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Autore: Krgul00    04/02/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO NOVE
Novembre lasciò il posto a dicembre, sancendo l’inizio della stagione festiva a Sunlake.
Il primo del mese veniva considerato il giorno della fondazione del paese e, per tradizione, a tutti bambini veniva lasciato il compito di addobbare i rami più bassi – lasciati spogli per l’occasione – dell’abete al centro della piazza. Ovviamente, non potevano mancare dolci di ogni tipo e bevande calde per accompagnare il pomeriggio.
Charlie aveva sempre adorato quella festa e, notò con piacere, nulla sembrava esser cambiato poi molto: la signora Peterson litigava ancora con la signora Phillips per il posto d’onore della loro torta sul tavolo del buffet, Cameron Harris intratteneva il pubblico strimpellando malamente la sua chitarra, Oliver Davis si assicurava in modo ossessivo che la brocca del tè fosse sempre piena e Artur Foster si abbuffava di dolcetti - cercando, inutilmente, di non farsi scoprire da sua moglie o sua figlia.
Tutt’intorno, i bambini giocavano a rincorrersi, lasciando perlopiù alle mamme il compito di addobbare l’albero per loro.
Il fatto che, in tredici anni, certe cose non fossero cambiate era stranamente confortante e Charlie si ritrovò ad appendere palline natalizie all’abete della piazza.
Non appena l’aveva vista arrivare, infatti, Jake l’aveva trascinata verso gli scatoloni pieni di decorazioni, lasciati a disposizione di chiunque desiderasse aiutare ad addobbare l’Albero di Natale. Tuttavia, ben presto, aveva perso interesse per quel compito monotono e l’aveva lasciata da sola, per andare a giocare con gli altri lì vicino. Non che a Charlie dispiacesse, tutt’altro.
Era impossibile non sentirsi a proprio agio, con quell’atmosfera piena di gioia.
Inoltre, lo sguardo che le scorreva addosso, lasciando una scia bruciante su ogni centimetro del suo corpo, le forniva tutto il calore di cui aveva bisogno – se non di più. Fece finta di niente, all’inizio, continuando ad appendere gingilli scintillanti; finché, il peso di quegli occhi su di lei divenne impossibile da ignorare.
Quando si voltò, trovò, senza esitazione, le iridi scure dello sceriffo.
Sembrava ci fosse una forza tra loro che li attraesse l’uno all’altra, ed era impossibile non soccombervi. Era proprio come la gravità: inevitabile.
In piedi, vicino ai tavoli delle bevande, Logan annuiva distrattamente a qualsiasi cosa il sindaco Young stesse dicendo. Lo vide prendere un sorso dalla tazza fumante che aveva in mano, senza distogliere l’attenzione da lei.
Era chiaro fosse intento ad osservarla già da un po’, e quella realizzazione non fece altro che provocarle un delizioso brivido lungo la schiena.
Charlie si guardò velocemente intorno, con la solita discrezione che le apparteneva, alla ricerca d’un segno che, oltre a lei, anche qualcun altro avesse notato quel suo sguardo insistente. Ma non ne trovò, e il motivo le fu improvvisamente chiaro: sembrava tenesse d’occhio Jake, lì vicino.
Tornò a Logan che alzò un sopracciglio in una tacita domanda, il cui significato non poté essere più chiaro per lei: Ti diverti?
Gli sorrise prima di annuire lentamente, in un gesto quasi impercettibile. Abbassò la testa e giocherellò con le decorazioni che aveva ancora in mano; ad un osservatore esterno sarebbe sembrata solo una donna concentrata sul suo compito, ma da sotto le ciglia, Charlie non interruppe quel loro contatto visivo.
Mosse solo le labbra quando le disse: sei bellissima.
Quante volte le avevano detto quelle esatte parole? Da parte di Logan, però, le parvero vere come mai prima.
Charlie fece scivolare lo sguardo sull’abete di fianco a lei, per poi riportarlo su di lui, con fare interrogativo.
Vieni ad aiutarmi? Gli chiese in quel modo.
Non esitò, lo vide scusarsi con il sindaco e andarle incontro con passo sicuro. Vestito casual, in jeans e giacca a vento, con l’immancabile Stetson in testa, le tolse il fiato e il suo cuore iniziò a battere furioso.
