramazza a terra, tenendolo per le gambe. Ma niente, nessuno avrebbe potuto aiutarlo. Poi gli cadde l’occhio, durante una spaccata involontaria, sullo stesso vassoio di prima. In un modo o nell’altro riuscì a pilotare il loro duetto in quella direzione e, infine, poggiò coscientemente un piede su di esso.

Just slip on a banana peel, the world's at your feet!– E, detto fatto, scivolò all’indietro, tirandosi dietro Kishin e, poggiandogli un piede sullo stomaco, eseguì un tomoe nage fatto all’apparenza per caso. Il sangue nero volò, non stupito, solo stufo e piombò su un carrello portavivande più in là –Make ‘em laugh, make ‘em laugh, make ‘em laugh!

Cladzky si rialzò, così come stava per fare Kishin, ma il pilota si appoggiò, guarda un po’, giusto al carrello per usarlo come base d’appoggio. Senza freni, questo scivolò via, con Kishin ancora sopra e Cladzky che cadde di nuovo lateralmente. Il carrello, invece, terminò la sua corsa oltre una siepe e giù in una vasca olimpionica là dietro.

–Tutto a posto?– Chiese Esther Williams, interrompendo la sua coreografia.

–Di lusso– Replicò il corvino, facendo bollire l’acqua da quanto si stava scaldando. Forse era giunto il momento di usare i suoi poteri.

Più sopra la festa proseguiva in un turbine di pazzia. Gene Kelly e Donald O’Connor si stavano sfidando in una gara di tap-dance sui tavoli; Harold Lloyd si era messo a fare l’equilibrista sulla testa di Constantine Romanoff; Buster Keaton rese per poco i Nicholas Brothers un trio, con comici risultati e somersault vari, mentre Chaplin si esibiva nella Titine. In tutto questo, Cladzky ne approfittò per far perdere le proprie tracce.

Make 'em roar, make 'em scream. Don't you know all the world wants to laugh?– Intonava mentre strisciava all’indietro, via dalla pista, sorpassando il pas de deux di Stan Laurel e Oliver Hardy e rubandosi un cocktail con fetta di limone da portarsi appresso. Non aveva bevuto poi molto in fondo. Un’improvvisa macchia d’inchiostro si abbattè di fronte a lui, ricomponendosi in una figura umanoide. Quest’ultima alzò un palmo e subito un tentacolo nero partì come un rampone verso il falso membro dello staff, attaccandovisi al petto e tirandolo a sè di peso. Fatto un breve volo in avanti, Cladzky si ritrovò con le mani di Kishin che gli stringevano la gola.

–Che ne dici se la smetti di cazzeggiare e permetti che noi due abbiamo una chiacchierata?– Richiese, strattonandolo con gentilezza.

My Grandpa said, "Go out and tell 'em a joke…– Fu tutto quello che riuscì a proferire prima che la presa sul suo collo venisse stretta e gli uscissero quasi gli occhi dalle orbite.

–Non ricominciare a cantare. Non voglio strozzarti, ma non mi lasceresti altra scelta.

–E poi sei pure stonato– Commentò  Debbie Reynolds, prima di tornare in pista.

Un’improvviso schizzo di acido citrico mischiato ad alcool finì negli occhi verdi del potatore di mondi. Era ridicolo, pensò Kishin, che gli avesse strizzato il limone del cocktail addosso, ma l’aveva fatto davvero. Dalla sorpresa perse la presa sul collo dell’imbucato.

...But give it plenty of hoke!"– Concluse, prima di cercare di allontanarsi ancora, venendo però trattenuto dagli artigli del corvino che gli si piantarono nel bavero.

