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Autore: edoardo811    19/12/2021    3 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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VIII

Alcune regole sono fatte per essere infrante



Kiana sapeva che sarebbe finita nei guai per aver steso quei due. Insomma, avevano appena subito un attacco, il primo dopo non sapeva nemmeno quanto tempo, e lei aveva avuto la brillante idea di buttare giù come birilli le guardie della Principia, che mai come in quel momento davvero dovevano essere vigili e attente.

Forse era stato il loro commento sulla Quinta Coorte a infastidirla. Forse.

In ogni caso, Camille era sembrata così turbata che pur di aiutarla avrebbe steso altre cento di quelle guardie se fosse servito. Quando aveva sentito che cosa aveva visto in quel sogno era rimasta sconvolta. E se era successo a lei, non poteva nemmeno immaginare che cosa stesse provando Cam, la figlia della dea che era stata rapita.

Mentre aspettava la sua amica, il sogno che aveva fatto prima di essere svegliata ritornò nella sua mente.

 

***

 

Non era stato il classico sogno da semidei. Non aveva visto nel futuro, né scene che stavano accadendo in quel momento ma da qualche altra parte: aveva visto il passato. 

Si era rivista da bambina, di fronte allo specchio di quel suo bagno grande quanto una sorgente termale, mentre si sistemava l’hijab sopra i ciuffetti ribelli. Suo padre l’aveva raggiunta poco dopo, scrutandola tramite il riflesso con uno scintillio astuto negli occhi.

«Brava la mia piccola» le aveva detto in inglese, accarezzandole la testa.

Era certamente un bell’uomo, Amir Farhat. Alto, ben definito, sempre elegante e con un sorriso di cortesia stampato sul volto dalla barba rada. Ed era certamente anche suo padre: avevano la stessa forma del naso e degli occhi e lo stesso neo sopra il labbro. Questo, però, un estraneo non avrebbe mai potuto saperlo, visto che raramente lui c’era per lei. Aveva sempre lasciato fare tutto alla badante, o al maggiordomo, o all’autista o chi per loro. Loro l’avevano sempre accompagnata a scuola, andati a prenderla, portata a casa delle compagne di classe, al cinema, ovunque lei avesse desiderato, insomma. Era praticamente stata cresciuta da altri.

«Allora, Kiana, che cosa dirai agli zii e ai nonni, oggi?»

«Che abbiamo recitato la ṣalāt questa mattina presto, fatto colazione insieme e poi recitato il Corano.»

«Quale verso?»

Kiana aveva ripetuto il verso a memoria, come suo padre l’aveva istruita. L’uomo aveva annuito soddisfatto, come se lei avesse appena superato un test, e l’aveva accarezzata di nuovo sopra il velo. «Brava, piccola mia. Comportati bene e obbedisci agli zii in mia assenza.»

«Tu non vieni?»

«No. Devo lavorare.»

Kiana aveva annuito senza dire altro. Ormai conosceva la prassi. Da quando il nonno si era ammalato, suo padre si dedicava anima e corpo all’impresa di famiglia, trascurandola ancora di più di quanto già facesse. 

«Però lo sai che penserò ad Allah tutto il giorno, vero?» Non era sembrata nemmeno una domanda, ma più una sfida ad affermare il contrario. 

Kiana, come lui le aveva insegnato, aveva annuito di nuovo. «Sì. Lo dirò ai nonni.»

Un’altra carezza sulla testa. «Brava.»

Amir era quindi uscito dal bagno, lasciandola sola, e la bambina si era osservata allo specchio, chiusa in quel vestito lungo, che le copriva il corpicino intero. Si era sfilata l’hijab per studiarlo con occhi spenti, tristi. 

Si era sempre domandata che senso avesse tutto quello. Perché suo padre aveva sempre dovuto mentire in quel modo? A lui non era mai importato nulla di tutto quello. Non gli era mai importato della fede, della religione, delle tradizioni, era sempre stato spinto solo dall’avidità, dal denaro, dal successo. 

Perché era sempre stato così importante per lui apparire come un’altra persona di fronte agli altri?

I pensieri di Kiana si erano interrotti quando il suo maggiordomo, Rashid, l’aveva chiamata. A quel punto si era rimessa il velo e aveva lasciato il suo lussuosissimo bagno.

 

***

 

La ragazza si strinse nelle spalle. Ogni volta che pensava a suo padre, ricordava scene come quella. Lei che, come un soldatino, appariva come una figlia perfetta agli occhi degli altri per far fare a lui bella figura.

Aveva trascorso una vita di menzogne e bugie per causa sua, questo finché lui non l’aveva portata alla casa del Lupo e abbandonata lì come un cucciolo trovatello. Non aveva idea di che storia avesse raccontato ai loro parenti per giustificare la sua “scomparsa”, e nemmeno le interessava.

I gemiti delle due guardie la fecero distogliere da quei pensieri.

«Smettetela di lamentarvi» borbottò incrociando le braccia e scrutandoli dall’alto. Certo che per essere addetti alla sicurezza di uno dei luoghi più importanti del Campo Giove, erano piuttosto scarsini. E avevano pure il coraggio di dirne a proposito della Quinta Coorte. «Era un’emergenza. La mia amica aveva bisogno di vedere i pretori.»

Uno di loro, Kiana non seppe quale perché erano grossi uguali e con indosso la stessa armatura, le lanciò un’occhiataccia. «Lo diremo ad Ashley» sibilò.

Kiana sollevò le spalle. «Che sei stato steso con un colpo solo? Certo, accomodati pure. Sono sicura che non vede l’ora di rimpiazzarti con qualcuno di più… adatto» concluse, con un sorrisetto beffardo. Se voleva zittirlo ci riuscì in pieno, perché quello sembrò avvampare e si riguardò dal dire altro.

Le porte della Principia si spalancarono in quel momento, eruttando fuori più o meno tutte le persone che Kiana avrebbe voluto vedere meno in assoluto, mancavano giusto Maxwell e i suoi lacchè. Tutti i centurioni delle cinque coorti, eccetto Kyle e Allen, osservarono allibiti la scena di lei che torreggiava sopra le due guardie.

«Ma… ma che è successo qui?!» domandò uno di loro.

