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Autore: Krgul00    11/02/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO DIECI
L’aria iniziava a diventare più fredda e il vento gelido portava con sé l’odore della neve. Tutti, specialmente i bambini, l’aspettavano con trepidazione; tuttavia, il Sole splendeva alto in un cielo senza nubi, disinteressato al desiderio di un bianco Natale da parte della brava gente di Lake Rock. Anche se il mese era appena iniziato, quel ritardo insolito dava di ché pensare.
In ogni caso, appoggiata al cofano di un’auto, Charlie si godeva quel cielo meravigliosamente azzurro e il calore del Sole sulla pelle. Quella luce intensa era mitigata dalle lenti scure degli occhiali che aveva sul naso, e la mancanza di neve era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri. Ad ogni modo, il tempo atmosferico sembrava rispecchiasse perfettamente il suo umore, quel giorno: sereno e senza l’ombra di nubi temporalesche all’orizzonte.
Alzò il mento, offrendo il viso al tocco dei raggi solari e inspirò profondamente, godendosi il dolce profumo dell’aria pulita e frizzante.
Per Charlie, quella mattina, il vento non portava solo l’annuncio d’un’imminente nevicata, ma anche l’odore dell’ottimismo. Era così che si sentiva: piena di positività.
Chiuse gli occhi e sorrise dolcemente a quei caldi baci che le infiammavano la pelle, ricordandole baci ben diversi ma ugualmente ardenti.
Quella improvvisa fiducia cosmica non era dovuta solo all’uomo tra le cui braccia aveva passato la notte. Quella mattina, dopo essere rincasata dalla finestra della sua camera, poco prima dell’alba, Charlie aveva fatto colazione in cucina, come sempre. La novità, però, era stata la presenza di suo padre che, stravolgendo le sue abitudini, aveva deciso di farle compagnia sedendo al suo stesso tavolo per leggere il giornale, invece della solita poltrona.
L’unica crepa in quel quadro altrimenti perfetto era la domanda che, ormai, le ripeteva da giorni: “Hai iniziato a cercarti un lavoro, come ti ho detto?”
La sua risposta, come al solito, era stata squisitamente evasiva: “Ho sentito che Mrs. Peterson sta cercando una persona che l’aiuti, al market.” Aveva detto, giocando con il sottinteso: così si diceva in giro, questo non voleva dire, però, che lei si sarebbe offerta per il lavoro.
In ogni caso, suo padre non aveva più alzato la voce dal loro ultimo diverbio – risalente alla serata al Gryson’s – e lei attribuiva quella sua mansuetudine al clima natalizio. O forse, quella tranquillità, era dovuta al fatto che Charlie non avesse mai provato a fargli notare che un lavoro già lo aveva.
Ad ogni modo, quella domanda scandiva i giorni, come il ticchettio di una bomba che si apprestava ad esplodere, ma l’ottimismo che traboccava da ogni suo poro pareva l’avesse resa sorda a quel segnale di pericolo, convincendola che, prima della deflagrazione, sarebbe riuscita a disinnescarla.
Una voce dolce e ben nota la richiamò dalle sue riflessioni: “Cosa ne pensi, gioia?”
Sorrise a quel nomignolo che si sentiva ripetere negli ultimi venti minuti, ed abbassò lo sguardo verso la monovolume davanti a lei. L’unica cosa che le piacque fu il colore: un bellissimo bordeaux, molto elegante. Per il resto era una macchina troppo grande e sicuramente troppo lenta per i suoi gusti.
Pertanto, con divertimento, osservò: “Penso che non abbiamo figli, angelo mio. E questa macchina è davvero troppo spaziosa per noi.”
I due di fianco a lei non notarono il bagliore che le illuminò gli occhi, sotto le lenti scure, quando sorrise con fin troppo entusiasmo per una macchina che nemmeno le piaceva.
George Edwards, proprietario della Edwards and Sons, un autosalone per la vendita e il noleggio dell’auto dei sogni - o almeno questo era quello che sosteneva l’insegna – di Twin Lake City, si schiarì cortesemente la gola, prima di intervenire conciliante: “Sicuramente possiamo trovare qualcosa che soddisfi i vostri desideri, signore.”
