15.
Prima o poi i figli crescono
Inspirai
per l’ennesima volta la fresca aria estiva, seduto su una
panchina sotto a un grande
abete, con lo sguardo che vagava ormai da più di
mezz’ora sul giardino pieno di
gente elegante. Il profumo della resina mi giungeva dagli abeti e dai
pini
tutt’attorno, pungente e frizzante, impedendo ai miei occhi
di socchiudersi
contro il riverbero aranciato del tramonto e lasciarmi andare a un
tranquillo
stato di dormiveglia. Era stata una giornata lunga ed impegnativa,
pensai
togliendo il bocciolo di rosa bianco dall’occhiello della mia
giacca scura.
Decisamente una delle giornate più importanti che avessi mai
visto da parecchio
tempo a quella parte, anche perché, nonostante le risate e
le tante belle
frasi, avrebbe segnato un punto di non ritorno. Questo lo sapevo bene,
benissimo, e non potevo fare a meno di pensare ad altro da quando avevo
avuto
la fatidica notizia un paio di mesi prima.
Accarezzai
i soffici petali della rosa, staccandone un paio tra quelli
più esterni, che
ormai avevano iniziato ad appassire, e ne assaporai il profumo talmente
delicato da essere quasi inesistente. Mi ero allontanato con la scusa
che ero
ormai stanco di ballare e ora stavo seduto ricurvo e da solo su quella
panchina, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo che ogni
tanto
s’alzava dal livello del terreno per dare
un’occhiata veloce agli altri invitati.
Non c’era dubbio, Alice e Tanya avevano fatto un ottimo
lavoro con le
decorazioni e tutto il resto. Il giardino era perfino più
ordinato e festoso di
quello di casa Cullen durante il mio matrimonio. Ovunque lo sguardo si
posasse
non poteva non incontrare grandi vasi ricolmi di fiori colorati di ogni
tipo e
fiocchi e luci. Una pioggia di lucine variopinte simili a gocce
scendeva dalla
cupola del gazebo sotto al quale erano stati allestiti la pista da
ballo e un
palco, dove da un paio d’ore si stava esibendo un piccolo
complesso. E lì
vicino non poteva certo mancare la tavolata con il buffet, anche se
probabilmente soltanto un ospite su dieci aveva bisogno (ed era in
grado) di
mangiare cibo normale. Molti degli invitati erano ancora seduti ai
numerosi
tavoli rotondi ricoperti da tovaglie bianche ricamate, ridendo e
scherzando tra
un brindisi e l’altro, mentre i rimasugli
dell’imponente e spettacolare torta a
tre piani giacevano in disparte. Appena ero arrivato avevo quasi
stentato a
riconoscere il posto; dopotutto la casa del clan di Denali sembrava
così
diversa dall’ultima volta che c’ero stato. Avrei
giurato che quella parte
d’Alaska non avesse visto un evento del genere da anni o,
più probabilmente,
che non l’avesse mai visto del tutto. Tanya e gli altri erano
stati molto
gentili ad aiutarci e con mia grande sorpresa anche Bella aveva
partecipato in
modo attivo a tutta quella decorazione quasi faraonica: avrei giurato
che
quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che la vedevo
così entusiasta
per una festa. Be’, a dir la verità, ero io che
continuavo a chiamarla festa,
anche se il termine più appropriato sarebbe stato matrimonio. Ed era ovvio che Bella fosse
entusiasta per il
matrimonio di sua figlia.
«Edward,
tesoro! Vieni, su!».
La
voce di Bella mi chiamò dalle parti del gazebo,
riscuotendomi da quello stato
di apatia. L’avevo lasciata che ballava con Seth, mentre ora
era intenta a
parlare con Billy Black seduta a uno dei numerosi tavoli.
Così, sebbene
parecchio di malavoglia, mi alzai dalla mia panchina solitaria,
rimettendo al
suo posto il bocciolo di rosa. Billy, il cui sorriso a trentadue denti
sfidava
un’intricata ragnatela di rughe che il passare degli anni gli
aveva fatto dono
insieme a qualche capello bianco, parlava concitato con mia moglie,
senza
pensare che non molti anni prima era stato proprio lui uno dei primi ad
opporsi
alla nostra relazione. E ora, invece che uno dei miei nemici giurati,
l’avrei
dovuto chiamare consuocero. Eh,
sì, e
il suo caro figliolo da tre ore a quella parte aveva avuto il diritto
ufficiale
di chiamarmi “caro suocero”.
Che
parola terribile, pensai rabbrividendo. Mi dava molti più
anni di quanti non ne
avessi in realtà, senza contare che quella carica si
adattava ben poco al mio
fresco viso di diciassettenne. Poi, magari, in un futuro non troppo
lontano, le
mie orecchie avrebbero potuto perfino udire qualcosa del tipo
“nonno Edward”.
Ma speravo che fosse in
un futuro abbastanza lontano: già quel nuovo passo avanti
del matrimonio mi
aveva lasciato più che stordito e stupefatto e contavo che
mi ci sarebbe dovuto
parecchio tempo per abituarmi all’idea di quella nuova
realtà. Cioè quella di
essere imparentato con Jacob Black.
«Allora…»
mi disse Bella appoggiando la pochette tempestata di diamanti sul
tavolo. «Non
mi hai ancora detto cosa te ne pare del matrimonio».