Kiana notò tutti i loro sguardi critici, incluso quello di Marianne, e realizzò di essere in un bel guaio. Sfoderò il suo miglior sorriso innocente e disse: «Ragazzi, non vi sembrerà vero, ma quando sono arrivata qui ho trovato questi due già a terra.» Indicò le due guardie, che fecero versi indispettiti. «E allora ho deciso di rimanere nei paraggi, casomai chiunque li abbia attaccati si rifacesse vivo. Sono stata brava, vero?»

Da come la squadrarono, intuì subito che nessuno se l’era bevuta.

Beh, c’ho provato.

«Questa volta non la passi liscia, Farhat!» sbottò quella vacca di Hailey Spears, della Seconda Coorte, vestita da testa a piedi in panoplia per nascondere i denti storti, le pustole sulle guance e quella cartapesta rossiccia che aveva al posto dei capelli. «Sono stanca di vederti girare come se fossi la padrona di questo posto! Non appena Ashley avrà finito con la tua amichetta noi…»

«Me ne occupo io» affermò Marianne, facendo un passo avanti e alzando una mano. «È nella mia coorte, è mia responsabilità.» Si avvicinò alla figlia di Venere e la afferrò per il braccio senza troppi complimenti. «Andiamo, Farhat.»

«Aspetta! Cam è ancora dentro, non posso…»

«Ora.» La voce di Marianne non ammise obiezioni. Kiana sapeva di poter vincere una discussione con lei, se davvero avesse voluto, tuttavia sapeva riconoscere quando Mary era tesa, e in quel momento lo sembrava eccome.

«Sissignora» borbottò, prima di lasciarsi trascinare via dalla Principia, ma non senza che potesse rivolgere un saluto militare agli altri centurioni, specialmente a quell’oca di Hailey che ancora la osservava furibonda.

«Dovresti metterci il guinzaglio ai tuoi compagni» sbottò Cassie Collins, mentre si allontanavano. Kiana si voltò e fece per risponderle che l’unica con un guinzaglio era lei, con scritto sopra “Proprietà di Ashley Flare”, ma Mary le strinse con forza il braccio e scosse la testa, intimandole di stare zitta.

«Perché lasci sempre che ci parlino così?» domandò Kiana, adirata, una volta che furono abbastanza lontane.

«E tu perché non riesci a comportarti come una persona civile?» ribatté Marianne, prima di sospirare. «Avrei dovuto sapere che c’era il tuo zampino dietro l’irruzione di Gray.»

Kiana sentì il palato farsi amaro all’improvviso. «Puoi anche chiamarla per nome, sai? O siamo diventate così insignificanti per te?»

Si aspettò una reazione da lei, una qualsiasi, invece nulla.

«Visto che hai parecchio tempo libero, ho un incarico per te. Serve qualcuno sulle torri di guardia.»

La figlia di Venere non seppe se definirsi più infastidita da quell’indifferenza o da quell’incarico. «Posso gentilmente rifiutare?»

«No.»

«E ti pareva.»

Marianne non la lasciò andare anche se aveva dimostrato di essere collaborativa. Forse per precauzione, ma Kiana preferiva pensare che in realtà a Mary piacesse toccarle il bicipiteLa accompagnò alla scaletta della torre di guardia ad ovest, che si affacciava sul Piccolo Tevere.

«Sai già come funziona. Se noti minacce, suona il corno.» Marianne accennò con il pollice alla scala. «Tra qualche ora manderò qualcuno a darti il cambio.»

«Che significa “qualche ora”?»

«Non lo so. Qualche ora. Siamo tutti quanti un po’ incasinati, come vedi.» Mary accennò alla via affollata di legionari che trasportavano compagni caduti avvolti in drappi funebri e altri che andavano e venivano dall’infermeria o dall’armeria, chi tutto intero e chi non proprio.

«Ci vediamo dopo.» Marianne se ne andò senza dire altro e la figlia di Venere afferrò i pioli con un sospiro.

Arrivò in cima alla torre e si sedette sullo sgabello accanto ad un tavolino basso, con appoggiati sopra il corno da suonare per dare l’allarme e un bicchiere della mensa vuoto. Afferrò il secondo e gli ordinò di riempirsi di cherry coke, poi cominciò a sorseggiare mentre fissava a malavoglia il Piccolo Tevere in lontananza. Erano passate poche ore dall’attacco, e il fiume sembrava ancora inquieto. L’acqua era calma ma pareva una calma fittizia, come se stesse per implodere da un momento all’altro. O forse la sua era solo suggestione.

Una parte di lei avrebbe voluto infischiarsene e rimanere ad aspettare Cam fuori dalla Principia, un’altra sapeva che Marianne le aveva affibbiato quell’incarico solo per non farla finire nei guai con gli altri centurioni.

In ogni caso, dubitava che Camille avrebbe cavato un ragno dal buco, parlando con Ashley di quello che aveva visto. Il campo era un delirio, presto tutta la faccenda sarebbe stata portata al Senato e sicuramente qualche testa sarebbe rotolata. Ancora non riusciva a credere che quei mostri si fossero avvicinati così tanto al campo senza che nessuno se ne accorgesse.

O meglio, qualcuno se n’era accorto, ed era sopravvissuto per miracolo. Anche lei non era riuscita a rimanere indifferente alla vista di Travis ridotto in quelle condizioni. E Kyle non era stato molto ottimista riguardo. Non l’aveva detto a David per non distruggerlo più di quanto già non fosse, ma Kiana dubitava che Travis sarebbe arrivato al giorno dopo.

Aveva visto anche altri ragazzi cadere per poi non rialzarsi più, durante la battaglia. La Quinta Coorte era rimasta intatta, ma le altre non erano state così fortunate, nemmeno le prime. Le rive del Piccolo Tevere erano sporche del sangue di tutti i legionari caduti. Le coorti per loro non contavano più, ormai. Si augurò che trovassero la pace nell’aldilà, a prescindere dalla coorte di appartenenza. Era solo uno stupido numero, alla fine, che per qualche motivo aveva molto più peso di quanto in realtà avrebbe dovuto averne.

Fece vagare lo sguardo sulle colline e andò anche oltre, fino a scorgere il profilo distante dell’autostrada che portava a San Francisco. Se Camille aveva detto la verità, e se davvero la Foschia era svanita, allora non sarebbe passato molto prima che i mortali si accorgessero del Campo Giove. Magari l’avrebbero scambiato per un magazzino, o cose del genere, ma lo stesso non sarebbe mai e poi mai successo con Nuova Roma.

