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Autore: moira78    15/02/2022    9 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E siamo giunti alla fine di questo lungo... lungo cammino. Voglio ringraziare di cuore tutti coloro che mi hanno seguita fino a qui, commentando ogni singolo capitolo (avete una pazienza e una costanza invidiabili!), coloro i quali hanno partecipato alle discussioni sul mio gruppo Facebook, i lettori silenziosi o quelli che a un certo punto della strada si sono arresi. Ringrazio chi ho emozionato e fatto arrabbiare, chi mi ha criticata o sottolineato i pregi. E ringrazio, ancora una volta, la mia beta Tiger Eyes per aver corretto tutti i refusi. Spero che anche l'epilogo sia di vostro gradimento: anche a me dispiace che la storia sia terminata, ci sono davvero molto affezionata... e vi dico ancora una cosa: venerdì pubblicherò un capitolo di "ritagli", scene scritte e mai inserite. Un abbraccio a tutti e alla prossima fanfiction!



 
EPILOGO

- § -
 
Maggio 1922

Lei era lì, sulla Collina di Pony.

Sedeva sotto a papà albero, che l'aveva vista crescere e ora, con le sue fronde rigogliose, la proteggeva mentre allattava la loro bambina.

Albert si era cambiato in una delle stanze della Clinica Felice, proprio come aveva fatto più di un anno prima nella speranza di ritrovare la donna della sua vita nella sconosciuta che si rifiutava di innamorarsi di lui mentre era senza memoria.

"Come sto?", aveva chiesto al buon medico.

"Mi sembri molto più rilassato dell'ultima volta. Di sicuro respiri meglio e sprizzi gioia da tutti i pori". Era scoppiato a ridere, rimembrando come all'epoca gli avesse ricordato di respirare perché sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.

E lo era! Soprattutto dopo che le cose erano andate tristemente a rotoli.

Aveva preso la sua cornamusa e intonato la loro canzone, avvicinandosi piano mentre sentiva il pianto della loro bambina già da lontano. Man mano che avanzava, però, il pianto era diventato un piagnucolio sommesso e lui aveva visto Candy cullare Rose mormorandole qualcosa.

Durante una pausa tra una strofa e l'altra, aveva udito chiaramente la frase: "Arriva papà".

Rallentando i propri passi, Albert si beò dell'immagine materna della sua Candy con l'abito primaverile verde e bianco, che guardava con amore immenso la loro primogenita. Si riempì gli occhi e il cuore, suonando con più emozione e, quando terminò, si accucciò vicino a Candy fissando il visino ora mezzo addormentato e persino sorridente della neonata.

"Piccola, sei molto più carina quando ridi che quando piangi", le sussurrò col cuore gonfio d'amore. Candy alzò lo sguardo su di lui, commossa, e si affrettò ad aggiungere: "Ovviamente lo stesso vale per te", carezzandole una guancia con il dorso della mano.

Lei sorrise e mormorò: "Non credevo che un giorno avresti detto questa frase a un'altra e io non sarei stata gelosa".

Risero piano, per non svegliare la loro bambina, e lui le sedette accanto, appoggiandosi a sua volta a papà albero e circondandole le spalle con un braccio, attirandola un po' contro di sé mentre osservavano Rose che si addormentava serena.

Avevano volutamente scelto quel nome e non Rosemary, perché volevano fare omaggio all'adorata sorella di Albert, ma al contempo rendere unica quella figlia che era nata dal loro amore così speciale.

"Quando sarà grande la porteremo in giro per il mondo insieme agli altri sette od otto figli che avremo", disse lui con aria sognante.

Candy alzò gli occhi spalancati su di lui: "Sette... otto? Albert, anche io voglio una famiglia numerosa, ma non ti sembra di esagerare? Sembrerò una specie di pallone aerostatico per i prossimi quindici anni, così, altro che viaggiare!".

"Non dire sciocchezze", ridacchiò, "tu saresti bella e desiderabile anche se fossi sempre incinta. Anzi, la gravidanza ti rende ancora più speciale ai miei occhi... è così magico sapere che dentro di te cresce il frutto del nostro amore!".

Sfiorò il naso di Candy col proprio, mentre lei chiudeva gli occhi, e le pose un bacio sulle labbra leggero come le ali di una farfalla.

"Grazie per le tue parole, amore mio. Vedrò di accontentarti, ma sarà necessario trovare un compromesso sul numero", rise anche lei, baciandolo di nuovo.
Si godettero la vicinanza l'uno dell'altra, ascoltando solo il soffio gentile del vento e il respiro ritmico e dolce di Rose.

"Albert... a volte mi chiedo quanto durerà questa felicità", disse Candy d'improvviso, facendogli raddrizzare la testa che aveva poggiato al tronco e sbattere le palpebre.

"Che intendi?", le domandò.

"Voglio dire... ogni volta che ho sfiorato la felicità mi è sempre sfuggita di mano nei modi... più impensati e dolorosi. E, anche se ormai mi sembra di averla raggiunta pienamente, temo sempre che possa accadere qualcosa che spezzi questo incanto". Candy parlava guardando alternativamente lui e la loro bambina.