E,
come pure Billy, mi lanciò un lungo sorriso, splendida in
quell’abito blu
scuro, che faceva risaltare la sua carnagione chiara, e con i capelli
raccolti
in una complessa acconciatura opera di Alice. I suoi occhi brillavano
come
stelle dall’emozione e di certo erano diventati lucidi
più di una volta quella
sera. Tutto ciò mi fece ritornare in mente il nostro
matrimonio a casa Cullen,
con tutti i nostri amici e lei in assoluto la più bella
creatura del creato in
abito da sposa, che da quel momento era diventata mia. Ma in quel
giorno era il
turno di qualcun altro indossare il vestito bianco.
«Billy
ha detto che non potevamo fare lavoro migliore e che anche
l’ambientazione qui
in Alaska nella foresta è stata un’idea molto
azzeccata» disse ancora lei.
«Già»
confermò Billy. «Tanya e i suoi sono stati davvero
gentili a concederci di
celebrare il matrimonio a casa loro».
Lanciai
un mezzo sorriso al vecchio Quileute seduto sulla sua solita sedia a
rotelle,
rispondendo: «Senza dubbio. Il clan di Denali è da
tempo amico di Carlisle e
non poteva certo negargli un favore del genere. Anche se io continuo a
rimanere
del parere che a casa nostra…».
Ma
non feci in tempo a completare la frase che Bella
m’interruppe. «Oh, Edward,
ancora con questa storia! Per casa nostra un matrimonio basta e avanza.
E poi è
il giorno di Jacob e Nessie: ormai sono adulti e vaccinati e credo
abbiano il
diritto di scegliere cosa è meglio per loro. E poi non
c’è niente di male nel
fare qualcosa di diverso, no?».
Io
rimasi basito e, non trovando alcuna risposta adatta, abbassai lo
sguardo ed
annuii sommessamente. Era da quella mattina che mi chiedevo come mai
fossero
tutti in fibrillazione per il matrimonio, mentre io non vedevo
l’ora che
finisse per cavarmi al più presto quel dolore. Ma
fortunatamente fui tolto
dall’imbarazzo di dire qualcosa dall’arrivo di
Charlie, con in mano il quarto
bicchiere di champagne e decisamente un po’ alticcio.
«Ehi,
Bells!» esclamò con un tono di voce abbastanza
alto e caracollando su una sedia
di fianco a Billy. «Grande giorno, eh? Accidenti, mi sembra
ieri che la piccola
si divertiva a disegnare sulle camice di Edward! E, invece, il giorno
dopo…
PAM! Eccola già là che si sposa!».
E,
così, detto, si lasciò andare ad una specie di
risata che però assomigliava più
a un ululato, appoggiandosi non molto delicatamente contro il vecchio
Billy.
Tutti noi scuotemmo un poco la testa, senza però riuscire a
nascondere un mezzo
sorriso.
«Papà,
non credi di aver bevuto abbastanza per stasera?» intervenne
poi Bella
strappandogli il bicchiere dalle grinfie.
«Oh,
Bells!» borbottò un Charlie contrariato.
«Mi stavo solo divertendo un po’!».
Quindi
proruppe in un’altra risata sonora, riacchiappando con una
mossa furtiva il
bicchiere rubato.
«Pare
proprio che i riflettori per una volta non siano puntati su di voi,
vero,
Edward?».
Io
non risposi, ma continuai a fissarlo con muto assenso.
«Adesso
sono quei due a far chiacchierare Forks. Eh, sì, Edward
caro, la vita va
avanti, i figli crescono… Comunque avevo sempre detto che
quelli era fatti
l’uno per l’altra. Non trovi, Billy, che stiano una
favola insieme?».
Billy,
che intanto come l’amico aveva recuperato un bicchiere di
champagne, colto di
sorpresa dalla domanda mentre stava bevendo, tossicchiò un
po’ prima di
rispondere con un mugolio strozzato che doveva suonare come un
“sì, certo,
Charlie”.
«Jacob
è sempre stato un buon amico: sono felice che ora faccia
ufficialmente parte
della famiglia» aggiunse Bella con il solito luccichio negli
occhi che l’aveva
accompagnata tutto il giorno.
A
quel punto, anche se quasi impercettibilmente, tutti gli occhi dei
presenti si
spostarono su di me, evidentemente in attesa che esprimessi pure io con
qualche
altra frase di circostanza tutta la gioia per quel fantastico evento.
Ma io non
avevo niente da dire, nessuna parola che mi sgorgasse direttamente dal
cuore,
forse perché anche quello era rimasto muto ed esterrefatto.
Quindi feci finta
di niente, guardandomi attorno per non incontrare i loro visi e
torturando
l’orlo della giacca del tight che indossavo. Tutti gli
uomini, o almeno quelli
della mia famiglia, erano in tight e io non potevo certo fare
eccezione, anche
se stavo iniziando ad odiare quella giacca troppo lunga e quel
gilèt troppo
stretto. Sembravo un damerino della peggior specie. Ma, pensandoci
bene,
probabilmente anche in frac o smoking non mi sarei sentito affatto a
mio agio.
«Allora,
Edward» interloquì alla fine Charlie, le gote e il
naso arrossati. «Non… non
sei contento?».
Anche
se senza un motivo preciso, sentii il bisogno di sobbalzare, forse per
fare un
po’ di scena e fingere di non aver risposto subito per
disattenzione. Quindi
m’aggiustai il colletto della camicia, evidentemente a
disagio, schiarendomi la
voce per guadagnare tempo.