Dovette reprimere la sua delusione quando le fu difronte e si limitò ad un sorriso, per salutarla. D’altronde, non poteva di certo baciarla in mezzo alla pubblica piazza.
Non fu difficile ricordare quel dettaglio, infatti, e se anche si fossero dimenticati del mondo intorno a loro, ci avrebbero pensato i bravi cittadini di Sunlake a rammentarglielo: Logan non riuscì nemmeno a dire una parola, che subito furono interrotti.
La mano della signora Lews si posò sull’avambraccio dello sceriffo, e la donna rivolse un timido sorriso di scuse a Charlie. “Hai un minuto, caro?” Chiese, incerta.
I signori Lews abitavano nella casa difronte a quella di suo padre. Il loro giardino vantava le fioriere più belle di tutta Sunlake e, nonostante fosse la moglie ad avere il pollice verde e a prendersi cura delle piante, il signor Lews era oltremodo orgoglioso e assurdamente geloso di quei fiori.
In ogni caso, la donna era sempre stata gentile con Charlie. Ricordava che, quando erano piccole, era solita portare a lei e Diddi i suoi biscotti appena sfornati, mentre giocavano lungo la strada.
Logan sorrise, rassicurante. “Ho già parlato con Hannah, mi ha informato.” La precedette, rivolgendole uno sguardo comprensivo. “Domani mattina verrò di persona a parlargli.”
Per qualche motivo, quelle parole e lo sguardo impensierito della donna, le fecero venire in mente l’episodio a cui aveva assistito quella mattina dalla finestra della cucina: in piedi sulla veranda, vestito di tutto punto, una giacca di tweed marroncina, pantaloni abbinati, e un fucile da caccia in mano, il signor Lews le era sembrato appena uscito da un film western.
Aveva osservato con interesse la scena, mentre beveva il suo caffè: il fucile era un Winchester, e Charlie si era chiesta dove diavolo l’uomo avesse trovato quell’affare, si sarebbe stupita se avesse potuto ancora sparare. Era stato piuttosto lampante, poi, che non avesse idea di come si usasse: con la canna del fucile appoggiata sul piede, l’uomo aveva cercato, senza successo, di aprirlo per poterlo ricaricare.
La signora Lews annuì alle parole dello sceriffo. “Ti ringrazio tanto, Logan.” Il tono pieno di gratitudine. Poi si rivolse a Charlie, regalandole un sorriso caloroso che le increspò gli occhi. “È davvero bello riaverti qui, tesoro. Non ho mai visto Stephen più felice.” E si sporse a baciarle una guancia, prima di allontanarsi.
Charlie ebbe giusto il tempo di mormorare un debole ringraziamento, troppo perplessa da quelle ultime parole; tuttavia, si scrollò in fretta di dosso quella confusione e si rivolse a Logan. “Ho visto il signor Lews con un fucile, stamattina.” Lo informò.
Lui sospirò, affatto sorpreso, e le prese una delle palline natalizie che aveva in mano, prima di parlare. “Si, è per la storia del procione.”
“Un procione?” Non ne aveva mai visto uno, da quelle parti.
“Dice che rovina i fiori di sua moglie.”
Quasi le scappò una risata di incredulità. “E vuole sparargli con un Winchester del 1873?”
La guardò per un lungo momento, forse sorpreso che lei avesse riconosciuto il modello, prima di scuotere la testa, rassegnato. “È tutto l’anno che si lamenta di quel dannato procione. Pensavo di averlo convinto a lasciar perdere, perché per un po’ non ha più tirato fuori quel maledetto affare.” Si girò ad appendere la piccola pallina colorata al ramo dell’abete. “Non ha idea di come si usi. Credo solo che voglia pavoneggiarsi un po’. Figuriamoci se sparerebbe mai a un procione.” Sbuffò a quell’idea ridicola.
“Ma sua moglie è preoccupata...” Concluse Charlie per lui, affiancandolo. Si alzò in punta di piedi per raggiungere un ramo il più in alto possibile.
“Come tutti, del resto. Ma quel fucile è completamente scarico e apparteneva a suo nonno. Il signor Lews ha tutto il diritto di tenerlo, almeno finché non spara a qualcuno…” Borbottò quelle ultime parole, per niente contento.
Charlie non disse nulla; rifletté, invece, sul fatto che, probabilmente, da quelle parti non ci fossero nemmeno i procioni.