Spostò lo sguardo verso la città, che sembrava farsi ogni giorno più grande, per accogliere sempre più semidei in “pensione”. Quella non sarebbe mai passata inosservata. I mortali si sarebbero accorti molto presto di avere una vera e propria “Mini Roma” a pochi chilometri di distanza da San Francisco, con tanto di acquedotto e Colosseo, e a quel punto come avrebbero reagito? Sarebbero arrivati in massa a curiosare, e poi, quando avrebbero visto anche il Campo Giove e scoperto che era abitato da ragazzi che amavano andarsene in giro in panoplia e armati di antiche armi romane d’oro purissimo, che diamine avrebbero fatto?

Forse era proprio di questo che in quel momento Camille e Ashley stavano discutendo. Di una cosa poteva essere certa, Ecate andava trovata al più presto, da loro, dagli dei, o dai greci, non aveva importanza, ma andava fatto. Con tutta probabilità, sarebbe dovuta essere Cam ad andare a cercarla: era sua figlia, dopotutto, l’aveva sognata per un motivo, e si era sentita malissimo all’improvviso, così dal nulla, proprio poco prima di scoprire che sua madre era stata rapita.

Se davvero sarebbe toccato a Camille andare a cercarla, Kiana l’avrebbe seguita. Non riusciva nemmeno a immaginare quello scricciolo di ragazza in un’impresa, da sola oltretutto. Le avrebbe guardato le spalle, come aveva sempre fatto e come, era certa, Camille avrebbe fatto per lei a ruoli invertiti.

Il cielo grigio coperto di nubi cominciò a scurirsi, segno che la giornata stava volgendo al termine. Era autunno, l’inverno era alle porte, il sole si tratteneva sempre meno e le notti si allungavano. A quel pensiero, le tornarono in mente le parole di Clizio. Notte Eterna. E per una sorta di qualche fortuita coincidenza, mancavano appena due mesi al famoso solstizio d’inverno, la notte più lunga di tutto l’anno.

Già, proprio una bella coincidenza. Non potevano mica essere collegate le cose, no? Che sciocca che era a pensarlo.

Trangugiò la bibita con una smorfia infastidita. Quanto tempo erano stati in pace, vent’anni? Trenta? Quaranta? Perché proprio quando lei era una legionaria dovevano ricominciare i problemi? Spostò lo sguardo tra le nubi. Si domandò come avrebbe reagito lei se la dea rapita fosse stata sua madre. Si sarebbe preoccupata tanto quanto Cam? Non ne aveva idea.

Camille ammirava Ecate, o Trivia, non ne aveva mai fatto un segreto. Kiana non era certa di poter dire lo stesso. Da quando era stata riconosciuta tutto quanto le era franato sotto ai piedi. Nessuno la prendeva più sul serio, lo facevano da davanti, perché faceva paura con la sua altezza e il suo fisico, ma lo sapeva quello che dicevano alle sue spalle. Era una figlia di Venere, una bambolina, anzi, una bambolina fit.

Glielo do in testa il “fit”, a quelli…, pensò, stringendo i pugni per la rabbia.

Un rumore alle sue spalle la fece voltare di scatto. Vide la testa mora di Marianne fare capolino dalla scaletta e rimase immobile. Era rimasta così presa dai suoi pensieri che non aveva nemmeno fatto più davvero caso ad eventuali minacce. Per fortuna tutto attorno al campo sembrava tranquillo, quindi non avrebbe potuto coglierla in flagrante.

«Devo già scendere?» domandò, stupita. Non le era sembrato di essere rimasta lì tanto a lungo.

Marianne finì di salire e andò ad affacciarsi oltre la sporgenza della torre. Non le rispose subito, prima diede anche lei una rapida occhiata ai dintorni.

«Hai notato nulla?» chiese, ignorando la sua domanda. «Mostri superstiti, movimenti sospetti, altre minacce?»

«Tutto libero.»

Mary continuò a scrutare l’orizzonte, assorta, il viso che pareva quello di una statua di ceramica, inespressivo, pallido, ma così bello da parere scolpito. Affondò le mani sul cornicione, rigida e severa come poche volte l’aveva vista. Per un lungo momento, gli unici suoni a riempire l’aria furono il fruscio del vento leggero che tirava in cima alla torre e il vociare che arrivava dalla Via Principalis. Kiana la studiò incuriosita e anche, un po’, preoccupata. Non aveva mai visto quella ragazza così impensierita. Eppure, in qualche strano e incomprensibile modo, rimaneva comunque affascinante.

O almeno, l’avrebbe pensato se non l’avesse piantata in asso.

«Allen si ritira» disse Marianne all’improvviso, rompendo quel silenzio.

Quell’affermazione così dal nulla colse Kiana alla sprovvista. «Che cosa?»

«Allen si ritira. Ormai ha fatto abbastanza anni di servizio. Inizierà il college a Nuova Roma» spiegò Marianne, stringendo le mani a pugno.

«Un momento… adesso? Dopo un attacco diretto?!» domandò Kiana, sorpresa. «Ma i mostri potrebbero tornare! Non può andarsene così!»

«È quello che ho cercato di dirgli, ma non ha voluto sentire ragioni. Credo che quello che è successo a Travis l’abbia sconvolto più di quanto non dia a vedere.» Marianne non sembrava arrabbiata per la cosa, sembrava solo tesa. E soprattutto sembrava che ci fosse anche altro che voleva dire.

Kiana la affiancò, appoggiandosi al cornicione come lei. Malgrado la battaglia appena vissuta, emanava un odore gradevole. Non che le importasse.

«E adesso che farai?» le domandò.

Mary si strinse nelle spalle. «Da sola non posso gestire una coorte. Qualcuno dovrà sostituire Allen.»

«Hai già qualche idea su chi potrebbe farlo?»

La figlia di Bellona si voltò verso di lei. «A te andrebbe?»

Kiana schiuse le labbra per lo stupore, colta alla sprovvista da quella richiesta così improvvisa. «Ma… pensavo che ci volessero un maschio e una femmina.»

«Di solito è così, per tenere le cose in parità, ma non c’è nessuna regola ad imporlo. Pensavo che… insomma…» Marianne esitò, prima di rilassare le spalle con un lungo sospiro. «Pensavo che così avremmo potuto di nuovo essere insieme.»