«Oh,
sì. Sì, certo. Come no?».
Ma
ovviamente la mia risposta non doveva sembrare troppo convincente, dato
che sia
Charlie che Billy mi lanciarono un’occhiata perplessa.
«È
solo l’emozione» intervenne prontamente Bella.
«Non riesce ancora a capacitarsi
della cosa. Sapete com’è, considera Nessie ancora
la sua piccola bambina e la
storia del matrimonio è stata un po’ uno shock per
lui».
Shock
era un eufemismo. Diciamo solo che quando il cane aveva pronunciato le
parole
“io e Nessie” accanto a
“matrimonio” ero stato colpito da una specie di
infarto
multiplo, accompagnato da un preoccupante stato di catalessi. Ero stato
come
svuotato e buttato giù da un dirupo. Terribile, davvero.
«Quanto
ti capisco, ragazzo mio!» esclamò Charlie. La
parola “ragazzo”, però, stonava
parecchio in quel contesto: dopotutto ero pur sempre il padre della
sposa! «Mi
è capitata più o meno la stessa cosa quando vi
siete sposati tu e Bella. È
davvero terribile, ma poi passa. Assicurato!».
E
tentò di darmi una pacca fraterna sulla schiena, tanto per
solidarietà, ma dato
che era troppo lontano, riuscì ad arrivare solo al mio
ginocchio, che sotto la
sua mano produsse uno scricchiolio inquietante.
«Bella,
mi faresti l’onore di questo ballo?».
Phil
si era avvicinato al nostro tavolo e ora tendeva la mano in direzione
di mia
moglie. Lei accettò e alzandosi disse con una risatina:
«Mamma ha preso il
volo, per caso?».
«Be’,
sì» rispose Phil indicando alle sue spalle.
«Credo che il fascino del lupo sia
irresistibile».
Infatti
Renée stava tenendo in scacco la pista da ballo con Embry ed
insieme facevano
invidia a tutte le altre coppie.
«Ah,
che donna straordinaria quella!» fece Charlie, quella sera
particolarmente
loquace. «Attento, Phil, potresti essere spodestato da uno
ben più giovane di
te!».
Tutti
i presenti risero di gusto e Bella si alzò, afferrando la
mano del patrigno. In
breve erano spariti tra la folla e la musica alta. Feci un sospiro,
drizzandomi
sulla sedia e tornando a fissare i piedi dei ballerini che si muovevano
come
trottole sulla pista lucida. Intanto Billy e Charlie avevano recuperato
da non
so dove un bottiglione di champagne e se lo stavano scolando a rotta di
collo,
ridendo come matti e dandosi a vicenda forti pacche sulla schiena. Io,
dal
canto mio, preferivo di gran lunga il mio angolo. Ma tutti, come loro,
sembrava
si stessero divertendo un mondo. C’era che rideva e beveva,
chi ballava,
cantava, chiacchierava, scherzava e si congratulava con gli sposi. Il
sole era
ormai scomparso oltre le alte fronde frastagliate degli alberi,
lasciando
dietro di sé soltanto un alone rosa
sull’orizzonte, che colorava con l’ultima
luce rimasta i ghiacciai che ricoprivano le cime innevate poco lontano.
Di
norma a quell’ora, quando le tenebre iniziavano a calare e le
prime stelle
spuntavano come gemme, quel quasi sperduto angolo d’Alaska
non conosceva altro
che il silenzio. Ma per quella sera la terra e gli animali avrebbero
dovuto
fare un’eccezione e stare ad osservare meravigliati tutte
quelle luci e il
cicaleccio caotico. E magari tra tutta quella strana gente elegante
avrebbero
notato una ragazza vestita di bianco. Sembrava proprio una principessa
delle
favole, con quel lungo strascico di seta color avorio, il corpetto
stretto attorno
alla vita sottile decorato di diamanti e la piccola tiara
d’argento che prima
teneva fermo il lungo velo bianco, ma che ora, senza quello,
assomigliava a una
piccola stella luminosa incastonata tra quei ricci color bronzo,
intrecciati in
un’acconciatura ricercata. Era veramente bellissima, con
quegli occhi
castani e vellutati
che diventavano
sempre più luminosi insieme al sorriso che si allargava
sempre di più a ogni
giro sulla pista da ballo tra le braccia del suo principe. Lui di
sicuro era il
più consapevole della fortuna che gli stava passando per le
mani. I suoi occhi
non si staccavano un secondo dai suoi, i suoi passi erano perfettamente
accordati con quelli di lei e probabilmente anche i loro respiri e i
loro cuori
andavano all’unisono, al ritmo della dolce canzone che
stavano ballando. Lui in
abito da sera scuro forse poteva sembrare un po’ goffo e
fuori luogo e
decisamente non era all’altezza della bella principessa. Ma
pareva portarla in
palmo di mano, mentre lei di divertiva a schernirlo per poi lanciargli
un
fuggevole bacio a fior di labbra.