Logan si schiarì la gola, richiamando la sua attenzione. Improvvisamente, sembrava stranamente insicuro, voleva chiederle qualcosa ma sembrava non sapesse da dove iniziare: le mani nelle tasche dei jeans, gli occhi che guardavano dappertutto tranne che verso di lei; lo avrebbe trovato adorabile se solo non avesse pensato al peggio.
Erano passati due giorni da quando aveva mandato le informazioni che aveva raccolto con Maddie a Clark. Aveva usato – senza permesso – il telefono non rintracciabile e aveva sperato che, contattando lo sceriffo di Twin Lake, Logan non si sarebbe chiesto come mai, dopo averne parlato con lei, avessero ricevuto quell’aiuto tanto opportuno.
“Stasera Jake dorme da Noah.” Annunciò, assorto dagli addobbi che aveva appena appeso.
Troppo concentrata sul sollievo che la pervase, Charlie non si rese subito conto dell’implicazione di quelle parole; anzi, le interpretò come un goffo tentativo di cambiare argomento. “Oh, sì. Me l’ha detto prima, sembrava molto felice.” Osservò, decisamente rilassata dal tono di quella conversazione, e di chinò a prendere altre decorazioni dallo scatolone lì vicino. Quando gliene porse una, però, lo vide toccarsi nervosamente il cappello.
Si guardò intorno, prima d’avvicinarsi d’un passo a lei. Aprì la bocca per parlare, ma sua madre fu più veloce di lui.
Sylvie Moore, si affiancò a suo figlio, visibilmente su di giri; non sembrò nemmeno accorgersi di Charlie, presa dal suo entusiasmo. “Tesoro, Eleanor mi ha appena detto che le farebbe molto piacere se la portassi fuori a cena. Che ne pensi?” Non gli lasciò il tempo di rispondere, perché continuò: “Ci siamo messe d’accordo per la prossima settimana, sono sicura che andrete d’accordo. È una così cara ragazza…”
Mordendosi il labbro inferiore, per soffocare la risata che minacciò di travolgerla alla vista della faccia costernata dell’uomo, Charlie riprese il suo lavoro.
“Mamma, a proposito di questo: non ho intenzione di-”
Ma la donna non gli prestò attenzione, fu distratta da qualcuno in lontananza. “Non è Arthur quello che si sta ingozzando dei miei dolcetti al miele?” Charlie si voltò appena in tempo per vederla assottigliare lo sguardo in direzione del buffet. Con le mani sui fianchi, in una posa severa, come di una madre che ha trovato il figlio a fare qualcosa che non deve, iniziò ad allontanarsi borbottando: “Quell’uomo! Alla sua età dovrebbe tenersi lontano da tutto ciò che contiene zucchero…”
Charlie non poté fare a meno di ridacchiare.
“Immagino che dovrò fare una bella chiacchierata con lei.” Commentò lui, non troppo imbarazzato, guardando la madre allontanarsi.
“Certo.” Convenne lei. “Buona fortuna.” Ma lo disse portandosi una mano alla bocca, per contenere la sua ilarità. Fu evidente, quindi, che non credesse affatto sarebbe riuscito a farla desistere.
“Sicuramente ne avrò bisogno.” Brontolò, mezzo imbronciato, e stavolta Charlie rise davvero.
In realtà, trovava davvero dolce quel modo che aveva di lasciar fare alla donna. Come le aveva già detto, era soprattutto per lei che Logan aveva deciso di trasferirsi a Sunlake, ed era chiaro che fosse ben consapevole che sua madre volesse solo il suo bene. Pertanto, non aveva mai voluto recarle dispiacere e aveva sempre accettato quegli inviti, anche se malvolentieri.
Lo sguardo divertito di Logan incontrò nuovamente il suo. “C’è una cosa che vorrei chiederti…” Riprese il discorso, molto meno nervoso di prima.
Ma poteva mai finire? Ovviamente no.
“Ehi, Royce!” La salutò Luke, avvicinandosi a loro.
Stavolta, però, lo sceriffo non nascose l’irritazione a quell’ulteriore interruzione e si voltò verso il suo vice. “Cosa c’è?”
Al suo tono esasperato, l’altro sollevò le sopracciglia, con curiosità. “Sto interrompendo un litigio tra amanti?”