Come nei cartoni animati, gli occhi dell’uomo avevano assunto la forma dei dollari, non appena l’aveva vista varcare il cancello d’ingresso. Quella mattina, infatti, Charlie aveva tirato fuori l’artiglieria pesante: indossava il suo vestito bianco Armani, nascosto alla vista dal cappotto di cachemire, e ai piedi le sue adorate Jimmy Choo. E anche se l’uomo non fosse stato un intenditore, sarebbe stato chiaro a chiunque che, con i diamanti che portava all’orecchio, avrebbe potuto facilmente comprare una di quelle auto.
Per fortuna, suo padre non l’aveva vista uscire di casa in quel modo.
Comunque sia, Edwards non s’era fatto troppe domande sulla sua presenza lì, aveva fiutato l’opportunità e vi si era fiondato.
Il suo autosalone, incredibilmente, disponeva di un’ampia varietà di scelta; tuttavia, essendo Twin Lake City una città perlopiù turistica, la gran parte era disponibile solo al noleggio. Ovviamente, Charlie ne era ben consapevole e proprio per questo, quando l’uomo le aveva chiesto quale automobile volessero acquistare, aveva indicato la Porche nera, in bella vista. E dalla reazione che aveva ottenuto, sembrava proprio che, di solito, i suoi clienti non potessero permettersi una spesa simile.
Purtroppo, l’auto era esclusivamente in locazione, ma George Edwards non s’era fatto certo scoraggiare da quel – non così trascurabile - dettaglio. E la buona sorte l’aveva aiutato, perché Susan Johnson – cioè Charlie - aveva una moglie viziata e superficiale – come aveva detto Maddie – pertanto, non sarebbero usciti di lì senza un’automobile nuova di zecca.
Quella farsa del matrimonio era necessaria? Ovviamente no. Tuttavia, Charlie si era decisamente alzata con il piede giusto, quel giorno, e aveva assecondato in tutto e per tutto la proposta di Maddie.
Non aveva preso in considerazione i rischi che ciò avrebbe comportato, si era lasciata andare, abbandonandosi alla corrente.
A Matthew sarebbe venuto un infarto se solo lo avesse saputo: Charlie Royce, la donna che voleva sempre avere tutto sotto controllo, si affidava alla sua amica d’infanzia.
Ad ogni modo, non poteva esser più ottimista sulla riuscita del loro piano.
Indicando la parte più lontana dagli uffici, verso le utilitarie, George le incoraggio a proseguire il giro. “Spostiamoci da questa parte, vi faccio vedere altri modelli.”
“Le dispiace se approfitto un attimo del bagno?” Chiese gentilmente, lanciando un’occhiata a Diddi attraverso le lenti degli occhiali.
“Niente affatto, prego.” Concesse galante, con un cenno della testa. Era ovvio volesse afferrare al volo l’opportunità di convincere la meno restia tra le due ad acquistare una delle sue macchine.
Fu Maddie a chiederle: “Vuoi che ti aspettiamo, gioia?”
Sembrava sorprendentemente a suo agio, per una che si apprestava a diventare la complice d’un furto.
Charlie si morse il labbro inferiore e scosse piano la testa. “No. Faccio in un lampo.”
Non appena varcò la porta a vetri dell’ufficio, notò con una certa soddisfazione che la stanza era vuota.
Erano in tre a lavorare in quel posto: il signor Edwards, suo figlio e Daniel White, fedele dipendente da dodici anni.
Quel giorno, però, il figlio di George non c’era. Una brutta influenza intestinale, lo teneva a letto da due giorni, poveretto; e dalla voce che aveva al telefono, sembrava davvero stesse con un piede in una fossa.  Ciò, però, voleva dire una persona in meno a tenerla d’occhio; quindi, fiduciosa, Charlie si diresse tranquillamente verso il corridoio che portava al bagno, e invece di svoltare a destra verso l’uscio con sopra i tipici omini delle toilette, andò a sinistra.
Aprì la porta con su scritto area riservata, come se ne avesse tutto il diritto, e ancora una volta sorrise nel constatare che non c’era anima viva. La finestra, come aveva notato da fuori, era oscurata; pertanto, dall’esterno, nessuno avrebbe potuta vederla. 
Tranquillamente, come se disponesse di tutto il tempo del mondo, osservò le due enormi bacheche di sughero appese al muro. Al disopra campeggiavano, in rosso, le scritte: Vendita, su una, e Nolo, sull’altra.