Potevo
sentire nitidamente i brividi che mi correvano lungo la schiena nel
pensare che
quella principessa era Renesmee, la mia bambina. Tutti quegli anni
erano
passati così velocemente che mi sembrava ieri quando, come
quella sera, tutti i
nostri amici e familiari si erano riuniti per festeggiare il suo
compleanno. E
pure quella volta avevano qualcosa da festeggiare in suo onore. Mi
risultava
tuttora difficile credere che quel tenero cucciolo che scorrazzava per
casa mia
con urla e gridolini, magari muovendo i primi passi o più
probabilmente
scappando a rifugiarsi dopo una bravata delle sue, con sotto braccio il
suo
peluche preferito e quel visetto rotondo e morbido come una pesca fosse
diventato il cigno che avevo davanti. I suoi compleanni mi erano sempre
sembrati troppo ravvicinati, la sua altezza in crescita inarrestabile e
i suoi
lineamenti che mutavano troppo velocemente e troppo radicalmente. E
così, senza
che neanche me ne accorgessi, accanto a me non vedevo più
sedere la bambina
dagli occhioni di cerbiatto che mi aveva sempre fatto dannare,
bensì una donna
sempre più simile a sua madre e sempre più
indipendente dalla mia ala
protettiva. Spesso mi ero lamentato di quella paternità,
avevo spesso
sottolineato il mio disappunto per i nervi sovraccarichi e la mente
spossata e
altrettanto spesso avevo desiderato che tutto ciò fosse
lontano da me e mi
fosse restituita la tranquillità di prima. Però,
subito dopo che formulavo un
pensiero del genere mi ricredevo, dandomi dello stupido anche solo per
aver
pensato una bestemmia tale. Anche se mi faceva dannare e metteva a dura
prova
la mia pazienza, avevo scoperto che, come con Bella, non potevo in
alcun modo
fare a meno di Nessie. Quando non c’era la cercavo, quando
non mi rivolgeva la
parola per un qualche litigio mi logoravo giorno e notte nel senso di
colpa,
quando pretendeva di essere più autonoma e di conquistare
nuovi spazi ero sempre
il più restio a lasciarla andare. Dovevo sempre sapere che
stava bene ed era
felice e, nel caso non lo fosse stata, non potevo fare a meno di
sentire la sua
preoccupazione o la sua tristezza come mia. Era una mia piccola copia e
dovevo
averne cura come me stesso. Ma, ora, ecco il momento fatale della
separazione.
Anche se mi sarebbe comunque rimasta vicina, sentivo che non sarebbe
stata la
stessa cosa di prima. Ora aveva Jacob, una casa nuova e probabilmente
presto
anche una famiglia nuova. Io appartenevo ormai a un infanzia trascorsa
come un
assolato pomeriggio di primavera prima che arrivasse l’estate
della sua vita. Tutto
ciò mi faceva nascere nel cuore un terrore e un dolore
atroci: come avrei fatto
a riprendere le fila della mia vita quando uno dei fulcri di essa se
n’era
andato per la sua strada? Come potevo permettere che il mio gioiello
appartenesse a qualcun altro e che qualcun altro potesse godere del suo
chiarore? Non potevo non vedere in Jacob il ladro di una parte del mio
cuore.
Ma,
come mi aveva ripetuto Bella più di una volta tentando di
tranquillizzarmi,
Nessie era felice così e io non volevo certo che non lo
fosse, vero? Certo che
no, rispondevo io, ma non potevo sopportare che d’ora in
avanti la mia vita non
fosse la sua in ogni singolo giorno, ora, minuto. Ma ciò era
impossibile, me ne
rendevo conto, anche perché Nessie non poteva rimanere una
bambina per sempre.
Così avevo accettato anche se a malincuore che la mia
bambina iniziasse a
camminare con le sue gambe sul sentiero della vita, lasciando la mia
mano per
prenderne un’altra. Avevo cercato di farmi partecipe della
sua felicità, ma il
mio cuore di padre mi aveva sempre frenato e ogni volta che
m’immaginavo Nessie
in abito bianco accanto a Jacob uno spasimo lo colpiva, facendolo
singhiozzare.
Mi ero trascinato per settimane in quello stato, senza lasciare che
altri al di
fuori di mia moglie se n’accorgessero, per non rovinare
l’euforia generale. E
alla fine il fatidico giorno era arrivato: vedere loro due
all’altare a
pronunciare il “sì” definitivo mi aveva
fatto più male di quanto non
immaginassi. Alla fine della cerimonia i singhiozzi mi salivano alle
labbra non
per la commozione come a tutti gli altri, ma perché sapevo
che Nessie aveva
varcato definitivamente la soglia di casa mia e degli anni in cui avevo
potuto
stringerla chiamandola teneramente “bambina mia”.
Avevo paura che senza di me,
anzi di noi, non sarebbe stata felice, che non si sarebbe sentita a suo
agio e
a casa, avevo paura dei pericoli, delle difficoltà e delle
preoccupazioni con
cui avrebbe potuto venire a contatto. Io, da parte mia, ne avevo viste
fin
troppe e non desideravo la stessa vita per mia figlia. Ma poi mi dicevo
che, invece,
sarebbe stata bene con Jacob, che l’adorava e sapeva essere
un tipo affidabile;
così ero sempre fermo allo stesso punto e non riuscivo a
sorridere a quel lieto
evento. Dopotutto mi ci era voluto così tanto tempo per
imparare a fare il
padre che non volevo che il mio incarico finisse proprio adesso.