–Gli scherzi finiscono qui– Sentenziò Kishin, perdendo il sorriso. Non gli piaceva affatto chi giocava sporco e vedeva che Cladzky non aveva perso il vizio dall’ultima volta. Lo shakerò come un Gin Fizz, al punto da sdoppiare la sua immagine, per poi tenerlo sopra la testa e centrifugarlo per bene. Quando ebbe finito si rese conto che Cladzky si era fatto più leggero del solito. Abbassò il braccio e vide che gli era rimasta solo la camicia nera in mano. Si voltò di scatto. La figura di Cladzky, a petto nudo ma con ancora la cravatta, atterrò qualche metro più in là, smorzando l’inerzia in una serie di rivoluzioni da ginnastica artistica improvvisate. Concluso, si ritrovò stordito come non mai e con molta voglia d’aria dopo quella stretta che gli aveva lasciato ancora gli occhi rossi.

Make 'em roar, make 'em scream– Cantilenò senza fiato, prima di inciampare nelle sue stesse gambe e finire sulle ginocchia di un seduto Roscoe Arbuckle. Senza remore, questo lo spedì con un calcio in petto virulentemente su uno sgabello, dove sbattè contro un ignaro Al St. John, usurpandone il posto e buttandolo fra le braccia di Lillian Marion Ball. Ripreso il fiato proseguì –Take a fall, butta wall, split a seam.

Kishin si mangiò letteralmente la camicia che gli era rimasta in mano e gli si lanciò nuovamente addosso, perdendo quasi la sua forma umanoide e divenendo un’onda di sangue nero. Cladzky sgranò gli occhi.

–Smettila di fare il buffone e ascoltami!– Gli gridò, nel mezzo di un mare di frasi sconnesse. Si gettò su di lui, ma quello aveva usato lo sgabello come un rialzo e passò sopra la sua testa con un salto. Atterrò dall’altra parte giusto in tempo per il nuovo verso.

You start off by pretending you're a dancer with grace– Cantò, schioccando i talloni l’uno contro l’altro –You wiggle till they're giggling all over the place.

–Secondo te cosa sta succedendo?– Chiese distrattamente Aswin, senza levare il suo sguardo perplesso dallo scatenato che gli stava ballando di fianco.

–Ah boh– Rispose saggiamente Axeri –Questa è una delle dimensioni più strane in cui siamo finiti.

–Ma non certo la peggiore– Fece notare il saltatore dimensionale alla sua assitente, virando la sua attenzione alla deliziosa cheesecake ai frutti di bosco che aveva nel piatto.

–Lo sai che non posso permetterti di fare quello che stai per fare– Continuò Kishin, mentre corrodeva lo sgabello fra le dita, prima di buttarne i resti e zompare di nuovo. Cladzky si guardò attorno e vide l’uomo, dalla pelle pallida, anche se non quanto quella in ceramica di Kishin, leccarsi le labbra sottili al degustare il dolce che stava già mangiando con gli occhi rosso e nocciola. Ladrocinando come al solito, il pilota glielo strappò di mano e tutto quello che occupò il campo visivo del sangue nero, fu un’improvvisa smarmellatura di cheesecake ai frutti di bosco contro cui il suo viso schiantò contro 

And then you get a great big custard pie in the face!

–E questa è una di quelle che non dovevi fare– Fumò Kishin. Ma perché stava ancora provando a salvarlo dalla sua autodistruzione? Perché non lasciare che andasse a farsi fottere da solo. Oh, al diavolo, non poteva permetterlo. Doveva ancora fargliela pagare dopotutto.

–Improvvisamente sono costretto a riconsiderare la mia opinione su questa dimensione– Borbottò Aswin a mani vuote e i coglioni già pieni.

Make ‘em laugh!– Proseguì Cladzky, prima di correre addosso il saltatore e saltargli con un piede in avanti. Questo, istintivamente, lo parò al volo, fornendogli una sorta di scaletta su cui poggiare. Kishin, toltosi i pezzi di torta dal viso, partì ancora alla carica verso i due.

–Togliti di mezzo!– Gridò Aswin, seccato, lanciandolo in aria con la sua forza sovrumana, rendendosi conto solo all’ora della locomotiva nera che gli si infranse addosso, stendendolo sulla pista da ballo. Cladzky, dopo un backflip, stavolta volontario, atterrò ridendo come un pazzo.

