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Autore: Cladzky    17/02/2022    2 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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    Un battito di denti emerse dalla nebbia, seguito, subito dopo, da un ragazzo avvolto in un succinto chitone e catene di ghiaccio celeste, fino a sparire di nuovo nei banchi di bianco cotone. Era convinto che, prima o poi, quei legacci si sarebbero sciolti da soli, ma, nonostante la temperatura ambiente fosse nella norma primaverile, la sua pelle era tutto meno che bagnata d’acqua e né si era allentata di un poco la morsa; pareva d’essere stretti da ferro vero e pure gelido al contatto. Strofinò il collo contro le spalle per generare attrito sufficiente da combattere quel freddo che gli attanagliava la gola, rendendogli dura recuperare il fiato per correre, mentre ancora i polsi si rigiravano in pugni serrati ma impotenti, premuti sulla zona lombare. Più il sudore aumentava e più quella sensazione soffocante di assideramento andava a farsi pungente. Infine andò a buttare la schiena contro un albero, grattandosi come un orso, raschiando la corteccia con quel materiale.

    –Maledizione a me e quando ho deciso di tornare sulla terra– Quantomeno il bavaglio si era rimosso. Non perché si era sciolto, ma perché era venuto via come una ceretta, portandosi via quei tre peli che aveva in faccia e lasciando un marchio bruciante di pelle strappata –Maledizione a Mark per avermi lasciato, maledizione a me due volte per finire sempre in queste maledette situazioni senza la supervisione di uno come lui e maledizione a lui ancora per farsi venire queste crisi esistenziali quando già ho i miei cazzi per conto mio– Interruppe lo sfregamento per tastare con le dita i legacci, ma non si erano neppure scheggiati. Perfetto, considerò scrutando nei bancali di nebbia marmorea senza vedere nulla oltre la vaga ombra dell’erba; si trovava nel posto più pericoloso della villa di Gyber, a detta di Kitarō quantomeno, ed era pure legato come un salame dalla cintola in sù.

    –Lo avrà detto solo per spaventarmi al fine di farmi desistere– Indugiò sull’erba alta, un lento passo dopo l’altro, guardandosi più alle spalle che davanti a sè. Lo strusciare delle graminacee sulle ginocchia non aiutò la sua schiena a smettere di formicolare. Solo bianco dappertutto. Un paio di passi e anche l’albero su cui si era adagiato svanì inghiottito. Aveva corso in linea retta sinora, ma ne era poi tanto sicuro? Dove diavolo era l’entrata numero trentasette? Era troppo tardi per tornare indietro di corsa e ritentare l’approccio alla villa da un’altra parte? Ridicolo, si disse scuotendo i capelli, ormai si trovava a sì buon punto che tornare indietro sarebbe durato più che proseguire all’uscita. E se il cimitero fosse più grande di quello che credeva? Se si trovasse a ben prima di metà tragitto? Dopotutto non aveva ancora incontrato anima viva. Tirò su col naso. Che battuta idiota. Comunque, chi gli diceva che stava andando nella direzione giusta? Nessuno a quanto vedeva. Senza punti di riferimento stava bel che girando intorno a quanto ne poteva sapere. Ma, punto ancor più importante, anche ammesso che fosse uscito da quel labirinto fatto di mura fluide, che figura avrebbe fatto a vagar per la festa conciato come una bobina di spago? E come avrebbe potuto, oltretutto, conciar a sua volta il resto della Lucas Force, se aveva, letteralmente, le mani legate? Oh beh, si disse, coi pugni non era mai stato un fenomeno. Voleva dire che avrebbe preso a calci rotanti tutti quanti. Si mise a ridere da solo per la scena assurda, ma ecco che si drizzò e mosse per darsi uno schiaffo, ma trovandosi impossibilitato. L'ora tarda, le botte, la stanchezza e la mancanza di cibo lo stavano facendo impazzire. Trovava sempre più difficile concentrarsi e ormai il raziocinio gli si illuminava a sprazzi, come in quel momento. Ma insomma, si era imbucato a una festa a cui non era stato invitato. Se già questo era sintomo di una pessima amicizia, l’avessero scoperto, questo avrebbe deturpato del tutto i loro rapporti. E lui non voleva che venissero deturpati, vero? Vero? In verità, anche pensandoci a lungo, la voglia di deturpare le loro facce pareva un’alternativa decisamente più allettante, nonostante i momenti felici che avevano trascorso insieme. Per esempio… Per esempio? 

D’accordo, la faccenda doveva essere affrontata. Possibile che non si ricordasse nulla di nessuno? Non faceva parte della Lucas Force dopotutto? Cioè, li conosceva ormai da anni, avevano pure lavorato insieme… Perché aggiungere “pure”? Non doveva essere scontato dato il loro rapporto? Forse stava impazzendo. Aveva bisogno di una prova e ce l’aveva giusto in tasca. Ecco, doveva solo prenderla e… Ah, già.

–Serve una mano– Notò una voce, senza l’ombra di un punto interrogativo.

Trasalì in maniera scomposta, voltandosi subito dopo dall’altra parte, accigliato e pronto allo scontro. Si ritrovò davanti un uomo, il che era un sollievo dato che si aspettava chissà quale bizzarra bestia. Certo, se non era uscito dal cimitero, era probabile che fosse uno di quegli esemplari di dimenticati pericolosi al punto da dover restare confinati. Lo squadrò dalla punta dei capelli scuri e mossi in dolci punte, fino alla pianta dei piedi. Non aveva nulla che gridasse al pericolo addosso, ma neanche il bamboccio di prima dava avvisaglia di essere un maniaco sessuale dal solo aspetto. Parlando di aspetto, Cladzky aspettò a rispondere, perdendosi con gli occhi in quegli strani ghirigori che l’individuo aveva sulla giacca, ben troppo formale per una festa degenerata come quella. Quei disegni non restavano fermi, ma in continuo mutamento si muovevano come una finestra su un piano in parallasse. Forse era solo un’illusione ottica, ma, priva di ombre, la superficie di quel tessuto abbottonato, pareva proprio una via lattea intrappolata sul velluto. Alzò un labbro tornando a dargli un’occhiataccia.