Albert si riappoggiò al tronco e la strinse più forte: "Candy, c'è stato un periodo della mia vita in cui anche io mi sono chiesto se veramente potevo rilassarmi o avrei dovuto aspettarmi qualche altro colpo basso dal destino. Io, che sono sempre stato pragmatico e che ti ho sempre insegnato a guardare avanti e ad essere ottimista. Ci sono momenti in cui a tutti capita di crollare sotto ai colpi della vita ed è successo anche a me. Ma sono quelli i momenti in cui impari a essere più forte. A te è capitato quando sei andata a vivere con i Lagan, quando è morto Anthony e quando hai perso Terence. Io ho dovuto fare i conti con la morte di maggior parte della mia famiglia e poi con il fatto di averti quasi perduta. Lo scorso anno ci siamo dovuti entrambi confrontare con il lutto del nostro bambino mai nato. Ma per quanto siamo caduti a fondo, per quanto ci sia sembrato di non poter più risalire, alla fine lo abbiamo sempre fatto. E se ogni volta che siamo felici stiamo lì a preoccuparci di cos'altro possa accadere... beh, non lo saremo mai. Godiamoci il presente e affrontiamo i problemi solo quando arrivano. Solo così saremo sereni".

Sul viso di porcellana di Candy si disegnò finalmente un sorriso e ad Albert parve che illuminasse l'intera collina: "Sapevo che parlare con te mi avrebbe fatta stare meglio. È sempre stato così, anche in passato".

Albert le toccò il naso col proprio: "E spero che continui a essere così anche in futuro", sussurrò baciandole la punta e poi cercando di nuovo le sue labbra.

Intorno a loro tre, la natura parve sospirare.
 
- § -
 
Ottobre 1927

Carissima Candy,

quante notizie nella tua ultima lettera! Ho vissuto così tante emozioni tutte insieme che quando Duncan mi ha vista in lacrime, mentre leggevo, pensava che fossero cattive nuove! In realtà devo confessarti che ero già a conoscenza della seconda gravidanza di Annie, mi ha persino detto che teme possano essere di nuovo gemelli perché, nonostante sia solo al quinto mese, si sente già enorme. Ma mi ha confermato che Archie non sta più nella pelle dalla gioia e Alice e Alistair cominciano già a fare mille domande sul nuovo fratellino.

Sono molto felice anche per Terence e Karen, hanno preso una decisione molto coraggiosa rinunciando alla carriera per seguire la crescita dei loro figli. Immagino che, dopo le prime tournée con i loro due bambini al seguito, non solo si siano resi conto che era troppo complicato, ma credo anche che il manager volesse attori più stabili nel tempo. Tutto sommato, per quel poco che lo conosco, non ce lo vedo Terry a rimanere fermo troppo a lungo, anche se ora ha una compagnia tutta sua. Qualche giornale ha scritto che la sua intenzione è riprendere a calcare le scene, quando i ragazzi saranno abbastanza grandi, chissà che non sia vero?

Certo che mi ricordo di Frannie! Non che abbia avuto modo di conoscerla a fondo, ma quando mi è capitato di incrociarla, le volte che venivo a trovarti in ospedale, mi ha sempre dato l'impressione di una donna molto sola e riservata. Non avevo idea che avesse sposato il tuo ex psichiatra e avesse messo su famiglia. La vita ci riserva sempre un'anima gemella, non c'è nulla da fare!

Ma la notizia che mi ha lasciata davvero senza parole è stata quella della tua seconda attesa. Eri così preoccupata di non riuscire più ad avere questa gioia, tra i lunghi viaggi di Albert e l'impegno di voler crescere Rose praticamente senza aiuti! E invece, hai visto? Dio ci riserva miracoli quando meno ce lo aspettiamo. E te lo dice una che fino all'anno scorso credeva di non poter mai vivere una felicità simile: oh, lo so che sono ancora relativamente giovane e che due anni di matrimonio non erano tantissimi, ma eravamo così impazienti! Ormai Bryan è un ometto che gironzola per casa e se non stiamo attenti si infila negli armadi per giocare a nascondino. Un giorno ti racconterò dello spavento che ci ha fatto prendere quando ha deciso di sfuggire alla tata per arrampicarsi sulla scala che porta in soffitta. La poveretta soffre di vertigini e a malapena si affaccia da un balcone, figurati seguire una piccola peste dai capelli rossi su per una botola...

Candy, goditi ogni istante di questa gravidanza benedetta e non preoccuparti dei borbottii della tua prozia: anche se fosse un'altra femmina continuerete a provare finché non avrete un maschio e se non accadrà... gli Ardlay non possono avere una matriarca? Certo, il problema sarà il cognome, ma in caso di necessità c'è sempre l'opzione di Alistair Cornwell.

A volte mi capita ancora di pensare a Stair... il mio primo amore. Ma non come prima, con sofferenza, quasi con rabbia: è più la struggente nostalgia per aver perso una bella persona che un giorno, da ragazza, ho amato. Credo che, semplicemente, certe perdite lascino un segno indelebile ed è quello che la perdita di Stair ha fatto con tutti noi, un po' come quella di Anthony: è ingiusta, prematura, crudele. Ma fa parte della vita, purtroppo, e la vita va avanti.