–La pazzia scorre nelle vene solo a uno di noi, ricordalo!– Lo minacciò Kishin prima di lanciare un altro tentacolo che lo ghermì per la cravatta. Lo trasse a sè, ma non come voleva. Cladzky si sfilò la cravatta dal collo, durante la spinta in avanti, sfruttò l’inerzia per issarsi sulle sue spalle, che usò come perno per le braccia, fare la verticale e giungere alle sue spalle. Alla fine della vicenda era Kishin ad avere la cravatta al collo.

Make ‘em laugh!– Gridò Cladzky e avrebbe riso se un calcio alla Van Damme non lo avesse spedito dall’altra parte della pista. Kishin aveva letteralmente evocato una gamba dalle sue scapole. Dopotutto era una sostanza liquida, perché non approfittarne? 

–Te l’avevo detto– Sorrise il corvino.

Già che era sulla traiettoria, Aswin lo prese al volo, ma non con le mani.

–E questo è per la cheesecake!– Gli gridò contro, eseguendo un calcio rotante alla Chuck Norris e ridirezionandolo. Concluso il tragitto con scalo, il corpo non ben in salute di Cladzky, atterrò alla base di un muro. Si rialzò a stento, vedendosi venire addosso Kishin. Provò un dribbling, ma il mietitore allargò le braccia a fisarmonica manco fosse Freddy Krueger.

–Arrenditi, sei circondato.

Make ‘em laugh!– Fu l’unica risposta di Cladzky mentre quel toro di sangue nero gli piovve addosso. Gli voltò le spalle e corse contro il muro, considerando che i mattoni sarebbero stati preferibili al ben più duro Kishin. Stava per rimanere schiacciato fra due forze inamovibili e senza vie di fuga a livello dell’aria. Ma chi aveva detto che doveva rimanere a livello dell’aria? Corse e saltò. Mise un piede sul muro, poi, senza perdere l’attrito, seguì il secondo. Era parallelo al terreno. Si spinse via. Era a più di due metri d’altezza. Atterrò, nel momento stesso in cui sentì un tremendo SPLAT. Quando le ginocchia si ripresero da quell’impatto alzò gli occhi. Kishin si era spatafasciato sul muro in una macchia nera. L’aveva schivato. Aveva eseguito un wall jump. Si voltò verso un pubblico che applaudiva per quell’esibizione che credeva coreografata ed espose i suoi ultimi versi.

Make ‘em laugh, make ‘em laugh, make ‘em laugh!– E detto questo fece un rapido inchino e sparì con uno scatto via dalla pista.

–Bah, l’esecuzione del salto era un po’ acerba– Mormorò O’Connor a Kelly.

Kishin rimase ancora un po’ appiccicato al muro. Non perché non potesse staccarsi ma era stanco. Non fisicamente, era solo stanco di salvargli il culo. Se voleva fare la sua figura demmerda la facesse pure. Però lo smacco di farsi giocare così era piuttosto forte.

–Alor– Fece Szymon, apparendogli alle spalle. Subito Kishin si riacquisì spessore e si rassettò i vestiti.

–Sei stato invitato anche tu?

–Certo che no, una divinità non si invita, si presenta  e basta.

–Sei qui per dirmi qualcosa?

–No, solo per osservare da vicino i tuoi sforzi.

–Ti va di darmi una mano?

–Diavolo, no, è troppo divertente vederti provare da solo.

–Sei sempre pieno d’amore, papà.

–Potrei dire lo stesso, ma lo so che non è vero.

–Non essere ingiusto. Qualcuno lo amo.

–Ti riferisci al castano che inseguivi?

–Lo sai che mi riferivo a Raven.

–E allora perché perdi tempo con quel tipo?

–Perché so che ha in programma di rovinare la festa per tutti e nessuno ha bisogno di problemi del genere dopo la crisi che è avvenuta.

–Ci tieni proprio ai tuoi compagni della Lucas Force.