–Dipende– Gli mostrò la spalla fredda, con le gambe pronte a scattare nella direzione opposta, almeno quando avrebbero smesso di sbattere le ginocchia –Puoi disfarmi di codeste catene?

–Temo non rientri nelle mie possibilità– Gli sorrise l’altro con una smorfia amorevolmente da stronzo. Stufo anche di mettersi in mezzo a una rissa, Cladzky sbuffò e si voltò di scatto, dando un colpo di anche all’aria giusto per chiarire gestualmente il suo disappunto.

–Allora sto una favola. Fammi almeno il favore di non ridere, perché non v’è motivo– Chiuse gli occhi stizzito, allontanandosi, prima di essere fermato da uno strattone. Corrugò la fronte –E neppure di trattenermi!

–Non mi permetterei mai– Lo sorpassò l'individuo, passandosi le nocche sul petto per soffiarsele. Incrociando gli occhi, Cladzky provò un altro passo, ma ancora qualcosa lo ancorava. S’adocchiò oltre le spalle e vide il lembo del vestito piegare il ramo di un roseto cui si era impigliato. L’uomo dagli occhi di cioccolata si piegò in avanti, braccio dietro la schiena e l’altro piegato sotto il petto, mano aperta a offrire assistenza –Serve una mano ora?.

–Indietro, faccio da solo– Gli sibilò contro con uno scrollo di spalle, prima di mettersi in equilibrio su una gamba e riuscendo a usare l’altra per colpire di tacco il pesante gambo spinato, staccandolo. Dopodiché fu lui a piegarsi in avanti e sollevò il viso all’interlocutore per fargli la linguaccia, appena prima che il ramo tornasse indietro di rinculo per lasciargli una striscia rossa lungo l’estremità che aveva esposto al roseto. Si sospinse in avanti dalla frustata, finendo tra le braccia dell’uomo ch’era la maschera del sardonico.

–E ora?– Lo reggeva dal cadere.

–Ora cosa?

–Ho motivo di ridere?

–Levami le mani di dosso o ti darò motivo di piangere.

–Come tu vuoi– E lo lasciò cascare in avanti, senza manco poter usare le mani per parare la caduta.

–Tutti a me i lunatici devono capitare– Mormorò, sputando dei fili d’erba, riuscendo a rialzarsi adoperando le ginocchia, per poi pugnalare l’uomo dalla voce effervescente di buon vino rosso con gli occhi –E non guardarmi il culo. È dura muoversi con questo straccio addosso.

–E ci credo, è stata cucita per un tredicenne– Camminò tranquillamente a vuoto la persona dalle labbra di miele, annusando le rose ancora scosse con il suo nasino di cera –Perché la indossi?

–Perché si dia il caso che è mia questa veste– Levò il muso sdegnato, alzando la cresta castana.

–E tu saresti…?

–Che, non si capisce?– Raspò un sandalo a terra, quasi lo volesse caricare –Sono Kid Icarus e mi andava di fare un giro.

–Seh, vabbè, e io mi chiamo Lelq.

–Che, davvero?– Sgranò gli occhi Cladzky. Eppure quel viso non gli diceva nulla.

–Certo che no– Si afferrò la base del naso fra le dita –Come tu non ti chiami Kid Icarus. 

–Ma insomma, saprò come mi chiamo!– Fumò Cladzky, stanco di quel damerino.

–Quello è il nome del gioco, il protagonista si chiama Pit. Bel cosplay però.

Cladzky si azzittì, bocca semiaperta. Forse il fatto di non dover più sostenere una falsa identità gli aveva levato un botto di ansia di dosso, solo per gettargliene addosso altrettanta. Era un membro dello staff pronto a buttarlo fuori? Non sembrava vestito come tale. Ma se non lo era avrebbe potuto benissimo avvertire altri della sua intrusione. Aveva capito che si era imbucato alla festa? Provò a studiarlo meglio. Tutta quella nebbia rendeva difficile stabilire se fosse trasparente o meno, perché non c’era uno sfondo che potesse vedergli attraverso, ma se si trovava lì significava che per forza doveva far parte di quella schiera di dimenticati, anche se l’aspetto da personaggio di un anime non l’aveva proprio. Che fosse uno pericoloso o meno non era chiaro, ma certo aveva un comportamento poco onesto nei suoi confronti. Lo stava prendendo in giro o gli nascondeva qualcosa? Perché questo interessamento?

–Ma come hai…

–Gioco spesso a Smash Bros– Fu la laconica risposta, intanto che andava a stiracchiarsi e controllare l’ora. Erano le due passate.

–Tu vuoi dirmi qualcosa o saresti già girato al largo– Gli si avvicinò contro, petto contro petto, a respirargli in faccia –Taglia il dramma e sentiamo che hai di così importante da riferire.

–Piano, piano– Si tirò indietro quello, spolverandosi gli abiti e rassettandoli, per poi puntargli un indice a sfiorargli il naso –Ammetto che ti stavo cercando.

Fece in tempo a togliere il dito che i denti del pilota si chiusero sul vuoto.

–E tu chi diavolo saresti?– Sbraitò, correndo a inseguirlo. Quello saltellò come un bianconiglio dietro il roseto –Non ho mai visto il tuo brutto muso da nessuna parte.

–Adulatore– Rise beffardo, correndo intorno il cespuglio, tallonato dall’imbucato –È una fortuna che non ci siamo mai visti. Io appaio solo a quelli messi male.

–Grazie per i complimenti– Cladzky fermò la sua giostra disutile e prese la rincorsa –Ma la tua sfortuna è stata incontrare me.