Si soffermò su quest’ultima e sulle decine di chiavi d’automobili che v’erano appese. Sopra ognuna, in una calligrafia precisa, vi era scritto il modello e la targa corrispondenti.
I suoi occhi si soffermarono sullo spazio vuoto al di sotto della dicitura Mercedes seguita dall’unica sigla alfanumerica che aveva imparato a memoria.
Sorrise soddisfatta e senza esitare, si diresse verso gli schedari sulla parete opposta.
Chiunque tenesse in ordine quel posto era davvero ben organizzato, perché Charlie non ebbe affatto difficoltà a trovare quello giusto. Lo aprì, e iniziò a sfogliare i vari fascicoli, cercando un nome specifico.
Si ritrovò a canticchiare sottovoce il motivetto della canzone che avevano passato alla radio, mentre venivano; l’idea d’esser scoperta lì dentro, senza autorizzazione, sembrava non averla minimamente sfiorata.
Non si curò nemmeno delle voci che sentì all’esterno e quando, finalmente, tirò fuori il fascicolo giusto, si ritrovò a ridacchiare.
Sto perdendo il senno. Si disse, divertita.
E quel pensiero le fece venire in mente parole mormorate nel buio, mentre mani virili le toccavano i seni, scivolavano sul suo stomaco e le accarezzavano le cosce. Chiuse gli occhi e si abbandonò al ricordo di quella bocca calda che scendeva verso di lei, sul suo collo, sul suo ventre, fino a…
Fu bruscamente riportata alla realtà da un tonfo sordo e dall’inconfondibile rumore di passi in avvicinamento. Tuttavia, non si lasciò travolgere dal nervosismo; affidandosi alla calma e all’imperturbabilità che l’avevano sempre contraddistinta, estrasse le chiavi di riserva della Mecedes e se le infilò nella tasca interna del cappotto.
Soddisfatta, rimise il fascicolo a posto, richiuse lo schedario e si diresse verso la porta. Per poco non andò a sbattere contro Daniel White, quando l’aprì.
L’espressione sorpresa dell’uomo si fece subito corrucciata e con tono severo iniziò a rimproverarla: “Cosa sta facendo? Non può stare qui, non ha letto il-”
La sua filippica, però, si interruppe quando le braccia di Charlie lo strinsero calorosamente. “Dan! Che sorpresa magnifica!” Non appena lo lasciò andare, si diede un leggero schiaffetto sulla fronte: “Diamine, che sciocca. Avrei dovuto ricordarmi che lavori qui.” E ridacchiò, come incredibilmente divertita da quella sua dimenticanza.
L’uomo, preso completamente in contropiede da quella confidenza, non poteva certo ricordarsi di lei – d’altronde non l’aveva mai vista prima – e parve cercare disperatamente di collocarla tra i tanti volti delle sue conoscenze, inutilmente.
Charlie gli venne in soccorso: “Susan, ti ricordi? Alla festa di Andy, del quattro luglio.”
Ecco. Adesso, il fatto era che Daniel aveva un ricordo totalmente vago e sfumato di quella festa; infatti, non si era reso subito conto che i cocktail alla frutta del suo caro amico Andy non fossero affatto analcolici. E lui, che non reggeva nemmeno una birra, ne aveva bevuti due: solo quando si era sentito girare la testa, aveva capito che quel sapore così buono non era tutto merito del mango.
Tuttavia, non ebbe il tempo di balbettare confuso delle scuse, perché Charlie gli fornì la prova definitiva di cui aveva bisogno: “Come stanno Sarah e la piccola Lulù?”
Ai nomi della moglie e della figlia, l’uomo parve arrendersi all’evidenza che credeva d’avere davanti: la conosceva, ma non si ricordava di lei.
“Bene, grazie. La piccola ha iniziato la scuola, quest’anno.” Raccontò, orgoglioso e Charlie gli sorrise, genuinamente felice di sentire quella notizia. Poi, però, l’uomo fu pervaso dall’imbarazzo di chi si ritrova a dover ricambiare i convenevoli di un perfetto estraneo. “La tua…famiglia, invece?” Domandò, vago; eppure, la curiosità nel suo sguardo fu autentica, era evidente sperasse potesse aiutarlo a ricordarsi di lei.