Candy, ti prego, fammi sapere come procede e quando nascerà  il tuo bambino (o bambina!). Se siamo fortunate, potremmo dare alla luce i nostri figli nello stesso mese.
Un forte abbraccio a te e a tutta la tua famiglia!

Patty O'Bryan Roy
 
Febbraio 1932

Albert si asciugò il viso con l'asciugamano e si guardò allo specchio: aveva due profonde occhiaie per la mancanza di sonno, le guance scavate, la fronte corrugata, un pallore diffuso sul volto e... non erano un paio di capelli bianchi quelli che spuntavano sulla fronte? Li appiattì con la mano e li tirò via con due dita: non era pronto ad abbandonare i suoi capelli biondi proprio ora che stava per nascere il suo terzo figlio e non sarebbe invecchiato prima di essere un buon padre come lo era per Rose ed Emily.

Pensò che ci sarebbero stati inevitabilmente momenti della sua vita in cui gli undici anni di differenza che aveva rispetto a Candy gli sarebbero pesati, ma Albert si sentiva sempre giovane dentro e cercava di rimanere attivo, oltre a non esagerare col lavoro per non essere mai troppo assente da casa.

Quel giorno, però, mentre la neve cadeva incessante, si sentì sfinito e non tanto per la stanchezza, ma per la paura che gli torceva lo stomaco in una presa d'acciaio. Uscì dal bagno e ripercorse il corridoio fino alla stanza dove Candy era in travaglio da quasi trentasei ore e incrociò il dottor Leonard.

"Ci sono novità?", chiese con un'ansia malcelata nella voce.

L'uomo scosse la testa: "La dottoressa Moore sta facendo il possibile, ma sua moglie è stremata e temiamo che non sia in grado di spingere quando verrà il momento...".

Aveva fatto tutto il possibile per rimanere lucido e non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, anche quando era rimasto solo, perché temeva di finire in pezzi. Ora, davanti al volto tirato del bravo medico di famiglia, Albert lottò per non lasciarsi travolgere da tutto: dal battito impazzito del proprio cuore, dal respiro strozzato in gola, dal viso che ardeva e dal sudore che, nonostante la neve fuori dalle finestre, gli scendeva in rivoli dalla fronte e dalle tempie.

Appoggiò una mano al muro, preda di un mancamento: "Tutto bene?", chiese la voce allarmata di Leonard.

Lui si morse un labbro e annuì, tentando di mantenere ferma la voce mentre chiedeva: "E se...", se la schiarì, scuotendo la testa, "e se non riesce a spingere dovrete fare un cesareo, giusto?".

"Sì", ammise lui, cupo. "A quel punto l'ideale sarebbe procedere in ospedale, ma la tempesta di neve ha reso molte strade impraticabili e rischieremmo di non arrivare in tempo. Il battito del bambino è già... diminuito, quindi la situazione si dovrà sbloccare al massimo in un paio d'ore. Abbiamo comunque tutti gli strumenti necessari per intervenire".

Albert studiò il volto del medico e vi lesse quello che non avrebbe mai voluto leggere. Gli avrebbe anche chiesto chi voleva che scegliesse tra i due, se le cose si fossero messe male? Oppure lo avrebbe domandato direttamente a Candy? Se così fosse stato, era certo che l'avrebbe persa. Stavolta per sempre.

Voleva suo figlio, ma voleva anche sua moglie. Non era disposto a rinunciare a nessuno dei due.

"La prego, faccia tutto quello che è in suo potere. Non... non voglio...". La voce gli si spezzò, i lineamenti del viso si contrassero contro la propria volontà e Albert girò il volto per non mostrare le proprie lacrime al medico.

Sentì una pacca sulla spalla: "Non deve neanche chiedermelo. Faremo tutto ciò che l'esperienza ci consente, dopodiché saremo nelle mani di Dio". Il tono incrinato del dottor Leonard non lo rassicurò affatto e Albert capì che, alla fine, l'ondata di terrore lo aveva travolto nonostante l'esperienza.

Sua madre era morta di parto. Sua sorella era già molto malata quando aveva dato alla luce Anthony. Le donne della sua famiglia erano tutte morte prematuramente e, sebbene sapesse che era illogico fare il paragone con Candy che non aveva certo il loro stesso sangue, non poteva fare a meno di essere, ancora una volta, irrazionale.

"Torno di là, lei cerchi di dormire un po'", borbottò il dottore allontanandosi a grandi passi.

Incapace di trattenersi oltre, Albert si morse il pugno e scivolò lentamente a terra, soffocando i singhiozzi sulle nocche, portandosi le mani sulla testa e artigliandosi i capelli, respirando pesantemente nel tentativo di ricomporsi. Ma era davvero troppo.

Quando Candy gli aveva detto di aspettare il loro terzo bambino, l'aveva fatta volteggiare fra le sue braccia e avevano riso e pianto assieme. Non gli importava se fosse stato il maschio che tanto anelava la zia Elroy, per loro era soltanto carne della loro carne, una creatura che avrebbero amato comunque più delle loro stesse vite.