Corse e saltò a piè pari tutto il roseto, sorprendendo l’uomo dalle mani di seta, che rimase a guardare pietrificato, dall’incredulità, quella suola di sandalo atterrargli sulla guancia in un calcio volante laterale. Presto due corpi caddero a terra, uno disteso a coprirsi la testa, l’altro a saltellargli sul dorso in pestoni.

–E ora tu me lo dici, mortacci dei rimortacci tuoi, chi sei e che vuoi da me!

–E te lo dico sì, ma tu scrollati di dosso!– Lo implorò a fatica l’altro, con i polmoni schiacciati. Infine si sollevò di colpo, facendogli perdere l’equilibrio e mentre cascava si allontanò in fretta, massaggiandosi la guancia. Cladzky si rimise in piedi con un colpo di reni da quanto era incazzato.

–Se provi ancora a fare battute, o a comportarti da scemo, ne pigli un altro di calci in faccia– Lo ammonì, mettendosi in posa da lottatore di sumo, gambe divaricate –E non scappare.

–D’accordo, la smetto di fare il misterioso, se questo basterà a mandare avanti la trama– Sputò un fiotto di sangue a terra, dove prese a fumare sfrigolando. Cladzky se ne sarebbe dovuto stupire, ma ormai tutto sembrava possibile in quel mondo demente –Sappi che io sono qui per avvisarti. Stai per ricevere la visita di un numero indefinito di spiriti.

Cladzky si ritrasse confuso, per poi mettersi a contare con un occhio chiuso e la lingua dra i denti dallo sforzo.

–Ma scusi signor Marley, non erano tre gli spiriti?

–Non chiamarmi Marley– Si offese –Anche se in teoria potresti riferirti a me comunque tu voglia. Ma Marley nello specifico no, mi fa ricordare un film tristissimo. Inoltre siamo fuori tempo massimo per i riferimenti al Canto di Natale.

–In effetti l’inverno è ormai finito– E per fortuna, considerò, strusciandosi le cosce nude –E con spiriti intendi gli abitanti di questo loco ameno?

–Ti trovi nella zona giusta, d’altronde.

–Bah, bubbole!– Gli voltò le spalle Cladzky, intrecciando le dita –A me sembri solo un mitomane ubriaco. Sai pure di vino.

–L’hai notato? È il mio profumo.

–Insomma, tu arrivi da un tizio a caso nel bel mezzo di un cimitero e lo metti in guardia che verrà visitato dagli spettri a breve. Pensi di essere l’unico capace di sparare boiate? Senti qua. Ti predico che, entro mezz’ora, ti si staccherà il cazzo come un ghiacciolo a meno che non mi spari una sega. Piacere, mago Merlino, di tariffa fanno venti euro, IVA esclusa. Vuoi pure i numeri del superenalotto?

–Oh, non fare il bambino, Cladzky– Si coprì un risolino con le sue dita così ben sciolte. S’irrigidì.

–E tu come conosci il mio nome?– Sbiancò, specie a sentirlo pronunciare con una dizione impeccabile, cosa assai rara. Fece un passo indietro –Dio mio, sei un sicario della Ford, vero?

–Se così fosse saremmo già in viaggio per svenderti alle miniere di zircone nello Zimbabwe.

–Meno male, credo– Si sarebbe voluto asciugare la fronte il ragazzo, per poi incupirsi –Ma rispondi alla mia domanda.

–Io sono uno che appare sempre quando l’uomo è troppo simile a dio e quando dio è troppo simile all’uomo. Sono qui per rimettere equilibrio e dividervi, per il benestare di tutti gli altri.

–Dividerci? Io e chi altri?– Alzò un sopracciglio indagatore, inclinando il capo e mettendo il broncio nell’avere più interrogativi che risposte.

–Tu e lui– Allargò le braccia l’uomo dalle fossette adorabili –Il tuo creatore.

–Ti informo che sono ateo.

–Non riesci a vedere oltre il tuo naso allora, ma chi ti è troppo vicino sa a che parlo di lui.

–Io ti ho fatto una domanda– Strinse i pugni Cladzky –Non ti ho chiesto una lezione di teologia!

–E io ti ho dato una risposta!– Incrociò le braccia l’uomo di galassia vestito –Sono la forza che porterà a compimento questa storia sin troppo lunga, risolvendo il conflitto di personalità con la distruzione del tuo spirito, di modo che dio non possa più specchiarsi in te e ritorni al suo ruolo di creatore di materia, altra materia.

–Ohi, frena lì!– Lo interruppe Cladzky, guardandolo storto –Quale spirito vorresti distruggere te?

–Chetati– Gli agitò l’indice in negazione l’uomo dagli sfavillanti, per poi porselo alla tempia e bussando con il polpastrello, invitandolo ad aprirla –Tu non sai come funziona il multiverso.

–Chetati tu, voi e i vostri segreti del cazzo– Sbraitò, con il latte alle ginocchia –Non so come funziona il multiverso, non so cosa sia di preciso questo cimitero e tantomeno le tradizioni di api antropomorfe, quindi vedi di spiegarmi tutto per filo e per segno e spera che si tratti di qualcosa che mi importi o i prossimi coglioni a rompersi saranno i tuoi per pura forza cinetica.

–Ti stavo giusto dicendo: tu non sai come funziona il multiverso. Distruggerò in senso laterale il tuo spirito, ma rinascerai alla fine del processo, almeno spero.

–Speri?

–È l’unico modo per staccarti dio di dosso.

–Che fa, mi stalkerizza?– Si voltò di scatto come giocasse alle belle statuine.

–Dio si è troppo appassionato alle tue vicende, al punto da immedesimarsi. Lui vuole essere come te, ma non riesce e dunque rende te come lui, un essere mediocre.

–Piano con i complimenti.

–Ma io gli darò ciò che vuole. Finora lui ti ha usato come armatura per esprimere sè stesso senza esporsi mai davvero, ma io lacererò questo velo. Tu sarai il respiro attraverso il quale spifferi del suo spirito più insondabile spireranno in spire a confrontarlo. Egli si risveglierà dal suo sonno ottenendo proprio ciò che vuole, stimoli dal suo vessillo, ma non più palesati a lui solo per disonesta dissimulazione, bensì alla luce del sole perché gli altri suoi simili possano assistere alla sua nuda forma..