La confessione rimase ad aleggiare nell’aria ancora per qualche istante, mentre Kiana si riprendeva dallo stupore. Abbassò gli occhi, sentendo una stretta allo stomaco, e si mordicchiò un labbro. Aveva passato settimane, mesi, a sognare un momento come quello solo per poterle dire un secco “No”, per farla sentire proprio come si era sentita lei, eppure c’era qualcosa che la frenava. E quel qualcosa era la consapevolezza che Mary si sentisse in colpa almeno tanto quanto lei si sentiva triste ogni volta che pensava a come le cose tra loro fossero finite.

Mary era una figlia di Bellona, era nata per quello, per il comando, per essere un leader e per ispirare gli altri. Era inevitabile che prima o poi sarebbe diventata centurione, e soprattutto che tentasse di riportare a galla la Quinta Coorte. Era lo stesso motivo per cui non era mai salita di coorte, e anche per cui aveva rifiutato di unirsi prima alle Cacciatrici e poi alle Amazzoni. Magari sognava anche di essere pretore, un giorno. E non c’era niente di sbagliato in tutto quello.

Lo stesso non si poteva dire per Kiana. Non era mai stato nei suoi piani quello di diventare centurione, o addirittura pretore. Non era mai stata ambiziosa come Cam, o Mary. L’idea di trascorrere più tempo con lei però non suonava male. Allo stesso tempo, se l’avesse fatto avrebbe dovuto mollare Cam proprio come Mary aveva fatto con lei, e qualcosa la frenava anche dal fare quello.

«Non… non saprei» mormorò. «Non mi ci vedo affatto come centurione. Nessuno mi prenderebbe sul serio. La ragazza che tutti vorrebbero che dà gli ordini. Riderebbero tutti alle mie spalle.»

«Certo, riderebbero di te prima di essere presi a calci nel sedere» sbottò Mary. «Non dare retta a quegli idioti, Kiana. Sei una guerriera eccezionale. Nella battaglia sei stata grande, e sai anche come farti rispettare. Saresti un ottimo centurione.»

Kiana avvertì una fitta al petto udendo quelle parole. Si ritrovò a sorriderle senza nemmeno accorgersene, gesto che Mary ricambiò.

«Grazie» mormorò imbarazzata. Ripensò al modo in cui Marianne aveva combattuto armata prima di soltanto quel pugnale, e poi con indosso soltanto l’elmetto. La sua voce risuonava ancora nitida nella sua mente, assieme al modo in cui aveva guidato la Quinta Coorte con coraggio e determinazione. Anche lei era una guerriera eccezionale, ma dopotutto ce l’aveva nel sangue. «Anche tu sei stata grande. E… sono felice che tu stia bene.»

«Anch’io.»

Le due ragazze si scambiarono un altro sorriso e Kiana avvertì di nuovo quel bruciore al petto che già una volta l’aveva colta in castagna, come un fulmine a ciel sereno.

«So che non è una domanda semplice a cui rispondere così su due piedi» proseguì Marianne, riportando l’attenzione sul fiume. «Pensaci, ok? E fammi sapere cosa decidi.»

«Certo.»

Rimasero di nuovo in silenzio, a scrutare il paesaggio. Kiana si rese conto di avere il cuore che batteva e si domandò se per Mary fosse lo stesso.

«Ci… ci sono stati danni a Nuova Roma?» domandò.

«Alcuni mostri si sono avvicinati mentre noi eravamo distratti, ma sono stati polverizzati da Terminus.»

«Terminus sta bene?»

«È un dio. Certo che sta bene.»

«È una testa su un piedistallo» corresse Kiana. «E il suo aiutante è un moccioso sdentato. Perdonami se mi preoccupo.»

«Hai sempre avuto un debole per lui.»

«Che posso dire, mi piacciono gli uomini tutti d’un pezzo.»

Mary le diede una spintarella, ridacchiando. Kiana replicò con un sorrisetto, anche se vederla con quell’espressione rilassata le fece molto più bene di quanto avrebbe potuto immaginare.

«Comunque, ho sentito che si sono presi tutti un bello spavento, e a ragione» proseguì il centurione, riacquisendo una smorfia preoccupata. «Credo proprio che domani si terrà un’udienza al Senato per discutere la situazione.»

«Forse ci sarà un’impresa» osservò Kiana.

«Un’impresa? E perché?»

La figlia di Venere avrebbe voluto darsi una sberla. Marianne non poteva sapere dell’incubo di Cam, l’aveva raccontato solo a lei. Ormai, era troppo tardi, e intuì subito di aver lasciato trasparire più del dovuto, perché Mary assunse la sua classica espressione da Centurione Hartman. «Che cosa mi nascondi, Farhat?»

Pure il cognome. Faceva davvero sul serio. Kiana sapeva che non sarebbe riuscita a nasconderle la verità. Si voltò verso di lei, ma un istante prima che potesse spiccicare tutto, si accorse di qualcosa di assolutamente incredibile. In lontananza, vide due puntini quasi impercettibili, ma non a lei: Camille e Dante che correvano, mano nella mano, verso il Tempio di Giove Ottimo Massimo.

Uno stecchino alto un metro e novanta e una crocerossina di trenta centimetri più bassa di lui.

Un sorriso che andava da orecchio a orecchio le apparve sul volto.

«Cosa? Che hai visto?» domandò Marianne, osservando verso la stessa direzione, prima di schiudere le labbra. «Ma… ma che stanno facendo?!»

«Andiamo a scoprirlo!» Kiana andò verso la scala senza nemmeno attendere risposta.

«Ehi! Fermati, Farhat! Non puoi lasciare la postazione scoper…»

Kiana cominciò a scendere prima che Mary finisse la predica. Non le importava un accidente del turno di guardia, doveva scoprire cosa stava combinando Cam con quel pazzoide. Riuscì a sentire il sospiro esausto di Marianne e alzò la testa, accorgendosi di come anche lei stesse scendendo. «Ritiro tutto, saresti un pessimo centurione…»

«Anch’io ti voglio bene.»

Mentre accelerava il passo lungo la Via Principalis, riuscì ad udire alle sue spalle Marianne che ordinava al primo poveraccio della Quinta Coorte che passava di lì di andare sulla torre di guardia senza fare storie, o si sarebbe ritrovato a pulire le stalle per il resto della vita. Le scappò un ghigno divertito e affrettò il passo, conscia del fatto che anche Mary, per quanto si sforzasse di negarlo, era curiosa tanto quanto lei.

Dei, quanto amava la Quinta Coorte.