E, se non avessero mai avuto un maschio, tanto meglio: non l'avrebbero mai ricoperto di quella responsabilità cui spesso lui stesso aveva desiderato rifuggire.

Mentre era ancora per terra a piangere più silenziosamente possibile, udì la voce allarmata della zia Elroy: "William, per l'amor di Dio, cos'è successo?".

Regredendo di quasi quarant'anni, Albert si alzò in piedi barcollando e semplicemente si aggrappò a lei, non riuscendo a fare altro, singhiozzando contro il corpo fragile della donna, che a malapena riuscì a circondarlo con le braccia.

"Il dottor Leonard... dice che forse dovranno fare un cesareo... qui", articolò a fatica.

Sentì le dita della donna affondargli nella pelle della schiena: "Oh, no...".

Quanti anni erano che non abbracciava così sua zia? E che lei lasciasse andare a sua volta le emozioni che provava? Ricordava qualcosa di simile quando era morta Rosemary, ma era durato il tempo di un battito di ciglia.

Ora, stettero per lunghi minuti in quella posizione, riprendendo il controllo a malapena. Albert sapeva che anche per lei era un déjà-vu e sarebbe voluto essere maggiormente di aiuto. Ma, quando infine riuscì a staccarsi da lei con il viso affondato in un fazzoletto, sua zia si stava già asciugando gli occhi con il proprio.

"Non è così che aiuteremo Candice", esordì con voce roca.

"Lo so", rispose.

Si erano capiti alla perfezione. Ma la verità era che non c'era nulla che potessero fare per aiutarla. Se non pregare.

"Ho sentito Archibald mezz'ora fa. Dice che le bambine chiedono del fratellino, ma stavano già andando a dormire", aggiunse la donna ritrovando quasi completamente la compostezza. C'erano momenti in cui invidiava la forza di sua zia. Quella forza che a lui veniva a mancare quando si trattava di Candy e dei suoi figli. Eppure la ritrovò, seppure non poteva prevederne la durata. Sfinito nel fisico e nello spirito, temeva che avrebbe di nuovo vacillato.

"Abbiamo fatto bene a mandarle dai Cornwell. Qui avrebbero avvertito l'aria tesa". Candy aveva avuto le prime contrazioni la mattina precedente e c'era stata subito un'atmosfera colma di eccitazione e aspettativa. Atmosfera che era drasticamente mutata quando, dopo dodici ore, i medici avevano comunicato loro che il canale del parto non era ancora aperto a sufficienza e che il bambino non era nella posizione corretta.

Avevano discusso a lungo, con Candy stessa, se andare subito in ospedale o attendere che le cose si sistemassero magari quella sera e, viste anche la neve e la notte imminenti, era stato stabilito di rimanere a casa.

Aveva messo a letto Rose ed Emily, quasi promettendo loro che con il nuovo giorno avrebbero visto finalmente il loro fratellino o sorellina. Ma, quando ciò non era avvenuto e le cose avevano cominciato ad assumere sfumature allarmanti, erano partiti alla volta dell'ospedale alle prime luci dell'alba solo per rendersi conto, con sommo orrore, che la strada era bloccata per un albero caduto e che per rimuovere il grosso tronco ci sarebbe voluto anche un giorno intero. La neve che continuava a cadere, il vento gelido e le urla di dolore di Candy avevano portato a un ritorno precipitoso alla villa.

A quel punto, Albert aveva accompagnato le bambine da Archie e Annie, che per fortuna non abitavano lontano. Le aveva baciate e lasciate alle cure dei Cornwell col sorriso sulle labbra, ma già sulla via del ritorno aveva avvertito le dita gelide del panico afferrarlo per la gola, specie quando per poco la macchina non era uscita fuori strada a causa della neve e del ghiaccio.

Candy avrebbe partorito a casa, ormai non aveva più dubbi. Per fortuna avevano personale medico a sufficienza e attrezzature adeguate, ma non sarebbe mai stata la stessa cosa che in ospedale. E, ancora per fortuna, si trovavano a Chicago e non a Lakewood, dove sarebbero rimasti bloccati per altri giorni. Se vendere la villa dopo il crollo della borsa era equivalso quasi a strapparsi un pezzo di cuore, oggi poteva dirsi fortunato di aver sistemato gli affari finanziari in quel modo, perché avrebbero potuto decidere di far nascere il bambino lì, come era già successo per Rose ed Emily.

Ma ora, dopo un giorno e mezzo, tutto sembrava voler andare terribilmente storto.

Seguì la zia Elroy in una stanza degli ospiti dove avevano appeso un piccolo crocifisso e lei fece qualcosa che lo sorprese oltre ogni limite: si inginocchiò sul tappeto, poggiò i gomiti sul letto e iniziò a pregare.

"Proteggi, mio Dio, la nostra Candice e il mio pronipote. Concedi a lui di venire al mondo circondato dall'amore della sua famiglia e a lei di essere nuovamente madre", disse con una voce calma e piena di emozioni che non le aveva mai sentito prima.