–E adesso di chi altri stai parlando?– Ebbe voglia di grattarsi i capelli al veder la situazione complicarsi.

–Di coloro che si nutrono della materia del tuo creatore, questo è il suo ruolo. Ma la sua fonte è malata dal vostro rapporto, ristagna della solita solfa. Essi si allontanano, non più ristorano da lui ma ad altri lidi attingono sostentamento e il tuo dio rimane solo nel vuoto e così rimarrà finché inseguirà loro, staccandosi dall’affetto tossico che nutre nei tuoi confronti.

–Io non ci capisco più niente– Gridò ai quattro venti Cladzky, pestando i piedi a terra –Ma tu chi diavolo sei?

–Io sono il dio del tuo dio– Declamò a voce non alta ma sicura l’uomo dalle unghie ben limate, sistemando le gambe in una posa a chiasmo, mentre alzava un braccio a lisciarsi il collo –Sono la sua coscienza se vuoi vederla in questo modo.

–Ecco, non la mia e allora vai da lui, non rompere i coglioni a me– Agitò insofferente il bacino e relativa gonnella non potendo mordersi le mani. I discorsi complicati lo mandavano in bestia. Era uno dei motivi per cui lui e Mark litigavano così spesso. Si finiva sempre per non capire dove stava la vera informazione e la presa per il culo e questa aveva tutta l’aria di esserne una.

–Ci sono già stato– Scosse la testa il ragazzo dai denti bianchi –Ormai da molto tempo provo a convincerlo, ma non funziona. Allora non mi rimane altro da fare che raggiungerlo in maniera più indiretta, attraverso te.

–Ma gli dei non sono onniscienti?– Provò a reggergli il gioco per vedere dove sarebbe andato a parare –E allora come credi di poterlo sorprendere? Se è lui che stabilisce la mia vita ha stabilito anche tutto questo, vero?

–Io l’ho convinto a fare tutto ciò– Specificò indicando il cielo –Perché sa che ogni mia azione è giusta.

–E addio effetto sorpresa.

–Non serve. Lui sa di avere un problema, vuole farsi aiutare, ma non ne ha mai avuto il coraggio, perché avrebbe significato distaccarsi da ciò che ama per raggiungere un piano superiore. Ma ormai l’ho tarlato abbastanza per raggiungere un compromesso. Se ci tiene che tu sia il suo vessillo sperimenterà in seconda persona che mostruosità ha creato.

–Io ci rinuncio a capirci qualcosa– Alzò le mani Cladzky, per poi ricordarsi di essere ancora legato e le rimise a posto –E se tu sei il dio del mio dio vuol dire che sei più forte di un dio normale.

–In un senso metafisico sì.

–E allora perché non mi meta-liberi da questa catene visto che sei così forte?

–Perché io posso influenzare la storia, non farne parte.

–Bella scusa per non muovere il tuo meta-culo– Mosse il labbro in un ringhio –E questi spiriti che dovrei incontrare cosa sarebbero?

–Difatto personaggi dell’animazione giapponese bella che dimenticata, ma questo è solo perché il tuo dio non è capace di fare nulla di nuovo ultimamente, dunque ci siamo accordati per questo riciclo per far sì che questo evento fosse possibile.

–E io li devo incontrare per forza o appena li vedo posso saltare a più pari?

–Se tu li saltassi– Lo puntò il dio degli dei –O meglio, se il tuo te lo permettesse, la lezione non verrebbe imparata e tu finiresti come loro.

–Loro chi?

–I dimenticati– Chiuse il pugno il ragazzo dalla vita stretta.

–Come sarebbe a dire?– Saltò Cladzky –Vuoi dire che questo universo…

–Non l’universo. Tu solo spariresti.

–Vuoi scherzare!– Chiuse i denti –Quindi tutto il processo spiegatomi da Kitarō era una boiata.

–Non una boiata, una semplificazione, perché neanche lui conosce del tutto come funziona il multiverso– Si ricompose il ragazzo dal passo leggero e senza rumore –Si scompare solo se si viene ignorati dagli dei esterni, ovvero quelli che si nutrono della materia del tuo dio sopracitato. Quando nessun dio esterno si approvvigiona più a questo mondo, il mutuo scambio si interrompe, ma mentre lui può trovare sostentamento altrove, per te è finita giacchè la linfa vitale dell’interesse finisce. Di norma gli dei creano universi per i loro personaggi, ma, nel tuo caso, non lo ha fatto, inserendoti di sproposito in quelli di altri dei. Non c’è da stupirsi, dunque, se tu sarai il solo a sparire. Tu sei il tuo piccolo universo.

–E per me tu sei un contaballe professionista.

–Io non so più come convincerti, ma se il tuo dio vuole renderti scettico così sia. Forse riflette la sua stessa incredulità a questo processo.

–Un modo per convincermi ci sarebbe– Sorrise Cladzky, lascivo –Fatti più vicino.

–Bah, se è così che vuole lui…– E gli si fece accanto.

–Tendi l’orecchio, è un segreto.

–Non esiste segreto ch’io non conosca, dimmi solo quale– Tese l’orecchio alla bocca, spalancando il padiglione con la mano. Un suono di cracker belli croccanti risuonò per il cimitero. Scioccato, l’uomo dal mento liscissimo cadde a terra, reggendosi il polso della mano morsa.

–Ma ti sei bevuto il cervello?– Gli gridò contro, agitando le dita insensibili, già illivididte.

–Scusa, il mio dio me lo ha fatto fare– Si scompisciò Cladzky tanto da chiudere gli occhi e piegarsi in due. Si sarebbe sbattuto la mano sulle ginocchia –Alle volte gli sale lo sghiribizzo e gnak! Atti di violenza innecessari. A lui fanno ridere, sai com’è fatto meglio di me. Dovevi vedere prima: Uno scontro fra demoni privo di contesto. Chi ci capisce qualcosa di questo macello è bravo.