–Dopo aver passato tanto tempo con gente migliore di me comincio a capire il loro valore. Non mi garba che qualcosa gli vada storto proprio ora che siamo tutti allegri. Beh, quasi tutti.

–Non è solo questo vero? Quel qualcuno viene dal tuo passato.

–Un passato che devo correggere. Ci siamo già incontrati e devo fargliela pagare. Non siamo mai riusciti a batterci lealmente.

–Neppure questo lo era?

–Lo hai visto anche tu immagino. Ha riso per tutto il tempo.

–Non lo fai anche tu?

–Il mio riso è diverso. Io rido perché godo della battaglia, lui ride perché non prende nulla sul serio. Io odio la gente che non prende sul serio la violenza, non si rende conto delle conseguenze delle loro azioni.

–Hai proprio un bel concetto di onore tu. Incontrarti con Raven ti ha proprio resa una persona…

–Migliore?

–Non esiste migliore o peggiore. Diciamo più profonda.

–E ora che farai?

–Io? Sto a guardare. Vuoi dei pop-corn?

–Al sangue d’agnello?

–Ovvio, è il mio gusto preferito.

–Allora li voglio.

–Peccato, sono per me– E detto questo, Szymon sparì senza lampo o nuvola di sorta. Semplicemente non era più lì. Kishin, dall’umore inalterato, prese a scalciare una lattina di nuka-cola da terra.

–Tutto bene?– Gli chiese Aswin, raggiuntolo dopo quella baruffa.

–Mah, diciamo che mi turba aver fatto una figura del genere di fronte a mio padre.

–Oh, non sarà certo questo a rovinare il vostro rapporto– Rimuginò il saltatore, alzando i capelli color cioccolato al latte al cielo.

–In effetti neppure provare a ucciderlo appena nato lo ha impensierito– Rise Kishin.

–Dovete proprio andare d’accordo voi– Sospirò l’altro, sempre guardando la volta stellata. Era ormai l’una di notte –Fidati, goditi i tuoi cari finché li puoi avere vicini.

–Sembri parlare per esperienza.

–Oh, lasciamo perdere– Scosse la testa Aswin.

–D’accordo– Sbuffò Kishin –Bel calcio il tuo.

–Oh, non era nulla di che. Dovresti vedere quando combatto sul serio.

–Spero di vederlo presto– Sogghignò Kishin. Lasciarono anche loro la pista da ballo. Dopo una breve pausa giunse Deadpool in scena, entrando con un moonwalk.

–Parli sempre di mosse e stili, ma puoi battere il mio?– Chiese, esibendo una posa e guardando con aria di sfida Alexander Diamond.

–Chiudi quella dannata bocca, per diana– E si lanciò in una serie di giravolte da cosacco, prima di piantargli un sonoro calcio dall’alto sulla cervice.


***


–Altolà!– 

–E tu che vuoi?– Chiese di rimando Cladzky a uno scheletro animato in stop motion, armato di scudo con sopra stampato “STEWARD”.

–Lo staff non può lasciare la sua postazione senza una motivazione valida.

–Mia figlia ha avuto un brutto incidente e devo correre in ospedale.

–Saresti il secondo stanotte– Rise lo scheletro, battendo i denti.

–Se fossi un invitato potrei andare dove mi garba immagino.

–Ma invece sei un dipendente e te ne stai al tuo posto. E vedi di trovare qualcosa da mettere su quelle ossa, Mr. Muscolo.

Cladzky si allontanò, mani in tasca. La mancanza di una maglietta cominciava a mettergli freddo.

–Ma come diavolo lo trovo ora Gyber?– Alzò le mani all’aria, per poi, improvvisamente, vedersi piovere un vestito in faccia. Se lo studiò. Era una tunica bianca ben poco modesta. Guardò in alto e vide solo una finestra aperta.

–Conveniente– Considerò.

–Soprattutto ai fini di trama– Aggiunse Deadpool, prima di teletrasportarsi via nuovamente, con Alexander che provava a cavargli gli occhi a mani nude.

   
 
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