Commosso, Albert imitò sua zia, che sembrava così forte e così fragile al contempo, e cercò le sue parole guardando il Cristo sul crocifisso, rivolgendosi a lui con tono fervente: "Mio Dio, so di non essere mai stato molto dedito alla preghiera. Ma credo in Te e voglio innanzitutto ringraziarti per aver messo Candy sulla mia strada, anche se questo penso di averlo fatto almeno un migliaio di volte". Deglutì, chinando il capo come per mostrare tutta la propria umiltà. "Oggi ti chiedo di porre la Tua benevola mano sulla mia famiglia, di far nascere il mio bambino e di salvare mia moglie. Non voglio altro...".

Tirando su col naso, prostrandosi con le mani giunte strettamente una dentro l'altra, gli occhi chiusi per non far scendere altre lacrime, Albert udì la zia Elroy dire: "Ascoltaci, oh Signore. Ascolta le nostre preghiere e compi la tua opera, ti supplichiamo".

"Amen", rispose lui di rimando.

Fu l'ultimo momento quasi silenzioso, poi Albert venne risucchiato in un vortice di voci, passi veloci, porte spalancate e richiuse in faccia, grida che sembravano provenire da lui, altre da sua zia.

"Non può entrare ora, deve aspettare fuori!". Chi era? Una delle infermiere o l'ostetrica? Albert seppe solo che il suo pugno impattò sul muro con tanta ferocia che si stupì di non essersi spaccato le nocche.

"William!", quella era la zia Elroy, ne era quasi certo.  

Camminava nervosamente avanti e indietro davanti alla stanza, udendo le grida sempre più forti di Candy, i toni concitati dei medici che le dicevano di spingere, cara, solo un altro po'. Mentre i suoi passi risuonavano sul pavimento, stringeva le mani giunte davanti alle labbra serrate, come se stesse pregando e imprecando al contempo, impedendosi di parlare, respirando in lunghe boccate.

Candy lanciò un urlo che fece sussultare anche la zia Elroy e lui si vide proiettato di nuovo oltre quella stramaledetta porta, ma rimase fermo al suo posto, bloccandosi per cogliere ogni più piccolo sussurro nella stanza chiusa.

Smise persino di respirare.

Ma lo accolse un silenzio improvviso, irreale, troppo lungo. Estremamente lungo.

Sono morti, sono morti entrambi. Li ho persi, crescerò da solo le mie bambine.

Quel pensiero orribile gli trapanò il cervello con una chiarezza tale che le lacrime si staccarono dai suoi occhi come se fossero già consapevoli di una verità che ancora non gli era stata detta.

"Fatelo respirare, per l'amor di Dio!", tuonò il dottor Leonard e Albert cadde in ginocchio, mentre la zia Elroy si accasciava su una sedia con un verso strozzato.
Gli occhi spalancati, decine di puntini neri che gli danzavano davanti allo sguardo appannato, Albert si sentì svuotato di ogni energia.

Dunque è vero...

Qualcosa come un gemito cominciò a sgorgargli dalla gola, pronto a diventare il grido di dolore di una bestia ferita a morte, ma venne interrotto a metà da un pianto. Un suono bellissimo, forte, che lo portò a dondolarsi avanti e indietro per un paio di volte prima di poggiare le mani a terra per rialzarsi. Barcollò come un ubriaco, ma era in piedi quando l'infermiera uscì finalmente con suo figlio in braccio.

I passi della zia, le parole della donna... sentiva i suoni ma non ne capiva il senso. Era calamitato solo dalla piccola figura avvolta nelle coperte, la testolina piena di fili dorati, quelle che sembravano piccole lentiggini sul naso.

Candy? Candy è...?

"È un maschio, signor Ardlay, congratulazioni!". Alzò il viso, incredulo, sull'infermiera che sorrideva e poi vide la zia Elroy asciugarsi gli occhi.

"Il nostro erede maschio, tua moglie ha fatto un miracolo, William, guarda quanto è bello!", disse commossa.

Certo che è bello, somiglia a lei! Ma, a proposito, come sta mia moglie? Perché non sento la sua voce? Oh, adoro mio figlio! Però adesso ditemi come sta lei. Non è morta, vero? Sta bene, giusto?

Ma nessuna di quelle parole gli uscì di bocca, perché le lacrime lo accecavano, anche mentre stringeva a sé il suo bambino, i singhiozzi lo scuotevano e dolcezza, sollievo e terrore si mescolavano in un'unica, cocente emozione al centro del petto.
 
- § -
 
 
Settembre 1947

Albert raggiunse sua moglie sul ponte della nave, stringendosi il bavero del cappotto. Faceva davvero freddo, anche se l'autunno era entrato solo da pochi giorni, ma aveva assecondato la richiesta della sua famiglia di spostarsi con la nave invece che con l'aereo che continuava ad apparire, almeno alle donne, una diavoleria troppo pericolosa.
A lui non importava impiegare dei giorni in più per arrivare in America, anche se mancava da così tanti anni che aveva svariate persone da riabbracciare. A cominciare da sua zia Elroy, ormai tanto anziana, quasi centenaria, che era un bene che stessero rientrando per rivederla. E poi suo nipote Archie con la moglie e i figli...