–Tu credi di scherzare– Si rimise in piedi, per poi indietreggiare –Ma probabilmente hai anche ragione. Ma vedrai che ti ricrederai dopo gli incontri che ti ho preparato.

–E che c’ho scritto in fronte, Jo-Condor? Ma vadi a cagare lei, gli dei e la linfa vitale, per cortesia. Vadi a dar aria da qualche altra parte che qui al cimitero già stiam messi male. Ora scusi, ma devo trovare un modo per picchiare i miei migliori amici, vadi a comprare le bottigline di Lourdes che valgono quanto le sue stronzate..

–Arrivederci– S’inchinò l’uomo vestito dello stesso manto della cintura d’Orione, per poi voltarsi e allontanarsi agitando la mano ferita fino a svanire con la sua giacca nera nel bianco. Cladzky se la sghignazzò della buona facendo lo stesso nella direzione opposta, solo per essere ritirato indietro con effetto da molla, trattenuto per la gonna, cadendo a sedere sull’erba alta. Si guardò indietro. Si era di nuovo impigliato nel roseto.

–Ma giuro che, se quel dio esiste, gliele suono un giorno– Affossò la testa fra le spalle. Rabbrividì. Il furore si era acquietato e il calore andava scendendo. Le catene tornarono a essere gelide.


***


    Ripreso il viaggio verso i confini del camposanto, se così poteva chiamarlo, si trovò davanti quel che credette, lì per lì, essere una roccia da quanto stava immobile, ma una folata di vento predò una coda di cavallo nera. Per quanto avesse preso il dio dei cazzi e mazzi per un ciarlatano, la prudenza non era mai troppa in un posto del genere, dunque tentò di scivolare fuori dal suo raggio d’azione con la stessa attenzione con cui era entrato. Prima che vaporasse del tutto la figura, si rese conto di aver perso il senso dell’orientamento e certo un paio di informazioni gli avrebbero fatto comodo. Tornò, sui suoi passi felpati, alla persona seduta sulla cima di un piccolo masso all’ombra di un mandorlo, che se ne stava in posa meditativa. Acquattato nell’erba, gli era tanto vicino da vederlo chiaramente nelle sue spalle dritte e la sciarpa rossa che serpentinava pesante. Dall’albero cadevano, lenti, petali di fiore, perché dopotutto era primavera. Uno di questi andò a finire, guarda un po’ le coincidenze, sul naso. Tirò indietro il capo e contrasse i muscoli facciali, ma non si staccava per via dell’umidità notturna. Arricciò il naso, incapace di rimuoverlo. Quel contatto gli stava facendo venire voglia di starnutire nel peggior momento possibile. Faticò a trattenere il respiro. Infine gli sovvenne: Non doveva trattenerlo. Piegò la bocca e riuscì a soffiare sulla punta del naso fino a staccare il fiore. Tirò un sospiro di sollievo. Scorse un riflesso nel buio. Subito un movimento di mano, uno squarcio nel vento e un coltello gli si piantò ai piedi. Il riflesso erano gli occhi della persona messasi in piedi di scatto e già con un altro coltello estratto dai vestiti. Come temeva si trattava di un tipo di quelli pericolosi.

    –P-passavo di qui per caso!– Mentì per metà sbattendo i denti, piegandosi in avanti con riverenza, mentre indietreggiava.

    –Precisamente contro questa roccia?– Alzò il braccio, pronto a scagliare l’arma che stringeva per la lama e con l’altro, a palmo spalancato, mostrava il gigantesco spiazzo senza confini nel quale si trovavano, con una curva che terminò solo quando la scapola premeva contro il principio dell’omero –Con tutto lo spazio che avete mi siete arrivato alle spalle di soppiatto?

    –Non volevo disturbarla– S’inchinò ancora più in basso –Così meditabonda mi sembrava brutto.

    –Potevi metterci più impegno, ti ho sentito da un pezzo strisciare fin qui– Si rigirò il coltello fra le dita. Senza preavviso lo lanciò nuovamente ai suoi piedi, mentre ne tirava fuori un terzo –E non si striscia alle spalle di qualcuno per caso.

Cladzky cadde in ginocchio, avendo difficoltà a mantenere il contatto visivo con quel… sì, era un bambino anche lui, o una bambina, non era proprio chiaro, ma aveva un visino lentigginoso così amorevole e certi occhi neri da cerbiatto che era dura credere potesse giustiziarlo sull’istante che avesse sgarrato.

    –Abbi pietà, è tutto il giorno che mi capitano disgrazie– Piagnucolò l’imbucato, muovendosi come il cappuccio diritto di un cobra.

    –Lo vedo– Osservò fischiando, rimettendo il pugnale sotto la cintura bianca, notando il suo stato inoffensivo –Chissà chi devi aver fatto arrabbiare per farti conciare così.

    –Oh, solo l’ennesima persona che voleva un pezzo di me, signorina– Scosse il capo avvilito al pensiero di quella yokai-onna a dir poco lasciva.

    –Signorina a me?– Strabuzzò gli occhi, mani lanciate indietro dalla sorpresa, allargando anche le dita dei piedi, nudi sulla roccia. Poi si lanciò in una grassa risata a bocca spalancata, gettandosi all’indietro con il busto, guadagnandosi uno sguardo contrito da Cladzky. Notando il viso sinceramente confuso dell’infiltrato, si interruppe, sbattendo un poco gli occhi, indice sul labbro, per poi grattarsi il mento e stringendo le gambe l’una all’altra in una posa austera, voltando il tronco un poco più a sinistra, studiando il castano da dietro la spalla. Tossì per darsi un tono –Dunque tu non sai chi sono io.

    –Ad averlo saputo che girate col coltello in tasca, io non mi sarei manco avvicinato– Annuì il pilota, convinto di avere disinnescato la situazione –Però è dura essere schizzinosi in questo contesto. Sapreste mica aiutarmi signor…?