Ebbero due reazioni diverse a quelle parole: Charlie spaziò con lo sguardo per tutta la pizza, cercando un segno che qualcuno avesse sentito, mentre Logan si limitò a sbuffare: “Abbassa la voce, santi numi!”
Il vicesceriffo alzò le spalle, con indifferenza. “Nessuno fa mai caso a quello che dico.” Osservò, con un sorriso ironico. “Comunque, non capisco il perché di tanta segretezza.”
Charlie non seppe come rispondere a quella domanda implicita, fu Logan a cavarla d’impiccio: “Il Maggiore Royce non approva.” Lo informò diplomaticamente, rivolgendole un sorrisetto furbo.
Luke fischiò ammirato a quelle parole. “Pensavo che, avere come genero lo sceriffo, fosse il sogno di ogni padre.”
Era scontato pensare che la causa di quel dissenso fosse Logan, e Charlie cercò di mascherare il suo disagio, riprendendo a rovistare nello scatolone degli addobbi. Coprì quell’emozione con uno spesso strato d’indifferenza e quando riportò l’attenzione sui due uomini, incontrò due iridi scure perfettamente consapevoli di quello che le passava per la testa.
Logan non disse nulla, però, si limitò a sospirare, come sconfitto. “Stavo cecando di chiedere una cosa a Charlie, prima che arrivassi.”
“Oh, certo.” Luke annuì, serio. “Procedi pure, capo.” E gli fece cenno d’andare avanti, senza cogliere il suggerimento dell’altro. Rimase lì, a guardarli.
“È una cosa personale.” Sottolineò divertito.
Sembrò che prima d’allora non gli avesse mai chiesto privacy, perché Luke parve davvero stupito da quel congedo. “Vuoi che me ne vada?” Chiese incredulo, come un amante rifiutato.
Logan lo guardò, le mani sui fianchi, senza dir niente.
“D’accordo.” Acconsentì, esageratamente sconsolato. “Vado a cercare Maddie, lei sicuramente apprezzerà la mia compagnia.” Annunciò, impettito, allontanandosi verso Diddi, impegnata a rimproverare un afflitto Arthur Foster.
Charlie porse uno degli addobbi che aveva in mano - una pallina argentata con tanti piccoli fiocchi di neve – a Logan e solo quando entrambi furono rivolti verso l’albero, lui parlò.
“Allora, stavo pensando, magari potremmo uscire stasera, se ti va…” Propose a bassa voce.
Charlie si morse il labbro inferiore per costringersi a trattenere il sorriso gigante che minacciava di esplodere.
“E dove mi porteresti?” Chiese, voltandosi verso di lui.
L’uomo scosse la testa, gli occhi che brillavano di una luce ardente. “È una sorpresa.”
Una sorpresa.
Per ovvi motivi, Charlie odiava le sorprese; eppure, a quelle parole non riuscì più a contenere la sua felicità e per trattenersi dall’alzarsi in punta di piedi, buttargli le braccia al collo e baciarlo lì davanti a tutti, si infilò le mani nelle tasche del cappotto.
“Questa sorpresa richiede un abbigliamento particolare?”
“Jeans e stivali, obbligatori.” Rispose prontamente, rivolgendole un sorriso obliquo. “Sempre che tu dica di sì.”
“Potrei mai dirti di no?”
 
Charlie superò le due ante della porta stile saloon dello Spurs Night, meravigliata. Enormi teschi d’animale – sperava finti – erano appesi da ogni parte, e cactus in vaso ricoprivano ogni superficie possibile. Il soffitto a volta faceva sembrare il locale anche più ampio, ed ingigantiva il bancone che copriva un’intera parete. Era così grande che sembrava venisse usato come palcoscenico, a giudicare dai tre ballerini che presentavano le coreografie per i balli, lì sopra.
Musica country fuoriusciva a tutto volume dalle casse dello stereo ed ogni singola persona – uomo, donna o bambino che fosse – indossava un cappello da cowboy.
Tutti, con l’eccezione di Charlie.
Non che il suo abbigliamento fosse inadatto. Aveva indossato i jeans e gli stivali, come le aveva detto Logan, e sopra sfoggiava uno dei suoi top preferiti: agganciato dietro al collo, scendeva morbido verso il basso fino a tuffarsi nei pantaloni, in due triangoli che formavano una scollatura vertiginosa. Nonostante ciò, il seno rimaneva ben coperto, solo un principio di rotondità era lasciato alla vista. Il colore, poi, blu elettrico, le risaltava gli occhi.