Le due ragazze imboccarono la strada verso la Collina dei Templi. Kiana non ci passava spesso da quelle parti, perciò si ritrovò a indugiare con lo sguardo verso il tempio dedicato a Venere, con statue di marmo raffiguranti la dea e colonne bianche ed eleganti. Non era maestoso come i templi dedicati a Giove, Marte o Bellona, ma rimaneva comunque uno dei più importanti templi nella collina, molto più di tanti altri dei. Venere, nel bene e nel male, era sempre stata una dea rilevante, sia tra i greci che tra i romani. E poi Roma era stata fondata da un figlio di Venere, un dettaglio piuttosto ingombrante a cui spesso in molti cercavano di non pensare.

Passarono anche accanto al Tempio di Bellona. Una costruzione imponente, con colonne altissime, statue d’oro afflisse agli angoli del tetto e un intaglio nel marmo sulla parete frontale che raffigurava Bellona stessa, nei panni di una donna in armatura, armata di lancia e scudo, con il volto coperto da un elmetto e un’espressione severa e autoritaria che Marianne sembrava copiare a piè pari ogni volta che doveva dare un ordine a qualcuno.

Mentre si avvicinavano al Tempio di Giove Massimo, entrambe si paralizzarono alla vista di qualcuno che stava sbirciando dentro, nascosto dietro alle colonne.

«Zombie?!» domandò Kiana, facendo sobbalzare Daniel.

Si voltò verso di loro con gli occhi iniettati di sangue e la piega del cuscino ancora sui capelli. Sembrava caduto dal letto prima di precipitarsi lì.

Anche Marianne era stupita. «García, cosa stai…»

Lui si portò l’indice sulle labbra e accennò al tempio con la testa. Da dietro le colonne, provenne la voce agitata di Camille: «Guarda che non funziona così!»

«Ah no?» Questo era Dante, che invece pareva confuso.

«No! Per uscire dal campo ci vuole un’impresa! Bisogna presentare la questione al Senato, e soltanto dopo, se il Senato accetta, potrò andarmene!»

Kiana corrucciò la fronte. Ma di che diamine stavano parlando? Si scambiò un’occhiata perplessa con Mary, che sembrava confusa tanto quanto lei. Si avvicinarono all’ingresso del tempio e affiancarono Daniel. Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti e tre tesero le orecchie.

«Che ci fai qui?» bisbigliò Kiana a Daniel.

Lo zombie esitò. «Ero… qui per caso, e li ho visti entrare, così sono venuto a… ehm…»

«A ficcanasare» concluse Kiana, prima di sorridere divertita. «Non ti facevo interessato agli intrighi amorosi di Cam, zombie.»

«C-Cosa? N-No, io stavo solo…»

«Zitti voi due» sbottò Marianne, che tra tutti sembrava la più interessata a quello che stava accadendo nel tempio. Naturalmente avrebbe negato fino alla fine dei tempi se Kiana gliel’avesse fatto notare.

«Dicevo, non puoi andare da Ashley» stava dicendo Dante. «Te l’ho già detto prima, lei non voleva nemmeno che venissi a parlarti della profezia.»

Profezia?! 

Kiana e Marianne si scambiarono un altro sguardo. Quindi quei due non erano scappati per pomiciare di nascosto nel tempio. La figlia di Venere doveva ammetterlo, si sentiva un po’ delusa.

Si sporse con lo sguardo e vide Dante afferrare la mano di Camille. Avvertì gli occhi inumidirsi. La sua amica crocerossina assieme a un ragazzo. Le sembrava giusto ieri quando lei se ne stava lì a perdere la testa per Daniel, o per Elias.

Come crescono in fretta.

«Andiamo» borbottò Marianne all’improvviso. Kiana fece per gridarle di non farlo, di non rovinare il momento tra quei due, ma l’impicciona ormai era già partita.

«Che sta succedendo qui?» domandò, ad alta voce.

Entrambi gridarono di terrore, lasciandosi le mani. Camille era così rossa da sembrare un gamberetto bollito. Non appena si accorse del sorriso sornione di Kiana, sembrò voler sprofondare sotto terra.

Dante agitò le mani all’impazzata. «N-Niente! Non sta succedendo niente!»

Era chiaro che non conoscesse Mary: dirle “niente” equivaleva a dirle “stiamo tramando qualcosa di losco, per favore ficca ancora di più il naso, grazie!”

«Vi abbiamo visto correre qui…»

«Mano nella mano» si intromise Kiana, beccandosi un’occhiataccia sia da Mary che da Cam.

«… e vi abbiamo sentito parlare di profezie, e imprese» concluse il centurione. «D’Amico, esigo sapere di cosa stavate parlando.»

Dante sembrava volersi mangiare una mano per la tensione. Era impallidito di colpo e scrutava i nuovi arrivati come se fossero stati appena eruttati dal Tartaro. La cosa più divertente di quella faccenda era che, in quanto augure, avrebbe potuto ordinare a tutti loro di smammare, Mary inclusa, ma sembrava terrorizzato, da lei soprattutto.

«Dante…» cominciò Camille. Gli posò una mano sulla spalla, facendo sogghignare di nuovo Kiana. Lei se ne accorse e fece di tutto per ignorarla. «Sono miei amici. Possiamo fidarci di loro. Non parleranno con nessuno di questa faccenda. Vero?» Lanciò un’occhiata eloquente a Kiana, come se in realtà si stesse riferendo solo a lei.

La figlia di Venere si portò una mano sul cuore. «Non mi permetterei mai.»

«Facciamo così» si intromise Marianne, incrociando le braccia. «O mi dite tutto, subito, oppure vado a riferire quello che ho sentito ad Ashley e chiedo a lei se può illuminarmi.»

Dante scattò come una molla. «NO! Va bene, va bene, vi dico tutto, ma niente Ashley!»

Nemmeno a Kiana piaceva Ashley, però quella reazione le sembrò un po’ eccessiva.

Nei minuti successivi, rimasero in silenzio ad ascoltare il resoconto di Dante e il sogno di Camille. Kiana di questo era già a conoscenza, quindi non se ne curò molto, anche se comunque l’immagine di Ecate, di qualsiasi dea in realtà, in catene, continuava a turbarla.

A racconto concluso, Marianne si affondò le dita nelle braccia. «Quindi è così che sono entrati nel campo» mormorò, per poi tendere una mano verso Dante. «Posso leggere la profezia?»