    –Frena– Alzò un palmo l’infante, scendendo con un salto nell’erba, che gli arrivava alla vita –Non hai bisogno di sapere chi sono io allora. Piuttosto, sentiamo chi sei tu e se meriti il mio aiuto.

    –Io?– Si strofinò i sandali l’uno contro l’altro –Che fine ha fatto la semplice empatia umana?

    –Hai appena interrotto la mia meditazione, mi hai spaventato arrivando come un ladro– Si cinse le mani dietro la nuca il ragazzo dai capelli neri, spostando il peso prima sui talloni, poi sulle dita, in un dondolio –E si finisce legati in quella maniera solo di fronte il giudice d’un tribunale. Insomma, per quanto ne so io, tu potresti essere uno appena evaso e chissà che volevi fare arrivandomi alle spalle. Non ho motivo di scioglierti.

    –E se vi dicessi che tutto quello che mi è accaduto è stato totalmente immeritato?– Lo seguì nel dondolare con gli occhi a destra e sinistra, sentendosi un nodo in gola.

    –Ci crederei poco, ma non schivate la domanda– Gli camminò intorno il bambino, lisciando fra le dita la sciarpa rossa, ispezionandolo –Vi ho chiesto chi siete.

    –Io sono…– Ci pensò su. L’uomo dalle sinuose gambe aveva visto attraverso il suo travestimento, ma non c’era ragione di supporre che anche lui conoscesse il personaggio in cui si era camuffato. Che poi aveva sbagliato il nome prima. Come si chiamava davvero?

–Cos’è, non te lo ricordi?– Sbottò il bambino, battendo l’indice sul braccio opposto, incrociato con l’altro in un gesto spazientito.

–Pit!– Uscì prima stridula la voce, poi tossì e ripetè, per darsi contegno –Mi chiamo Pit, da Kid Icarus, piacere. Fate pure come se vi avessi stretto la mano.

–Pit, eh?– Giocherellò con la frangia il bambino dal kimono blu. Poi chiuse gli occhi, immobilizzandosi, respirando profondamente. Cladzky si avvicinò incuriosito da quella calma improvvisa. Gli occhi si riaprirono di scatto, stavolta di bragia e avanzò a testa bassa da farlo tornare dov’era –Bella trovata, ma tu non ci somigli per niente a Pit!

Oddio ,anche lui lo conosceva? Ma in quanti giocavano a Smash Bros lì dentro? Provò a replicare con un filo di voce, collidendo le ginocchia dalla tremarella.

–D’accordo, ho solo trovato il costume per caso– Tentò di sorridere, recuperando quel che rimaneva della sua faccia –Ma giuro che non l’ho rubato, solo preso in prestito. Almeno mi sta bene?

Il bambino passò da un’espressione furiosa a una allibita. Dopodiché tornò a ridere, più incontrollabile di prima. Più del timor poté l’onore, sentendosi deriso, Cladzky lamentò.

–Beh, bastava dire di no– Calò le ciglia dal disagio il pilota.

–E a te bastava continuare a mentire– Si resse i fianchi l’altro, prima di rotolarsi nell'erba e sbattere il pugno dall’ilarità –Ci sei cascato subito. Per un trucco così semplice poi!

–Ma…– Si restrinse la faccia di Cladzky nel realizzare il tranello. C’era da dire che sembrava così convinto che era dura non credergli –Tu non conosci…

–Non ho mai sentito parlare di Pit– Si alzò in una verticale, prima di rotolare in avanti e rimettersi seduto sul prato, finalmente sfogato –Figurati se lo conosco di faccia. Ma le facce di chi mente le conosco bene.

–Ho mentito a fin di bene– Insistè l’imbucato.

–Stento a crederlo.

–Mi perseguitano tutti a questa festa.

–Non li biasimo– Alzò gli occhi al cielo il bambino.

–Ecco perché devo celare la mia identità– Si mise in una posa che suggeriva l’avvolgersi in una mantello, ma con solo le catene a coprirlo.

–Non fai un bel lavoro a tal proposito– Si appoggiò al masso il giovane.

–Ma come posso convincerti che ho buone intenzioni? Voglio solo liberarmi di questi legacci.

–Sarà dura– Ponderò il ragazzo, grattandosi il viso.

–Certo, sono fatte di ghiaccio magico o qualcosa di simile– Glieli fece vedere, avvicinandosi.

–No, dicevo che sarà dura convincermi– Saltò nuovamente a sedere sul masso, a distanza di sicurezza –Quindi meglio che ti arrendi subito. Io tornerò e meditare e tu al tuo vagabondaggio. Se sei fortunato, incontrerai qualcuno abbastanza scemo da aiutarti.

–Ma se sono stato invitato a questa festa vorrà dire che sono uno di cui fidarsi, no?

–E invece non sei stato invitato a questa festa– Esercitò le mani in un kuji kiri –Magari è per quello che tutti ti cercano e sei vestito così.

–Ach– Si morse la lingua prima di rispondere –C’è stato un equivoco. Io dovevo esserci sulla lista degli invitati…

–Dunque non sei stato invitato, come immaginavo– Scosse la testa –Dovrei smetterla di prestarti ascolto e avvisare i padroni di casa. Va via finchè ho pazienza.

–Aspetta!– Tentò di issarsi anche lui sul masso –Non ti ispiro neanche un po’ di pena? Qua vogliono farmi tutta la pelle, aiutami almeno tu.

–Vuoi lasciarmi in pace?– Strillò, prima di mollargli un calcio sul mento e terminare la sua scalata nella polvere –Non so chi sei e le cose che mi dici non aiutano certo a empatizzare con te, anzi, mi dai sui nervi nel pretendere di trovare soccorso dal primo che passa, come se non avessi nulla di più importante da fare, quindi smettila di assillarmi e vattene.