Mi
passai una mano tra i capelli, non riuscendo a staccare gli occhi da
Nessie, e
intanto pensavo al da farsi. L’avrei vista andar via insieme
a suo marito (come strideva anche
quella
parola!) e basta, non l’avrei ostacolata in niente, ma anzi
l’avrei sempre
aiutata non appena mi avesse dato sentore che avesse bisogno di una
mano,
mentre io avrei fasciato il mio cuore dolorante e avrei tirato avanti
in
qualche modo. Non mi sarei sentito comunque a posto, ma quello che
contava era
la serenità di Nessie. Mentre i miei pensieri erano lontani
chilometri dai
festeggiamenti, qualcun altro, invece, non vedeva perché non
dovessi divertirmi
come tutti gli altri. Sorprendendomi alle spalle con un assordante
“bu!”, per poco
Alice non mi fece cadere dalla sedia.
«Ma
dico, tu non hai nessuna cognizione!» brontolai parecchio
stizzito e cercando
di riprendermi dallo spavento.
Alice,
invece, rise di gusto davanti alla mia reazione e aspettò
che mi ridessi un
tono prima di continuare a parlare. «Hai intenzione di venire
a ballare con me
o di rimanere lì tutta la sera con il muso lungo?».
«Mmm…
non saprei… si sono appena portati via lo
champagne».
Infatti
Billy e Charlie erano scomparsi nel nulla, ma ero più che
certo erano appartati
da qualche parte con il loro caro bottiglione (e magari qualche altra
scorta) a
discutere di pesca e dell’ultimo campionato di baseball.
«Quindi
non potresti proprio rifiutare un ballo a una graziosa ragazza senza
cavaliere…».
Alice
mi riservò un’occhiata imperativa e piuttosto
eloquente, la stessa di quando
chiedeva a qualcuno di accompagnarla a fare shopping, per poi
sistemarsi con
nonchalance la rosa di seta che aveva appuntata al petto
sull’attillato vestito
bordeaux, sicuramente frutto di una delle sue ultime cacce
all’occasione.
«Non
saprei» risposi con tono vago. «Sai, ultimamente
pare che le donne abbiano
acquistato una certa indipendenza e che possano perfino fare a meno del
braccio
di un cavaliere. E io non vorrei di certo svilire l’orgoglio
femminista per
questa nuova conquista guidandoti forzatamente laddove riusciresti
benissimo da
sola».
Lei
sollevò un sopracciglio, perplessa dalla mia risposta fin
troppo articolata, e
disse: «Tradotto?».
«Be’,
leggendo tra le righe direi… No».
Alice
sbuffò e si lasciò cadere su una sedia di fianco
a me, continuando a scuotere
la testa nella mia direzione. «Edward, devi piantarla con
questa storia. Non
puoi farci niente ed è giusto che sia così,
quindi credo sia ora che ti metta
il cuore in pace. Bella ha ragione, sei testardo come un mulo. E poi
continueresti a giocare con le bambole con lei anche quando
avrà duecento
anni?».
Io
risi sommessamente e, facendo finta di prenderla in considerazione come
una
buona idea, risposi: «E perché no? Potremmo
passare per compagni di stanza…».
La
seconda occhiata di Alice fu perfino più eloquente della
prima. «E magari ti
spacceresti ancora per il suo fidanzato nel caso ci fosse qualche
individuo
appiccicoso e maniaco che le girasse attorno, eh?».
Io
scrollai le spalle e risi ancora all’allusione di un
divertente episodio di
qualche anno prima, quando mia figlia frequentava il liceo. Un certo
Josh
Martin, uno del genere morto di… ehm, sfigato totale che
crede di essere un
gran fusto con le ragazze e non può fare a meno di provarci
sempre con una
vittima fresca, be’, non la smetteva di staccare i suoi occhi
bavosi e sconci dal
fondoschiena di mia figlia. Così per rimediare a
quell’inconveniente, forte del
mio aspetto fisico di adolescente, mi ero presentato come suo fidanzato
e,
adocchiando subito l’aura strana e non certo amichevole che
mi accompagnava, il
bel Josh aveva ritenuto opportuno fare subito marcia indietro.
«Edward,
sul serio» continuò lei ora più seria.
«Tu hai una vita, non ridurti a uno
straccio per qualcosa che non puoi cambiare. Lasciala andare per la sua
strada…».
«Lei è la mia vita,
Alice» risposi con
qualcosa nella voce che assomigliava a un ringhio.
«Così
le stai facendo più male di quanto credi».
«La
voglio soltanto proteggere».
«Oh,
tu e le tue manie di protezione! Non ne abbiamo avuto abbastanza con
Bella e
adesso ti metti pure a fare il padre iper-protettivo?!? Nessie non
po’ vivere
per sempre sotto una campana di vetro. È… grande
ormai».
«Lo
so». Mi passai una mano sul volto per non dare a vedere che
gli occhi mi ero
diventati lucidi.
«Hai
paura che non ti voglia più bene»
constatò alla fine Alice con tono deciso.
«Come?
Io…».
«Dai,
piantala, non sono nata ieri. Ho già capito tutto».
«È
solo che…». Sospirai non trovando le parole
adatte. «All’inizio non volevo
perché… sai, tutta quella faccenda
sull’essere un buon padre… Ma adesso che ho
capito che è la cosa più bella del mondo non
voglio che finisca».