«Ehm… in realtà solo l’augure dovrebbe…»

«Ora, D’Amico!»

«S-Sì! Non c’è bisogno di urlare!»

Dante le passò il foglietto senza dire altro e la figlia di Bellona lo esaminò con attenzione, nel silenzio che era calato nel tempio. Kiana sbirciò da sopra la sua spalla e schiuse le labbra. Il velo invisibile, la dea imprigionata… la “minaccia più temibile”… niente di tutto quello prometteva bene.

«Perché non vuoi che Ashley sappia di tutto questo?» domandò Marianne, sollevando un sopracciglio.

«N-No, Ashley sa già tutto» rispose Dante. «Però non… non vuole che io parli della profezia con qualcun altro.»

«Perché?»

«I-Io non… non posso dirlo…»

Kiana si accorse della sua espressione tesa. Stava scrutando tutti loro come se stessero cercando di disinnescare, bendati, una bomba di fronte a lui.

Daniel fece un passo avanti, cogliendola alla sprovvista: si era perfino dimenticata che c’era anche lui.

«Perché Ashley non vuole che noialtri sappiamo le cose?» domandò diffidente. «Per caso c’entra con quello che ti ha fatto Elias questa mattina?»

L’aria nervosa di Dante si tramutò in una di terrore puro. Fece un passo indietro, scrutando Daniel come si fosse appena trasformato lui nella bomba. «T-Tu ci hai visti?!»

«Sì.»

Il ragazzo spostò i suoi occhi incavati verso le altre ragazze e raccontò che cosa aveva visto quella mattina. Un silenzio tombale scese nel tempio quando finì di parlare. Un silenzio reso ancora più pesante dal fatto che Dante non si era intromesso nemmeno una volta, mentre Daniel parlava di come Elias lo avesse picchiato.

«Ma… perché l’ha fatto?» sussurrò Camille, così sconvolta da sembrare lei quella che era stata torchiata. Osservò Dante, con le labbra che tremavano. «L’ha… l’ha fatto anche altre volte?»

L’augure teneva la testa bassa e i pugni contratti. Non disse nulla, annuì e basta.

«Qua… quante?»

«Non… non lo so. Non le ho contate…»

Quindi parecchie…, pensò Kiana, con un nodo allo stomaco. Quel tizio non le era simpatico, anzi, era proprio strambo, però sentire quella storia le aveva fatto accapponare la pelle.

Camille lo abbracciò, strappandogli un verso sorpreso. Gli affondò la faccia nel petto e gli avvolse le braccia attorno alla schiena, in una scena tanto carina quanto assurda.

«Deve averti terrorizzato…» gli disse, con voce rotta, la crocerossina che usciva allo scoperto con prepotenza.

«O-Oh… beh…» Tutto ad un tratto Dante non sembrava più molto spaventato. Ricambiò l’abbraccio di Camille, impacciato, poi tentò di sollevare le spalle. «Non… non mi ha fatto così paura, in realtà…»

Kiana scambiò uno sguardo con Daniel e Marianne. Avrebbe voluto fare un mucchio di domande, ed era chiaro che anche Mary ne avesse parecchie.

«Li hai visti questa mattina, quando ti ho mandato qui?» chiese Mary a Daniel, che denegò con la testa. «Dopo, in realtà. Mentre stavo tornando indietro mi sono imbattuto in Elias. Ho visto che stava venendo qui, e allora l’ho seguito perché… ehm…»

«Per evitare i lavori mattutini» tagliò corto Kiana. «Sì, sì, l’abbiamo fatto tutti almeno una volta.»

«Fingerò di non aver sentito» mugugnò Marianne, prima di appoggiare il mento al petto e incrociare le braccia. «Ecco perché Dante ed Elias non c’erano, nel momento dell’attacco.»

Kiana controllò di nuovo Dante, temendo che potesse andare in frantumi da un momento all’altro. «Quanto tempo è rimasto qui a tartassarlo…?» domandò più a sé stessa che agli altri due.

«Quante volte l’ha fatto, mi viene da chiedermi» borbottò Daniel.

«Perché non ce l’hai detto prima, García?»

La domanda di Marianne fece voltare Kiana verso lo zombie, che divenne perfino più buio del solito. «Oh, certo, di sicuro mi avreste creduto tutti! Nemmeno io ci stavo credendo, e l’ho visto coi miei stessi occhi!»

Mary assottigliò di nuovo le labbra, ma non disse altro, e la figlia di Venere capì che era appena stata punta sul vivo. «Ma che cavolo è successo a questo posto?» bisbigliò invece, con voce affranta.

Sembrava davvero amareggiata, e Kiana non poteva biasimarla. «Dovremmo… denunciare Elias?» domandò, dopo un altro attimo di silenzio.

Marianne scosse la testa. «No. Nessuno ci crederebbe. Penserebbero che stiamo cercando di screditarlo e gli dei solo sanno cosa ci farebbero dopo. Cosa lui farebbe a Dante soprattutto» aggiunse, accennando con la testa all’augure, che sembrava essersi abituato all’idea di avere quello scricciolo di ragazza incollato al petto.

«E in ogni caso, siamo nel bel mezzo di qualcosa di mai visto prima» proseguì la figlia di Bellona. «Siamo senza Foschia, senza confini nel campo. Non possiamo metterci a far girare voci su Elias in questo momento, soprattutto se c’è anche una talpa. Dobbiamo restare uniti.»

Era ovvio che avrebbe pensato al problema più grande. Anche in momenti come quello, la sua razionalità era sempre quella a prevalere. Kiana avrebbe voluto che Elias venisse punito per quello che aveva fatto, ma Mary aveva ragione, denunciarlo avrebbe fatto solo scoppiare un putiferio di cui non avevano bisogno.

Dante e Camille si avvicinarono. L’augure pareva ancora un po’ pesto, ma anche più tranquillo dopo essere stato coccolato per bene. Camille gli posò una mano sul braccio, riuscendo a strappargli un altro sorriso.

«Immagino di dovervi un po’ di spiegazioni…» Il figlio di Apollo mostrò a tutti il plico di fogli che aveva tra le mani. «Ve… vedete, Elias e Ashley… mi hanno dato il compito di decifrare queste profezie. Solo che è un lavoro praticamente impossibile, visto che sono tutte scritte a casaccio. Quello che hai visto sta mattina…» Lanciò uno sguardo eloquente a Daniel. «… era Elias che… che voleva sapere se avevo fatto progressi.»