–Povero me– Lagnò Cladzky, ormai nel pieno melodramma, non potendo massaggiarsi la mascella –Ovunque vado mi tirano le pietre.

–E fattele due domande!– Sbuffò il bambino –Invece di restare ad autocommiserarti per attirare l’attenzione, vedi di fare qualcosa di produttivo e aiutati da solo.

–Ma come puoi trattarmi così, tu che…– Alzò lo sguardo verso l’albero –Hai occhi che si confondono nei fiori di mandorlo?

–Quando ti ho detto di non piangerti addosso non intendevo di cominciare con le adulazioni– Si coprì la faccia per non gridare.

–Se vuoi meditare posso provare a recitarti dei versi. So molto di poesia giapponese io.

Damare, Ii kagen ni shiro– Gli puntò addosso il dito Boku wa anata no higeki ni wa kyōmi ga arimasen, houttoite! Watashi no meisō wa jama sa reru ni wa amarini mo jūyōdesu, nande mada koko ni iru no? Shine! Isogashi sugite kinishinai.

–Ah no, questo autore mi è ignoto– Sbattè le palpebre il pilota.

–Bah– Si coricò sul masso l’assillato, poggiando una gamba sull’altra, mani sotto la nuca –Sei proprio un caso perso.

–Ma io ho sentito storie su di voi– Improvvisò Cladzky. Si trovava nella terra degli anime e forse non stava esagerando e quantomeno serviva provarci –Dicono che niente resiste alle vostre lame e allora pensavo che potreste provare a tagliare le mie…

–Dunque non sei venuto davvero qui per caso– Si girò sulla pancia, poggiando la testa sul dorso delle mani piantate coi gomiti e intrecciando le gambe –Inoltre, non avevi dimostrato prima di non conoscermi? Un'altra contraddizione.

–Insomma, io voglio togliermi queste robe di dosso– Si divincolò Cladzky –Come posso farmi aiutare?

    –Un modo per starmi simpatico ci sarebbe, Senzanome– Mostrò i denti in un sorriso da lontra, lisciandosi la punta del naso con il pollice –Tanto per cominciare potresti dire di essere amico del mio amico, il grande samurai Hattori Hanzō. Conosci, no?

    –Ma certo!– S’illuminò come una lampadina, saltando in piedi e sciorinando tante parole da provocare eccessiva salivazione. Sapeva che l’aver preso un corso di storia giapponese per corrispondenza gli avrebbe salvato la vita un giorno –Il grande condottiero di Tokugawa Ieyasu, nostro shogun, che scortò in salvo nella provincia di Mikawa dopo l’assassinio di Oda Nobunaga. Ma sì, il grande Hattori che, a capo dei ninja di Iga, battagliò con il clan dei Sanada.

    –Eh sì, proprio lui– Si scurì la faccia del ragazzo, ficcandosi una mano in tasca.

    –Co… Colui il quale– Inghiottì nel rendersi conto di chi aveva davanti –era il più grande rivale del leggendario Sasuke Sarutobi?

    –E indovina un po’ chi sono io?– Lo spiò l’occhio spiritato del ragazzo, incorniciato dietro il foro di uno shuriken.

    –Comincio a farmi un’idea– Saltò via, sentendo, appena voltato, una lama rotante rasargli a pelo la chioma. Si mosse a zig-zag, ritrovandosi un kunai piantato ai piedi ogni volta e svoltando di conseguenza. Si parò dietro un albero, ma nessuna lama si piantò nel legno che usava come scudo. Gettò un occhio dall’altra parte del riparo, ma la roccia non era più occupata. Un brivido gli corse lungo la schiena. Tornò a guardare davanti a sé che, subito, una mezza dozzina di kunai gli fecero la sagoma nel tronco. Senza neppure guardare dove fosse il ragazzo, riprese a scappare, rotolò giù per una depressione del terreno, al riparo da quella pioggia di dardi. Coricato, ansimante, nell’erba del terreno inclinato, provò a tirar fuori la testa verso l’albero, che già era sparito nella nebbia da quanto si era allontanato. Nessuna lama lo colse in fronte e tirò un sospiro di sollievo. 

    –La caccia non è ancora finita– Rise una voce alle sue spalle. Si voltò per ritrovarsi Sasuke che teneva in mano una bottiglia dal sentore di kerosene. Saltò fuori dalla buca mentre lui aveva preso a bere, ma non fece che pochi passi quando una fiammata gli parò la strada. Il ninja atterrò alle sue spalle, in mezzo all’odore acre dell’erba carbonizzata e il fumo nero, ancora con le guance piene.

    –G-guarda che i minorenni non possono bere alcolici– Provò a contestare, prima che il membro dei Sanada chiudesse le mani nel simbolo zodiacale della tigre e sputasse un altro fiotto di napalm verso di lui. Saltò di lato, solo per trovarsi un'altra vampata a sbarrargli la strada, girò in tondo, fino a quando si rese conto di trovarsi circondato in un anello di fiamme. Troppo spaventato dal muoversi ancora prese a bruciargli la gola per le esalazioni, fino a rendersi conto che si stava intasando i polmoni di fuliggine. Si diresse verso il fuoco, che si levava fino a due piedi dal  terreno, e saltò. Nei film funzionava, di solito almeno. I suoi piedi atterrarono nell’erba fresca e inspirò aria pulita. Tornò a correre, ma quel senso di arsura stava tornando. Girò il capo. Sembrava essere riuscito a seminare il ragazzo, ma non il fuoco, perché gli aveva ghermito un lembo della veste nel salto. Prese a rotolarsi a terra fino a che non si stancò e, una volta fermato, il mondo gli girava troppo per camminare ancora, dunque si accasciò come un lenzuolo sopra un tronco caduto.

    –Ti sei già stancato?– Chiese il Sarutobi, atterrandogli di fronte. Cladzky si issò per correre ancora ma le gambe non lo seguirono a lungo. Una bolas gli si avvolse presto agli arti inferiori, costringendolo a cadere –Ti devo ringraziare in fondo. Era da un po’ che non mi allenavo così.