Charlie fece un gesto sfarfallante con la mano. “Benissimo, mia madre è partita ieri per la crociera. Non vedeva l’ora.” E non mollò l’osso, lo incalzò ancora, decisa a eliminare anche il più piccolo dubbio che loro due in realtà non si conoscessero. “Sai, proprio l’altro giorno, mi stavo chiedendo quale colore avesse scelto, alla fine, Sarah per le pareti della cucina.”
Non ci fu un solo momento, durante la loro breve conversazione, in cui Daniel ripensò ai post dei suoi amici, in cui lo prendevano in giro per la sua sbronza accidentale alla festa del quattro luglio. Non ricordò che sua moglie aveva chiesto aiuto, per il colore della loro cucina, al popolo di Facebook. Così come non gli passò per la testa la possibilità che qualcuno potesse usare tutte le informazioni personali, che riversava sui suoi profili social, per fingersi un suo conoscente.
Pertanto, l’etichetta di ‘possibile minaccia’ che era stata affibbiata a Charlie, non appena Daniel l’aveva vista uscire dalla porta, si tramutò in ‘dolce donna innocente’.
D’altronde, con il suo aspetto, poteva mai essere un ladruncolo da quattro soldi?
“Hai bisogno d’aiuto?” Le chiese, quindi, alla fine dei loro convenevoli.
“Oh, sì. Cercavo il bagno.” Disse lei, con espressione spaesata.
L’uomo le indicò la porta proprio difronte a loro, palesemente perplesso dalla sua disattenzione.
Charlie ridacchiò e dalla tasca del cappotto estrasse il telefono, mostrandolo come prova. “Gli smartphone, una distrazione continua!” Si sporse ancora per abbracciarlo brevemente. “Mi ha fatto davvero piacere rivederti. Dovremmo organizzare una bella cena, un giorno di questi.”
“Sicuro.” Rispose Daniel in un mormorio incerto, guardando la porta della toilette chiudersi dietro quella donna.
Si ripromise di chiedere a sua moglie, quella stessa sera, chi diavolo fosse Susan della festa del quattro luglio.
Davanti allo specchio del bagno, invece, Charlie sorrise radiosa al suo riflesso, piena di fiducia.
Cosa mai sarebbe potuto andare storto?
 
Quel lunedì mattina, Logan era stato subissato di chiamate indignate; e per subissato intendeva che aveva ricevuto quattro chiamate da quattro donne diverse. In ogni caso, la differenza con la quiete di un qualsiasi altro giorno, s’era fatta sentire; specialmente perché il suo umore, più che roseo, era stato guastato da tutte quelle lamentele – secondo lui esagerate e insensate.
Aveva pensato che Maddie fosse a casa malata, motivo per cui l’unica biblioteca di tutta la contea era rimasta chiusa, quel giorno. Perciò, a tutte quelle proteste, aveva risposto sempre la stessa cosa: anche Maddie Foster aveva diritto ai suoi giorni di malattia.
Pertanto, non appena scese dall’auto di Ryan Clark, si chiese cosa diavolo ci facesse quella donna, lì. Aveva davvero deciso di chiudere la biblioteca perché doveva comprarsi una maledetta macchina?
Ovviamente, no. Era sempre stata coscienziosa e ragionevole, ci doveva essere per forza un altro motivo e Logan non dovette nemmeno sforzarsi più di tanto per trovarne uno davvero plausibile.
Si guardò intorno, alla ricerca della stessa chioma bionda che aveva lasciato il suo cuscino prima dell’alba. Ma, nello spiazzo dell’autonoleggio, pareva ci fossero solo Maddie e George Edwards.
Si accigliò, deluso.
“Vai avanti senza di me Ryan, ti raggiungo subito.” Disse al suo collega, iniziando ad avviarsi verso la donna dall’altra parte del parcheggio.
Di certo, Clark non aveva bisogno di lui, non era la prima volta che venivano a chiedere il riepilogo degli spostamenti che risultavano dal GPS dalla Mercedes di Liam Ruiz.
Mentre si avvicinava, osservò Maddie sbracciarsi all’indirizzo della macchina difronte a lei e gli fu perfettamente chiaro quando, da sopra le spalle del venditore, lo vide. Dalla faccia allarmata che fece, Logan si fermò per un istante, chiedendosi se la sua espressione fosse davvero così intimidatoria da suscitare quella reazione. Si sentiva stranamente tranquillo, affatto infastidito dalle seccature che gli aveva procurato; tuttavia, lei impallidì e sembrò sul punto di rimettere.