Alice
tacque per qualche secondo, contemplando la mia espressione abbattuta,
ma
probabilmente leggendo molte altre cose oltre quella. Era proprio per
questo
che adoravo Alice: lei riusciva a leggere e capire i tormenti della mia
anima
senza che dovessi spiccicare parola. «Ma, Edward, credi che
con il fatto che
tua figlia è cresciuta allora tu smetterai di fare il padre?
Credi che perché
lei adesso ha orizzonti e prospettive più ampie non ti
vorrà più bene come
prima? Che non verrà più a piangere da te, a
chiederti un qualunque consiglio o
semplicemente un abbraccio e un bacio?».
Socchiusi
le labbra per dare una risposta probabilmente vaga e traballante, una
frase
fatta che mi avrebbe permesso di difendere seppur debolmente il mio
diritto di
essere giù di corda, ma fui bruscamente interrotto. Senza
che quasi me ne fossi
accorto la coppietta di sposini si era avvicinata al tavolo che
occupavamo io e
Alice, ridendo e scherzando.
«Papà,
perché noi vieni a ballare?» domandò
Nessie ancora tutta raggiante.
«È
quello che mi stavo chiedendo…» rincarò
Alice con un’espressione vittoriosa nel
vedermi alle strette.
Io
temporeggiai un attimo. «Oh, no, Nessie, sto benone qui.
Fidati».
«Ma
dai!» continuò lei. Si aggrappò al
braccio di Jacob, che le strinse forte la
mano (altra fitta dolorosa per il mio cuore), mentre mi rivolgeva
un’espressione corrucciata molto simile ai bronci che metteva
su da piccola
quando voleva fare i capricci. «Non vorrai mica fare il
vampiro polveroso!
Balla con me».
«Sì,
Edward, vai a ballare con Nessie» le fece di nuovo eco Alice,
sempre più
sorniona.
«Ho
già detto di no, grazie. E poi non sono un
granché come ballerino…».
«Be’»
intervenne Jacob. «Al tuo matrimonio non mi sembrava proprio
e almeno che tu
non ti sia arrugginito…».
Gli
scoccai immediatamente uno sguardo di fuoco che se fosse stato solido
lo
avrebbe incenerito: sempre il solito cane!
«Ha
perfettamente ragione!» disse Alice, che probabilmente aveva
deciso di allearsi
contro di me. «Ah, tra parentesi servirebbe anche a me un
cavaliere… visto che
questo poltrone non si smuove».
«Al
suo servizio, madame»
disse Jacob,
porgendole il braccio e accennando un mezzo inchino che fece sorridere
Alice e
Nessie, ma che lo rese ancora più idiota ai miei occhi.
«Oh,
questo sì che è parlare da uomo!». E
senza aggiungere altro Alice si diresse
verso la pista a sottobraccio del licantropo. Nel vederla allontanarsi,
fui
quasi certo che mi avesse fatto la linguaccia.
«Andiamo
anche noi?» mi domandò poi Nessie, ora con tono
decisamente più timido, mentre
io mi ero perso a guardare quei due iniziare a ballare.
Sapevo
che se mi fossi voltato a guardarla in faccia, avrei trovato un paio di
occhi
supplicanti che non mi avrebbero lasciato scampo, proprio quando da
piccola mi
pregava di comprarle quella bambola nuova che le piaceva
così tanto. Così
desistetti e, prendendola delicatamente per mano e facendo attenzione a
non
pestarle lo strascico del vestito, la condussi in mezzo alla folla.
Appena i
miei occhi si scontrarono con il bagliore quasi accecante di quella
miriade di
lucine, il complesso sul palco attaccò con una nuova
canzone, questa volta un
po’ più movimentata della prima, anche se pur
sempre molto dolce sul
sottofondo. Cinsi il fianco di Nessie, mentre lei si aggrappava alla
mia spalla
e, come quando ci divertivamo a ballare in salotto quando nessuno era
nei
paraggi, lei con i piedi appoggiati sui miei, iniziammo a volteggiare
sulla
pista. Io facevo di tutto pur di non guardarla dritta negli occhi,
fissando
prima le mie scarpe lucide e poi gli altri ballerini attorno a noi.
Alice e Jacob
erano poco distanti e sembravano divertirsi parecchio, mentre accanto a
loro
Esme e Seth avevano preferito un ritmo decisamente più lento.
«Non
trovi che il vestito di Esme sia stupendo?» mi
domandò Nessie notando che la
stavo guardando.
Annuii
in silenzio, contemplando il riflesso aranciato delle luci sul vestito
color
grigio perla con una gonna a palloncino di Esme, sobrio ma elegante,
proprio
nello stile di mia madre. Molto diverso da quello di Rosalie, mi dissi,
che
faceva coppia con Garret e il suo abito verde smeraldo con una stola
decorata
con lustrini dava sicuramente nell’occhio. Man mano che
volteggiavamo
tranquilli sulla pista io riconoscevo molti volti attorno a me tra
tutti gli
invitati alla festa. C’era Emmett impegnato a farsi notare
con Zafrina, una dei
vampiri del clan dell’Amazzonia, che quella sera forse
sembrava avere un
aspetto meno selvaggio del solito, mentre roteava tra le braccia del
mio orso
preferito. Poi c’erano Carlisle e Siobhan, del clan
irlandese, Jasper e
Charlotte, compagna del suo vecchio amico e vampiro nomade Peter. Erano
stati
ovviamente invitati tutti i licantropi e altri Quileute più
o meno giovani, il
clan di Denali che giocava in casa, altri vampiri amici dei Cullen
provenienti
dalle più svariate parti del mondo. Tra gli umani ovviamente
non poteva mancare
Saba, la migliore amica d’infanzia di Nessie, che
l’aveva seguita passo passo
per tutte le tappe di preparazione del matrimonio. C’erano
tutti ed erano tutti
felici. O quasi tutti.