"I ragazzi si sono addormentati?", chiese lei senza smettere di guardare l'orizzonte.

"Come angioletti", rispose passandole una mano intorno alle spalle e stringendola un po' a sé. "Come hai fatto a capire che ero io?".

"Ti ho riconosciuto dai passi", ridacchiò.

"Non hai freddo?", le domandò sentendo l'onda della nostalgia pervadergli il petto. Una volta, tanti anni prima, si era ritrovato nella medesima situazione, facendo il percorso inverso e dicendo quasi le stesse parole.

"Mi stavo godendo la brezza", rispose lei voltandosi finalmente a guardarlo, fermandogli il cuore in petto mentre il ricordo sembrava divenire realtà riavvolgendo il tempo.

Albert poggiò il mento sul capo di sua moglie, annusandone il profumo fresco e ammirando i capelli che, al contrario dei suoi, non avevano ancora neanche un filo grigio. "Forse però è meglio rientrare, sta tirando molto vento".

Lei rimase immobile nel suo abbraccio, passandogli un braccio dietro la schiena e stringendolo un po' più forte. Avvertì chiaramente i singhiozzi soffocati provenire dal suo corpo minuto. Odiava vederla soffrire, ma si aspettava quella reazione già dal giorno prima, a dirla tutta.

"Staranno bene, non è vero?", chiese con voce soffocata, cercando più consolazione che rassicurazione.

"Candy, ne abbiamo già parlato. Rientreremo non appena avremo sistemato gli affari e, se loro vorranno, potranno sempre raggiungerci e rimarremo più a lungo. In quel caso avremo sempre George a occuparsi delle cose in Scozia: è rimasto a casa apposta". Come aveva sempre fatto, Albert le diede quel calore e quel conforto che amava donarle fin da quando era una bambina.

E lei vi si abbandonò, tirando forte su col naso e affondando il viso nel suo petto: "Lo so, so che non sono più bambine e che io ho fatto di peggio, da giovane, ma...".

"Signora Ardlay", la apostrofò scostandola un po' da sé per guardarla in viso, un viso senza neanche una ruga dove occhieggiavano ancora alcune lentiggini, "se inizia a parlare di giovinezza come una cosa passata, comincerò a pensare di essere un vecchio decrepito", si lamentò.

Candy rise asciugandosi gli occhi e lui fu felice di averla un po' sollevata: "Perché, zio William, nonché nonno Albert, pensa forse di essere giovane?".

"Preferivo quando mi chiamavi Principe della Collina", gemette guardando in aria.

"Ma tu sei sempre il mio Principe della Collina. E lo sarai anche quando avrai ottant'anni e camminerai curvo su un bastone", aggiunse avvicinando il volto al suo e alimentando il desiderio di baciarla.

Pensò che l'avrebbe desiderata allo stesso modo anche a novanta, di anni, se mai ci fosse arrivato.

"Scordati che io cammini curvo su un bastone, dottoressa Ardlay. Eppure nell'ospedale dove si è laureata avrebbe dovuto imparare che la giovinezza viene da dentro", le sussurrò cercando e trovando le sue labbra, perdendovisi come se fosse il loro primo bacio.

"In effetti adesso mi sento davvero giovane", ribatté lei aderendo di più al suo corpo, segnalandogli che era davvero ora di rientrare in cabina o l'avrebbe presa lì, sul ponte della nave, in piena notte.

Stringendola a sé, cominciò a condurla verso la loro stanza: "Allora perché non ci comportiamo da giovani fino in fondo e facciamo qualcosa di trasgressivo?".

"Albert!", lo rimproverò lei spingendolo giocosamente, ma seguendolo fin dove lui voleva.

La spogliò con calma, con devozione, conoscendo a memoria tutti i sentieri e le curve, lasciando che lei stessa lo toccasse come le piaceva, prendendosi il tempo necessario per quel loro amore solo apparentemente quieto e controllato dopo tanti anni.

Più tardi, mentre lei giaceva ancora fra le sue braccia, le mormorò all'orecchio: "Rose ha un marito meraviglioso e dei figli di cui occuparsi, ed Emily sta studiando sodo. Non faranno in tempo a sentire la nostra mancanza che saremo tornati".

Lo so", disse lei con un sospiro, "ma per me saranno sempre le mie bambine. E anche quei due scapestrati che dormono nella stanza in fondo saranno sempre i miei bambini. A proposito, Anthony ti ha più parlato di quella ragazza...?".

Albert fece una smorfia maliziosa, carezzandole distrattamente una mano con il braccio col quale l'avvolgeva: "Penso che se non fosse perché voleva rivedere la zia Elroy, sarebbe rimasto anche lui. Immagino che si scriveranno decine di lettere, un po' come facevamo noi, ti ricordi?".

"Sì", rise, "non ci eravamo neanche dichiarati e già civettavamo senza rendercene conto".

"Oh, io me ne rendevo conto benissimo", dichiarò alzando il mento.