Forse stava davvero male, dopotutto.
Preoccupato, affrettò il passo e l’affiancò giusto in tempo per aiutare il signor Edwards a sorreggerla, quando la donna si piegò in avanti, con le mani sulle ginocchia.
“Ehi, che succede? Stai male? Devi vomitare?” Le chiese, massaggiandole la schiena con una mano, chinandosi all’altezza del suo viso.
“S-si.” Sentì a malapena il balbettio di Maddie.
“Vuole che vada a chiamare sua moglie?” Chiese Edwards, inquieto.
Logan non registrò subito le parole dell’uomo, ed una volta che ne comprese il significato, alzò di scatto la testa. Ma non poté nemmeno chiedere spiegazioni, perché l’altro stava già raggiungendo frettolosamente gli uffici.
Ha detto moglie?
Sbuffò divertito.
“Che succede, Diddi?” Sfoderò il nomignolo che usava sempre Charlie, sperando che quello, unito al suo tono gentile e confortante, la calmassero.
Funzionò, perché la donna lo guardò sorpresa e si tirò di nuovo in piedi. Si aggrappò al suo cappotto, però, come se ne andasse della sua vita. “Sei venuto ad arrestarmi?”
Quello, unito al sollievo di vederla star meglio, lo fecero ridere. “No. Dovrei?” Chiese curioso.
Cosa poteva mai aver fatto quella donna tanto dolce e amabile da pensare di dover essere arrestata?
Improvvisamente, a Logan parve d’essere un prete che assolveva i peccati di una parrocchiana venuta a confessarsi, perché lei gli prese la mano e tutto d’un fiato disse: “Ho mentito. Ho raggirato quell’uomo, ho detto di chiamarmi Claire e d’essere sposata.” Lo guardò come cercando l’assoluzione.
Fu maledettamente difficile mantenere un’espressione seria. “Se dovessi arrestare tutti quelli che dicono bugie, mio figlio sarebbe il primo a stare dietro le sbarre.”
La donna non parve rassicurata, però. “La prigione non fa per me.” Lo supplicò.
Non ebbe il coraggio di farle notare che era lo stesso per chiunque altro, perciò chiese: “Dov’è Charlie?”
A quel punto, però, la risposta di Maddie non fu necessaria, perché la porta degli uffici si spalancò e ne uscì una Charlie visibilmente allarmata, che iniziò a correre verso di loro.
Logan non riuscì a staccare gli occhi da lei. Con il signor Edwards che cercava di starle dietro – e che ben presto fu seminato – si diresse nella loro direzione. Rallentò il passo solo quando si accorse di lui e si rese conto che l’amica stava bene.
Tuttavia, Logan si domandò come diavolo facesse a muoversi tanto velocemente su quei tacchi a spillo.
Con il lussuoso cappotto che si apriva leggermente ad ogni suo movimento, lasciando intravedere il vestito che aveva al disotto, non pareva certo la stessa donna con cui aveva passato la notte; era un raggio di sole negli occhi: accecava e abbagliava senza consentire uno sguardo più approfondito.
Capì cosa avesse spinto il Maggiore Royce a pensare il peggio di sua figlia. Sembrava appena uscita da una di quelle riviste patinate d’alta moda, ed era abbastanza difficile giustificare tutto quello sfarzo se mentivi sul tuo lavoro.
Quello era un ulteriore tassello del puzzle ingarbugliato che era quella donna e, in un’altra circostanza, Logan si sarebbe preoccupato del fatto che tutto ciò non lo allarmasse affatto.
Charlie non lo guardò nemmeno quando fu a pochi passi da loro, la sua attenzione completamente per Maddie.
Aprì semplicemente le braccia sui suoi fianchi, come a chiedere: “cosa diavolo hai combinato?” e si avvicinò ancora, allungandosi a sfiorare con il dorso della mano la fronte dell’amica. “Quanti hot dog hai mangiato, prima di venire?”
Logan non seppe perché, ma quella domanda tanto strana scatenò l’indignazione dell’altra che le scostò bruscamente il braccio, sbuffando. “Non sei divertente.” Brontolò.