Kiana fece una smorfia. Bel modo di sapere le cose…

«Da dove escono fuori quelle?» Marianne indicò i fogli. «Non sapevo esistessero.»

«I-Io…» Le labbra di Dante tremolarono. «… sono… sono profezie che ho recitato io.»

Consegnò i foglietti a Camille, poi si scoprì il braccio: mostrò loro il tatuaggio della Legione, un simbolo della lira di apollo seguito da undici tacche. Era il numero più grande di anni di servizio al campo che Kiana avesse mai visto. Dieci era il limite, di norma. Era rarissimo che qualcuno si fermasse per più tempo.

Kiana era arrivata al campo quasi quattro anni prima, quando aveva compiuto da poco tredici anni, Camille invece era lì da sei, da quando ne aveva dieci. Daniel da nemmeno uno, ma pareva un legionario fatto e finito, tolto il suo caratteraccio. Per finire Mary era lì da otto, anche lei da quando aveva dieci anni.

«Solo… solo tre persone hanno così tanti anni di servizio» spiegò Dante, come leggendole nel pensiero. «Io, Ashley ed Elias. Ci… ci conosciamo da tanto tempo. Eravamo tutti nella Prima Coorte, tutti ancora in attesa di essere riconosciuti. Eravamo… amici. Sette anni fa… partecipai assieme a loro a quell’impresa.»

«Aspetta, c’eri anche tu?!» domandò Kiana, incredula. «Ma loro non l’hanno mai detto!»

«Beh… ero andato con loro soltanto perché bisognava essere in tre e nessun’altro voleva accompagnare due non riconosciuti. Non ho fatto molto, anzi… però… però, dopo che Ashley ha ucciso quel mostro, ho recitato una profezia. La prima profezia che io abbia mai recitato. Ashley ed Elias l’hanno sentita, ma io… io non me la ricordo. Non… non ricordo nulla.»

Tese la mano a Camille, per farsi restituire i fogli. Tutti quanti erano pietrificati, Cam per prima. Dante si riprese i fogli da solo con delicatezza.

«Così quel giorno ho scoperto di essere un figlio di Apollo con il dono della profezia. Perciò quando Ashley è diventato pretore mi ha reso il suo nuovo augure. Vuole… vuole che trovi profezie per lei.»

Dante sollevò il plico di fogli. «Ashley è convinta che una di queste profezie riguardi lei, per questo mi ha messo qui, per questo lei ed Elias continuano a chiedermi se ho fatto progressi, ma io… io non ho niente. Niente di niente. Tutte queste profezie sono incompiute. Tuttavia…» Sorrise di nuovo a Camille. «… quando tu sei entrata nella Principia… e hai parlato del tuo sogno… è stato come se avessi aperto gli occhi dopo tanto tempo.»

La prese di nuovo per mano, facendola squittire imbarazzata.

«Per la prima volta da quando sono augure, sento di essere sicuro di qualcosa» le disse, con la stessa veemenza di qualcuno che dichiarava il proprio amore alla persona dei suoi sogni. «Tu sei l’eroina di questa profezia, Camille. Tu devi andare a cercare Ecate, non Ashley. Sei tu che devi salvarci.»

Camille era tanto rossa quanto senza parole. Dante la lasciò andare e si rivolse agli altri tre. «Se Ashley scoprisse che ne ho parlato con voi… non… non lo so cosa mi farebbe. Dopo quello che è successo quest’estate, con quella faccenda di San Francisco, mi tiene d’occhio per sapere di ogni mio minimo progresso. Non vuole più permettere che qualcun altro le rubi la gloria. Non permetterà a nessuno di partire per salvare Ecate. E… temo… nessuno della Quinta Coorte in particolare.»

«Ma se non ricordo male, era lei quella che non voleva andare a San Francisco e immischiarsi con i greci!» sbottò Kiana, stringendo i pugni. «Non è mica colpa della Quinta Coorte se è stata un’idiota!»

Dante si irrigidì. «N-Non dirglielo in faccia, per favore.»

«Ma… ma per partire ci vuole un’impresa» obiettò Camille. «Dobbiamo dirlo ad Ashley. È l’unico modo. Tu sei l’augure, Dante, hai un peso non indifferente! Sono sicura che se le spieghi tutta la situazione come hai fatto a noi lei capirà! E Marianne, tu sei un centurione, dovrà pur ascoltare anche te! Se unite le forze sono sicura che…»

«Se c’è una persona che Ashley non ascolterà mai, quella sono io» la interruppe Marianne con uno strano tono di voce. Non aveva più detto una parola durante tutto il racconto di Dante e aveva un’espressione funebre addosso. Sembrava che la storia di Dante fosse stata un necrologio, per lei.

Kiana sapeva di cosa Mary stesse parlando. Lei era una figlia di Bellona, Ashley di Giove, i due dei principali del pantheon romano. Se una di loro fosse stata un ragazzo, allora entrambe avrebbero potuto essere pretori, sempre per quel discorso di equilibrio, e quindi non ci sarebbero stati problemi tra loro. Invece erano entrambe ragazze e l’altro ruolo di pretore era toccato a Elias. Era inevitabile quindi che nascesse una sorta di rivalità intrinseca tra loro due. Bastava pensare a come Ashley avesse reagito durante l’attacco a ogni frase pronunciata da Marianne.

Ashley si sentiva minacciata da Mary e faceva bene, dopotutto la loro disciplina non era nemmeno paragonabile. Ashley faceva spalancare la bocca di tutti e dire “Wow” quando sparava i suoi fulmini, ma finiva tutto lì; Mary era un leader nato e l’aveva dimostrato ampiamente durante l’attacco. Se la Quinta Coorte non aveva subito perdite, era solo merito suo e della sua leadership infallibile.

A peggiorare le cose poi c’era anche il fatto che Mary fosse rimasta nella Quinta Coorte, quella che tanto tempo prima aveva fatto passare in cattiva luce tutte le altre, inclusa la prima. Soprattutto la prima. Per Ashley non era un problema rifarsi su Marianne e la sua coorte a ogni occasione valida. Bastava pensare a come facesse finta di niente ogni volta che la quinta veniva presa di mira dalle altre, o la mole di lavori in più che toccavano sempre a loro mentre la prima era a rilassarsi nelle terme.  