In ogni caso, tra quella folla, senza cappello la sua mise risultava incompleta.
Ma Charlie era troppo ammaliata da ciò che accadeva sulla pista, per badarvi. Appoggiata alla balaustra in legno che separava la zona ristorante da quella danzante, rimase incantata al vedere quel mare di gente che si muoveva perfettamente a ritmo con i ballerini sul bancone. Era uno spettacolo strabiliante e sentì l’eccitazione farsi prepotentemente strada nel suo corpo. Merito della calca e dell’entusiasmo che permeava l’aria. Merito della musica. Ma, soprattutto, merito dell’uomo che l’accompagnava.
Rapita dall’atmosfera del locale, non aveva fatto caso a ciò che Logan teneva in mano. Solo quando si fermò dietro di lei – ancora in piedi a guardare gli altri ballare – e le mise davanti la scatola rotonda, dorata con un fiocco rosso in cima, si chiese come avesse fatto a non notarla.
“Ti ho preso una cosa.” Le disse all’orecchio, per poi depositarle un bacio sulla spalla scoperta.
Battendo le palpebre stupita, Charlie afferrò la scatola con mani tremanti e si girò a guardarlo.
Un sorriso dolce curvò la bocca di Logan, che la guardò in attesa che aprisse il suo regalo.
Un regalo. Erano sette anni – da quando aveva litigato furiosamente con suo padre – che non ne riceveva uno. Logan, invece, aveva pensato a lei. Era quello che significava, a prescindere da cosa ci fosse dentro: l’aveva pensata.
Abbassò gli occhi sul pacco, per nascondere l’attimo di vulnerabilità che quella sorpresa le causò. Deglutì con difficoltà mentre scioglieva il fiocco rosso e toglieva il coperchio.
Alzò la testa di scatto alla vista di ciò che conteneva.
Si portò una mano al cuore e, piena d’emozione, mormorò: “Logan.”
Probabilmente l’uomo non la sentì, a causa della musica, ma il suo sorriso si allargò.
Charlie non riuscì a controllarsi e gli butto le braccia al collo, stringendolo a sé più forte che poté, come volendo trasmettergli tutta la sua emozione in quel solo abbraccio. “Grazie. È il regalo più bello che abbia mai ricevuto.”
Quando lo lasciò andare, gli occhi di Logan trovarono i suoi e, scostandole una ciocca dal viso, le baciò la punta del naso. “Pensavo di aspettare Natale, ma immagino che questa fosse un’occasione migliore.”
Il sorriso che gli rivolse fu raggiante. “Hai fatto bene.” Tirò fuori il suo nuovo cappello da cowboy color cognac, con adorazione, e se lo mise in testa. “È perfetto. Grazie.” Ripeté.
“Prego, tesoro.” Le prese la mano, intrecciando le loro dita, e fece strada verso il loro tavolo. Quel semplice contatto – per loro solitamente proibito in pubblico – le sembrò nuovo ma anche incredibilmente familiare.
“Non sapevo ballassi.” Ammise Charlie, dopo aver posato i loro cappotti e la borsa; i suoi fianchi che già si muovevano al ritmo della musica, impaziente di scendere in pista.
Logan scosse la testa. “Infatti non sono capace.” Sorrise all’espressione confusa sul viso di lei, che si guardò attorno come a sottolineare dove si trovassero. “Guardandoti, l’altro giorno, ho pensato che mi sarebbe piaciuto provare con te.”
E non si sbagliava, gli piacque davvero. Ballarono ogni singola canzone quella notte, e si divertirono un mondo.
E se per lei era semplice adattarsi ad una nuova coreografia, per l’uomo era impossibile. Logan tentava di replicare tutti i passi dei ballerini sul bancone e di tenere il tempo, ma sembrava non possedesse un briciolo di ritmo in tutto il corpo. E Charlie scoprì che, oltre ad essere incredibilmente determinato, Logan non si prendeva nemmeno troppo sul serio e non era affatto infastidito – anzi, tutt’altro - dalle sue risate.
Lo trovò estremamente affascinante.