«Come
mai quella faccia?» mi sussurrò Nessie.
«Niente.
I solito crucci di un padre. Ma oggi è il tuo giorno e devi
divertirti, ok?».
Lei
abbasso un attimo lo sguardo sui suoi piedi e seppi per certo che non
sarebbe
finita lì. «Posso essere felice solo se anche tu
lo sei».
«Ma
lo sono» mentii spudoratamente. «Stiamo ballando,
no?».
A
quel punto potei vedere nitidamente che i suoi occhi si erano fatti
lucidi e i
bagliori delle luci vi si riflettevano come torce. Mi morsi forte le
labbra,
dandomi dello stupido per averla fatta piangere il giorno del suo
matrimonio.
Alla fine, però, alzò lo sguardo per fissarlo nel
mio e rimasi di sasso nel
vedere una lacrima che le indugiava sulle ciglia.
«Dimmi
la verità» disse con un tono che mi fece
ghiacciare. «Perché te ne sei stato
tutto il tempo in un angolo in silenzio? Ho fatto qualcosa di
sbagliato?
Dimmelo, ti prego».
Sospirai,
arrendendomi ormai ad ammettere l’evidenza delle cose.
«No, tu non hai fatto
assolutamente niente. Il problema sono io».
«In
che senso?».
«Il
problema sono io che ti voglio troppo bene e… non voglio che
tu te ne vada».
Nessie
rimase un attimo stupita e a bocca aperta, mentre il cantante ribadiva
nel
microfono il ritornello della canzone con viva convinzione.
Lonely finds me
One day you will come
But I’ll wait for love’s
sake
One day to me, love
I will stay forever here until one day comes
Praying time will bring you near,
I’ll wait for your
love
«Sul
serio credi che potrei mai lasciarti?».
«L’ho
creduto, sì». Mi vergognavo quasi di
quell’affermazione; era qualcosa di
inaudito ed esecrabile anche solo da pensare. «Dopotutto
adesso hai Jacob...».
«Ma
Jacob non è mio padre, lo sai bene»
ribadì lei con tono fermo e deciso. «Io
voglio solo te come papà imbranato».
«Sì,
ma adesso sei cresciuta e di certo non ti servirà
più nessuno che ti racconti
le favole… o indossi buffi vestiti». Risi
sommessamente accompagnato dalla
risata limpida di Renesmee.
«Stai
dicendo un cumulo di idiozie, te ne rendi conto?».
«Ah,
sì? Allora si vede che mi preoccupo per
niente…».
«Come
hai sempre fatto».
Strinsi
più forte la sua mano e, rallentando così tanto
il ritmo da sembrare quasi che
fossi fermi, l’abbracciai con tutte le forze che avevo,
mentre lei appoggiava
delicatamente la sua testa sul mio petto e io mi dicevo che non
l’avrei mai
lasciata andare, mai.
«Ma
rimane pur sempre il fatto che stasera, una volta che tutti se ne
saranno
andati e la festa sarà finita, tu te ne andrai con
Jacob…».
«Ma,
papà, non me ne vado mica dall’altra parte del
mondo! Rimarrò sempre qui, in
questa maledetta Forks, con te, la mamma e tutti gli
altri…».
«…e
Jacob» aggiunsi con una nota amara.
Uno
sbuffo che doveva forse assomigliare una risata da parte di Nessie mi
fece
vibrare il petto. «Sei geloso, per caso?».
«Non
sai quanto» ammisi con un sorriso. «Se penso che
quel randagio ha messo le mani
sui miei due tesori più preziosi… Credo si possa
ritenere fortunato ad avere
gli anni che ha».
Lei
mi diede una piccolo schiaffo sulla spalla per mettermi a tacere e
proseguì:
«Quante volte dovrò ripeterti che tu rimarrai
sempre al primo posto?».
«Probabilmente
all’infinito. Vorrei che tu fossi ancora piccola,
Nessie».
Appoggiai
il mento sulla sua testa, inspirando il profumo dolce come il miele dei
suoi
capelli e compiendo un altro mezzo giro sulla pista, mentre desideravo
che
quell’abbraccio non finisse mai.
If I could change the currents of our lives
To make the river flow where it’s run
dry
To be a prodigal of father time
Then I would see you tonight
«Anch’io».
La risposta di mia figlia mi lasciò un attimo spiazzato e
per un attimo dubitai
perfino di aver sentito bene o che fosse stata lei a pronunciare quelle
parole,
finché non le ripeté con un tono di voce
più alto e coinciso. «Anch’io».
«Vorrei
che mi facessi ancora qualche scherzetto dei tuoi. Vorrei che fossi
ancora la
mia piccola bambina».
A
quel punto Nessie alzò la testa dal mio petto, si
raddrizzò e mi guardò dritto
negli occhi, intanto che io mi scioglievo nella contemplazione di
quelle
profonde iridi color cioccolato, così simili a quelle di
Bella.