    –Aspetta, non ci siamo capiti…– Cercò di ragionare, girandosi su un fianco, prima di ritrovarsi con una folata di polvere negli occhi. Scosse il capo e, con gli occhi irritati e rossi, scorse la figura ridente del bambino, con un grumo di polvere nera sul palmo che soffiava allegramente su di lui –E questa cos’è?

    –Polvere da sparo– Si battè le mani soddisfatto Sasuke, sorridendo come avesse catturato una farfalla –I ninja si fanno esplodere pur di non farsi catturare e rivelare i loro segreti., dunque ho figurato che anche tu meriti questa fine; dato che non hai voluto rispondere sinceramente a mezza domanda che ti ho fatto è chiaro che hai preziose informazioni da proteggere.

    –Ma lo vuoi capire che ti ho mentito?– Piagnulò Cladzky, sputando dei granuli che gli erano rimasti in bocca –Io non lavoro per Hattori Hanzō, non l’ho mai visto in vita, non sono tuo nemico.

    –Lo so benissimo– Estraé con naturalezza una scatolina di legno dal kimono. Lo spazio nelle tasche di un ninja era ancora un mistero per la scienza –Mettiamola così: Non mi piace essere preso in giro.

    –D’accordo, sono un imbucato a questa festa– Ammise il pilota, cercando di scuotersi la polvere di dosso –I miei amici non mi hanno invitato, mi sono offeso, sono giunto qui, la sicurezza mi ha mandato via, sono stato abbandonato dal mio migliore amico robot, il mio disco volante è stato abbattuto dalla polizia, mi sono schiantato in una serra, ho fatto amicizia con un giardiniere fascistoide regalandogli il mio velivolo, mi sono travestito prendendo il suo posto, sono arrivato sulle piste da ballo, ho picchiato un DJ, gli ho rubato i vestiti, ho ballato un musical con un’abominazione spaziale in mezzo ad attori morti da anni, l’ho sconfitta con un backflip a caso, ho intravisto Deadpool da qualche parte, mi sono caduti addosso i vestiti di Pit da una finestra, li ho indossati, ho superato uno scheletro razzista figlio del dente di un’idra, ho incontrato degli uomini-insetto che mi hanno fatto luce con un raggio laser, ho incontrato un ragazzo senza un occhio, che è figlio di yokai, ch’era a guardia di questo cimitero, il cui padre, ch’era tutto un occhio, mi ha mandato a prendere un amuleto per attraversare questo posto e dunque sono prima passato a cercare fiori nel giardino qui fuori, imbattendomi prima in un’ape coi coglioni girati e una rana che li aveva blu da quanto non scopava, mi sono fermato, sono stato importunato da un quartetto di bestie sataniche e arrapate, hanno giocato a bondage con me come puoi ben vedere, ma prima che potessero andare oltre li ho convinti ad andare a picchiare il ragazzo yokai a guardia del cancello, garantendomi così l’accesso, e nella traversata di codesto luogo mi sono imbattuto in un uomo che si veste di galassia e si fa chiamare il dio degli dei che mi ha rivelato che dio mi stalkerizza e che avrei incontrato un numero indeterminato di spiriti che mi avrebbero distrutto lo spirito, l’ho preso a calci in culo e ora dovrei raggiungere la villa passando qui in mezzo, ma non ho idea di dove sono, ho bisogno di indicazioni e che qualcuno mi strappi di dosso queste dannate catene!

    Procedette a riprendere il fiato a lungo, mentre Sasuke leccava un impasto per poi applicarlo al fondo della scatolina. Infine gliela premette in fronte con abbastanza forza da farcela rimanere incollata.

    –Vedi, era così dura dire la verità?– Si mise i pugni sui fianchi, sguardo annoiato –Dovevo arrivare a tanto?

    –Dunque mi credi?– Chiese il pilota, con un’espressione disgustata da quella sostanza appiccicatagli sopra le ciglia.

    –E come faccio?– Roteò la mano per aria, prima di abbassarsi a recuperare le bolas –Dopo tutte le bugie che mi hai detto non so più se sei serio o scherzi. Facciamo che tu esplodi e io torno a meditare, così risolviamo tutto in un colpo.

    –No, aspetta! Cos'è questa roba?– Gli gridò dietro, mentre quello già saltellava via innocente.

–Un acciarino ad orologeria. Qualche secondo e farà partire una scintilla.

–E vuoi lasciarmi così?– Si drizzò con la schiena, coperto di polvere da sparo dalla testa ai piedi.

Sasuke Sarutobi si fermò, agitando la mano per salutarlo, l’altra alla bocca per farsi sentire, piegato sulle punte in cima al tronco sopra cui si era rovesciato un minuto fa, occhi chiusi, sopracciglia alzate dalla serena soddisfazione, fossette lentigginose in vista per il riso.

    –Ora avrai una motivazione per sentirti a pezzi, contento?– E sparì, fischiettando.

    –Torna qui, nano infame! Non puoi ammazzarmi solo perché ti ho chiesto una mano! Questa festa è piena di schizzati!

    CLIC!

    Cladzky sbarrò gli occhi, ma non saltò per aria, nonostante il suo cuore rischiasse di farlo. Dalla cima della scatola si aprì uno scompartimento e scattò fuori un messaggio in kanji su rotolo bianco che andava a cadergli sul naso, scendendo fino al mento. Ovviamente non sapeva leggere il giapponese, figurarsi quello feudale, purtroppo per lui, perché il messaggio recitava pressappoco:

“È solo pruriginosa, stai sereno”

    Rimase impassibile come un baccalà, ancora non convinto del tutto di essere vivo, tanto che quasi non si rendeva conto della voglia matta di scorticarsi per placare la sensazione di infiammazione che gli attanagliava la pelle. Da lontano, l’uomo vestito di galassia, prendeva appunti.

    –E con questo sono due in una– Morse la biro, sparendo nuovamente.

   
 
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