Di solito – come era successo anche al Gryson’s – Charlie odiava ballare in coppia e i balli di gruppo non prevedevano che le mani di sconosciuti si facessero audacemente strada su di lei; tuttavia, ironia della sorte, quella sera non si sarebbe di certo lamentata ad avere le mani di Logan su di sé.
Per fortuna, come ogni serata che si rispetti, anche se pochi, ci furono i lenti e, avvolta dal profumo di lui, a Charlie non importò che, nemmeno in quel caso, l’uomo non riuscisse a tenere il tempo.
Si abbandonò a Logan e al ritmo di qualunque musica pareva percepisse.
“Adoravo ballare quando ero piccola. Ricordo che, con Diddi, inventavamo coreografie su qualsiasi canzone capitasse.” Gli confidò e sorrise a quel ricordo felice. Fece scivolare le mani sul suo petto, su fino alle spalle, godendosi la sensazione dei muscoli al di sotto della camicia. Gli allacciò le braccia intorno al collo e si allungò per avvicinarsi al suo orecchio. “Ultimamente l’ho odiato, sai?”
Logan si ritrasse un poco, gli occhi che cercarono quelli di lei. Fece per dire qualcosa, ma Charlie lo zittì con un leggero bacio a stampo. E così, sulle sue labbra, finì: “Ma qui, insieme a te, mi sono ricordata perché mi piacesse tanto.”
Non si accorse nemmeno che smisero di muoversi, quando lui le spinse indietro la testa e la baciò.
Le labbra di Charlie si schiusero subito, pronte ad accoglierlo.
Si inarcò all’indietro, quando la mano di Logan le si posò sulla schiena per attirarla a sé, e sentì i seni premersi contro il suo petto. L’attrito con il tessuto sottile del suo top la fece rabbrividire di piacere e avrebbe tanto voluto sentire il calore della pelle di Logan contro la sua, senza barriere a dividerli.
Fece scorrere le mani sulla sua nuca, fino a tuffarsi tra i suoi capelli, e lo tirò a sé assecondando ogni suo movimento; subito, Charlie si sentì consumare dal desiderio.
Nemmeno quando quella musica dolce e sensuale finì, per far posto ad una più veloce e ritmata, si separarono. In fin dei conti, tutto ciò che volevano era poter stare così: l’una nelle braccia dell’altro, lontani dalle chiacchiere di paese.
Per un momento, Charlie immaginò che fossero soli e che quella fosse la sua vita. Che in realtà stavano ballando nel salotto di casa sua, a migliaia di chilometri di distanza.
Casa. Non era mai stata più vicina a casa prima d’allora.
Immaginò come sarebbe stato poter abbracciare quell’uomo senza doversi giustificare con nessuno. Poterlo baciare quando e dove voleva, solo perché sì.
E sentì il bisogno di perdersi in lui, finché non si sarebbe più potuto distinguerli l’uno dall’altro.
Charlie interruppe quel bacio famelico, pieno di sogni e promesse; e subito i loro occhi si ritrovarono.
“Portami a casa, Logan.” Lo baciò. “Portami a casa.”
 
E così fece.
Non fu come nei film, però: non entrarono in casa sbattendo la porta e baciandosi furiosamente, incespicando, presi dalla frenesia di togliersi i vestiti di dosso.
Il viaggio in macchina spezzò quel momento, mitigando la loro urgenza e lasciando solo l’aspettativa a permeare l’aria.
Perciò, una volta che varcarono la soglia, levandosi il cappotto, Logan le chiese: “Vuoi una tazza di tè?”
Charlie annuì e lo osservò con calma, mentre si dirigeva verso l’elegante cucina ad angolo che si affacciava sul soggiorno.
Si guardò intorno, curiosa. Lo spazio era piccolo ed accogliente, abbastanza per ospitare il salotto e la sala da pranzo. L’arredamento era molto femminile - sicuramente merito di Sylvie – e moderno. Il parquet chiaro, le pareti bianche e i pensili della credenza creavano un godibile contrasto con il verde più scuro del divano a due posti e il beige della poltrona difronte.
Sul tappeto, in un angolo, erano raggruppati i mattoncini delle costruzioni, evidente indizio – se non fossero bastate le diverse foto incorniciate - della presenza di un bambino in quella casa.
Seguì Logan in cucina e si soffermò ad ammirare i disegni appesi al frigorifero.