Candy si girò nel suo abbraccio per fronteggiarlo: "Come sarebbe a dire? Albert, mi stavi corteggiando di nascosto?".

Lui si mise a ridere: "Parla la ragazza che mi riferiva di non riuscire a dormire e che mi raccontava con emozioni che trasudavano a ogni riga tutti i nostri incontri alla Casa di Pony o a Lakewood!".

Il sorriso di Candy si spense un poco: "Lakewood... chissà chi ci abita, adesso. A volte sogno ancora il Giardino delle Rose e quella tua casetta in mezzo al bosco piena di animali... oh, e che fine avrà fatto la barchetta di Stair?".

Albert la baciò sulla testa: avrebbe mentito se avesse detto che a lui tutte quelle cose non mancavano neanche un po': "Dispiace tanto anche a me, tesoro, ma sai benissimo che all'epoca abbiamo rischiato la bancarotta. Successivamente ho pensato molte volte di ricomprarla, ma ormai avevamo deciso di trasferirci in Scozia e la zia non poteva allontanarsi troppo dalla città, con i suoi problemi di salute".

"Sì, lo so...", mormorò lei abbassando il capo e giocherellando con un dito sul suo petto, trasmettendogli piacevoli brividi. "Ricordi quando la voleva ricomprare Raymond Lagan, l'anno in cui Neil è uscito di prigione ed Eliza ha cominciato a lavorare come volontaria?".

Albert strinse la mascella, la sensazione languida causata dal tocco gentile di Candy si trasformò in un accenno di rabbia: "Sì, me lo ricordo. E devo confessarti che da una parte sono felice che non l'abbia fatto. Non avrei sopportato che loro due vi mettessero piede".

Candy sospirò, non contraddicendolo. D'altronde, di sicuro ricordava bene quanto lui la sofferenza che avevano attraversato a causa dei fratelli Lagan, quella che era iniziata come una serie di malvagi dispetti a una ragazzina adottata come dama di compagnia e finita con un tentativo di omicidio e uno atto a incastrare lui...

"Beh, non ci sarebbero andati quasi mai, comunque. Alla fine la loro fortuna in Florida è cresciuta a dismisura nonostante tutto, e pare che Neil sia diventato un bravo uomo d'affari", commentò sua moglie con tono freddo.

"Neil è un bravo uomo d'affari tanto quanto Eliza era felice di fare la volontaria negli orfanotrofi e nelle case di cura", ribatté con stizza, guardando di fronte a sé e stringendola di più al suo corpo. La mano affondò nei capelli, che ora portava fino a metà della schiena e che non avevano perso quelle onde ribelli che tanto amava.

"Non possiamo sapere quanto si siano pentiti, credo che dieci anni di carcere cambino chiunque", commentò cercando i suoi occhi.

Lui si perse nei due smeraldi di sua moglie e non riuscì a non sorridere. Quegli stessi occhi che avevano Emily e Craig. Quelli che, un giorno di quasi quarant'anni prima, lo avevano rapito per la loro limpida sincerità.

"Forse hai ragione, ma per me oggi l'importante è che nessuno come i Lagan venga più a turbare la nostra felicità. Ce la siamo sudata abbastanza direi, no?", aggiunse carezzandole una guancia con le nocche. Le palpebre di lei tremarono al suo tocco e capì che era in bilico tra sonno e veglia.

"Sì, è vero... ne abbiamo passate tante, ma alla fine eccoci qui... tornando a casa con due dei nostri figli. Riabbracceremo la zia, Annie, Archie, Patty, Suor Lane... Tom e Jimmy... se siamo fortunati potremmo incontrare anche Terry e Karen... e tutti i loro ragazzi...". Cullata dal suo abbraccio e probabilmente anche dalla prospettiva di rivedere tutte le care persone che stava elencando, Candy si addormentò e Albert sorrise.

"Buonanotte, amore mio", mormorò baciandola sulla fronte, cominciando ad arrendersi al sonno a sua volta.

Se pensava a quante volte era stato sul punto di perderla, inclusa la notte in cui aveva dato alla luce William Anthony, gli sembrava di essere morto e rinato continuamente. Quando, sette anni prima, gli aveva detto di essere di nuovo incinta, credeva che il suo cuore si sarebbe fermato.

Aveva giurato che non l'avrebbe più esposta a un rischio simile, anche se i medici non avevano dato indicazioni che dovesse smettere di avere figli, ma se prima era convinto di volerne tanti, alla fine avevano concordato che tre erano più che sufficienti. E, nel caso, avrebbero sempre potuto adottarne qualcuno alla Casa di Pony.

Mentre scivolava nel sonno, sulle labbra aleggiò il fantasma di un sorriso ricordando l'ansia, la trepidazione ma anche la gioia per quel bambino che aveva deciso di fare loro una sorpresa a un'età abbastanza insolita per una donna. Parlando con Candy, qualche mese dopo, mentre il ventre le si arrotondava a vista d'occhio, aveva scoperto il suo piccolo trucco e l'aveva rimproverata amorevolmente.