Anche il signor Edwards, visibilmente provato da quell’attività fisica non programmata, si unì al loro capannello. “Si sente meglio, signora Jhonson?” Chiese a Maddie, ansimando per la corsa.
“Si, grazie. Potrei avere un bicchiere d’acqua, però?” Chiese, lanciando un’occhiata nervosa verso Logan, come chiedendosi se l’avrebbe smascherata. Lo sceriffo, però, si limitò a sorridere innocentemente.
George, che si era davvero spaventato al vedere la donna sul punto di svenire, non esitò ad acconsentire. “Certamente. Venga, l’accompagno.”
Solo allora Charlie si voltò verso di lui. Si alzò gli occhiali da sole sulla testa, permettendogli di vedere quei suoi magnifici occhi blu, ed eccola lì: la sua Charlie.
Il sorriso che sbocciò sulle labbra di lei rispecchiò il suo.
“Pare che debba farti le congratulazioni...” Osservò Logan con divertimento.
Lei scrollò le spalle, per nulla agitata, in un gesto fintamente snob. “Ti avrei anche invitato al matrimonio, ma è stata una cosa piuttosto improvvisa.”
Sapeva che, se avesse fatto domande, avrebbe ottenuto solo silenzio; ma c’era un che di estremamente confortante in ciò: non avrebbe mentito – non a lui, almeno – nemmeno se, così facendo, avesse potuto scagionarsi da ogni possibile accusa. Questo diceva molto di che tipo di persona fosse.
Logan alzò brevemente lo sguardo, giusto il tempo di constatare che erano rimasti da soli lì fuori, e finalmente, non ebbe più bisogno di resistere al suo desiderio di toccarla. Allungò una mano e le accarezzò una guancia con la punta delle dita, acciuffando una ciocca di capelli e scostandoglieli dietro l’orecchio. Charlie inclinò la testa di lato, avvicinandosi al suo tocco, socchiudendo languidamente quei suoi occhi straordinari, e i ricordi – che era stato costretto, per motivi psichici ma anche fisici, a reprimere fino ad allora – della notte precedente, tornarono prepotentemente a galla.
Le fece scivolare la mano dietro la nuca, lasciando solo il pollice ad accarezzare la pelle morbida del viso.
Si chinò verso di lei, sfiorando con la bocca il suo orecchio. “Ciao, tesoro.” La salutò, con voce roca.
“Ciao, cowboy.” Mormorò, il respiro di lei improvvisamente corto.
Lo sguardo di Logan, inevitabilmente, cadde su quella labbra rosse, fulcro di tutti i suoi pensieri più peccaminosi e si rese conto che, nonostante fossero passate solo poche ore, incredibilmente, il loro dolce sapore gli era mancato da pazzi.
“Sono una donna sposata.” Sussurrò divertita, comprendendo le sue ovvie intenzioni.
Lui sorrise maliziosamente. “Mmh. Sono sicuro che per l’ora di pranzo avrete già ufficializzato il divorzio.”
Charlie ridacchiò e, stringendo il suo cappotto tra le mani, si alzò in punta di piedi e lo tirò verso di sé, per un bacio. Adorava quando esternava, con quella sua urgenza, il profondo bisogno che aveva di lui.
Non lo faceva sentire l’unico.
“Vieni a cena da me, stasera.” Soffiò sulle sue labbra. Fu più una supplica, che una richiesta.
Gli sembrò stranamente esitante, quando chiese: “Jake?”
Non afferrò subito il vero significato di quella domanda. Gli ci volle un momento per rendersi conto di ciò che gli stava realmente chiedendo: era sicuro di voler spingere quella storia – appena iniziata – così in là? Invitarla in quel contesto domestico, tra le mura di casa sua, era ad un livello completamente nuovo della loro – strana e ancora non ben definita -relazione. Cosa sarebbe successo se suo figlio si fosse affezionato a lei in un modo ben diverso da quello attuale?
Logan era sicuro che Jake già la vedesse come una figura di riferimento; qualcuno su cui poter contare, a cui chiedere consiglio.
Per quanto riguardava lui, invece, non era certo disposto a lasciarla andare. Sapeva perfettamente cos’aveva significato la notte precedente, e non aveva intenzione di perder tempo, domandandosi com’era potuto succedere che Charlie fosse riuscita a farsi strada nel suo cuore nell’arco di un mese, era così e basta.