Ce ne fu uno in particolare che colpì la sua attenzione: raffigurava una donna – era evidente da come Jake aveva disegnato le labbra, rosse e piene, e gli occhi colmi di ciglia – in piedi in quella che sembrava una foresta. Sotto il cappello a punta, da strega, i capelli gialli le arrivavano fino alle spalle.
Era lei.
Fu sopraffatta dall’emozione. Se, mesi prima, qualcuno le avesse detto che si sarebbe trovata sull’orlo delle lacrime a rivedersi su un disegno appeso al frigorifero di un uomo, probabilmente sarebbe scoppiata a ridere.
“Uno splendido ritratto, non è vero?” La richiamò alla realtà la voce di Logan.
Non si voltò subito verso di lui, continuò ad ammirare quel disegno per lei assolutamente magnifico. “Si.” Sussurrò.
Tuttavia, non appena i suoi occhi si posarono sull’uomo appoggiato vicino i fornelli, sentì le sue sopracciglia inarcarsi verso l’alto.
Le spalle larghe tiravano il tessuto della camicia azzurra che indossava, e fu evidente il suo tentativo di rilassarsi quando prese un profondo respiro.
“Sono un po’ nervoso.” Ammise, passandosi una mano tra i capelli scuri.
Charlie non si mosse, rimase in piedi, ad un passo da lui. “Non c’è motivo, siamo solo io e te.”
Logan le sorrise, e si appoggiò all’indietro sul bancone.
Non la guardò quando disse: “È passato un bel po’ di tempo per me.”
“Anche per me.” Gli confidò piano, e a quelle parole gli occhi di Logan trovarono di nuovo i suoi.
Era la verità, ovviamente.
Nel corso degli anni, Charlie aveva avuto sempre e soltanto storie fugaci, prive di significato; c’erano stati uomini diversi in città diverse, ma non aveva mai avuto una vera relazione con nessuno di loro. Non aveva avuto tempo né interesse per cose del genere.
Ad un certo punto, poi, non avrebbe saputo dire quando, aveva smesso di accettare appuntamenti e aveva preferito arrivare dritta al sodo; finché, non aveva perso interesse anche per il sesso.
Si era dedicata solo al lavoro, allora, ma poi anche quello non le aveva più regalato le stesse emozioni di una volta. Sembrava mancasse sempre qualcosa.
Tuttavia, le sue parole non sembrarono tranquillizzare l’uomo davanti a sé, che scosse la testa. “Non sono pochi mesi, Charlie.”
“Quattro anni.” Quelle due parole lo sorpresero, e Charlie annuì alla domanda inespressa che gli lesse in viso: davvero?
Gli si avvicinò, allungò una mano e gli accarezzò una guancia. “Ti manca?” Gli chiese. Non c’era accusa nella sua voce, ma solo gentilezza e comprensione.
Sapevano entrambi a chi si riferisse: alla madre di Jake, di cui Logan – Charlie se ne era accorta – non parlava mai.
Non esitò, quando rispose: “No.” E quella sillaba le restituì il fiato che non si era accorta di star trattenendo.
La mano di Logan le si posò sul fianco, e chiuse gli occhi quando le loro fronti si toccarono. “Credo che, ad un certo punto, l’unica cosa che ci tenesse insieme fosse Jake.” Sospirò. “Poi, nemmeno più quello.”
Al fischio della teiera, la lasciò andare e prese due tazze dalla credenza, preparò il tutto in silenzio e le porse la sua. Rimase a guardare assorto il suo tè; finché, in un sussurrò appena udibile, le confessò: “Ci ha lasciati con tanta facilità che, a volte, mi chiedo se non possa diventare anche io come lei: un giorno mi sveglierò e penserò d’aver sacrificato la carriera per mio figlio.”
“È impossibile.” Quella parola, pronunciata con assoluta e incrollabile certezza, ebbe il potere di rincuorare Logan. Il fatto che qualcun altro – ed in particolare Charlie - lo ritenesse uno scenario completamente assurdo lo tranquillizzò e, prima d’allora, non si era reso conto di quanto ne avesse bisogno.