Diventata medico, la moglie non aveva più parlato di voler avere dei figli, ma una sera si era fatta trovare con la stessa camicia da notte che aveva indossato durante la loro luna di miele: dopo tre gravidanze, il suo corpo aveva delle curve più accentuate ma, se possibile, era ancora più bella e desiderabile.

Albert non ci aveva messo molto a perdere la testa e le aveva creduto quando Candy gli aveva sussurrato, tra gli ansiti, di non preoccuparsi perché ormai aveva superato i quarant'anni e c'erano pochissime probabilità che potesse verificarsi una nuova gravidanza.

In realtà, come gli aveva confessato successivamente, era ben conscia che le possibilità erano tutt'altro che azzerate e che non le sarebbe dispiaciuto avere un altro bambino.
Per fortuna le cose erano andate piuttosto bene, anche se Craig Albert aveva passato alcuni giorni in ospedale perché era nato leggermente prematuro. La gioia dei suoi fratelli era stata immensa e, finalmente, avevano potuto presentare il nuovo membro a tutta la famiglia.

Albert chiuse gli occhi, cullato dal corpo e dal respiro regolare di Candy, e le immagini di loro sei che correvano lungo la Collina di Pony lo colpirono con una nitidezza tale che pensò di aver avuto una chiara visione del futuro. Spalancò per un attimo le palpebre, certo che sarebbe accaduto, poi le richiuse, arrendendosi al torpore, felice come poche volte lo era stato nella sua vita.
 
- § -
 
Candy sbatté le palpebre e mise a fuoco il viso addormentato di suo marito. Il respiro caldo le solleticava la fronte e l'ombra di un sorriso aleggiava sulle labbra ben delineate e virili.

Era incredibile quanto Albert, seppure con qualche piccola ruga sul viso e alcuni fili d'argento tra i capelli ancora biondi, potesse ancora essere bello alla soglia dei sessant'anni. Il corpo era ancora scolpito da tanti anni in mezzo alla natura e, anche se viaggiava spesso per lavoro o stava in ufficio lunghe ore, non mancava mai di coinvolgerli in una gita fuori porta per rigenerarsi.

Ripensò a quando avevano deciso di trasferirsi in Scozia per seguire gli affari senza doversi separare continuamente: la decisione non era stata scevra da sofferenze, perché avevano dovuto lasciare molte persone care, ma l'importante era restare uniti, ovunque e comunque.

In quella casa in mezzo al verde, davanti alla quale sussurrava il fiume Avon, Candy aveva passato con la sua famiglia anni meravigliosi. Poco dopo il loro arrivo, Albert si era dovuto recare fino a Londra e ne era tornato con un quadro che lei non si sarebbe mai stancata di ammirare. La coincidenza che aveva voluto che suo marito lo trovasse proprio lì era pari a una su un miliardo, ma il destino, come era solita ripeterle la compianta Miss Pony, alle volte è imprevedibile.

E così, nel loro salotto scozzese troneggiava il dipinto di uno dei bambini più dolci che ricordasse di aver incontrato alla Casa di Pony, Slim, di cui non aveva notizie da tantissimo tempo. Eppure, il dipinto era arrivato fino a lei per mezzo di Albert, che aveva riconosciuto subito il loro posto speciale, la loro Collina di Pony.

Quando lui era fuori casa e i ragazzi dormivano, adorava starsene lì a rimirarlo, procedendo sulla strada dei ricordi mentre passava in rassegna dei suoi tesori contenuti nel portagioie intarsiato che le aveva regalato poco prima di vendere la villa di Lakewood: "È nella mia famiglia da generazioni. Mia nonna e mia madre ci mettevano i loro gioielli, ma tu puoi metterci quello che desideri".

E lei lo aveva riempito con il suo passato: lettere, ritagli di giornali, il piccolo carillon di Stair che si era rotto e Albert aveva riparato in un baleno, ricordi bellissimi o meno lieti, ma che rappresentavano il collage intero della meravigliosa avventura che era stata la sua vita fino a quel momento.

Quella vita che stavano ancora tessendo e che finiva sempre per portarla fra le braccia dell'unico uomo che avesse mai amato. Albert, colui che una volta l'aveva fatta ridere con la sua cornamusa quando si era sentita sola; Albert, che l'aveva salvata da una cascata; Albert, che le era sempre stato accanto nella sofferenza della morte di Anthony, nella sua fuga notturna a Londra e in mille altre occasioni.

"Quando ho perso la memoria mi hai salvato tu", le aveva confessato un giorno, con la voce colma di emozioni.

"E tu hai ricambiato milioni di altre volte", aveva ribattuto lei, ripensando anche a quando aveva fatto i salti mortali per farla tornare se stessa.

Quell'uomo meraviglioso, che le era stato tanto devoto da aver persino tentato di riavvicinarla a colui che credeva fosse ancora nel suo cuore. Ma, in quel cuore, il suo principe era uno e uno solo e ora la stava abbracciando più stretta borbottando il suo nome nel sonno.

Gli sfiorò le labbra con un bacio: "Dormi, amore mio, è ancora notte. Domani sarà un altro giorno meraviglioso". E, così dicendo, Candy si accoccolò ancora più stretta al suo petto e si addormentò di nuovo.
 
   
 
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