La notte prima non era stata una mera questione fisica. Aveva coinvolto ogni parte di loro, corpo e anima.
L’unica che sembrava non rendersi conto di tutto ciò, era lei.
“Ne sarà senz’altro entusiasta, vedrai. Soprattutto se dopo faremo qualche gioco da tavolo.” Le fece l’occhiolino e le iridi blu di Charlie sfavillarono sotto la luce del sole, quando sorrise.
Piegò la testa all’indietro, ad offrirgli la bocca. La porta degli uffici, però, si aprì e ne uscì Ryan; costringendolo a lasciar andare Charlie e a fare un passo indietro. Lo sceriffo di Twin Lake non sembrò farvi caso ed iniziò ad avvicinarsi a loro, giocherellando con il bottone del cappotto.
Con l’arrivo di Ryan Clark, la sua Charlie se ne andò, lasciando una maschera imperturbabile al suo posto.
La postura più dritta e fiera. Sembrava una donna pronta a qualsiasi cosa. Fu grato che, almeno, non si mise di nuovo gli occhiali scuri sul naso.
Clark, che non conosceva Charlie, ovviamente non si accorse di quel cambiamento e tese la mano verso di lei. “Signorina Royce, è un vero piacere conoscerla.”
Lei gliela strinse e rimase in silenzio per un lungo momento, guardandolo con quelle gelide iridi blu. Sembrava soppesarlo, come tentando di capire se fosse una minaccia oppure no.
Nervoso di natura, stranamente, Clark non ne parve affatto turbato; eppure, Logan non lo avrebbe certo biasimato.
“Il piacere è mio, sceriffo Clark.” Disse lei, infine, accompagnando quel saluto con un cenno cortese del capo.
Solo quando disse il nome dell’altro uomo, Logan capì cosa fosse davvero successo.
Teoricamente, Ryan non avrebbe dovuto sapere chi fosse Charlie e viceversa; tuttavia, l’aveva già vista al Gryson’s, e salutandola per nome aveva ammesso di conoscerla. Non si era presentato, però, mettendola davanti ad una scelta: mentire oppure esporsi a sua volta. Un modo per dire: “So esattamente chi sei, e lo stesso vale per te.”
Inevitabilmente, però, l’atteggiamento dell’uomo la spinse alla ritirata. “Vado a vedere che fine ha fatto Diddi.” Annunciò a nessuno in particolare, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso. “È stato un piacere.” 
La guardarono allontanarsi in silenzio, e fu lo sceriffo di Twin Lake a parlare per primo. “È davvero una bellissima donna.”
“Già.” Concordò, piatto.
“E anche pericolosa.”
Logan si accigliò. Non perché trovasse strana quella descrizione per lei; insomma, poteva essere una donna pericolosa sotto molti aspetti diversi, ma non era sicuro che lo intendessero allo stesso modo.
Ryan, prese a ad aprire e chiudere la chiave a scatto della macchina, i suoi tic improvvisamente tornati. “Non trovi anche tu sia strano?”
Già. Logan poteva anche star innamorandosi sempre di più di Charlie, ma questo non voleva certo dire che, tutto d’un botto, fosse diventato stupido. Ancora riusciva a fare due più due.
Prima di tutto, Charlie sapeva dove trovare Alan Hill. Secondo, gli era parso assai strano che, proprio quando più ne avevano bisogno, una fonte anonima avesse contattato Ryan con informazioni di prima mano. Infine, quello stesso giorno, Charlie aveva scelto proprio Edwards and Sons per acquistare un’auto – o meglio, non acquistare un’auto -, esattamente dove Liam Ruiz aveva noleggiato la sua. Per dipiù, mentendo sulla sua identità.
Quanto ingenuo sarebbe stato se avesse creduto che fosse tutto un caso?
E, forse, era ingenuo anche a non avere il minimo dubbio su di lei.
Ad ogni modo, fece finta di niente. “Strano? In che senso?”
“Non lo so. Ma Charlie Royce non mi convince.”
 
Si sa, il Sole non può splendere per sempre in un cielo terso. Prima o poi il vento porta con sé le nubi; infatti, come si è detto, ben presto sarebbe arrivata la neve.
Restava da vedere se si sarebbe limitata a posarsi dolcemente al suolo, oppure avrebbe portato con sé una tormenta.
   
 
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