Tuttavia, Charlie continuò, ignara. “Se c’è una cosa che so di te, Logan Moore, è questa: ami tuo figlio, più di ogni altra cosa. E non c’è niente di più bello che vedervi insieme.” Non parve far caso alla reazione che quelle parole innescarono nelle iridi scure difronte a lei. Andò avanti, infervorandosi sempre di più per quella paura ridicola, iniziando a pungolarlo sul petto con l’indice: “Credi che Jake debba essere tutto e solo il tuo mondo? Pensare al lavoro non ti rende un padre degenere, così come pensare a qualsiasi altra cosa che ti renda felice. Fidati, non hai idea di come sia un genitore snaturato. Ne ho visti parecchi e se solo potessi-”
Per fortuna, le labbra di lui interruppero quel torrente di parole, prima che potesse aggiungere qualcosa di cui si sarebbe pentita.
Logan sorrise sulla sua bocca. “Cielo, donna. Ho detto a volte.” La prese in giro, ma con una luce riconoscente nello sguardo.
Charlie gli diede uno schiaffetto giocoso sul bicipite, ed assecondò il suo desiderio di cambiare argomento. “Sei ancora nervoso?” Chiese, riprendendo il discorso principale.
Scrollò le spalle, in un gesto non molto convinto.
Lei posò la tazza, gli prese la mano e se la porto sul petto, proprio sopra il cuore. “Lo senti?” Era impossibile che non si accorgesse di quel martellare impazzito. “Fa così ogni volta che mi guardi.”
Si avvicinò, alzandosi in punta di piedi per raggiungere le sue labbra e le braccia di lui la circondarono. Si guardarono negli occhi, prima che le loro bocche si trovassero.
Solo con quel bacio, le fece venire la pelle d’oca.
Aveva paura di poter rovinare tutto? Beh, era davvero impossibile.
Fu circondata dal suo calore e buttò la testa all’indietro quando Logan lasciò le sue labbra per baciarle il mento e farsi strada giù, fino al collo. Con l’indice, le tocco la pelle lasciata scoperta dalla scollatura, all’altezza dei jeans. Iniziò a risalire verso l’alto, fermandosi a solleticarle l’ombelico, facendola ridacchiare. Si spinse più su, fino all’avvallamento tra i suoi seni e, sempre con la punta del dito, ne segui le curva, prima di spingersi al disotto della stoffa.
Charlie gemette alla scarica di piacere che quel semplice tocco le provocò.
“Sei pazzo, se credi d’essere arrugginito.” Ansimò, senza fiato.
Logan rise nell’incavo del suo collo e la baciò teneramente lì, prima di tirarsi indietro a guardarla. “Mi sento un po’ pazzo, ultimamente.” Mormorò.
I loro occhi non si lasciarono. Non mentre Charlie si portò le mani dietro la nuca, non quando aprì il gancio che teneva il top al suo posto e nemmeno quando questo cadde, lasciandola esposta al suo sguardo.
Perciò, riuscì perfettamente a vedere la tempesta infuriare in quelle iridi scure.
Si ritrovò improvvisamente sul bancone della cucina, Logan tra le sue gambe e le sue mani a risalirle lungo i fianchi nudi, lentamente. Prendendosi il suo tempo. Assaporando ogni attimo.
“Levati la camicia, cowboy.” Ordinò lei, in un sussurro esigente, e non aveva mai visto nessuno ubbidire con la stessa abnegazione di quell’uomo. Sorrise sulle sue labbra, quando si chinò a baciarla.
Charlie inarcò la schiena in avanti, ed il suo desiderio fu finalmente esaudito: sentì la pelle nuda di Logan a contatto con la sua, e quel tocco fu la scintilla che fece divampare il fuoco della passione, che bruciò tutta la notte.
Non avrebbe saputo dire come arrivarono nella sua camera da letto; aveva sempre pensato fosse un’esagerazione che il sesso potesse esser così travolgente da far dimenticare tutto il resto. A lei non era mai successo, non era mai riuscita a fidarsi completamente di qualcuno da abbandonarsi in quel modo. Fino a quel momento.
L’unica cosa di cui Charlie riuscì ad esser consapevole fu Logan. Non ci fu punto del suo corpo che le sue mani non toccarono o che le sue labbra non baciarono, e quelle carezze lenirono ferite che non credeva d’avere e sciolsero un gelo che ormai credeva le appartenesse.
Solo nel dormiveglia, tra le sue braccia, pigramente Charlie capì cos’era quel qualcosa che le era sempre parso mancasse in tutti quegli anni. Tuttavia, non riuscì ad afferrare quella comprensione: volò via, perdendosi nei suoi sogni.
   
 
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