Gran bel capo.

Era davvero triste ammetterlo, ma le cose stavano così: Ashley non avrebbe mai e poi mai dato retta a nessun membro della Quinta Coorte, Marianne in primis.

«Ma… Dante, almeno tu…»

«L’augure non conta più nulla, Camille. È solo un… ruolo fantoccio. Un’appendice dei pretori e del Senato. Una volta l’augure era anche centurione, io invece sono a malapena un legionario. Non… non valgo niente.»

Camille era mortificata. Sembrò volerlo abbracciare di nuovo, ma si trattenne. «E… e allora che cosa facciamo? Mia… mia madre non ha molto tempo.»

Marianne incrociò le braccia «E nemmeno il campo ne ha. Senza confini siamo alla mercé di tutti.» Un lungo sospiro le scappò dalle labbra. «Forse un altro modo c’è. Ma non mi piace per niente. Dovremo… infrangere la regola principale del campo.»

Kiana corrugò la fronte. «Vuoi dire…»

Incrociò lo sguardo di Marianne, che annuì. «Sì. Dovrete uscire dal campo di nascosto.»

«Che cosa?» domandò Camille, impallidendo.

«“Dovrete”?» fece eco Daniel.

Kiana non disse nulla. Un piccolo sorriso nacque sul suo volto mentre osservava gli ingranaggi mettersi in moto nel cervello di Mary-Mary.

«Ecate ha scelto Gray per questa missione, ma Ashley non le permetterà di partire. L’unica cosa che si può fare, è farla uscire di nascosto, ma non può andare da sola, non se ad aspettarla c’è anche Clizio. Le servirà aiuto e voi due siete i suoi migliori amici. Tre è il numero perfetto per un’impresa. Anche se questa non sarà ufficiale, visto che non ci sarà alcun processo al Senato.»

«N-No, un momento…»

«Io ci sto» affermò subito Kiana.

Camille e Daniel stavano facendo a gara a chi fosse più bianco.

«Ah, va bene. Ci sto anch’io» mugugnò lui con l’aria di uno che si sarebbe pentito presto della sua scelta. «Che c’è? Perché mi guardate così? È così strano che anch’io voglia salvare questo posto?»

Kiana si morse la lingua per non dire quello che pensava realmente. Mary alzò le mani e si riguardò dall’aggiungere altro.

«Ma se partissimo di nascosto, Ashley capirà che Dante ha parlato» protestò ancora Camille.

«Non è detto. Potrebbe pensare che tu e i tuoi amici avete agito per conto vostro.»

«Ma…»

«Camille» si intromise Dante, posandole una mano sulla spalla. Le sorrise dall’alto. «Non mi interessa di finire nei guai, se è per una buona causa. Io non voglio che ne parliate con Ashley perché poi, oltre a punirmi, vi impedirebbe di partire e nemmeno io che… ehm… vedo nel futuro, ho idea di che cosa succederebbe a quel punto. Ma se partite per andare a salvare Ecate senza dire niente, Ashley non potrà impedirvelo. Quello che conta è che tu ti metta in marcia al più presto.»

«Dante…» Camille si strinse nelle spalle, angosciata. «Sei… sei davvero sicuro che debba partire?»

«Non potrei esserne più certo. Ashley non può trovare Ecate da sola e non accetterà l’aiuto di nessuno al di fuori della sua cerchia più stretta. Tu sei l’unica che può farlo. Ti prego Camille, fallo per il campo. Non avremo un’altra possibilità.»

Cam si mordicchiò il labbro inferiore, gli occhi viola puntati su quelli dell’augure. Kiana non aveva mai sentito così tanta tensione provenire da due individui. Era quasi contagiosa. Si ritrovò perfino a sperare che Camille dicesse di sì, anche se non era proprio quel “sì”.

«Va bene» convenne infine. «Per il campo. E quando torneremo… denunceremo Elias. E… e diremo anche ad Ashley che come ti ha trattato è sbagliato. Non è giusto quello che ti hanno fatto.»

Ora fu Dante quello a impallidire.

«Fidati di me» disse Camille, stringendogli di nuovo la mano. Gli sorrise e lui ricambiò timidamente.

«V-Va bene. Mi fido.»

Kiana rimpianse di non avere dei popcorn.

Oh miei dei, baciatevi e basta! 

«Però… come faremo a uscire senza farci vedere?» interrogò ancora Camille, facendo vagare lo sguardo su di loro.

Un sorriso scaltro apparve sul viso di Marianne. «Lasciate fare a me. Tempo questa notte e sarete fuori di qui.»

«Mary…» commentò Kiana, imitando la sua espressione. «… non ti facevo così… irresponsabile.»

Marianne ridacchiò e le strizzò l’occhio.

«Davvero? Eppure mi conosci. C-Cioè…» si schiarì la voce, rendendosi conto forse di aver detto troppo. E soprattutto di essere sembrata una ragazza normale e non una vecchia ciabatta rompiscatole per troppo tempo. «… insomma, Farhat, ti sembra questo il modo di rivolgerti a me?»

Kiana alzò gli occhi al cielo. «Ti prego…»

Daniel incrociò le braccia; come sempre, pareva annoiato, o infastidito, o entrambe le cose. «Ma da dove cominciamo? Ecate potrebbe essere ovunque e non abbiamo molto tempo.»

Tutti osservarono Camille, che deglutì.

«Gray.» Marianne si avvicinò a lei. «Davvero riesci a sentire la presenza di Ecate?»

«È… è molto debole» mormorò Cam. «Ma sì… la sento.»

«Sai dov’è?»

«Non conosco il punto preciso, mi dispiace. Però… forse se mi avvicinerò diventerà più preciso.»

«“Forse”» ripeté Marianne, prima di sospirare. «Va bene. Dovremo farcelo bastare. Non abbiamo molte alternative.»

Camille sembrava mortificata. Kiana le posò una mano sulla spalla per rincuorarla e le sorrise. «Tranquilla Cam. La troveremo.»

La sua amica era perfino più bianca del solito. Forse l’idea di partire di nascosto la stava mandando al manicomio. Comprensibile, quella piccoletta era sempre stata un soldatino modello. Era ora che entrasse anche lei a far parte del lato oscuro.

«Allora è deciso.» Dante li scrutò tutti uno per uno, gli occhi che luccicavano e un sorriso stampato in faccia. «Voi sarete i nostri eroi.»

   
 
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