«Anch’io
lo vorrei. Come hai detto tu essere grandi è una gran
seccatura. Però credo che
per la “piccola bambina” si possa fare
un’eccezione».
La
guardai perplesso, ripetendomi mentalmente le sue parole per cercare di
decifrarle, mentre una debole speranza nasceva nel mio cuore, anche se
non
sapevo bene per cosa avrei dovuto sperare. «In che
senso?».
«Nel
senso che io sarò sempre la tua piccola bambina»
rispose Nessie e suoi occhi
parevano sempre più dolci. «Anche quando
avrò trecento anni voglio che tu sia
al mio fianco a dirmi quanto e quando devo mangiare, quando devo andare
a
dormire, a sgridarmi perché sono in ritardo e a consolarmi
perché qualcuno mi
ha dato della bisbetica viziata, a farmi tanti regali e a sorvegliarmi
perché
non li apra prima del tempo. Voglio che tu sia sempre il mio
papà,
indipendentemente dall’età. Anche
perché non ho voglia di crescere, non ora
almeno».
A
quel punto non potei più trattenermi e, con in uno slancio
d’affetto, scoccai
un caloroso bacio sulla guancia a mia figlia, per poi stringerla ancora
più
forte di prima, tanto che per un attimo temetti di farle male. Ed ecco
che
anche per quella volta il mio cuore era stato rassicurato e come sempre
i miei
dubbi amletici si erano dimostrati soltanto un insensato castello di
carte. Oh,
ero sempre il solito Edward ansioso!
«Mi
prometti che ci sarai sempre? Perché io ci
sarò» mormorò alla fine Nessie
accanto al mio orecchio.
«E
me lo chiedi?!?» esclamai per poi lasciarmi andare alla prima
vera risata di
quella sera.
Ero
felice, felice, felice, felice come ben poche volte lo ero veramente
stato in
vita mia e ora finalmente anche per me quel giorno sarebbe stato
indimenticabile e bellissimo. Sì, perché ora
sapevo per certo che non l’avrei
affatto persa, l’avrei solo ritrovata in una maniera diversa.
E non importava
che ci fosse un licantropo di mezzo, Nessie sarebbe sempre stata la mia
bimba
mezza umana e mezza vampira e me la sarei coccolata in eterno alla
facciaccia
di tutti. Finalmente sentii quella famosa adrenalina che aveva
già preso tutti
gli altri invitati e trascinai mia figlia in mezzo alla pista da ballo,
impossessandomi del ritmo della musica e trasmettendolo ai miei piedi,
trascinandomi dietro una Nessie che tra un po’ soffocava
dalle risate. Ma non
m’importava se potevo apparire forse ridicolo, fatto sta che
il fuoco che mi
ardeva dentro non poteva assolutamente essere fermato. Alla fine, dopo
il terzo
giro ci fermammo per un attimo di tregua. Nessie continuava a ridere
come per
un attacco isterico e la sua risata cristallina faceva tintinnare le
lucine
sopra le nostre teste.
«Be’?
Cosa c’è da ridere così
tanto?» domandai infine.
Lei
scosse la testa e si mise una mano sulla bocca, nel vano tentativo di
arginare
un attimo quel flusso ininterrotto di risa, mentre io stavo
lì impalato a
guardarla perplesso, ripensando a se magari avessi detto o fatto
qualcosa di
stupido.
«Hai…»
riuscì finalmente ad ansimare lei, per poi essere di nuovo
interrotta.
«Ho
cosa?».
Nessie
si frenò per un attimo e alzò su di me uno dei
suoi sguardi più divertiti, con
un sorriso che le andava da orecchio a orecchio e le illuminava il viso
come
solo una luce divina avrebbe potuto fare, facendola assomigliare a un
piccolo
angelo in bianco. E per l’ennesima volta mi ripetei che era
bellissima.
«Hai un buco nei pantaloni».
Capitolo straordinariamente lungo, come regalo visto che è anche l'ultimissimo di questa ff. Tanto per la cronaca la canzone che ballano Edward e Nessie è "One day" dei Trading Yesterday e la vicenda si svolge un po' di anni dopo il resto della ff. Per il resto non credo ci sia niente da dire su questo ultimo chap, anche perchè credo che parli da sé (e, ripeto, Edward non ce l'ha con Jacob, è solo geloso come la maggioranza dei padri). Questa ff è stata una dura sfida e devo confessare che pure io insieme ai miei personaggi credo di essere cresciuta un po' scrivendola. Di sicuro quando ho inziato a scriverla non pensavo di arrivare a questo punto ed altrettanto certamente è stata pane per i denti della mia attività di scrittura, che non ha potuto che affinarsi con questa nuova esperienza. E questo è stato confermato dal centinaio di preferiti, tutte le favolose recensioni e l'assiduità dei miei lettori, che non finirò di ringraziare mai abbastanza. Ringrazio francef80, Flockkitten, _zafry_ (davvero hai pianto dal ridere?) per le loro immancabili recensioni. Per finire spero che tutti i lettori che mi hanno resa orgogliosa di questa storia e hanno contribuito a farla crescere continuino a seguirmi anche nelle altre mie ff future.
Quindi dedico un enorme GRAZIE a tutti coloro che hanno avuto l'ardire di leggere, perchè per chi scrive non c'è riconoscimento migliore di avere tanti lettori appassionati.
PS: dovete recensire anche questo chap, intesi?